Vita nello Spirito

Lunedì, 28 Gennaio 2008 23:35

Gregorio Palamas (Jürgen Kuhlmann)

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Gregorio Palamas nacque nel 1296 da una famiglia di prestigio. Destinato in un primo momento all’amministrazione statale resistendo alle proposte dell’imperatore, insieme a due fratelli più giovani si avviò verso la vita monastica al Monte Athos. Lì visse per 9 anni in una delle comunità monastiche e poi per due anni in un eremitaggio. Ma nel 1325 dovette fuggire, causa le incursioni dei turchi, e rifugiarsi a Tessalonica dove a 30 anni fu ordinato sacerdote per poi ritirarsi in un piccolo monastero in Macedonia con 10 compagni per vivere una vita armoniosamente equilibrata tra eremo e cenobio.

Gregorio Palamas (1296-1359)

di Jürgen Kuhlmann

 



Gregorio Palamas nacque nel 1296 da una famiglia di prestigio. Destinato in un primo momento all’amministrazione statale resistendo alle proposte dell’imperatore, insieme a due fratelli più giovani si avviò verso la vita monastica al Monte Athos. Lì visse per 9 anni in una delle comunità monastiche e poi per due anni in un eremitaggio. Ma nel 1325 dovette fuggire, causa le incursioni dei turchi, e rifugiarsi a Tessalonica dove a 30 anni fu ordinato sacerdote per poi ritirarsi in un piccolo monastero in Macedonia con 10 compagni per vivere una vita armoniosamente equilibrata tra eremo e cenobio.

I. La Vita

Cinque anni dopo, a motivo delle scorrerie serbe la zona era diventata così insicura. che Gregorio tornò sull’Athos. Si stabilì in un eremitaggio vicino alla Laura. conservando il solito ritmo di vita settimanale. A 38 anni incominciò a scrivere: dapprima una vita di santi: poi un libretto su Maria; e verso il 1336 due «trattati apodittici» sulla processione dello Spirito santo, naturalmente contro i latini, che nell’antica contesa insegnavano che lo Spirito santo procede non solo dal Padre, ma anche dal Figlio. Gregorio non s’immaginava che ciò avrebbe segnato l’avvio della «contesa sul palamismo», che fino ad oggi divide gli spiriti.

Verso il 1330 il filosofo Barlaam era tornato dalla Calabria nella sua patria d’origine, in Grecia, per indagare sull’eredità classica nello spirito del rinascimento incipiente. Nel frattempo anch’egli compose scritti antilatini sullo Spirito santo. In essi sosteneva la tesi che, poiché Dio è inconoscibile, i latini non avrebbero più dovuto continuare a sostenere di poter dimostrare la processione dello Spirito anche dal Figlio.

Su questo punto nel 1337 si ebbe uno scambio epistolare tra Barlaam e Palamas. Questi insisteva: poiché il Dio inconoscibile si è rivelato, ci sono prove dogmatiche. Nel frattempo Barlaam imparò a conoscere più da vicino i monaci e, come pensatore orgoglioso, andò su tutte le furie allorché sentì dire da loro che il corpo partecipa alla preghiera: pubblicò articoli in cui si faceva beffe dei monaci, accusandoli per la loro onfaloscopia (sguardo fisso all’ombelico), il che gli procurò un’ammonizione del patriarca. Barlaam tuttavia vide in pericolo quella che egli riteneva una concezione corretta del culto che bisogna rendere a Dio e non lasciò più in pace i monaci.

Da allora il conflitto divenne inevitabile. Palamas difendeva l’esperienza soprannaturale dei monaci: «La luce che essi vedono - sosteneva - non è sensibile ma divina, e quindi non merita lo scherno del filosofo». Questi ribatteva: «Voi dunque affermate di vedere Dio già in questa vita, il che è eretico». Palamas rispondeva: «Ovviamente, noi non vediamo l’essenza di Dio; nessuno la può vedere, neanche in cielo. Noi però contempliamo, già ora, le "energie" di Dio, le azioni di grazia con cui egli si rivolge a noi, nelle quali si rende noto a noi in misura non inferiore di quanto accadesse nella chiesa delle origini».

E' impossibile descrivere la lotta che prende avvio qui in maniera esatta e insieme concisa.

Nel 1351 viene celebrato infine un concilio: vi prendono parte 25 metropoliti e 7 vescovi. Gli antipalamiti hanno l’opportunità di esporre e motivare ampiamente le proprie posizioni. Ma alla fine viene pronunciato l’anatema contro di loro e vengono arrestati. In queste controversie le questioni dibattute erano sei:

  • 1. C’è in Dio una differenza tra essenza ed energia? - Sì.
  • 2. Se sì, l’energia è creata o increata? - Increata.
  • 3. Se l’energia è increata, come mai Dio non è composto? - Perché non si tratta di due realtà essenziali; ambedue infatti appartengono all’unico Dio vivente.
  • 4. Si può applicare alle energie il concetto “divinità” senza cadere nel di-teismo? [o tri-teismo?} - Sì, i padri lo fanno.
  • 5. È giusto, ed è secondo la tradizione, affermare che l’essenza è al di sopra delle energie? - Sì, i Padri lo fanno.
  • 6. Poiché c’è una partecipazione a Dio, si tratta di una partecipazione alla sua essenza o all’energia? - I padri hanno detto chiaramente che l’essenza di Dio non può essere partecipata, mentre la vita di Dio o le sue energie si comunicano e vengono partecipate realmente agli uomini.

Dopo questo trionfo, i problemi ecclesiastici erano risolti. Ma nel viaggio di ritorno in patria Gregorio dapprima incappò in una tempesta; poi, per disordini politici, non poté più tornare nella sua città episcopale. Passò quattro mesi circa sul monte Athos. Seguirono anni di zelante cura pastorale, in tempi difficilissimi. La guerra civile e la rivoluzione avevano inferto ferite profonde.

Mentre è in viaggio, in una missione di pace, per riconciliare il giovane imperatore con un nemico, Palamas, nel febbraio del 1354, è fatto prigioniero dai turchi e, poiché il denaro del riscatto non arriva, è trascinato per un anno da una città all’altra, attraverso l’Asia Minore. In lettere egli descrive la vita dei cristiani sotto il giogo turco e loda la tolleranza degli occupanti. Infine, l’elevata somma arriva, e nell’estate del 1355 Gregorio è di nuovo a Tessalonica.

Gli sono concessi altri quattro anni di vita. Gregorio predica, visita monasteri, scrive ancora qualcosa. Muore il 12 novembre 1359. Ben presto si parla di miracoli; la venerazione per la sua figura inizia a diffondersi sia nella città in cui è stato vescovo, che sul monte Athos. Appena dieci anni dopo, il patriarca lo dichiara ufficialmente santo, e da allora la chiesa ortodossa ne celebra la festività la seconda domenica di quaresima.

II. L’Opera

1. Gli scritti più importanti

Una serie di opere si trovano, insieme alla traduzione latina, nei volumi 150 e 151 della Patrologia Graeca del Migne. Di particolare importanza è il Tomos hagioretikos (da hagios), che costituisce il manifesto dei monaci atoniti, allorché verso il 1339, già nella prima fase della contesa, presero esplicitamente partito contro Barlaam e in favore del loro difensore Palamas (PG 150,1225-1236).

Degno di nota è anche il dialogo Theophanes, del 1343. Nella forma di un dialogo tra un ortodosso e un convertito al barlaamismo, Palamas espone la sua dottrina (PG 150,909-960, testo notevolmente corretto). Una delle opere più importanti, e accessibile ai lettori occidentali perché corredata di versione francese, è quella che ha per titolo le tre Triadi, cosiddetta perché ciascuna triade consiste di tre trattati autonomi. Gregorio la scrisse negli anni che vanno dal 1338 al 1341. All’inizio c’è, in forma del tutto asistematica, la difesa delle esperienze spirituali dei monaci contro gli attacchi dell’orgoglioso razionalista; l’ultima triade espone il sistema ormai completamente sviluppato del palamismo.

2. L’istanza centrale

In questo breve saggio non è possibile entrare nel merito delle singole opere. Prendiamo piuttosto in considerazione il pensiero di Gregorio nei suoi aspetti fondamentali. La fonte di esso è l’esperienza diretta dei monaci del monte Athos, l’esperienza della loro unione con Dio, dono dello Spirito. Qui siamo di fronte ad una realtà, non a un gioco della mente:

«Se non hai mai visto una città e pensi ad essa, non è che ne fai esperienza pensandoci. Così è nel caso di Dio e del Divino: pensandoci e teologizzando non ne fai esperienza. E come nel caso dell’oro: se non lo possiedi concretamente, e non te lo tieni nelle mani, e non te lo guardi con gli occhi, puoi avere mille volte il concetto di «oro» nella tua mente, ma non per questo possiedi e vedi l’oro reale. Così, puoi riflettere mille volte sui tesori divini; ma se non fai esperienza del Divino, e non lo contempli con gli occhi dello spirito, capaci di comprendere al di là del comprensibile, in verità tu non hai né possiedi alcunché del Divino». (1)

Tuttavia anche l’esperienza divina dell’unità vuol essere compresa, vale a dire espressa in concetti. Intelligentemente qui Palamas si rifà al linguaggio dei primi cristiani, che si trovano più vicini di ogni altro all’evento della rivelazione. Dei molti testi biblici cui egli ricorre, ne cito soltanto due: «Siamo diventati un solo uomo mediante lo Spirito santo, che Dio ha abbondantemente effuso su di noi come dono di Gesù Cristo nostro Salvatore» (Tt 3,6). «Dio vi ha donato i beni grandissimi e preziosi che erano stati promessi, perché diventaste partecipi per loro mezzo della natura divina, essendo sfuggiti alla corruzione che è nel mondo, con la sua concupiscenza» (2Pt 1,4). Mentre molti cristiani occidentali moderni non conoscono neanche queste frasi e non le comprendono, Palamas le prende come interpretazione della propria esperienza.

Ovviamente egli conosce anche, dalla tradizione e dall’esperienza, l’altro aspetto della verità: Dio è infinitamente elevato al di sopra di tutti noi, sue creature, e di tutto ciò che i sensi e la ragione possono comprendere. Da questa tensione si sviluppa in pensiero sistematico, come ammette egli stesso nel dialogo della maturità Theophanes del 1343:

«Tu vedi che ambedue le cose ci sono state tramandate dai venerabili teologi: la natura divina è sia incomunicabile sia anche, in qualche modo, comunicabile. Noi abbiamo dentro di noi la natura divina, e allo stesso tempo non la possediamo affatto. Dobbiamo attenerci ad ambedue le cose e porle a norma della pietà» (PG 150,932 D).

3. Dalla comprensione esteriore alla comprensione interiore

Palamas è cresciuto alla corte imperiale, ha pregato davanti ai mosaici che riflettevano lo splendore del Sovrano dell’universo. «La chiesa ha dato a Dio gli attributi che erano esclusivamente dell’imperatore» (Whitehead). Come figlio del suo tempo e della sua società, Gregorio ha condiviso questa immagine autocratica di Dio e talvolta l’ha usata anche per chiarire i suoi pensieri.

Ma questo mistico dell’unione riprende alcuni spunti occasionali dei padri della chiesa, vi riflette sopra arditamente e li rielabora in un sistema, che vede il nostro rapporto con Dio in tutto e per tutto all’interno dell’ambito esperienziale della persona.

Il primo trattato della terza triade ha il sottotitolo: «La divinizzazione». Vi leggiamo:

La grazia della divinizzazione va infinitamente al di là (secondo san Massimo) della natura, della virtù e della conoscenza. Poiché ogni virtù, e l’imitazione di Dio che dipende da noi, preparano sì all’unione divina; ma è la grazia a compiere l’unione ineffabile. Mediante essa infatti tutto Dio è in tutti i degni, e tutti i degni sono in tutto e per tutto in tutto Dio, in quanto comprendono Dio totalmente e, come premio della loro ascesa a lui possiedono soltanto Dio stesso, lui, che si rapporta a loro come l’anima al corpo, come alle proprie membra, e li degna della sua presenza (Tr. 111,1,27; PG 150.609). (2)

Nel prosieguo si rifà ancora una volta a un paragone di san Basilio, dove Dio viene visto non come un tu «al di là», bensì come un principio soggettivo «all’interno» dell’uomo: anzi, non è visto, ma è lui stesso che vede.

«Non appena riflettiamo sulla dignità propria dello Spirito santo, lo vediamo presso il Padre e il Figlio. Ma se ci lasciamo guidare dalla grazia che opera su quanti la ricevono, allora diciamo che lo Spirito è in noi, effuso su di noi, non creato; datoci, non fatto; donatoci, non costruito. Egli è presente in colui che non è ancora perfetto (per dirla ancora con san Basilio) come una certa tendenza, come l’opinione che è instabile; egli è presente nei più perfetti come una qualità acquisita, radicata in alcuni, anzi, ancor più: "Come la vista in occhi sani, così è l’energia dello Spirito nell’anima purificata"» (Tr. III,1,33; PG 150,623).

Ancora quale espressione di Gregorio:

«Come la separazione dell’anima dal corpo è la morte del corpo, così la separazione di Dio dall’anima è la morte dell’anima, ed è questa la morte vera e propria. Così la vera vita consiste nella vita dell’anima; ma la vita dell’anima è l’unione con Dio, così come quella del corpo è l’unione con l’anima... Quella vita però non è soltanto quella dell’anima, ma anche del corpo; poiché essa, mediante la risurrezione, rende immortale anche il corpo, poiché esso non solo è liberato dalla mortalità, ma - ancor più - dalla morte incessante di quella pena futura» (PG 150,1048s).

III. Importanza

1. Siamo energie di Dio

Fino ad oggi palamiti e antipalamiti sono di diverso parere sull’importanza di Gregorio. Secondo gli uni egli ha condotto la Chiesa greca a fare errori ridicoli; gli altri invece lo onorano come il baluardo dell’ortodossia contro la decadenza occidentale. I testi appena riportati ci permettono di affrontare l’argomento discusso cercando di cogliere il nucleo stesso del pensiero di Gregorio. Tuttavia questi testi possono essere compresi soltanto da chi si lascia indurre da essi ad una esperienza personale, e reinterpreta tale esperienza (non vecchie espressioni).

La cosa può diventare veramente interessante. Una siffatta interpretazione della dottrina biblica dell’uomo immagine di Dio, infatti, non si trova in Occidente, per quanto ne sappia, da nessuna parte. Il mondo in Gregorio non è la creazione abbandonata a sé stessa da un Dio che si pone al di là di essa; non è un mondo a cui ci si adatta arrendendosi, o al quale ci si ribella sdegnati. Non è neanche il processo di autosviluppo dello spirito del mondo, che ha il proprio essere solo nel divenire. Quel triplice grido fatale di teismo, ateismo e panteismo, col quale la cultura occidentale, lacerata dalle ideologie, ci assorda, Gregorio Palamas già seicento anni fa lo ha trasformato in un triplice suono mirabilmente armonico: Dio unisce a sé il mondo come suo corpo, in lui compendiato, come la molteplicità delle mie dita, occhi e orecchie nel mio io, che consapevolmente tasta, vede e ascolta (Palamas chiama l’io, partecipato in tal modo, «energie»), mentre il mio io «puro», l’autoconsapevolezza che si realizza in quanto tale all’interno di tutte le partecipazioni sensibili (io sono io), corrisponde alla «essenza» di Dio.

La divinizzazione - possiamo continuare a spiegare il pensiero di Palamas - avrebbe quindi la sua analogia nel fatto che io, ad esempio, sento il vento fresco sulla mia guancia e provo un senso di piacere in quanto sono questa guancia rinfrescata; anche la freschezza è me stesso, e io sono essa, nessun altro se non quell’io profondo che vive in una luminosa autolucidità anche a prescindere da ogni partecipazione.

Naturalmente comprende questo, soltanto chi ne fa esperienza: e qui Palamas ha ragione. Ma ciascuno può rendersi conto facilmente di quanto si voleva dire con la similitudine del corpo e, rifacendosi ad essa, può chiarire a se stesso la struttura del reale. Ovviamente, non a tutti è dato di capire, per esperienza personale, che si tratta veramente di una similitudine del rapporto di Dio con noi. Per quanto mi riguarda, questa verità salvifica mi si è presentata con tale forza persuasiva, che sono convinto che la fede di Gregorio è parte anch’essa della fede della chiesa, la quale è infallibile anche nel suo ramo orientale. La convinzione centrale di un santo, da lei così venerato, non può essere un’eresia.

2. La mistica dello Spirito Santo

Qual è il pregio di questo pensiero, confrontato con determinate ipotesi superstiziose della nostra civiltà?

a) Dio è l’essere degli esseri esistenti
b) Fondamento della dignità dell’uomo
c) Immediata esperienza dei sensi

IV. Influsso

La sua fase più recente ha da poco sfiorato il lettore. Essa era iniziata con un vittorioso suono di fanfara: «Il sinodo del 1351 era stato l’atto più solenne, con il quale la chiesa ortodossa aveva confermato la dottrina di Gregorio Palamas. Si era trattato non di un concilio ecumenico in senso stretto, ma di un sinodo dei vescovi del patriarcato di Costantinopoli. Le sue decisioni comunque nel corso del sec. XIV furono accettate dalla totalità della chiesa ortodossa». (3)

Un secolo dopo la catastrofe cadde sulla Roma orientale. Nel 1453 la cultura bizantina fu abbattuta dalla spada turca, ridotta a una lunga impotenza. I discendenti hanno conservato fedelmente i tesori del passato, ma è mancata loro la base esterna per comunicarli creativamente. I russi sono subentrati come eredi, ma sono stati attratti più energicamente dal magnetismo dell’occidente progredito. Al più, le idee di Gregorio Palamas si mantennero vive sul Monte Athos e in altre penisole. La scuola teologica del mondo ortodosso le ha dimenticate sempre più. Anche oggi i manuali di studio dei suoi studenti non sono improntati al palamismo.

Nel primo congresso panortodosso di teologi, tenutosi ad Atene nel 1936, il russo Georgij Florovskij invitò a tornare alla tradizione patristico-ortodossa del palamismo, il che da allora accadde sempre più. Nel 1950 apparve a Stoccarda un libro sulla chiesa orientale, dove leggiamo le espressioni palamite: «Anche il concetto di “essere” non è applicabile a Dio, poiché Dio è il Creatore dell’essere e in quanto tale sta al di sopra dell’essere. Il Dio elevato al di sopra di tutto, sovrastante ogni cosa, è anche immanente al mondo, e questo nelle sue energie. In esse egli si manifesta al mondo e opera nel mondo. Ogni essere creato esiste soltanto poiché partecipa delle energie divine. Dio nelle sue energie è l’essere di tutti gli esseri. Partecipando alle energie, la creatura può avvicinarsi a Dio ed entrare in comunione con lui». (4)

In occasione del sesto centenario della morte di Gregorio Palamas, apparve nel 1959 l’ampia e profonda «Introduzione» di J. Meyendorff, che divenne il punto di partenza del nuovo interesse creatosi attorno a Gregorio, anche da parte cattolica e protestante. In un bollettino del 1972 sono riportati, del decennio precedente, oltre 300 studi su Gregorio di Palamas, di autori orientali e occidentali.

Sono convinto che il pensiero di Gregorio Palamas ha un futuro. (5) La sua «mistica del Pneuma» appartiene stabilmente alla cultura spirituale del mondo in prospettiva futura. Ripensiamo alla «visione» sul monte Athos descritta all’inizio. Palamas e i suoi testimoniano proprio questa luce che unifica ogni cosa. Essa fa emergere chiaramente la struttura del tronco e delle foglie della vite; ma per lo sguardo assetato di unità della persona in estasi, in tale momento eterno e aperto sul tutto, non sono importanti simili dettagli. Sentiamo ancora:

«D’improvviso ebbi di nuovo la sensazione del tempo. M’ero trattenuto fin troppo a lungo... Dovetti affrettarmi, scendere alla Laura, per non perdere la mia nave». (6)

Oggi non ci possiamo più immaginare quanto dovette sembrare importante allora, al primo uomo moderno, partecipare attivamente all’aurora dell’era moderna, ch’egli intravedeva. Per questo i suoi battistrada si sono opposti al palamismo, con le loro ragioni.

Quattro monti. C’è uno strano tegame storico che ci propone con forza simbolica il contrasto tra atteggiamento palamita e atteggiamento occidentale. Il nemico principale di Gregorio, quel Barlaam proveniente dalla Calabria, nel 1341 tornò in Italia e divenne più tardi l’insegnante di greco del Petrarca. Ebbene, proprio nel 1336, l’anno in cui Palamas meditava nella luce dell’Athos e iniziava a scrivere sullo Spirito santo, il Petrarca, allora trentaduenne, saliva su un altro monte. Di ritorno dalla cima del Mont Ventoux in Provenza, descrisse in una lettera la sua commozione. «Questa esposizione è di importanza addirittura epocale per quel tempo, poiché significa niente meno che la scoperta del paesaggio, ed in essa emerge per la prima volta quella consapevolezza dello spazio che in seguito muterà fondamentalmente l’atteggiamento dell’uomo europeo nel mondo e in rapporto al mondo... Il legame universale con cielo e terra, che costituiva ancora un nesso aproblematico, indistanziato e senza prospettiva, s’infrange nel momento in cui una parte della “‘natura” viene staccata spazialmente, mediante lo sguardo personale, dal tutto, per diventare un pezzo di terra, ... Allora crebbe - si è tentati di dire: da quei giorni del Petrarca in poi - la responsabilità dell’uomo in termini tali che noi oggi di fronte alla situazione del nostro tempo, dobbiamo dubitare che egli ne fosse all’altezza». (7)

Il Petrarca guarda l’unità circoscritta sotto di sé: il pellegrino dell’Athos guarda la luce risplendente attorno a sé: Mosè sui monte ascolta attentamente la voce del Dio invisibile proveniente dall’alto. In tre modi diversi l’Assoluto non è soltanto in sé: in tre modi diversi esso si manifesta a noi. L’unità di questi tre monti - credono i cristiani - si è manifestata, per così dire, sul monte Tabor: dall’alto parla la voce di Dio; una luce abbagliante risplende sui discepoli; e la mano familiare di Gesù, l’amico, resta alla loro portata.

Per questo dovremmo smetterla di combattere per l’una o l’altra prospettiva unilaterale. Anche nel nostro secolo spira di nuovo, con forza primordiale, la santa brezza dello Spirito (ruach, Spirito, era per Gesù una parola femminile). Ciò che essa oggi vuole è la riunificazione, in un «santo common sense» dell’unica umanità, dei brandelli dello spirito dispersi nel mondo. Molti ne sono convinti; molti di più s’incapsulano in ideologie fattesi ormai troppo strette, per cui il vino della loro fede corre il pericolo di trasformarsi in aceto eretico.

Note


1) Triade, 1, 3,34. A quanto pare, Kant non ha mai letto neanche una parola di Palamas. Tanto più stimolante risulta il bel parallelismo: «Così la realtà non contiene nulla più del puro possibile. Cento talleri veri non contengono più di cento possibili... Ma per quanto riguarda lo stato del mio patrimonio, è più sostanzioso con cento veri talleri che con il semplice concetto di essi (vale a dire con la loro possibilità)» (Critica della ragion pura, I. II, 3,4).

2) Questo paragrafo assume un’mporlanza particolare per il fatto che ricorre non solo in uno scritto privato di Palamas, ma è stato ripreso anche nel Thomos hagioretikos (PG 150, 1229Ds)

3) J. MEYENDORF, Introduction à l’étude de Grégoire Palamas, Paris 1959, p. 151.

4) Metropolita SERAPHIM, Die Ostkirche, Stuttgart 1950, 37.

5) Nel libro Gott du unser Ich,. Düsseldorf 1977, p. 77, informo sul come Palamas abbia incentivato il dialogo tra cristiani e atei. Sul mirabile contatto, reciproco, a livello trinitario, tra mistica della Pneuma e mistica del Logos (cf. la religione del Tu e la mistica dell’Io), si veda il mio libro An Quintulum. Ein Vater vor den Sinnfrage, Nürnberg 1982.

6) BENZ, Patriarchen und Einsiedler, pag. 206.

7) J. GEBSER, Ursprung und Gegenwart, I. München 1973, pp. 40ss.

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Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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