Elogio della quotidianità
di Sr Germana Strola o.c.s.o.
Una della caratteristiche principali della vita monastica consiste nello scorrere semplice, umile e sempre uguale del vivere quotidiano. Se è vero che la liturgia, da un lato, sottolineando con una celebrazione più solenne le ricorrenze principali dell'anno liturgico, i tempi forti o le grandi festività del santorale, contribuisce a creare un clima gioioso e festivo per una parte abbastanza considerevole del calendario annuale, dall'altro la regolarità degli atti comuni stabiliti dall'orario, le consuetudini, le strutture del vivere insieme la sequela della RB o di altre regole monastiche danno origine a un quadro ambientale favorevole all'approfondimento spirituale proprio per il ritmo tranquillo e privo di eventi straordinari della vita cenobitica.
In tal modo, nel cosiddetto tempo Durante l’Anno, terminate le grandi solennità che attualizzano liturgicamente il mistero di Cristo e celebrano la rivelazione del Dio Uno e Trino, il ritorno delle "ferie per annum", nell'invariato fluire delle attività previste dall'orario e dalla regola, concorre ad approfondire il clima apparentemente monotono e senza particolare splendore di una vita nascosta, ritenuta a volte quasi banale. È all'interno di tale contesto che emerge la tentazione di una ripetitività che potrebbe essere pesante o depressiva., per chi nel mondo moderno è cresciuto prevalentemente nel ritmo frenetico delle grandi metropoli, o nell'esuberante ricchezza di richiami e di stimoli della vita contemporanea. È noto come i Padri del deserto, a partire da Evagrio il Pontico, abbiano dato strumenti e metodi per gestire le difficoltà presentate dall'emergere dei cosiddetti "pensieri" o vizi capitali, non ultima l'accidia, che affiorano alla luce proprio nel contesto della monastica uniformità quotidiana.
Non si intende tuttavia riprendere qui la profondità e l'utilità di un tale insegnamento monastico - patristico, ma partendo dalla parola di Dio, vorremmo riflettere piuttosto sulla vita di tutti giorni, la sua ricchezza, i suoi doni, le sue sfide e gli orizzonti particolari di grazia che essa dischiude.
Lo straordinario
L’osservazione della nostra esperienza ci permette frequentemente di constatare come la ricerca dello "straordinario" sia uno dei meccanismi più diffusi e spontanei del vivere umano per poter cogliere la grandezza di quello che viviamo tutti i giorni, è necessario di tanto in tanto salire più in alto o dilatare gli orizzonti, per ritornare poi con rinnovato vigore e slancio emotivo agli impegni di sempre, come per sceglierli di nuovo. È questo il significato anche della festa, della celebrazione, dei momenti cosiddetti vertice del vivere spirituale: la superficie sempre uguale di un ... navigare consuetudinario nel mondo - la cosiddetta routine - facilmente tende a rendere opaco e frusto anche l'entusiasmo o lo stupore più ardente degli spiriti maggiormente giovanili, mentre la vitalità intuita o donata nell'esperienza gratificante di un incontro gioioso ridona motivazione e freschezza interiore al grigiore dell'abitudine.
Se ben consideriamo, il nostro mondo contemporaneo è quanto mai segnato dalla ricerca sistematica dell'evasione, della novità, della sensazione straordinaria. Si tratta di un dinamismo centrifugo per cui la vita è percepita, ad esempio, nell'ebbrezza della velocità, del sentimento, della gratificazione massimale in grado di eludere o cancellare sistematicamente la percezione del limite. Di conseguenza, nulla sembra bastare mai per colmare una sempre crescente insaziabilità: e questo a molti livelli (possesso di beni esterni o anche di riuscita, di affetti, di conoscenze, di possibilità perfino di sviluppo o affermazione personale; non escluso nemmeno l'ambito religioso: si veda la frequente ricerca di una esperienza "mistica" o "soprannaturale" di cui si fanno promotrici molte tendenze religiose o sette nuove). Non si tratta qui di quella mancanza di appagamento strutturalmente connessa con la dinamica del desiderio tipico del cuore dell'uomo (creato a immagine di Dio, solo in Dio può trovare una corrispondenza adeguata a se stesso, dice S. Agostino: fecisti nos ad te inquietum est cor nostrum donec requiescat in te, Conf. XIII); sembra che l'antropologia odierna, con le sue prospettive individualistiche, esasperi nell'homo faber la sua bramosia egocentrica, quasi per rilanciare senza fine una società concepita in termini antropocentrici, consumistici (Habgier, direbbero i tedeschi). Un'esaltazione di sé, che si esprime nel prendere per sé, ed è esattamente l'inverso di quello che San Paolo descrive come dinamismo fondamentale di Cristo: il nuovo, ultimo Adamo, (1Cor 15,22.45) instaura invece nell'uomo un atteggiamento evangelico caratterizzato non dal carpire, ma dal dare "non considerò come una preda l'essere uguale a Dio... " (Fil 2,6).
La confusione o lo stravolgimento di valori a cui purtroppo assistiamo sembra attuare paradossalmente la parola profetica: "Indurisci il cuore di questo popolo, appesantisci le sue orecchie, vela i suoi occhi, affinché non veda con i suoi occhi né ascolti con le sue orecchie né intenda con il suo cuore., si converta e guarisca" (Is 6,10; cf Mt 13,15; At 28,27). Assordati dalle proprie voci e dalle proprie voglie, non si è più in grado di udire Colui che parla, nel silenzio (cf. Sap 18,14): "Mentre un quieto silenzio avvolgeva tutte le cose e la notte era a metà del suo corso...".
Essere ricondotti perciò, al grigiore opaco della quotidianità è spesso percepito come una prigionia, una schiavitù, se non una condanna: appena possibile, bisogna evadere dai condizionamenti che coartano una certa concezione della libertà e dello spirito umano, per ritrovare spontaneità, creatività, ossigeno nell'esperienza - supposta esaltante - del diverso. Sul vivere quotidiano, si innesta quasi automaticamente un dinamismo centrifugo, che tenta di rimuovere il peso dei suoi molteplici condizionamenti. Assetati di vita, la identifichiamo superficialmente con l'emozione della novità, il brivido dello straordinario, l'impatto con ciò che rompe l'abitudine o spalanca repentinamente nuove possibilità di relazione, di conoscenza o di interesse. Ma in tal modo, il succedersi e il sovrapporsi delle esperienze, invece di favorire una sedimentazione del vissuto e un’interiorizzazione di ciò che realmente vale, procura un accumulo frammentario di eventi puntuali, in cui gli uni si sostituiscono agli altri, a discapito di una effettiva interiorizzazione e assimilazione per l'arricchimento della persona.
Ecco Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo
Le acque della vita, tuttavia, in senso fisico-materiale ma anche spirituale, traboccano usualmente da polle sorgive profonde e nascoste: bisogna generalmente scavare in profondità, per trovare le vene più ricche, fresche e inesauribili. In proposito, si potrebbero accostare liberamente alcuni testi biblici particolarmente densi, suggestivi: "questo mio popolo disprezza le acque di Siloe che scorrono in silenzio" (Is 8,6) "... nella conversione e nella calma sta la vostra salvezza, nell'abbandono confidente sta la vostra forza" (Is 30,15). "Se non vedete segni e prodigi voi non credete" (Gv 4,48). Le virtù umili, solide della vita di fede - dell'esistenza autenticamente umana - vengono percepite mortificanti, fuori moda, controcorrente: eppure soltanto esse costituiscono la via provata e sicura che riconduce l'uomo alla riconciliazione con se stesso, con la propria realtà e la propria storia, per una riappropriazione della sua vera grandezza.
"Se tu conoscessi il dono di Dio..." (Gv 4,10). Osservando certe contraddizioni del nostro vivere, non si può che constatare come basterebbe un briciolo di coscienza in più, per rendersi conto e quindi ringraziare infinitamente Dio per il miracolo inesauribile che è, semplicemente, il vivere, anche più quotidiano. "Non dire in cuor tuo: Chi salirà al cielo? ... Chi scenderà nell'abisso?... La parola i vicino a te, nella tua bocca e nel tuo cuore" (Rm 10,6-10). A volte, la tensione verso lo straordinario impedisce di cogliere come la vita bagni già di per se stessa nello straordinario, nella gratuità, nel miracolo dell'impossibile.
È infatti molto raro che il cuore possa autenticamente ripetere con il salmista: "non mi muovo fra cose troppo grandi, superiori alle mie forze" (Sal 131,1) e questo non per ignavia o insana ritrosia, ma per una verace assunzione di ciò che si è. Un innato titanismo, o un'inconscia volontà di onnipotenza o smania di grandezza, ancora infantile, ricalcitra davanti al limite e non accetta di aderire, poveramente, al dono frequentemente così spoglio della realtà: probabilmente, anche dopo duemila anni di cristianesimo, alcune parole evangeliche sono ancora tutte da riscoprire: "ciò che gli uomini apprezzano molto, Dio lo considera senza valore" (Lc 16,15); "non aspirate a cose eccelse, ma lasciatevi attrarre dalle cose umili" (Rm 12,6). Non si tratta, ancora una volta, di un auto-deprezzamento di matrice malsana, ma dell'incapacità di scavare in profondità per cogliere in ciò che quotidianamente ci è dato, la fonte della vita: "hanno abbandonato me, sorgente di acqua viva, per scavarsi cisterne, cisterne screpolate che non contengono acqua" (Ger 2,13).
La stabilità monastica, via verso la sorgente segreta
La routine della vita monastica, nel quadro di una vita comunitaria stabile, saggiamente organizzata che, pur nelle esigenze accresciute di relazione e di duttilità richieste dalla società contemporanea, lascia generalmente poco spazio a innovazioni repentine o a rapidi cambiamenti esterni, espone ben presto al confronto con una quotidianità che può essere percepita spesso come banale, ripetitiva se non addirittura, nei momenti di tentazione, frustrante e opaca.
Ma è proprio allora che la finalità di questa apparente monotonia emerge come un invito provocante ad approfondire i livelli di coscienza e a trovare motivazioni sempre più ricche e vivificanti. Nella tentazione di evasione di cui spesso si riveste il demonio meridiano dell'accidia, ecco soprattutto l'ora in cui si invera monasticamente, se si può dire, la parola evangelica: "con la vostra perseveranza, salverete le vostre anime" (Lc 21,19). Al di là della superficie parcamente variegata del susseguirsi di gesti sempre uguali o poco stimolanti di una uniformità che non gratifica ne esalta il sentimento immediato, la ricerca del volto di Dio (o del senso di una vita molto semplice, ritenuta dai più come assai banale) invita ad affinare i sensi dello spirito, perché la vita interiore scaturisca dalla vera sorgente: "In Lui viviamo, ci muoviamo e siamo" (At 17,28). Nell'abbraccio umile e povero di una realtà personale e spesso anche comunitaria segnata dal limite, siamo progressivamente condotti a sperimentare in noi l'autenticità della Parola di Cristo ("il regno di Dio non viene in modo clamoroso, nessuno potrà dire: "Eccolo qui"; o: "Eccolo là" perché il regno di Dio è già in mezzo a voi", (Lc 17,21).
Siamo quindi chiamati a vivere sempre di più, non in modo volontaristico, ma in modo spoglio e realistico, la vocazione propria dell'uomo e del cristiano: chiamati, in altre parole, a vivere filialmente, nella gratuità del dono della vita e della misericordia. E qui sta, a nostro avviso, la difficoltà maggiore di una vita monastica condotta nel silenzio e nell'anonimato, senza particolari responsabilità o servizi di prestigio, che gratifichino l'immagine della persona con un successo o una irradiazione ancora superficiale ed esteriore: portare il peso della lucida coscienza del limite, della transitorietà, della contraddizione grazie alla Presenza di un Altro che giganteggia proprio attraverso di essi. Ma, ancora, "il Figlio dell'Uomo, quando verrà, troverà fede sulla terra?" (Lc 18,8).
La via delle beatitudini
Lo spogliamento insito nell'adesione alla quotidianità riconduce, in altri termini, alla riscoperta esistenziale delle beatitudini evangeliche. Ciò che rifugge una mondanità assetata dell'ebbrezza del sentirsi vivere attraverso una gratificazione epidermica ed egocentrica (in realtà sempre più alienante) è invece la via reale che riconduce la persona alla riscoperta di se stessa, alla riconciliazione con la creazione, alla sua autentica misura umano-divina.
Non per nulla Gesù sceglie per la trasmissione del suo vangelo gli esempi più quotidiani e semplici della vita della gente comune del suo tempo (la vita agricola - i fiori dei campi, gli uccelli del cielo, come anche la potatura, la semina, il raccolto - l'assunzione degli operai, le scene della vita familiare, ecc.). E forse non solo perché egli si rivolge innanzi tutto ai suoi contemporanei e alle classi sociali meno privilegiate del suo tempo, e forse nemmeno perché il suo insegnamento possa risultare sempre attuale in ogni tempo e in ogni luogo: il vangelo si pone a livello della vita più quotidiana ed esistenziale, perché è offerto a tutti e intende raggiungere tutti, "come un granello di senapa" (Mt 13,31; Mc 4,31; Lc 13,19)0 "un pugno di lievito" (Mt 13,33; Lc 13,21).
"Così è il regno di Dio: come un uomo che abbia gettato il seme in terra, e poi dorme e veglia, di notte e di giorno, mentre il seme germina e si sviluppa, senza che egli sappia come. La terra da sé produce prima l'erba, poi la spiga e poi nella spiga il grano pieno" (Mc 4,26-28). Noi, monaci, siamo chiamati a vivere in modo privilegiato l'incontro con l'azione di un Altro che opera nell'umana impotenza, e a ricevere valore non da quello che siamo o facciamo, ma dal dono di una gratuità che sempre ci precede. È questo l'autentico straordinario che colma, superandole, tutte le attese del cuore umano: il "vero tesoro", la "perla preziosa" nascosta nel nostro campo (Mt 13,45-46). A noi, il Signore dice, come nella parabola del figliol prodigo: "Figlio mio tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è anche tuo" (Lc 15,31): una Presenza di comunione, che invita a dimorare in Lui e nell'obbedienza al suo comandamento (Gv 15,9-11) per una pienezza di senso che giustifica, come bene sommo, l'esistere della persona.
La vita quindi non sta, come spesso siamo tentati di credere, nell'emozione superficiale o nel possesso di sicurezze esteriori, ma nel dono di Dio, sempre preveniente e attuale, di cui viviamo. Tuttavia, per percepire la vita in questo modo, come dono miracoloso fatto a me, bisogna in certo qual modo aver oltrepassato la scorza amorfa di un lasciarsi vivere annoiato dall'abitudine, bisogna aver sfiorato almeno tangenzialmente, se non attraversato, l'abisso dell'impotenza o del non poter sussistere senza Dio. Il miracolo - anche solo del respirare, del vedere la luce, dello splendore della creazione, ecc. - è percepito come tale da chi ha toccato con mano la propria inconsistenza creaturale.
Le beatitudini evangeliche sono quindi l'annuncio del dono di Dio fatto a chi non può nemmeno essere senza di lui, a chi non ha altre sicurezze in cui poggiare le propria fondamenta: ed è a questo orizzonte che intende condurci l'approfondimento interiore scavato dall'uniformità quotidiana. Il regno di Dio, cioè la presenza salvifica di Cristo è fin d'ora dato ai poveri, agli emarginati per il Cristo e la sua giustizia, e non solo promesso ai miti, ai misericordiosi, ai costruttori della pace, ecc. Tutto il Vangelo è intessuto interamente di una trama di beatitudini promesse a cui abbraccia con amore il vivere quotidiano (ad esempio: "beati i vostri occhi perché vedono...", Mt 13,16; Lc 10,23-24; "beati quei servi che il padrone, al suo ritorno, troverà vigilanti" [lett. svegli]: Lc 12,37; cf Mt 24,46; Lc 12,43; "beati coloro che hanno creduto...", Gv 20,28; ecc.) o di affermazioni sul dono già attuale che ricolma i credenti "non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il suo regno", (Lc 12,32; ecc.).
Grazie a questa pienezza interiore, umile e concreta, l'esperienza cristiana e monastica diviene testimonianza di letizia, come attestano gli Atti degli Apostoli (At 13,52; 14,17), le esortazioni parentetiche di Paolo, gli scritti apostolici, per non menzionare, da ultimo, la letteratura agiografica: la vita diviene impegno sereno e costruttivo (Fil 4,4-9), lode, liturgia incessante (Col 3,16-17), pace e gioia nello Spirito Santo (Rom 14,17), gratuità (Mt 10,8).
(da Vita nostra)