Cammino nel deserto
Il deserto è una dimensione della spiritualità cristiana: è il luogo in cui il signore ci conduce per “rinnovarci nello spirito della nostra mente e rivestire l’uomo nuovo creato secondo Dio, nella giustizia e nella santità vera” (Ef4,24); è lo spazio in cui moriamo a noi stessi e cominciamo a vivere come figli di Dio, animati dallo Spirito di Cristo morto e risorto. Nella nostra esperienza il deserto il momento della prova, quando il nostro io è attaccato in quel che ha di più caro per la propria sopravvivenza individualistica; ma, se vuole, Dio non gli lascia mancare la luce per guardare con gli occhi nuovi quel che gli sta succedendo. A questo punto è questione di fede che illumina l’intelligenza e muove la volontà.
La dimensione del deserto ha il suo fondamento biblico nell’esperienza del popolo di Dio, dei profeti e dello stesso Signore Gesù. La liturgia della Chiesa ce la ripropone nel periodo quaresimale facendoci leggere il libro dell’esodo e raccontandoci delle tentazioni poste a Gesù nel deserto.
I nostri deserti
Oggi il secolarismo ha cancellato il senso del peccato, e con esso è venuta meno una graduatoria di valori oggettivi. Infatti viviamo in un mondo in cui una cosa vale l’altra, in cui ogni persona ama costruirsi per conto proprio la relazione con Dio, prescindendo dalla parola della Chiesa; il discernimento del bene e del male è affidato alla coscienza soggettiva di ciascuno, plagiata dalla cultura moderna e non supportata dal Vangelo. C’è come uno spegnimento della presenza di Dio nella storia che stiamo vivendo, silenzio dovuto alla nostra indisponibilità di metterci all’ascolto. Per questo motivo i deserti vanno vissuti, sofferti, attraversati rispondendo a quanto in essi c’è di peccato con un impegno da parte nostra a vivere più intensamente a livello dello Spirito.
La prova che più d’ogni altra ci mostra oggi il peso negativo dello spegnimento della presenza di Dio è l’incomunicabilità. Siamo creature fatte per vivere in relazione e invece ci ritroviamo da soli. La solitudine, quando non è riempita dalla ricchezza dello Spirito, è la morte, è una specie d’inferno dove l’essere non ha chi amare o da chi essere amato. Abbiamo tutto e non abbiamo nessuno.
A questa gran povertà ci sta portando l’individualismo: invece di vivere mettendo insieme quello che siamo e quello che abbiamo, si finisce con il diventare gelosi di una propria identità sempre più povera e chiusa. Per cancellare questa difficoltà di comunicazione, bisogna mettersi dalla parte di Dio e accogliere le situazioni con il suo stesso amore, creativo e rispettoso della libertà della persona. Per riuscire in questo, dobbiamo essere santi di quella santità umile e quotidiana che ci fa riconoscere nelle vie difficili una possibilità per andare molto più lontano di quanto basterebbe alla nostra mediocrità.
La fede amica
Il cammino nel deserto manca di riferimenti sensibili, ma una luce soprannaturale conduce i passi: la fede.Una fede amica, un dono per vedere Dio senza rimanerne abbagliati.
La quaresima è il momento del risveglio della fede e noi siamo chiamati a rigenerare il nostro spirito di fede proprio in questo clima di secolarismo, che vuol darsi un modo di vivere che prescinda da Dio, creando in questo modo la paura della vita, della sofferenza, delle scelte impegnative, la mancanza di valori oggettivi che crea la confusione fra bene e male, la fragilità che crea falsi idoli.
La nostra cultura occidentale offre di tutto, ma solo in modo superficiale ed emotivo: un’illusione di pienezza che di giorno in giorno disillude. Proprio perché siamo nel deserto è il momento di affidarsi alla fede, l’unico mezzo adeguato per andare a Dio. Una luce amica che si accende nella nostra interiorità e ci fa vedere ogni cosa in modo nuovo, come le vede Dio.
Con occhi nuovi
Deserto, fede, novità di vita: sono queste tre realtà che qualificano il cammino quaresimale. Il deserto è solo un attraversamento nella spiritualità cristiana. Per capirlo è pur necessaria l’esperienza di momenti di solitudine, purché questa non si riduca ad un’evasione, senza l’impegno di arrivare fino al fondo di noi stessi per incontrare Dio. Fare un po’ di deserto nella propria vita vuol dire separarsi dalle proprie cose e dalle voci esterne per recuperare il proprio mondo interiore e nutrirlo. Nel silenzio riaffiora la conoscenza di noi alla luce di quelle che sono le nostre priorità e possiamo intervenire sulle nostre scelte, guidati dalla fede. Quando accettiamo la pedagogia del deserto veniamo raggiunti da un amore che ci sorprende, ci meraviglia e ci restituisce all’esistenza quotidiana con il puro gusto delle cose essenziali e di quelle che valgono. La stessa sofferenza diventa un valore.
Anche la preghiera ha una fisionomia particolare quando si attraversa il deserto: nascosta, contemplativa, che richiede di saper resistere nella desolazione, nell’aridità, nel deserto. Proprio questa preghiera contemplativa ci pone in ascolto umile e docile della parola di Dio e ci aiuta a decifrare il mistero della Croce. È l’esperienza di Dio che ci trasforma e ci rende”creature nuove”, rigenerate nel mistero pasquale di una nostra morte e resurrezione in Cristo. La concretezza e la solidità con cui si ricomincia ad affrontare la vita dice che non si tratta di puri movimenti emotivi.
Per noi il cammino nel deserto è quella rinascita dall’alto che ci rende dono a Dio e ai fratelli. “vi è più gioia nel dare che nel ricevere” (At 20,35). Quella stessa gioia che ha Dio nel creare la vita.
(Tratto da Testimoni, marzo 2003. Riduzione e adattamento a cura di Simona Internullo)