Vita nello Spirito

Domenica, 14 Febbraio 2016 10:44

Convivere con la malattia (Luciano Sandrin)

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Le persone con una malattia cronica devono sempre confrontarsi con limitazioni fisiche. Come affrontare allora i cambiamenti che la malattia impone sul piano fisico, psicologico e sociale? Come trovare nuovi equilibri che consentano di continuare a vivere al meglio?

Le malattie sono diverse, come diverse sono le risposte del malato e della sua famiglia. Dipende dalla durata della malattia e dalla sua evoluzione. Il momento acuto e iniziale della malattia è una esperienza a volte traumatica, accompagnata da emozioni forti come rabbia e paura. Salvo casi particolari, il paziente si riassesta abbastanza presto e, una volta risolto il problema, tutto torna psicologicamente come prima. Quando invece la malattia si cronicizza, aumenta nel malato la paura del futuro, del non potercela fare o dell'abbandono da parte dei familiari, e sentimenti di pessimismo e sfiducia prendono il sopravvento. La propria immagine perde smalto e la persona si sente svalutata.
Un buon adattamento alla malattia non è sempre facile. L'aiuto che viene dall'esterno può essere fondamentale, specialmente se chi sta accanto alla persona malata cerca di dare la giusta attenzione al corpo dell'individuo, a "ciò che non va", ma soprattutto di considerare le molte possibilità e forze che rimangono.
Il comportamento del malato può essere, a volte, piuttosto "infantile". Di fronte a emozioni e difficoltà troppo forti, l'individuo torna su posizioni affettivamente più sicure e dalle quali poter chiedere protezione, senza vergognarsi. E un vivere affidandosi agli altri, con meno doveri e responsabilità.

La "regressione"

Il bambino che, quando si ammala, ricomincia a succhiarsi il dito o a far la pipì a letto, dopo aver smesso da tempo questi comportamenti, è un chiara conseguenza di quel dinamismo, spesso inconscio, che gli psicologi chiamano regressione. Così il padre di famiglia o il nonno che amano farsi coccolare.
L'individuo malato affida ad altri il comando della sua nave. Questo lo porterà a una maggior dipendenza, non solo fisica, ma anche emotiva dal medico, dall'infermiere o dal volontario. Ma anche dai familiari: la moglie può diventare la "mamma" che lo coccola e lo protegge. Una dipendenza anche sulle decisioni da prendere.
Il malato si ripiega su se stesso, i suoi interessi sono limitati, il suo orizzonte diventa il suo corpo, la sua malattia, il suo letto. Con questi comportamenti egli esprime, soprattutto, un bisogno di tenerezza, di attaccamento e di amore. Anche nei rapporti con Dio o con i santi preferiti. A questi bisogni è importante rispondere senza "infantilizzare" il malato.
Sono molte oggi le persone che devono convivere con malattie croniche. I sentimenti che queste malattie suscitano e i modi di "far fronte" ad esse sono vari. Una caratteristica sembra comunque accomunare questi malati: il rendersi conto di fluttuare da uno stato relativamente normale a momenti di seria ricaduta. Ciò potrà provocare, tra l'altro, sentimenti di attesa angosciosa e di preoccupazione per la propria vita futura, piena di insidie e di rischi difficili da controllare.
Il malato può sforzarsi di capire cosa sta accadendo e cercare di fronteggiarlo con tutti gli aiuti disponibili o, viceversa, sviluppare una rassegnazione passiva, un sentimento di impotenza e di resa. Con conseguenti vissuti depressivi. Oppure diventare un "arrabbiato" cronico, al quale non va bene mai niente.

Tra dipendenza e autonomia

L'esperienza di questi malati ruota attorno ad alcune aree problematiche. E sempre presente il pericolo di crisi acuta anche mortale che il soggetto deve essere preparato a gestire per sopravvivere e condurre un'esistenza soddisfacente, e avere per questo le informazioni adeguate.
Può essere pesante la gestione della terapia e del nuovo stile di vita, a volte difficilmente sopportabile da parte dell'interessato, con la ristrutturazione della propria vita e del proprio tempo in cui ci sono posologie da seguire, controlli da fare, sequenze di orari da rispettare, con il rischio di perdere i contatti con l'ambiente circostante, diradando uscite e coinvolgimenti relazionali.
La perdita dell'autonomia, insieme all'impegno a seguire prescrizioni e la minaccia di crisi, è una delle ragioni più importanti per le quali il soggetto tende a isolarsi, cercando anche di celare la propria condizione a parenti e amici che, d'altra parte, si sentono a disagio e riducono man mano visite e contatti. Il contesto familiare può essere, in questi casi, una risorsa o una complicazione: la qualità dei rapporti familiari incide, infatti, molto pesantemente sull'andamento della malattia e sui modi di fronteggiarla.
Sono molte le fonti di stress che il malato deve affrontare e tollerare. Il conflitto tra dipendenza e autonomia è, però, centrale nella malattia cronica e, in vari modi, disabilitante. Ma è un rapporto che varia nel tempo e che deve essere continuamente "rinegoziato". Un buon adattamento alla malattia dipende, in gran parte, dal comportamento di chi lo cura.

Luciano Sandrin

(tratto da Missione Salute, n. 5, 2013, p. 67)

 

Letto 2561 volte Ultima modifica il Domenica, 14 Febbraio 2016 10:53
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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