Vita nello Spirito

Sabato, 08 Marzo 2008 23:55

Teologia e psicologia: resistenza, indifferenza, resa o integrazione? (seconda parte) (Bruno Forte)

Vota questo articolo
(1 Vota)

Quale reciproco apporto potranno dunque offrirsi una teologia e una psicologia, che non siano chiuse in se stesse, e che perciò sappiano farsi aperte e interrogative del Mistero, l'una in ascolto dell'altra, insieme in ascolto dell'Altro?

(continua)

La resa della teologia alla psicologia è infine possibile sul piano storico - effettuale: di fronte alla crisi post-moderna, segnata dalla caduta dell'interesse ai grandi orizzonti di senso e dal conseguente trionfo della maschera, che copra il vuoto di tutti i valori, può apparire più utile fermarsi all'uomo e al suo mondo, alla comprensione delle sue domande e degli abissi che vi si affacciano, che puntare ad un orizzonte più grande, ultimo e fondativo del penultimo.

Lo aveva intuito efficacemente Dietrich Bonhoeffer: «Non essendovi nulla di durevole, vien meno il fondamento della vita storica, cioè la fiducia, in tutte le sue forme. E poiché non si ha fiducia nella verità, la si sostituisce con i sofismi della propaganda. Mancando la fiducia nella giustizia, si dichiara giusto ciò che conviene... Tale è la singolarissima situazione del nostro tempo, che è un tempo di vera e propria decadenza». (18) Rispetto a questa situazione di “décadence” non si esce che tornando a quella paradossale coniugazione di ultimo e penultimo, di fedeltà alla terra e di fedeltà al mondo che deve venire che si è compiuta nel Dio Crocefisso: «Solo Cristo ci dà la realtà ultima, la giustificazione della nostra vita dinanzi a Dio, ma nonostante ciò, anzi, a causa di ciò, non ci vengono tolte o risparmiate le realtà penultime». (19) Cristo realizza in sé questo incontro di ultimo e di penultimo, perchè è in persona l'amore: «Gesù Cristo è l'unica definizione dell'amore. Ma cadremmo nel più grave equivoco se dalla visione di Gesù Cristo, della sua opera e delle sue sofferenze volessimo ricavare una definizione generale dell'amore, L'amore non è ciò che egli fa e soffre, ma ciò che egli fa e soffre. Egli stesso è sempre amore». (20) Non la resa della verità teologica ad una psicologia assolutizzata libera e salva l'uomo, ma una teologia che si faccia ricca della conoscenza degli abissi del cuore umano perché attenta alla compassione con cui il Dio sofferente ha fatto suoi questi abissi, e perciò che resti aperta all'orizzonte ultimo della promessa. Ma questo lascia già intravedere il nostro punto di arrivo...

4. Integrazione

Le tappe percorse giustificano un'esigenza di integrazione fra teologia e psicologia: superata la resistenza, l'incontro non può essere né l'indifferenza né la resa. La teologia sa di non dover né poter rinunciare ai suoi elementi “architettonici”, a quelle strutture portanti del suo discorso che le derivano dall'obbedienza della fede nella vivente comunione della Chiesa: essa scopre tuttavia - e per esigenza intrinseca - di aver bisogno di non pochi elementi ermeneutici che una psicologia, che non si chiuda in se stessa assolutizzandosi, potrebbe fornirle. L'integrazione sarà per il teologo tanto più autentica, quanto più sarà cosciente di muovere dalle radici stesse del sapere della fede.

Le radici, che la teologia trova in se stessa a fondamento di un'integrazione autentica con la psicologia, sono anzitutto di natura epistemologica: alla base della conoscenza teologica c'è un movimento di conversione e di innamoramento, che coinvolge l'integralità della persona umana. È difficile trovare una formulazione più lucida ed incisiva di questo dato di quella offerta da Bernard Lonergan: «Essere innamorati di Dio, in quanto sperimentato, è essere innamorati in maniera che non conosce limite alcuno. Ogni amore è donazione di sé, ma essere innamorati di Dio è essere innamorati senza limiti, né restrizioni, né condizioni, né riserve. Come il nostro potere illimitato di domandare costituisce la nostra capacità di autotrascendenza, così l'essere innamorati in maniera illimitata costituisce l'attuazione propria di siffatta capacità. Questa attuazione... smantella e abolisce l'orizzonte entro il quale finora si verificava la nostra conoscenza e la nostra scelta, e stabilisce un nuovo orizzonte nel quale l'amore di Dio transvalorerà i nostri valori, e gli occhi di questo amore trasformeranno la nostra conoscenza». (21) L'originarietà di quest'atto fontale del sapere della fede mostra come all'inizio di tutti i cammini della conoscenza teologica vi sia un'esperienza, che coinvolge nel più profondo il vitale e il pre-logico, e che la riflessione si sforza di tematizzare criticamente, mentre la psicologia indaga, chiamandola, per quanto possibile, alla luce della coscienza o riconoscendola a partire dai comportamenti. Una integrazione delle due discipline risulta qui significativa ed arricchente per entrambe.

Non meno profondo è a livello ermeneutico l'incontro che si compie fra teologia e psicologia a partire dalle domande radicali, rispetto a cui interpretare il messaggio: la grande questione del nostro presente, segnato dalla crisi dell'identità sazia dell'ideologia, è sempre più quella del riconoscimento e dell'accoglienza dell'alterità e della differenza. (22) Si tratta di riscoprire l'Altro, a partire dalla sua dimensione assoluta e trascendente, e di portarne alla parola l'esperienza per renderla comunicativa e liberante per tutti: ed è il linguaggio teologico, soprattutto nella sua espressione più alta, che è quella dei mistici, a prestarsi più d'ogni altro a questa mediazione ermeneutica. «L'assente fa scrivere... Ciò che dovrebbe esserci non c'è: è una constatazione che lavora sommessa, quasi senza dolore. Raggiunge una zona che non sappiamo localizzare, come fossimo stati colpiti dalla separazione assai prima di saperlo. Infine, quando la situazione giunge a dir-si, la lingua può ancora essere quella dell'antica preghiera cristiana: “Che io non sia separato da te”. Non senza di te... Si è malati di assenza perché si è malati dell'unico. L'Uno, non c'è più. “L'hanno portato via”, dicono numerosi i canti mistici che, raccontandone la perdita, inaugurano la storia dei suoi ritorni, altrove e altrimenti, ma in registri che sono effetto più che confutazione della sua assenza...». (23) Testimone singolare di questa esperienza dell'assente Presenza, in cui si incontrano nell'ascolto dell'Altro psicologia e pensiero della fede, è proprio la “discretio spirituum”, da cui nascono e di cui fanno fare esperienza gli Esercizi spirituali di Sant'Ignazio di Loyola. (24) Come osserva Roland Barthes, «la lingua che Ignazio vuol costituire è una lingua dell'interrogazione... Gli Esercizi sono il libro della domanda, non della risposta». (25) È questo che li rende così moderni, sempre così attuali: ed è questo che ne fa cogliere il centro e il cuore nella fatica del discernimento, che è un vero e proprio «riconoscere la funzione fondatrice della differenza». (26). Questa volontà di discernere, però, non si spinge mai alla forzatura, alla violenza sul testo: Ignazio vuole a tal punto la volontà di Dio, da accettare ed amare perfino il Suo silenzio: «Frutto finale e difficile dell'ascesi - osserva ancora Roland Barthes - è il rispetto, l'accettazione reverenziale del silenzio di Dio, l'assenso dato non al segno, ma al ritardo del segno». (27) L'intelligenza della fede si nutre di questo penetrare con discrezione negli abissi del mistero dell'uomo e di Dio, restando sempre in ascolto dell'Altro: ed è qui che può essere aiutata da una lettura psicologica, che non sia meno discreta e attenta al mistero.

Infine, è a partire dal livello storico - effettuale che la teologia può scoprire in forma radicale l'appello e le condizioni di possibilità dell'integrazione con la psicologia: il modello antropologico di cui oggi c'è sommamente bisogno, al di là del crollo del totalitarismo ideologico e della rinuncia nichilista, è quello di un'antropologia aperta verso la Trascendenza. Occorre non soltanto offrire un orizzonte di senso ultimo, capace di motivare l'impegno etico, ma anche scrutare nella persona umana i dinamismi che la rendono interrogativa e accogliente nei confronti di questo Mistero santo. La teologia - nello sforzo di coniugare oggettivismo classico ed emergenza moderna della soggettività - ha posto a fondamento della sua ”svolta antropologica” proprio una visione dell'uomo come essere dell'autotrascendenza. È Karl Rahner che con singolare efficacia ha tratteggiato le linee di questa antropologia: «La trascendenza dell'essere in genere è necessariamente tematizzata e costituisce essenzialmente l'uomo in quanto spirito». (28) Aperto e interrogativo nel più profondo del suo essere spirituale, l'uomo è l'“uditore della Parola”, chiamato ad accogliere liberamente la libera autocomunicazione di Dio: «L'uomo è l'ente che, amando liberamente, si trova di fronte al Dio di una possibile rivelazione. L'uomo è in ascolto della parola o del silenzio di Dio nella misura in cui si apre, amando liberamente, a questo messaggio della parola o del silenzio del Dio della rivelazione». (29) In questo movimento di autotrascendenza l'uomo si affida al Mistero che lo avvolge e lo attrae, e che gli parla nell'atto della rivelazione, che è comunicazione di verità e di vita, grazia offerta per la piena realizzazione della creatura secondo la più profonda direzione del suo essere. È qui, in questo riconoscimento del mistero dell'uomo in quanto aperto al Mistero di Dio e chiamato a realizzarsi nel pieno incontro del patto salvifico, che teologia e psicologia possono integrarsi, l'una offrendo il quadro di un'antropologia aperta alla Trascendenza, l'altra approfondendo i dinamismi vitali, inconsci o coscienti, di questa apertura sempre in atto di compiersi.

L'integrazione fra teologia e psicologia si radica dunque nella stessa struttura epistemologica, ermeneutica e storica del sapere della fede, come un aspetto di quella più generale architettura dell'“historia salutis”, espressa già dalla formula di Ireneo «gloria Dei vivens homo: vita autem hominis visio Dei». (30) La conoscenza del mistero dell'uomo rimanda alla contemplazione dello splendore di Dio, così come una più profonda intelligenza del Mistero santo, che tutto avvoge, apre l'accesso anche a una migliore conoscenza degli abissi del cuore umano: Abyssus abyssum invocat (Sal 41,8)! Teologia e psicologia si corrispondono all'interno dell'orizzonte del Mistero più grande, che entrambe sono chiamate a riconoscere e scrutare: ciò che può separarle è allora soltanto la chiusura verso la Trascendenza, quell'assolutizzazione del penultimo che aliena dall'ultimo, invece di fondare in esso la conoscenza e l'azione. Una teologia ideologica è un rischio tutt'altro che irreale, come testimonia la storia del pensiero della fede (basti pensare alle espressioni della teologia liberale del secolo XIX): ma la seduzione ideologica sembra non meno grande per le varie scuole psicologiche, come dimostra la loro stessa varietà e le non rare, reciproche esclusioni. Si deve anzi dire che se una teologia chiusa alla Trascendenza è in se stessa contraddittoria, una psicologia realmente aperta al Mistero non è affatto data per scontata. È insomma l'antropologia sottesa ai due campi di indagine il vero criterio che può misurare la reciproca disponibilità delle due discipline ad integrarsi vitalmente nella varietà degli apporti e nella complementarità delle prospettive. Ed è un'antropologia aperta al Mistero il vero campo del dialogo fra i due saperi, perché è nel suo silenzio d'attesa e di accoglienza che può affacciarsi l'Alterità, capace di dare salvezza al mondo. (31)

Quale reciproco apporto potranno dunque offrirsi una teologia e una psicologia, che non siano chiuse in se stesse, e che perciò sappiano farsi aperte e interrogative del Mistero, l'una in ascolto dell'altra, insieme in ascolto dell'Altro? La teologia può offrire ad una tale psicologia l'orizzonte ultimo di senso che attinge a Dio, mistero del mondo, quale è stato rivelato in Gesù Cristo: in tal modo, nell'immagine del Dio Trinità Amore essa riconosce la vocazione ultima dell'uomo e del mondo, in rapporto alla quale l'uomo può realizzarsi in una vita buona, sana e felice, anche quando dovesse essere chiamato a testimoniare nel dolore l'amore più grande, che lo sostiene e che dà senso alla vita. Per adempiere a questo compito la teologia in questione deve essere totalmente in ascolto della Trascendenza, pensiero dell'obbedienza della fede che accoglie la sorpresa e la novità dell'avvento di Dio nel cuore dell'esodo umano: solo una teologia, che sia rigorosamente e propriamente “teologica”, che cioè abbia a cuore l'Eterno e parli di Dio come del suo Oggetto puro, al tempo stesso in cui riconosce in Lui il vivente Soggetto, che la raggiunge nella Parola e nel Silenzio cui si sforza di corrispondere, potrà entrare in dialogo autentico e significativo con una psicologia, che sia sorretta da una visione dell'uomo aperta al Mistero. Da parte sua, una simile psicologia offre alla teologia quel senso di realismo e di concretezza nei confronti della situazione umana nel mondo, che la libera da ogni possibile tentazione ideologica e la spinge a farsi coscienza critica della prassi personale ed ecclesiale, perché siano sempre animate dal primato della carità. Lungi dall'escludersi o dal confondersi le due discipline vengono così ad integrarsi, ciascuna consapevole di quanto può dare e interrogativa di quanto può ricevere. L'antropologia aperta e accogliente nei confronti della Trascendenza, che costituisce il comune orizzonte nel quale è resa possibile una tale integrazione, corrisponde alla visione dell'uomo e del mondo che ispira la “svolta antropologica” della teologia, fatta propria dal Vaticano II, e che una psicologia, incamminata decisamente in direzione di una “svolta teologica”, nella linea proposta esemplarmente dal P. Rulla e dalla Sua Scuola, è chiamata incessantemente ad approfondire come elemento architettonico, al cui servizio si pone la mediazione ermeneutica propria dell'indagine psicologica.

Conclusione: fra “aleph” e “beth”...

L'integrazione, cui il nostro cammino è approdato, è ricca di promesse e di sfide: il dialogo andrà sviluppato nella lucida consapevolezza delle sue premesse e della sua necessità, al servizio sia della diagnosi del male, che copre la faccia della terra e ferisce la vita degli uomini, sia di quella crescita graduale nel bene, che rende la vita stessa degna di essere vissuta e amata. Di questo dialogo vorrei cogliere le forme strutturali in un'icona conclusiva, che traggo dalla tradizione ebraica. Una gustosa riflessione rabbinica narra dell'umiltà della lettera “aleph” - la più eterea e volatile dell'alfabeto, la più modesta - che unica fra tutte le lettere si astenne da ogni pretesa ad essere scelta per iniziare il racconto della creazione: la prima parola della Torah è infatti “berešit”, “in principio”, e la prima lettera è quella “beth”, con cui comincia ogni benedizione del Santo (“berakah”) e che è aperta nella direzione in cui in ebraico prosegue la scrittura, quasi a dire che l'inizio non è compimento, ma domanda ed attesa. Il racconto narra poi che l'Eterno volle ricompensare la “aleph” per la sua umiltà, dandole il primo posto nel Decalogo: “Io sono il Signore Dio tuo” - la parola dell'eterno fondamento invisibile, che viene ad affacciarsi nel tempo grazie alla rivelazione ed a stabilire l'alleanza fra il Dio vivente e il Suo popolo - comincia infatti con “io”, “anochì”, la cui iniziale è “aleph". (32) Se dunque la storia dell'uomo e del mondo inizia con la “beth” ed è perciò sempre aperta in direzione del suo sviluppo e approfondimento, la verità di Dio ci viene offerta pienamente solo a partire da quell'“aleph”, con cui inizia l'“Io” della Sua sovrana autocomunicazione. Volendo allora riconoscere nella “beth” la metafora della conoscenza dell'uomo, di cui è esperta una psicologia ispirata ad un'antropologia aperta e interrogativa, e nell'“aleph” l'eco di ciò che una teologia umile ed ospitale riceve come Oggetto supremo ed insieme vivente Soggetto del suo pensare, il racconto verrebbe a dirci che l'avventura di ogni conoscenza che libera e salva secondo il progetto dell'Eterno inizia sì dall'abisso del cuore umano, aperto ed interrogativo, ma si compie veramente soltanto quando è raggiunta dall'offerta della verità, custodita nel mistero del Dio vivente e santo. L'“aleph” viene dopo, ma illumina la “beth” che la precede: una teologia umile e aperta nasce solo con la rivelazione, in obbedienza ad essa, ma corrisponde, illuminandone il più profondo dinamismo, a quanto l'indagine psicologica può intendere del mistero originario dell'uomo. L'una viene prima, come la “beth” di “berešit”, ma non dimentica che l'inizio di tutte le vie dell'uomo e di Dio è in quell'“anochì”, carico di mistero, di grazia e di promessa: «Io sono il Signore Dio tuo...» “Aleph” rinvia a “Beth”, “Beth” rinvia ad “Aleph”. L'una con l'altra. Mai l'una senza l'altra. Inseparabili, non confuse, in un dialogo che per essere vero e fecondo dovrà mantenersi sospeso fra la “beth” dell'inizio esodale e l'“aleph” dell'indeducibile Avvento, datore di senso e di vita...

Bruno Forte

(fine)

Note

[18] D. Bonhoeffer, Etica, a cura di E. Bethge, tr. it. di A. Comba, Milano 19692, 91: «Weil es nicht Beständiges gibt, darum zerbricht die Grundlage des geschichtlichen Lebens, das Vertrauen, in jeder Form. Weil es kein Vertrauen zur Wahrheit gibt, darum tritt an ihre Stelle die sophistische Propaganda. Weil es kein Vertrauen zur Gerechtigkeit gibt,darum wird das, was nutzt, als recht erklärt... Das ist die einzigartige Situation unserer Zeit, und es ist echter Verfall» (Ethik, hrsg. E. Bethge, München 1966, 114f.).

[19] Etica, o.c., 120: «Nur Christus bringt uns das Letzte, die Rechtfertigung unseres Lebens vor Gott, dennoch oder vielmehr darum bleibt uns das Vorletzte nicht abgenommen und erspart» (Ethik, 150).

[20] Ib., 41: «Jesus Christus ist die einzige Definition der Liebe. Es wäre aber wieder alles mißverstanden, wenn nun doch aus dem Blick auf Jesus Christus und sein Tun und Leiden eine allgemeine Definition der Liebe erhoben werden sollte. Nicht was er tut und leidet, sondern was er tut und leidet, ist Liebe. Liebe ist immer Er selbst» (156).

[21] B. Lonergan, Il metodo in teologia, Brescia 1975,125s: «Being in love with God, as experienced, is being in love in an unrestricted fashion. All love is self-surrender, but being in love with God is being in love without limits or qualifications or conditions or reservations. Just as unrestricted questioning is our capacity for self-transcendence, so being in love in an unrestricted fashion is the proper fulfilment of that capacity. That fulfilment... dismantles and abolishes the horizon in which our knowing and choosing went on and it sets up a new horizon in which the love of God will transvalue our values and the eyes of that love will transform our knowing» (Method in Theology, London 1971, 105f).

[22]Cf. su questo punto B. Forte, In ascolto dell'Altro. Filosofia e rivelazione, Brescia 1995.

[23]M. de Certeau, Fabula mystica. La spiritualità religiosa tra il XVI e il XVII secolo, Bologna 1987, 37s.

[24] Cf. F. Imoda, Esercizi spirituali e psicologia. L'altezza, la larghezza e la profondità (Ef 3,18), Roma 1994.

[25] R. Barthes, Loyola, in Ignazio di Loyola, Esercizi spirituali, tr. M.J. Severi, Milano 1988, VIII e XXXVII.

[26] Ib., XV.

[27] Ib., XXXVIII.

[28] Uditori della parola, Torino 1967, 98: tr. it. fatta sulla rielaborazione del 1963 di J.B. Metz, approvata dallo stesso Rahner. Nella prima edizione l'idea era così formulata: «Der Satz also von der Transzendenz der Erkenntnis auf das Sein überhaupt als der Grundverfassung des Menschen als Geist ist der erste Satz einer metaphysischen Antropologie, die ausgerichtet ist auf eine Religionsphilosophie als Begründung der Möglichkeit einer Offenbarung» (Hörer des Wortes, München 1941, 86).

[29] Ib., 145: «Wir können also unseren zweiten Satz unserer metaphysisch-religionsphilosophischen Antropologie dahin formulieren, daß der Mensch jenes Seiende sei, das in freier Liebe vor dem Gott einer möglichen Offenbarung steht. Der Mensch ist in dem Maße horchend auf das Reden oder Schweigen Gottes, als er sich in freier Liebe dieser Botschaft des Redens oder Schweigens des Gottes der Offenbarung öffnet» (136).

[30] Adversus Haereses IV, 20, 7: PG 7,1037.

[31] Sul modello ad esempio dell'antropologia presentata come orizzonte e materia della psicologia da F. Imoda, Sviluppo umano, psicologia e mistero, Casale Monferrato 1993.

[32] Cf. L. Ginzberg, Le leggende degli Ebrei - I: Dalla creazione al diluvio, a cura di E. Loewenthal, Milano 1995, 27s.

 

Letto 3921 volte Ultima modifica il Lunedì, 24 Febbraio 2014 23:55
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

Search