Sinergia di grazie e fede per "fare giusti " gli uomini
di Giovanni Salvini
...il giusto mio servo giustificherà molti (Is 53,11)
Un versetto chiave di tutta la Bibbia. Un versetto oscuro e luminoso. Un enigma decisivo per la fede. In queste poche parole una verità immensa, probabilmente la chiave di lettura unica della vicenda di Gesù di Nazareth, servo "giusto" del Dio Altissimo, capace di "fare giusti" ("giustificare") "tutti" (il senso ebraico del termine che noi traduciamo con "molti"). Nella dinamica di questa giustificazione sta il segreto della vita cristiana. Basti pensare che proprio su questo tema della giustificazione si sono aperte le due più profonde ferite nel tessuto della chiesa di Gesù Cristo: lo "scisma di Antiochia" e la Riforma protestante.
Il primo avvenimento fa addirittura parte del patrimonio fondante della chiesa delle origini ed è narrato dal libro degli Atti degli Apostoli, quando riferisce dello scontro tra Pietro e Paolo a proposito dell'osservanza della legge ebraica e del rito della circoncisione. Il nodo problematico è: che cosa "giustifica" (cioè "rende giusti") di fronte a Dio? L’osservanza della legge o la fede in Gesù Cristo, servo obbediente di Dio, unico capace di "fare giusti" i fratelli?
Vita da "giustificati"
È questa seconda opzione, sostenuta con ampi argomenti dall'apostolo Paolo in quasi tutte le sue lettere, a prevalere nella chiesa antica, che decide, nel suo primo Concilio ecumenico, di non imporre nulla, ai pagani che vogliono farsi cristiani, eccetto l'adesione all'alleanza di Dio con tutta l’umanità (l'alleanza con Noè) e la fede in Gesù. Si arriva a stabilire, sotto la guida attenta dello Spirito Santo, che solo la fede nel Figlio di Dio permette di partecipare al dono che egli ci ha fatto dando la propria vita per noi. Nessuna altra opera umana oltre la fede è richiesta per entrare nella giustizia, propria solo di Dio.
Lo stesso tema ritorna nelle istanze legittime della prima Riforma protestante, che reagisce a uno sbilanciamento più pragmatico che teologico subito dalla chiesa dei secoli XIV-XVI verso un eccessiva "liturgizzazione" e "moralizzazione" dell'esperienza cristiana, fino a un subdolo ripresentarsi dell'antica eresia antiochena per cui le opere (ritualizzate nella liturgia o enfatizzate nell'ideale delle buone opere del cristiano) diventavano di nuovo la causa della salvezza del credente. Ancora una volta un Concilio, quello di Trento, riporta a galla la verità
biblica, recuperando l'antico equilibrio della verità di fede. Solo la fede nel Signore Gesù, ricevuta come dono di grazia, permette di accogliere la sua rivelazione e di decidere di vivere la propria esistenza come risposta attiva all'amore gratuito del Dio unico, costituendosi come "chiesa", secondo il disegno salvifico di Dio stesso.
La profonda e geniale formulazione di Trento sul tema della giustificazione porta a precisare una serie di questioni importantissime riguardo alla vita cristiana come vita da "giustificati". Il problema era trovare un equilibrio tra due visioni della giustificazione apparentemente inconciliabili: da una parte la visione, contro cui si scagliavano i teologi riformati della giustificazione, come riconoscimento di meriti umani in senso banalmente moralista, che intende la salvezza come il premio di Dio per i buoni; d'altro canto, la visione della giustificazione come una sorta di arbitraria predestinazione di alcuni alla salvezza, operata da Dio come una specie di roulette russa, per cui tutta la sfera del comportamento e della storia umana rischia di diventare completamente ininfluente.
Compagni di strada e di sorte
La sintesi di Trento conserva un valore grande per i cristiani di tutte le epoche, perché ci mette di fronte la meravigliosa sinergia tra la grazia di Dio che crea, accompagna, risveglia, eccita, sostiene e ricostituisce continuamente l'amore nel cuore dell'uomo (con la forza originaria e indistruttibile dell'unico atto di amore perfetto del Cristo, che muore sulla croce) e la fede dell'uomo stesso, povera, incerta, vacillante e bisognosa di crescere, ma sempre decisiva, che lo apre ad accogliere l'amore di cui Dio lo fa oggetto. Neppure l'amore sconfinato di Dio è sufficiente a salvare automaticamente l'uomo, se non gli è tolto l'ostacolo, se non gli è aperta la porta che solo l'uomo dentro al suo cuore può aprire.
Nè d'altra parte lo sforzo più sublime di amare potrebbe nascere nel cuore di un uomo, se non seminato dalla grazia sconfinata di Dio. È questa sinergia, questo agire insieme, bisognosi l'uno dell'altro, che accomuna eternamente Dio e la sua creatura nella costruzione di ogni forma di giustizia nella storia e nell'eternità. Compagni di strada e di sorte comune, con una sola differenza sostanziale: che l'uomo nasce costituito dal suo bisogno dì Dio, mentre Dio ha liberamente scelto di avere bisogno dell'uomo. Una verità, però, rimane indiscutibile: non c'è giustizia, se Dio e uomo non collaborano per costruirla.
(da Italia Caritas, aprile 2004)