Riselo
Che fate quassù, pastori,
mentre in ogni strada, fuori,
sembra che animali e uccelli
vadano incontro a portenti?
Presto, alzatevi e correte
verso la valle! Vedrete
che l'attraversano insieme
con tutta la loro gente
tre re di vari paesi.
Dicono che dall'Egitto,
da Saba e da Tarsi arrivano:
e così pare, a guardarli
nei diversi abbigliamenti.
Il più vecchio indossa un abito
di stoffa egiziana, ornato
con alamari di perle;
ha un turbante ricamato
attorno alle bianche tempie.
Mille zingari e gitane
l'accompagnano con danze
che si fanno eco nei monti,
dove da una parte all'altra
mille suoni allegramente
si rispondono. Il secondo
ha la tunica talare
d'una stoffa delicata
che è come se melagrane
tutte d'oro, con i grani
di diamanti, vi fioriscano.
Il terzo è un negro, ed è tale
che se il sole avesse voglia
un giorno di ripararsi,
si prenderebbe quel negro
così elegante per ombra.
Cingono il collo lucente
perle preziose, coralli
e collane di rubini
e gemme d'ogni colore
in filigrane sottili.
I negri che per altezza
danzando vengono avanti
allietano i verdi boschi
e rianimano le valli
silenziose. A voler dire
i cammelli e gli elefanti
delle loro retroguardie,
non si potrebbe contarli.
Tanto vi basti. Pensate
che tutta questa grandezza
va a Betlemme, a inginocchiarsi
ai piedi di un bambinello
che giace povero e ignudo
su un mucchio di paglia. Andate
andate laggiù, pastori!,
e vedrete meraviglie
da non crederci, e miracoli
da togliervi la parola:
troverete un Dio che ha madre
e non ha padre, perché
suo Padre vive nel cielo
e lassù lo ha generato
prima ancora che nascesse;
capirete com'è nato
grazie al suo amore, più tardi,
da una Vergine inviolata,
da una bambina che forse
ancora non ha compiuto
quattordici anni; e il suo nome
era conosciuto in cielo
prima che il mondo nascesse.
Lorenzo
Oh, che festa di portenti!
Riselo
Venite con me, pastori!
Lorenzo
I lupi restino a guardia
delle pecore.
Pasquale
Su, a valle,
a valle, ragazzi, a valle!
Escono; ed entrano Giuseppe e la Vergine col Bambino in braccio
Vergine
Sento che vi struggete, sposo mio.
Giuseppe
E voi, Signora, vi meravigliate?
Senza Gesù amoroso fra le braccia,
volete che non soffra?
Ah, come questi splendidi rubini
trasformarono in viole i gelsomini !
Con che pazienza, prima, se ne stava,
lui, principe di pace,
sopra quel legno.
Vergine
E il cielo,
che tante volte santo lo proclama,
con quanta meraviglia lo guardava
versare il proprio sangue, lui, Re eterno,
ancora così tenero e bambino!
Ah, Gesù mio adorato,
tu piangi dal dolore che ha trafitto
per primo le mie viscere; tu sai
che sono trafitture
di madre - e di chi altro? -; tu, mio Dio,
che da me stessa attingi,
sai che ti nutro essendo tua creatura.
Adesso di questi occhi
si asciugheranno le due perle belle...
Su, su, via quei singhiozzi,
via quel cruccio dalle dolci stelle...
Non è niente, è passato, ora, è passato!
Giuseppe
Piangerà di dolore, non di cruccio.
I crucci del Signore,
quelli di cui si rattristava un tempo,
ebbero fine in questo giorno santo
con l'offerta di sé.
Signora, entrate dentro,
che Gesù, forse, calmerà il suo pianto.
Vergine
Amore mio, riposa,
anche se la tua culla è stretta stretta
e povera; riposa,
anche se siamo all'aria, al freddo e al gelo.
Giuseppe
Vergine, a cui s'inchina
la bianca luna, entrate, ve ne prego,
ché se voi gli cantate,
il bimbo s'addormenta in un momento.
(...)
Felix Lope de Vega
(da La nascita di Cristo, Torino 1985)