Vita nello Spirito

Sabato, 26 Giugno 2004 11:24

Chiamati per essere inviati (a 40 anni dal Concilio) (G. Tangorra)

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Il tema della missione non è mai mancato nella storia millenaria del cristianesimo, ma solo con il concilio è stato reso ufficiale, sentendo il bisogno di dedicargli un documento ufficiale ed esplicito.

Chiamati per essere inviati

(a 40 anni dal concilio)
di G. Tangorra

 È così nato il decreto Ad gentes, approvato, dopo sette rifacimenti, nel dicembre del 1965. Ci sono stati due contributi fondamentali nella stesura del documento: il primo è la rielaborazione dei fondamenti della Chiesa nei confronti di questo tema attraverso la testimonianza dei padri provenienti dalle terre di missione, che attribuiscono ai popoli bisognosi un ruolo attivo con le loro richieste; il secondo è la conclusione del dibattito sulla Chiesa, con l’approvazione della Lumen Gentium, che offrì una solida base ecclesiologica.

Oggi il documento richiede un completamento, un’attualizzazione che va fatta seguendo gli sviluppi proposti da due documenti papali: l’Evangelii nuntiandi (1975) e la Redemptoris missio (1990). Nonostante questo, il decreto conciliare Ad gentes resta un punto fermo, ricco d’indicazioni teologiche. La Chiesa, infatti, vi esprime la propria intenzione di rispondere al desiderio di Cristo che il regno si estenda a tutto il mondo, di farlo rivolgendosi agli altri nella convinzione che attraverso l’incontro è possibile realizzare l’universalità della Chiesa.

I fondamenti teologici della missione

Il documento si compone di 42 paragrafi distribuiti in sei capitoli, introdotti da un preambolo. In quest’introduzione, è tracciato un quadro ecclesiologico che si richiama al modello sacramentale della Chiesa: "inviata da Dio alle genti per esser sacramento universale di salvezza, la Chiesa, per le esigenze più profonde della sua cattolicità e obbedendo all’ordine del suo fondatore, si sforza di annunciare il Vangelo a tutti gli uomini" (n. 1). In questo "sacramento" la Chiesa non è chiamata a chiudersi in se stessa, ma ad essere disponibile ad aprire i suoi confini entrando in comunione con tutte le genti. "La Chiesa è missionaria per sua natura […]" (n. 2). La missione, quindi, è un elemento integrante della Chiesa, non un valore aggiunto; la Chiesa non può essere se stessa senza essere missionaria. La missione non va solo concepita in termini d’obbedienza ad un mandato, ma è un’esigenza che appartiene alla stessa ontologia ecclesiale.

Il movimento missionario parte dall’alto, dalla profondità del Padre che per realizzare l’economia salvifica invia il Figlio e lo Spirito Santo. Il fine di questa missione è quello di raccogliere gli uomini in unità, facendo in modo che il creatore possa essere "tutto in tutti" (1 Cor. 15,28).

Dalla missione del Figlio deriva la natura visibile del progetto, il ruolo necessario del Cristo nella mediazione salvifica e anche lo stile del servizio.

Alla missione dello Spirito si attribuiscono invece la misura universale della convocazione, i doni necessari per portare avanti il compito e il ruolo strumentale della responsabilità ecclesiale.

Scopo e contenuti della missione

Il decreto ammette che Dio può portare gli uomini alla fede attraverso vie ignote, ma sostiene che "è compito imprescindibile della Chiesa ed insieme suo sacrosanto diritto, evangelizzare, sicché l’attività missionaria conserva in pieno oggi come sempre la sua validità e necessità" (n. 7). La missione serve alla realizzazione del disegno divino, idea richiamata nel decreto per la sua capacità sintetica di esprimere contenuti del disegno missionario: il Cristo porta a compimento il disegno e la comunicazione salvifica che, in una prospettiva globale, come liberazione di tutto l’uomo, costituisce l’essenza del progetto stesso.

La modalità comunitaria è la struttura delle missioni, che servono a realizzare il disegno di Dio, che non mira solo a salvare gli uomini, ma a fare dell’umanità il popolo di Dio; questo concetto è riportato in Ad gentes al settimo paragrafo.

Per quanto riguarda i contenuti, è sottolineato che lo scopo della missione è la predicazione del Vangelo per far nascere la Chiesa lì dove essa non è visibilmente presente (n. 6), seguendo il principio di solidarietà secondo cui la Chiesa non è indifferente e caratterizza concretamente il suo annuncio salvifico come impegno per i poveri.

Questo passaggio riporta al legame fra evangelizzazione e promozione umana, visto che la missione del popolo ecclesiale è "in ordine all’elevazione della dignità umana e alla preparazione di condizioni più umane" (n. 12). Il credente deve, quindi, porre la sua attività al servizio del mondo, per liberarlo dal male.

Il soggetto e i destinatari

Il decreto pone in primo piano la testimonianza di una vita coerente con gli impegni crisiani cosicché gli altri, "vedendo le buone opere, glorifichino il Padre e comprendano più pienamente il significato più genuino della vita umana e l’universale vincolo di comunione degli uomini" (n. 9).

L’ idea di missione sviluppata in Ad gentes è quella di una Chiesa che non si concepisce per sé, ma per gli uomini. Questo produce l’affermarsi del pluralismo, riconoscendo la soggettività autonoma delle Chiese lontane. Infatti, nel decreto si afferma che "la Chiesa nulla sottrae al bene temporale di qualsiasi popolo, ma, al contrario, favorisce e accoglie tutta la dovizia di capacità e di consuetudine dei popoli" (n. 13).

Riguardo ai destinatari, è importante ricordare il richiamo al rispetto della dignità della persona umana, che deve caratterizzare ogni aspetto comunicativo. Non si tratta di colonizzare, ma di avere riguardo nei confronti degli altri: l’incontro deve avvenire in una condizione di reciproco riconoscimento, attraverso il dialogo e il confronto e chi annuncia deve saper attendere la maturazione personale della fede nell’altro. "La Chiesa proibisce severamente di costringere o di indurre e attirare alcuno con inopportuni raggiri ad abbracciare la fede, allo stesso modo in cui rivendica energicamente il diritto che nessuno con ingiuste vessazioni sia distolto dalla fede stessa".

Parlando dei soggetti, il documento considera in particolare la figura de missionari, riconoscendone la dimensione carismatica, affermando che la vocazione può sorgere solo all’interno della Chiesa, come espressione della Chiesa, che è missionaria per sua natura. I missionari sono portatori di una vocazione speciale, che esige una spiritualità particolare (n. 24), profondamente evangelica, che necessita di un percorso formativo (n. 25-26). Nello stesso tempo, però, il decreto afferma anche che "tutti i fedeli, come membra di Cristo vivente, al quale sono stati incorporati e assimilati mediante il battesimo, la confermazione e l’eucarestia, hanno l’obbligo di cooperare all’espansione e alla dilatazione del suo corpo per portarlo il più presto possibile alla sua pienezza" (n. 36). L’apporto dei missionari e l’azione di tutti i cristiani "aiuterà le nostre comunità a non chiudersi nel qui e ora della loro situazione peculiare e consentirà loro di attingere risorse di speranza e intuizioni apostoliche nuove".

(tratto da Orientamenti Pastorali, 11, 2002, pp. 6-11, riduzione e adattamento a cura di S. Internullo).

Letto 1651 volte Ultima modifica il Lunedì, 28 Giugno 2010 16:41
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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