I discepoli
di Giovanni Vannucci
Tre cose vengono richieste a chi vuol seguire Gesù Cristo: un amore più grande di quello che naturalmente si porta ai genitori e ai figli; l'assunzione della propria croce; il dono della propria vita (cfr. Mt 10, 37-42).
L'evangelista Luca riproduce il testo più forte: "Se chi vuol seguirmi non odia il padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli e le sorelle e anche la sua vita, non potrà essere mio díscepolo" (Lc 14, 26). Parole dure, ma vanno intese nella prospettiva che Cristo ci dischiude: il raggiungimento di Dio, il divenire figli di Dio, meta assoluta che non può esser raggiunta se non da un fermo desiderio di allontanarsi da tutto ciò che non è l'Intemporale, per vivere in comunione con l'Io divino che è in ogni uomo, in una partecipazione vitale alla realtà di tutti gli esseri esistenti nel tempo.
Nel versetto trentaquattro del capitolo 10 di Matteo Gesù dice: "Non crediate che sia venuto a portare la pace sulla terra, ma la spada". La pace non è l'inerzia, la vita del discepolo di Cristo è combattimento continuo contro se stesso e contro tutti i legami della carne e del sangue, contro le catene dell'egoismo. Egli rinnova la vita, ma la rinnova nell'urto coraggioso, nel coraggioso andare contro corrente.
Certo da quest'angolatura l'insegnamento di Cristo è asociale. La società, in quanto tale, non interessa a Cristo; ogni uomo è solo e deve portare se stesso al Padre. Società indica compromesso, legami, impedimento al raggiungimento del fine supremo che è la perfetta rinuncia, che è in ultima analisi la morte dell'uomo vecchio, dell'uomo nato dalla carne e dal sangue; dell'uomo separato, separante e causa di divisione. L'insegnamento di Cristo non concepisce un ordinamento sociale, basato sulla carne e sul sangue, che rende gli uomini ostili tra di loro, concepisce l'ordinamento sociale basato sulla motivazione della divina paternità, per cui, non la carne e il sangue, ma la carità, e il misterioso amore divino, uniscono i cuori e le coscienze in un'aspirazione comune.
Chi amerà il padre, la madre, i figli più del Cristo, non potrà uscire dal cerchio del sangue né adire alla divina figliolanza. Questa trasformazione dei nostri piccoli amori nell'amore universale dei figli di Dio costituisce la croce sulla quale giorno per giorno il discepolo dovrà salire per morirvi. I presupposti della nuova coscienza che nasce con Cristo rendono necessarie la rottura dei vincoli carnali e la sostanziale mutazione del ritmo naturale dei nostri legami affettivi. Il padre e la madre sono il passato, i figli sono il futuro; ma per il figlio di Dio non esiste passato o futuro, non esistono ricordi o speranze, ma un eterno presente, una realtà immanente e partecipe a tutto il mistero divino caratterizzano la coscienza cristiana.
Il Padre che è nei cieli rende fratelli i figli che sono sopra la terra. Non esiste il ricco o il povero, il colto o l'ignorante, il buono o il cattivo, il libero o lo schiavo: esiste l'Uomo ed esso è il figlio del Padre.
Certamente tutto ciò travolge ogni cosa, rinnova ogni cosa. Sono infranti i vincoli della corruzione, vengono spezzati i legami della separatívità, distrutti i limiti dell'odio, aperti i campi infiniti dell'amore. Nella morte della carne, si assiste al prodigio della nascita dello spirito; tutto ciò non può avvenire senza lotta e senza strazio.
Logico quindi che Cristo sia venuto a portare la spada, logico che Egli sia geloso del possesso assoluto del discepolo, logico che il discepolo che vuol seguirlo porti, come Lui, la croce. Cristo dona se stesso, non trattiene egoisticamente la sua vita, la dà; Egli si dona e prende, si distrugge nel dono di sé e crea, come il pane che vien mangiato, si distrugge e aliinenta la vita. Egli ama e vuole essere amato, esigenza assoluta di vita e di bellezza, più dei padre e della madre, più dei figli, oltre la carne e il sangue, nello spirito; assoluto nell'Assoluto, eterno nell'Eterno.
Nella nuova coscienza di Cristo, nel riconoscimento del Padre comune, nella religiosità del Figlio, la separatività scompare, gli uomini svaniscono, solo l'Uomo resta, i famigliari hanno la loro ragione d'essere nella separatività, non nella coscienza di essere tutti figli di un solo Padre. Il cristiano che rinnegherà la tradizione avita, che rifiuterà di sacrificare alle apparenze, che, cercando la verità suprema, rivelerà l'inganno delle menzogne dei sensi e dei sentimenti, della personalità singola e della personalità collettiva, verrà considerato un pessimo membro della famiglia. Questa è la spada che Cristo ha portato, e insieme la croce su cui deve salire chi vuol essere suo discepolo.
Nonostante questo al cristiano è richiesta una virtù più che umana. Il cristiano è colui che ascolta la parola di Dio e la mette in pratica; è colui che non è da più del maestro, ma è perfetto come il Padre che è nei cieli, che "manda la pioggia e fa spuntare il sole sul giusto e sul peccatore". L'amore che trova nella coscienza nuova di Cristo è un amore pieno e libero; ama, non perché è amato ma perché l'amore è la natura stessa di Dio; chi ama secondo la carne e il sangue non fa nulla di diverso dalle altre creature; chi ama nella nuova coscienza di Cristo, ama come il Padre sa amare. Nel discepolo quindi è richiesta una forza d'animo serena e ferma, che costituisce una vera investitura di generosità.
(Giovanni Vannucci, Il Risveglio della coscienza, già Edizioni Cens, ora Servitium Città aperta edizioni srl / Associazione Emmaus via Conte Ruggero, 73 - 94018 Troina (En) tel. 0935.653530 - Fax 0935.650234; e-mail: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.; internet: www.servitium.it)