Poveri mendicanti d’infinito,
viviamo sempre inquieti.
Sempre in cerca.
Dal nascere fino alla morte.
Un segno velato riga la nostra fronte
ed attraversa tutti i nostri giorni.
Potremmo apparire agli occhi di molti
dei torvi pessimisti
e smunti dall’inganno.
In realtà, sopraffatti dal mistero
che abbiamo percepito
vibrare nelle nostre esistenze.
(Fosse pure una volta soltanto!).
Non possiamo che restare abbacinati,
sotto il peso del vuoto e della stanchezza
che ci tramortisce,
avvolti dalle laceranti melodie del silenzio e della solitudine
– aride steppe consumate dalle alte fiamme del desiderio.
I nostri silenzi suscitano molte congetture.
Ma noi non abbiamo parole a sufficienza.
Ed il nostro linguaggio risulta sempre stranito
per i molti orecchi che si contentano
di una religione civile, razionale, moderata.
Siamo considerati
perduti nelle paludi della follia
quando la vera follia
è di quanti non sanno vedere oltre la linea dell’orizzonte
e mantengono lo sguardo richiuso
sul proprio ombelico.
E ci sarà pure chi sosterrà
d’aver trovato l’origine della nostra inquietudine
annidata in qualche cromosoma, aminoacido
o neurotrasmettitore.
Sono le sentenze di chi non comprende
che non tutte le strade hanno una meta.
Che più delle risposte
– il nostro cuore arde,
lasciandosi cullare dalle domande.
E che c’è dato di provare sete
ed ancora sete
– una sete inestinguibile –
sulla sponda di qua.
Non chiamatela maledizione.
Grande è il dono
che è stato seminato nei nostri giorni.
La splendida breccia d’infinito
che perenne devasta i nostri cuori.
Francesco Spera