Vita nello Spirito

Martedì, 20 Aprile 2010 20:25

Teofane il Recluso (1815-1894)

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Teofane il Recluso Teofane il Recluso

Nel 1866 Teofane mandò al santo sinodo una richiesta con la quale pregava di essere esonerato dall’incarico. Chiese di potersi trasferire nel monastero di Vysen. Questa volta il suo desiderio trovò ascolto. Il vescovo partì per quel luogo isolato che aveva imparato ad amare durante una visita pastorale.

Teofane il Recluso (1815-1894)

 

I - LA VITA

«La sua inclinazione alla solitudine e il suo amore per il lavoro lo fanno distinguere dagli altri allievi... Nel contatto con i compagni è servizievole e  dà esempio di diligenza e di buon comportamento, è mite e silenzioso».1 Con queste parole i professori del seminario di Orjol (Orel), nella loro relazione annuale, caratterizzavano il giovane Giorgio Govorov. Giorgio nacque il 10 gennaio 1815. Suo padre, Vassilij Govorov, era un colto sacerdote di Cernavsk (governatorato di Orel). A 12 anni Giorgio entra in seminario, a Orel. Di questo periodo trascorso a Orel possiamo menzionare un episodio importante: il pellegrinaggio a Zadonsk, alla tomba di san Tichone, vescovo, scrittore, eremita e starets (padre spirituale)2. Questo santo divenne il modello spirituale di Giorgio .

Dati i risultati eccellenti negli studi, il giovane Govorov fu  inviato all’accademia ecclesiastica di Kiev, dove era rettore Innokentij Borisov (morto nel 1857), che in seguito divenne famoso come predicatore e arcivescovo. Ma su Giorgio esercitò un influsso speciale il professore di retorica Giacomo Amfiteatrov. Giorgio infatti rimarrà convinto per tutta la vita che si possono spiegare le più profonde verità cristiane anche alle persone semplici. Anche l’accademia di Kiev diede di Giorgio una buona testimonianza. I suoi superiori lo descrivono come «un giovane molto modesto, onesto, educato, attendibile, pieno di zelo per il culto esemplare».3

Questi suoi superiori erano, nella Russia di allora, persone importanti e nutrivano grandi progetti per il giovane studente. La sua intenzione di farsi monaco non era in alcun modo di ostacolo a questi obiettivi, poiché nella chiesa russa erano proprio i monaci ad occupare i posti più elevati. Il 1° ottobre 1840 (festa della protezione della Vergine Maria, cosiddetta di Prokov) Giorgio scrisse una richiesta ufficiale ai suoi superiori:

Sento in me il desiderio di dedicarmi allo studio della teologia nella solitudine e, per poter meglio unire questo desiderio al futuro servizio della chiesa, chiedo di poter fare i voti religiosi4 .

Il 15 febbraio 1841 Giorgio ricevette l’abito monastico e il nome di Teofane. Con lui emise i voti religiosi anche il futuro metropolita di Mosca, Macario Bulgakov.

Poco dopo la sua vestizione egli fece visita allo starets Parfemij, nel monastero delle grotte di Kiev. Questo disse a lui e a quanti lo accompagnavano: «Voi, monaci dotti, vi siete sottoposti alla regola monastica. Ma non dimenticate che c’è una cosa che è più necessaria di tutte: la preghiera, una preghiera incessante, che sale a Dio dallo Spirito che abita nel cuore. Non dimenticatelo!»5

Teofane dunque apparteneva ai «monaci dotti», L’espressione non suonava nel modo migliore alle orecchie dei pii asceti, mentre valeva come ottima raccomandazione nella società ecclesiastica del tempo. In quello stesso anno, prima ancora di finire gli studi, Teofane viene ordinato sacerdote.

D’ora in avanti Teofane procede spedito nella sua carriera. Scrive la sua dissertazione magistrale con il titolo Sguardo d’insieme sulla religione dell’Antico Testamento. Diventa rettore della scuola confessionale «Sofia» a Kiev. Nel 1842 diventa ispettore del seminario di Novgorod, dove insegna psicologia e logica. Tre anni dopo diventa insegnante di teologia morale e pastorale all’accademia ecclesiastica di Pietroburgo. Ma al vescovo Geremia scrive:

Incomincio a soffrire oltre ogni misura per questa mia attività scientifica. Preferirei andare in chiesa e rimanervi seduto, semplicemente. 6

Nel 1847 gli si offrì l’occasione di sottrarsi a questa sua attività. Ricevette il permesso di dedicarsi allo studio dell’Oriente cristiano a Gerusalemme, come membro di una missione spirituale. Durante questo periodo poté visitare antichi conventi e studiare gli scritti dei padri della chiesa. Ma questi sette anni felici passarono presto.

Ma subito  dopo il rientro, ricominciano gli impegni. Rettore del seminario di Olenets (Olenec), quindi capo di una missione a Costantinopoli, rettore dell’accademia ecclesiastica di Pietroburgo. La diligente preparazione dei festeggiamenti in occasione del cinquantennio dell’accademia gli vale come ricompensa l’«ordine di terza classe di San Vladimiro», nonché la nomina a vescovo della diocesi di Tambov e Sciatsk (Sack). Nel discorso che tiene in questa occasione egli manifesta il proprio cuore. Paragona se stesso a una palla, che rotola silenziosa di qua e di là, a seconda di come viene spinta. Così deve essere. Occorre seguire nell’obbedienza la volontà di Dio. Eppure il cuore fa sentire un’altra voce.

All’inizio la situazione era chiara. L’amministrazione della diocesi esigeva tutte le forze del vescovo, e non sempre l’attendevano compiti graditi. Gli piaceva soprattutto predicare, e lo faceva con grande entusiasmo. Nel 1863 Teofane dovette assumere un incarico ancor più importante e gravoso: la direzione della grande diocesi di Vladimir.

Teofane accettò di nuovo nello spirito di obbedienza, ma questa volta il suo cuore protestò energicamente. Era monaco e al servizio della chiesa aveva dedicato vent’anni. Non aveva il diritto di vivere ormai come un monaco? Per di più. le sue condizioni di salute andavano peggiorando e le difficoltà di amministrazione della diocesi di Vladimir erano tante. Il vescovo Ignazio Brianzaninov cercò di fargli coraggio: «Se la Provvidenza di Dio vi ha messo al mondo, non dovete abbandonare il vostro posto senza una nuova chiamata»8. Ma anche l’esortazione di questo celebre scrittore ebbe breve efficacia. Nel 1866 Teofane mandò al santo sinodo una richiesta con la quale pregava di essere esonerato dall’incarico. Chiese di potersi trasferire nel monastero di Vysen. Questa volta il suo desiderio trovò ascolto. Il vescovo partì per quel luogo isolato che aveva imparato ad amare durante una visita pastorale. Nel discorso di commiato disse:

Non mi ritiro nella solitudine per il riposo corporale, ma per dimenticare le sollecitudini di ogni giorno e per potermi dedicare a ciò che più mi sta a cuore9.

Che cosa gli stava più a cuore? In primo luogo ciò che costituisce l’ideale di tutti i monaci: la salvezza dell’anima. Ma Teofane vi aggiunse un altro motivo, anche questo tipico della spiritualità monastica: «Inoltre, vorrei continuare a servire la chiesa, anche se in modo diverso».

Nei primi sei anni a Vysen, Teofane frequentava la liturgia insieme agli altri monaci del monastero. Ma nel 1872 cominciò a vivere in reclusione. Comunicava solo con l’abate del monastero, con il suo confessore Tichone e con padre Eulampij. che lo serviva in cella.

Nella sua reclusione si costruì una piccola cappella in onore della Trasfigurazione del Signore. All’inizio celebrava la divina liturgia la domenica e nelle altre festività; negli ultimi undici anni ogni giorno.

Sui suoi dodici anni circa di reclusione abbiamo scarse notizie. Si dice che Teofane trascorresse giorni e notti in preghiera, piangendo ore intere sulla debolezza dell’anima umana. Recitava, com’è ovvio, anche le preghiere liturgiche. Spesso leggeva e cantava ad alta voce. Inoltre si dedicava al lavoro manuale. Si occupava di meccanica, di falegnameria, di rilegatura di libri. Inoltre dipingeva icone. Nel tempo libero scriveva i suoi trattati teologici e lettere, dato che molti si rivolgevano a lui ponendo interrrogativi.

Negli ultimi anni la vista gli divenne sempre più debole. Divenne completamente cieco da un occhio. Aspettava la morte:

Morire – notava - non è niente di speciale..... Conceda Dio che moriamo nel Signore, per essere sempre presso di lui. 10

Morì il 6 gennaio 1894. Si racconta che mentre lo preparavano per la sepoltura «apparve sul suo volto un sorriso».

Il discorso funebre fu tenuto da S.I. Nikolskii, inviato dell’accademia spirituale di Mosca, che parlò rifacendosi all’espressione biblica: «Che cosa siete venuti a vedere nel deserto?” (Mt 11,7). Sulla lapide sepolcrale furono simbolicamente rappresentati i suoi tre libri principali: la Philokalia, i Commentari sulle lettere dell’apostolo Paolo, e il Compendio della morale cristiana.

II - LE OPERE

Teofane fu uno scrittore instancabile. La sua bibliografia contiene 466 titoli. La maggior parte dei suoi libri erano molto letti e furono ristampati spesso. I tre libri rappresentati sulla sua tomba sono davvero caratteristici della sua attività: 1) traduzioni dalla letteratura patristica; 2) opere esegetiche 3) trattati morali e ascetici, ai quali appartengono anche le sue prediche e numerose lettere.

Ritorno ai padri! Questo programma si ritrova di continuo in Oriente, quando si tratta della riforma dei monasteri. Ma Teofane non pensò ai soli monaci, Egli riteneva che tutta la chiesa avesse bisogno di essere rinnovata, il che però può avvenire soltanto attraverso la preghiera. e non possiamo imparare a pregare in altro modo, se non attraverso un contatto vivo con la tradizione dei padri. «sarebbe desiderabile - scrive Teofane - che venissero raccolte le preghiere dei padri; una tale antologia costituirebbe un vero manuale della salvezza» 11. Teofane stesso leggeva volentieri e non aveva alcuna difficoltà con il greco. C’erano già. al suo tempo, molte traduzioni dei padri della chiesa in russo, ma non erano sufficienti nel settore che gli stava più a cuore, la preghiera e i problemi concreti della vita spirituale. Cominciò quindi a tradurre egli stesso. Dapprima da dilettante, poi in maniera sempre più sistematica.

Il primo a interessarlo fu Sant’Antonio il Grande. La vita di questo padre di tutti i monaci12 è una specie di manuale della vita spirituale, e come tale è stata sempre letta attraverso i secoli.

I Detti dei padri del deserto, i cosiddetti Paterica. sono senza dubbio un documento importante della spiritualità cristiana antica, che ci introduce allo spirito del monachesimo egiziano. Accanto ai Paterica. esiste anche un Metericon greco, una raccolta di Detti delle madri (donne vissute in eremitaggio) che spesso viene dimenticata.

Per la comprensione dei Salmi, Teofane trovò che l’introduzione migliore fosse costituita dalle Meditazioni del santo padre Efrem Siro:13 che la sua scelta sia stata felice, lo prova il fatto che l’opera ebbe nel 1913 la sua decima edizione.

Conoscendo la tendenza spirituale di Teofane, non restiamo sorpresi dal fatto cha abbia curato soprattutto la traduzione di Simeone il Nuovo Teologo (morto nel 1022), il mistico della «consapevolezza del soprannaturale». Teofane tradusse le sue Omelie e la sua Vita, scritta da Niceta Stetato. A questo orientamento spirituale appartiene anche un’antologia: Insegnamenti dei santi padri sulla solitudine mentale e sulla preghiera, o Sull’attenzione del cuore a Dio e la teologia della preghiera, secondo i detti dei santi padri 14

Tra i «padri» si potrebbe annoverare anche Nicodemo Aghiorita (che significa: del monte Athos), benché sia morto nel 1809. Il suo libro Il combattimento spirituale è, sino ad ora, quanto mai apprezzato nei monasteri greci, anche se è un adattamento del libro omonimo del teatino italiano Lorenzo Scupoli. Teofane trovò lo scritto molto pratico per il discernimento degli spiriti, grazie ai principi ascetici formulati in modo breve, aforistico, del tutto secondo lo spirito dei padri. Lo tradusse da una traduzione greca, adattandolo però, nei capitoli sulla preghiera, alla tradizione russa.

Ma il frutto più importante del suo lavoro di traduttore sono i cinque volumi della Filocalia (Dobroioljubie)16 di cui l’occidente conosce da tempo piccoli estratti. Attualmente sono disponibili traduzioni complete dell’opera anche in inglese, francese e italiano. Da noi la Filocalia divenne celebre e apprezzata soprattutto grazie alle numerose traduzioni di un altro libro, Racconti sinceri di in pellegrino russo al suo padre spirituale, dove si parla della Filocalia, essa è presentata da Nicodemo Aghiorita nell’introduzione come uno «strumento di divinizzazione». Questo autore ricomponendola, ebbe l’intenzione di far fiorire nuovamente presso i monaci il mistico giardino della «preghiera del cuore». Infatti, l’edizione di questa antologia segna l‘inizio di un’importante fase di rinnovamento nella spiritualità dell’Oriente cristiano, specialmente tra i monaci russi. Questi avevano già tra le mani, dal 1793. il Dobrotoliubie del famoso starets Paisij Velizkovskij (morto nel 1794), ma in una tradizione in slavo ecclesiastico non sempre facilmente leggibile. Teofane tradusse la Filocalia in russo, per di più in un linguaggio molto più elegante.

Un altro settore del lavoro di Teofane sono le sue opere esegetiche. Egli scrisse i Commentari alle lettere di Paolo, una Interpretazione delle letture bibliche per ogni giorno dell’anno e un commentario dal titolo Le testimonianze dei Vangeli sul Figlio di Dio, il quale a causa della nostra salvezza divenne uomo, interpretate secondo l’ordine dei Vangeli. Da questi scritti traspare nel modo più chiaro l’erudizione di Teofane. Egli offre materiale per la meditazione e naturalmente molti suggerimenti per la predicazione. Non vi traspare però con altrettanta chiarezza la personalità di Teofane.

Essa emerge meglio in un altro gruppo di scritti, di contenuto morale e pastorale. Il terzo titolo citato sulla pietra tombale è il Compendio della morale cristiana. Il libro fu messo nelle mani dei discepoli come un manuale di scuola. Esso è concepito in senso pastorale, sia come aiuto pratico per futuri confessori, sia come lettura per i cristiani colti. In ciò stanno pregi e limiti del libro, che in alcuni passi è troppo teologico, in altri troppo esortativo. Ma per i seminaristi suoi discepoli era così importante, che lo vollero ricordare sul monumento sepolcrale.

Ai lettori devoti conveniva meglio La via della salvezza un libro che oggi potrebbe essere definito un manuale di ascetica. La sua popolarità è attestata dalle dieci edizioni raggiunte prima dello scoppio della prima guerra mondiale.

La personalità di Teofane appare in maniera molto più concreta nelle sue numerosissime Lettere, accessibili in varie edizioni. Si tratta di risposte a sacerdoti, a monaci, a monache, a signore dell’alta società e ad altri ancora. Per lo più vi sono trattati problemi della vita spirituale: dubbi sulla fede, giudizi sugli avvenimenti del tempo e sulle tendenze della chiesa, difficoltà nelle famiglie, conflitti con i superiori religiosi, aspirazione a una vita di più profonda unione con Dio, desiderio di raggiungere i gradi superiori dell’orazione, ecc. Le risposte sono scritte nello spirito degli starets russi, ma si può dire che Teofane cerca di essere più concreto e più aperto ai problemi di attualità.

Molto attraente è il piccolo libro Che cos’è la vita spirituale e come disporsi ad essa. Anch’esso è scritto sotto forma di lettere indirizzate a una donna che gli chiese di averlo come direttore spirituale.

A Teofane arrivavano lettere da tutte le parti della Russia. Egli rispondeva a tutti. Lo considerava un suo dovere.

Se uno ha ricevuto il dono dello scrivere, lo utilizza nei nodo migliore quando istruisce i peccatori e li sveglia dal loro sonno.

III – LA DOTTRINA

La spiritualità di Teofane si può caratterizzare con una sola parola: cuore.

Nel cuore - egli scrive - si concentrano tutte le energie del corpo e dell’anima... Esso è il barometro della nostra vita. Nel cuore ha il proprio centro tutta la spiritualità e attività dell’uomo. 17

Ciò che Teofane intende per cuore lo si può arguire solo dal contesto di tutto il suo insegnamento spirituale. Egli presenta la vita nello Spirito soprattutto nel suo aspetto antropologico, nel suo riflesso sull’uomo, sia dal punto di vista psicologico che teologico. Teofane è ben consapevole che gli uomini di oggi fanno ricorso alla psicologia. Ma è convinto che un approfondimento degli aspetti psicologici conduce alla teologia. Solo le verità cristiane infatti riescono a spiegare il mistero dell’uomo, a rendere comprensibili le sue tendenze e le sue capacità. Solo la vita nella grazia può soddisfare i desideri del cuore.

Il libro Che cos’è la vita spirituale inizia con questa esperienza:

L’uomo corre qua e là. ma rimane in un cerchio chiuso. Eppure le tendenze del nostro essere desiderano essere saziate...

Il vescovo Teofane spiega il suo pensiero con un’immagine: Quando un animale è affamato, cerca di saziarsi; dopo aver mangiato è sazio e contento. Come mai l’uomo invece non è mai soddisfatto? Nel suo essere c’è un impulso che lo spinge a desiderare sempre più in questa vita terrena. Dove affonda le proprie radici tale impulso? Non nel corpo, perchè esso riceve spesso più di quello di cui ha bisogno. E per quanto riguarda la nostra anima, possiamo saziare anch’essa. Ciò invece che, durante la nostra vita nel mondo, non potrà mai essere saziato da quanto riceve, è lo spirito, che è affamato di giustizia (cf. Mt 5,6).

Dopo questa introduzione, Teofane presenta la struttura dell’uomo. Dai padri greci, che costituivano la sua lettura quotidiana, riprende la tradizionale divisione in tre parti (tricotomia): «La persona umana è unità dello spirito dell’anima e del corpo». L’uomo spirituale «è composto di corpo, anima e spirito». Servendosi di questa antropologia teologica, Teofane propone il suo insegnamento sulla vita spirituale.

La vita dell’uomo si esprime in tre ambiti: del corpo, dell’anima e dello spirito. Ogni ambito si manifesta per mezzo dei propri desideri, ha le proprie forze e anche il proprio modo di agire.

Teofane sa che questa divisione concorda con l’insegnamento dei padri. E’ anche consapevole che fra i maestri della spiritualità orientale vi sono quelli che non distinguono l’«anima» dallo «spirito»; ma la divisione tricotomica gli pare serva meglio a spiegare la vita spirituale.

C’è in noi il corpo, e quindi l’anima, che ha origine dalla generazione naturale; ma c’è anche lo spirito, che è opera del soffio di Dio. Si definisce l’uomo come un essere dotato di ragione, un animal rationale..... Ma l’uomo è un essere spirituale.

Già da questa introduzione si può intravedere come Teofane imposterà le sue istruzioni morali e ascetiche. Egli esamina le necessità e le forze di ciascuna delle tre componenti della persona umana. E dopo una diagnosi su che cosa l’uomo è, e ciò di cui soffre, mostra la necessaria terapia e igiene.

Quando parla del corpo, sorprende il fatto che, nonostante il suo atteggiamento fondamentalmente ascetico, proponga una valutazione cosi positiva di esso.

Il corpo è un recipiente dell’anima e dello spirito. Serve come organo nelle nostre relazioni con il mondo. E’ uno strumento per la realizzazione dei nostri obiettivi su questa terra. E’ un mezzo che ci eleva sino ai valori eterni. Esso merita quindi la nostra attenzione e le nostre cure.19

Al corpo dobbiamo dare ciò di cui ha bisogno. Ma la cura del corpo dev’essere «spirituale», cioè «ascetica». E veramente «naturale» il fatto che esso richieda tanto? Teofane distingue tra i «bisogni» e i «desideri». I primi corrispondono alla natura: ad esempio il bisogno di bere. I «desideri» nascono dalle abitudini prese durante la vita. Forse che gli assetati hanno sempre bevuto vino? Perché il corpo. quando ha sete, vuole vino e non acqua? Ci sono dunque «desideri» che non provengono direttamente dalla natura. Lo scopo dell’educazione spirituale. dell’«ascesi», è quello di regolare i nostri «desideri» secondo i veri «bisogni».

La psicologia sperimentale del secolo scorso ha esercitato un  notevole influsso su ciò che Teofane insegna dell’anima. Egli accetta come del tutto naturale la divisione delle tre attività dell’anima: pensare, volere, sentire, cui corrispondono tre facoltà: intelligenza, volontà, cuore.

Gli antichi maestri tra i monaci scrivevano contro gli scrutatores, gli «analitici», che volevano misurare le verità di fede con la loro ragione, analizzando tali verità. Per gli antichi monaci la teologia speculativa era una vera e propria tentazione. Anche Teofane combatte con forza il razionalismo: il che però non vuol dire che pensi che non si possa assolutamente utilizzare la ragione nell’ambito della fede. L’uomo è essenzialmente un essere ragionevole.

Vivere secondo la volontà di Dio è una vita sommamente ragionevole. Ogni cristiano deve giudicare le cose attorno a sé e deve acquistare una vera conoscenza delle verità fondamentali della fede. E’ un obbligo per tutti. Fin dove arriva un uomo individualmente dipende dalle sue doti. Però ciascuno può svilupparsi in questa sua capacità importante: giudicare la realtà.

Il razionalismo invece è un’altra cosa. Esso è diventato il Satana dell’Europa negli ultimi secoli. I razionalisti abusano della ragione. che serve loro per misconoscere la realtà. Questa meravigliosa facoltà dell’uomo viene impegnata in questioni inutili e dannose. I razionalisti seguono le leggi della logica, ma la loro ragione è come una macchina, senza vita, perché le manca il senso dei valori L’unico metodo per guarire sarebbe quello di «far scendere la ragione nel cuore».

Per vivere una vita razionale non basta quindi avere concetti chiari e precisi. E molto più importante avere idee, il che vuoi dire: comprensione delle cose nel contesto di tutta la vita e del suo fine. Dobbiamo porre tutta la nostra fiducia in Dio, e nello stesso tempo adoperare tutte le nostre forze per raggiungere l’obiettivo che ci prefiggiamo..

Ma il punto centrale della vita spirituale non sta nella volontà. Se tutti i nostri sforzi partono solo dalla volontà come tale, presa isolatamente, la vita spirituale diventa faticosa e instabile. Anche la volontà deve affondare le proprie radici nel cuore.

Ma che cos’è il cuore? Teofane vede in esso l’organo del sentimento.

Con il sentimento facciamo esperienza di una simpatia viva per una persona o per una cosa... E se si tratta di Dio, del divino ordinamento del mondo, o della realtà spirituale, veramente reale, ci sentiamo felici in queste tre sfere, perché vi siamo attratti dalla simpatia per esse.

 

In altri termini, nella vita spirituale possiamo nutrire sentimenti di simpatia e di antipatia, proprio come accade nella vita di ogni giorno. Una reazione sbagliata dei sentimenti è come una malattia. Dalla guarigione del cuore si sviluppa la vita spirituale sana, così che ci sentiamo attratti da Dio e dal suo mondo, mentre mondo del peccato suscita in noi avversione e persino odio 20.

Tenendo presente questa antropologia, possiamo capire perché gli autori spirituali e i teologi russi sostengano spesso che la religione e la pietà sono cose del cuore e del sentimento 21. E poiché questo linguaggio suscita in noi dubbi, quasi si trattasse di qualcosa di primitivo, irriflesso, è importante notare che qui non si tratta di banale sentimentalismo. Teofane ci avverte che intende parlare di sentimenti «spirituali», la cui sorgente è la rassomiglianza dell’anima con Dio, la connaturalità dell’uomo con la sua patria divina (dove la «natura» non può essere identificata con la «natura pura» degli scolastici). L’insensibilità per la vita spirituale proviene, al contrario, dal peccato; mentre l’apatheio, l’insensibilità per le passioni malvage, è segno di perfezione.

Anche premettendo questa spiegazione, non riesce facile al lettore occidentale apprezzare nel modo giusto i molti testi della spiritualità orientale che trattano dei «sentimenti del cuore». Le indagini analitiche di Teofane possono aiutare quindi ad orientarci meglio in questo campo. Perciò descriveremo la «teologia del cuore» come la troviamo in Teofane.

Il «cuore» vuol dire, in primo luogo, l’integrità della persona, l’insieme coordinato di tutte le energie umane. Teofane lo spiega con un esempio. Quando l’opera umana procede dalla sola volontà, è buona in sé, ma rassomiglia alla recita di un testo teatrale fatta dall’attore che, a casa sua, legge andando su e giù nella propria stanza- Quando invece l’opera buona viene dal cuore, assomiglia alla recita sul palcoscenico, cioè nel suo luogo congeniale, dove il testo viene recitato in un contesto adeguato.

Il «cuore» significa, in secondo luogo, l’elemento che dà unione all’intero ritmo della vita, e quindi anche a ciò che si è fatto in passato, e alla stessa struttura psicologica dell’uomo. Solo ciò che si fa «col cuore» è veramente nostro. Da questo Teofane conclude che la vera morale ha la propria sede nel cuore umano e solo parzialmente consiste in atti esterni.

Ciò evidentemente presenta una grossa difficoltà. Siamo in grado, senza troppa fatica, di giudicare i singoli atti, se sono buoni o cattivi. Ma chi può giudicare il «cuore»? La risposta di Teofane è semplice: Proprio per questo Dio ci ha dato la capacità di «sentire». Tutto ciò che tocca la persona si comprende per mezzo del «sentimento». Ma a questo punto possiamo porre un’ulteriore domanda: Dobbiamo fidarci di questo nostro sentimento?

Con questo interrogativo tocchiamo una quantità di obiezioni che si sollevano contro la «spiritualità e la mistica del sentimento». Teofane è consapevole della gravità di tali obiezioni. Per questo distingue con cura, secondo il suo schema antropologico fondamentale, tre specie di sentimenti: del corpo, dell’anima e dello spirito. Solo questi ultimi, nella misura in cui l’uomo ascolta la voce dello Spirito santo, conducono a un giudizio infallibile. In italiano invece di «sentimento» si potrebbe dire «intuizione spirituale». (Il filosofo ebreo Max Scheler, cent’anni dopo Teofane, si è incamminato lungo la stessa strada, con il suo «senso dei valori»). Per acquisire questa «intuizione spirituale» occorrono, secondo Teofane, due condizioni: una negativa, la purificazione del cuore; una positiva, il «nutrire» i sentimenti spirituali con la preghiera.

La purificazione del cuore è uno degli insegnamenti fondamentali dell’esicasmo e significa: l’ascesi, con cui si vincono le cattive passioni, l’anrirhesis, il «contraddire», cioè la pratica di vincere i pensieri cattivi per mezzo di pensieri buoni. La «preghiera di Gesù» (la ripetizione costante dell’invocazione «Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me») è anch’essa una specie di antirhesis, che mette in fuga «tutti i demoni». E’ una giaculatoria, che veglia alla porta del cuore con la spada del cherubino, per impedire l’ingresso ai pensieri malvagi. Chi ha il cuore puro vede Dio (Mt 5,8).

La preghiera manifesta quindi la stessa struttura antropologica della vita spirituale nel suo insieme. Si possono perciò distinguere tre gradi dell’orazione.

Si può parlare della «preghiera corporale», quando si tratta di gesti, di atteggiamenti del corpo, della recita orale, del canto. Tale preghiera costituisce la condizione previa necessaria per i gradi superiori.

Le facoltà dell’anima sono l’intelligenza, la volontà, il cuore. Qui Teofane parla di una preghiera più riflessiva, più «meditativa», o più «attiva», nella quale ha una parte determinante la volontà che formula propositi e prende decisioni.

Infine c’è la preghiera del cuore, che penetra nell’intimo della persona, così che le parole esprimono il sentire profondo dell’uomo.

Teofane conosce anche una preghiera puramente «spirituale», che è dei perfetti. Si tratta di una specie di «estasi». Ma non è un loro privilegio, perché si verifica anche nella vita dei semplici cristiani. Vi sono momenti in cui l’attività dell’intelletto è così forte, che i bisogni e la consapevolezza del corpo vengono dimenticati. Analogamente, può accadere che lo Spirito santo, nel nostro cuore, preghi così intensamente da farci dimenticare, per così dire, ogni realtà creata.

Questi gradi superiori di preghiera non si possono descrivere facilmente, poiché non appartengono alla vita di ogni giorno. Ma la «preghiera del cuore» deve costituire l’obiettivo di ogni cristiano. Teofane considera suo dovere insistere su questa necessità nel nostro mondo inficiato di razionalismo.

Quando dunque recitate le vostre preghiere, fate sì che escano dal cuore, perché la preghiera è, in verità, un sospiro verso Dio.

Molti procedono in modo sbagliato. Si abbandonano al sentimento del cuore solo se questo s’accompagna all’attività del cervello.

Bisogna procedere diversamente: rimanere sempre nel cuore e lasciare la testa da parte. Anche se i bisogni della vita ci costringono a lavorare con l’intelletto, cerchiamo di farlo in modo tale che la sua attività resti sempre radicata nel cuore.

IV - IMPORTANZA

Il secolo XIX fu per la chiesa russa un periodo di risveglio. Le persecuzioni e le leggi di Pietro il Grande (1682-1725),delle imperatrici Anna (1730-1740) e Caterina II (1762-1796), insieme alla crescente secolarizzazione, avevano quasi distrutto il monachesimo russo. Ma la popolazione nelle sue radici era ancora sana e profondamente cristiana. Gli slavofili (A. S. Chomiakov, morto nel 1861, e i suoi seguaci) fondarono in essa le loro speranze per il rinnovamento della chiesa. Indichiamo qui tre correnti importanti di questo risveglio, in cui è visibile l’influsso di Teofane: lo starzestvo, la riforma degli studi teologi e della gerarchia, il «movimento filocalico»

Lo starzestvo russo proviene dall’antica tradizione monastica. Lo starets («anziano», in greco geron) è un monaco, sacerdote o laico, che possiede il dono della diacrisis, del discernimento degli spirito, dei pensieri buoni e cattivi, e di conseguenza è un padre spirituale, una guida alla perfezione.

Gli starets erano presenti nei monasteri russi già molto prima del secolo diciannovesimo. Ma lo starzestvo come scuola, fondata sulla tradizione degli antichi padri e monaci, quasi come una istituzione con un metodo proprio, deve la sua origine allo starets Paisij Velizkovskij (1722-1704). Dai suoi monasteri in Romania i discepoli vennero a Optino (Optina Pustynj), nel governatorato di Kaluga, presso la città di Kozelsk. Colà vissero gli starets più famosi: Leonid Nagolkin (1768-1841), Makarij Ivanov (1788-1860). Amvrosij Grenkov (1812-1891). Il monastero di Sarov, nella provincia di Tambos, divenne celebre per l’attività di Serafino di Sarov (1759-1833).

Di solito Teofane non è annoverato tra gli starets, ma in realtà fu uno dei più importanti di loro, anche se esercitava la direzione spirituale in modo diverso da quello dei santi Serafino e Tichone di Zadonsk (1724-1783). Questi due aprivano le loro celle per ricevere personalmente le persone. Teofane invece rimaneva nella sua reclusione e aveva contatto con la gente per via epistolare, un modo questo di far direzione spirituale praticato nel tempo antico da Barsanufio e Giovanni (sec. VI). Teofane aveva buone ragioni per credere che questo metodo fosse adatto anche per i tempi moderni. G. Tertyschnikow ha caratterizzato il suo starzestvo con le seguenti parole:

Con una raffinata sensibilità egli indovinava i bisogni spirituali di coloro che si rivolgevano a lui, chiariva i loro problemi e i loro dubbi con partecipazione personale e cordiale. Grazie alla sua grande sensibilità, si sviluppava subito una relazione spirituale tra lui e il suo corrispondente, il che gli permetteva di affrontare le difficoltà con correttezza e sincerità... Se doveva far aspettare qualcuno, si scusava sempre. Le sue lettere erano per i suoi corrispondenti un valido sostegno nel combattimento della vita, motivo di gioia nelle ore difficili, causa di consolazione nella tristezza.

La riforma della chiesa russa ha avuto anche altre radici. Nel sec. XIX vennero rinnovate le scuole teologiche, per elevare il livello culturale del clero proveniente dalle accademie e dai seminari e per rinnovare al contempo la teologia e la gerarchia stessa. Le cose andavano di pari passo. Tra i professori un ruolo importante spettava ai «monaci dotti». Erano monaci che studiavano nelle accademie ecclesiastiche; spesso ricevevano l’ordinazione sacerdotale subito dopo l’ingresso nel monastero. Diventavano poi insegnanti o rettori di seminari, o professori nelle accademie, e spesso erano ordinati vescovi in giovane età. Così la chiesa russa ebbe parecchi capi importanti: il metropolita di Mosca Filarete Drozdov (1782-1867): il vescovo di Zernigov, Filarete Gumilevskij (1805-1866); Filarete di Kiev (1779-1857); il vescovo Ignazio Brianzaninov, autore di molti libri spirituali (1807-1867) e infine anche il nostro Teofane.

Poiché nella chiesa orientale i vescovi devono essere celibi, essi provenivano tutti dal monachesimo. Una settantina di essi furono canonizzati: alcuni a causa delle loro virtù eccellenti, poiché non avevano abbandonato l’ascesi monacale neppure da vescovi; altri perché pastori delle anime, altri come scrittori; altri infine perché avevano difeso i diritti della chiesa e della fede.

I grandi vescovi del sec. XIX si ispirarono agli esempi del passato. Filarete di Mosca esercitò per cinquant’anni un influsso profondo sulla vita ecclesiastica. Compose un catechismo e fu noto come predicatore insigne. Analoga fu l’attività di Filarete di Kiev. Di lui si dice che leggesse ogni settimana il catechismo del suo confratello e omonimo «per esaminarsi e per vedere se il suo pensiero fosse rimasto entro i limiti dell’ortodossia». Troviamo lo stesso zelo per la fede anche nel dotto Filarete Gumilevskij. Ignazio Brianzaninov e Teofane invece vanno accostati maggiormente allo stile di vita monastico.

Ma Teofane appare anche come difensore dell’ortodossia. Come altri teologi russi, anch’egli sottolinea la tserkovnost’, il senso della chiesa, la volontà di vivere secondo il suo spirito, la ricerca della perfezione in unione con essa, la sua difesa contro tutti gli attacchi. Più di altri, Teofane si rese conto del grande pericolo che minacciava la fede in Russia nell’ambiente delle persone colte: una comprensione errata della «realtà spirituale». Essa proveniva dalla cultura occidentale moderna, ma in realtà non era altro che l’antico errore della gnosi: lo «spirituale» viene identificato con l’«intellettuale», con ciò che è rapportato alla ragione. Sotto pretesto di cercare «una spiritualità superiore e più pura» si esclude l’azione dello Spirito santo, abbandonando come «realtà esteriori» le tradizioni della chiesa e trascurando persino i sacramenti. L’origine di questa nuova gnosi è il razionalismo. E come se il diavolo, rimasto legato per mille anni (Ap 20,20) - scrive Teofane - al tempo del rinascimento avesse assalito nuovamente l’Europa e ora stesse penetrando anche in Russia.

Una volta Teofane vide su un giornale la caricatura di un uomo con una testa enorme e il corpo piccolo, e disse: «Così è l’uomo oggi!». Contro questa mutilazione dell’integrità umana Teofane conosce un solo mezzo efficace: «Discendere dalla testa nel cuore», come ripete in numerose lettere. Contro un pensare e un parlare inficiati di intellettualismo c’è un solo mezzo: la preghiera. Si tratta di passare dalla speculazione sulla fede a una teologia orante.

Tocchiamo così il terzo elemento del rinnovamento, già menzionato: il cosiddetto movimento filocalico. Non di rado c’erano stati nella storia della spiritualità libri che avevano segnato l’inizio di una neova epoca. Uno di questi è la Philoka!ia tòn hieròn heprikõn. di Nicodemo Aghiorita. monaco atonita (1749-1809) e del vescovo Macarios di Corinto (1731-1805). Il libro apparve nel 1782 a Venezia. Già il suo titolo è caratteristico: Philokalia significa amore per ciò che è buono e bello. E come se gli autori avessero voluto dire: Cerchiamo nuovamente, nel nostro tempo, i veri valori. E Io scritto indica la strada attraverso la quale trovarli con abbondanza: nei santi padri, i quali praticavano la «vigilanza» e la «sobrietà», (nepsis), che significa la preghiera interiore. La Filocalia è quindi un’antologia, una raccolta di letture sulla preghiera esicastica, dai padri greci e da autori bizantini.

Già al tempo di Nicodemo, Paisij Velizkovskij aveva tradotto i testi dei padri esicastici in slavo ecclesiastico. Sembra che abbia accostato i suoi testi all’edizione greca della Filocalia, prima che uscisse, nel 1793, il suo Dobrotoljubie (Amore per il bene). Ma le due antologie non sono identiche. Quella di Velizkovskij fu riedita nel 1822. E questa l’edizione di cui racconta il «Pellegrino russo», che egli portava sempre con sé e dalla quale imparò la preghiera del cuore.

Il Dobroioljubie di Teofane vede la luce un secolo dopo (1876-1889). Si tratta di una traduzione russa, ampliata e adattata, dell’antologia greca in 5 volumi. Non è una traduzione del tutto letterale, ma il senso dei testi è colto così bene, che fino ad oggi coloro che conoscono ambedue le lingue, la greca e la russa, preferiscono il testo russo. Tra le righe della traduzione traspare l’esperienza propria di Teofane.

Alla sua morte fu scritto nel «Messaggero ecclesiastico» alla morte di Teofane: «Il suo nome, è certo, non verrà dimenticato dopo la sua morte. Al contrario, sarà più conosciuto, così come crescerà la spiritualità tra i cristiani. La fama di Teofane si dilaterà, perché egli fu un grande maestro cristiano, che seppe dare una risposta ai problemi spirituali della vita di ogni giorno».

 

Note

  1. G. Tertyschnikov, Auf dem Wege zu Gott. Leben und Lehre des Starzen Theophan, con introduzione di G. Schröder, Leipzig 1978, p. 33
  2. Cf. I. Kologrivof, I santi russi, Milano 1977, pp. 343-396.
  3. Tertyschnikov, Auf dem Wege zu Gott, p. 34.
  4. Ivi.
  5. Tertyschnikov, Auf dem Wege zu Gott, p. 35.
  6. Tertyschnikov, Auf dem Wege zu Gott, p. 38
  7. I. A. Krutikov, Il Vescovo Teofane. Recluso e asceta dell’eremo di Vyšen, (in russo), Mosca 1985, pp. 61s.
  8. Tertyschnikov, Auf dem Wege zu Gott, p. 43.
  9. Tertyschnikov, Auf dem Wege zu Gott, p. 44.
  10. Tertyschnikov, Auf dem Wege zu Gott, p. 49
  11. Linee fondamentali della morale cristiana, (Nacèrtanie christianskogo nravouzenija), Mosca 1985, p. 411.
  12. Tambov 1873; Mosca 1905.
  13. Mosca 1974.
  14. Nella rivista “Dušepoleznoe étnie” (“Letture utili per l’anima”), 1877; come libro, Mosca 1879; di nuovo in “Dušepoleznoe étnie”m 1881:Capita pratica et theologica.
  15. Venezia 1549.
  16. L’edizione del monastero russo S. Panteleimone sul Monte Athos (1877), è in cinque grandi volumi. Fu in Russia molto richiesta, in specie singoli volumi, perciò fu spesso ristampata. L’edizione del 1983 fu riprodotta fototipicamente nel 1963 dal monastero della SS. Trinità di Jordanville, NY, USA.
  17. Che cosa è la vita spirituale…, Mosca 1897, pp. 26s
  18. La via della salvezza, Mosca 1908, p. 33.
  19. Le linee fondamentali della morale cristiana, p. 479.
  20. Špidlìk, La doctrine spiritelle… pp. 51s
  21. Th. Spàčil, Doctrina theologica Orientis separati de revelatione, fide, domate, Roma 1935, pp. 106s.
Letto 5250 volte Ultima modifica il Sabato, 31 Marzo 2012 18:23
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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