Vita nello Spirito

Martedì, 12 Aprile 2016 20:34

Accoglienza (Fabio Corazzina)

Vota questo articolo
(1 Vota)

Testo della relazione tenuta al seminario promosso dai Padri Maristi sul tema Di fronte alla globalizzazione dell'indifferenza, c'è ancora posto per la misericordia? (La Neylière - Lione, 29-31 marzo 2016).

Forza Nuova Brescia - FB - 8 gennaio 2015 ore 12,05
«Sentitevi a casa vostra: così il vescovo di Brescia si è rivolto agli stranieri in Italia, poche ore prima dell’attacco terroristico che ha causato 12 morti a Parigi. «Riterremo la curia bresciana e chiunque promuova l’immigrazione di massa responsabili morali di eventuali attacchi terroristici di matrice islamica, che potrebbero avere luogo da un momento all’altro anche nella nostra città, brulicante di moschee e centri islamici abusivi».
Denunciano poi sindaco, prefetto e vescovo per reato di immigrazione incontrollata al fine di ricavarne: voto e appoggio politico, molti nuovi fedeli e un business fertilissimo.
L’amico don Tonino Bello nel 1992, di fronte all’ondata di sbarchi dall’Albania, scriveva: «Voglio sfogare con qualcuno la tristezza che mi devasta l’anima in questi giorni, alla vista di tanti stranieri che hanno invaso l’Italia, e verso i quali la nostra civiltà, che a parole si proclama multirazziale, multiculturale, multietnica, e multireligiosa, non riesce ancora a dare accoglienze che abbiano sapore di umanità.
So bene che il problema dell’immigrazione richiede molta avvedutezza e merita risposte meno ingenue di quelle fornite da un romantico altruismo. Capisco anche le “buone ragioni” dei miei concittadini che temono chi sa quali destabilizzazioni negli assetti consolidati del loro sistema di vita. Ma mi lascia sovrappensiero il fatto che si stentino a capire le “buone ragioni” dei poveri allo sbando, e che, in quest’esodo biblico, non si riesca ancora a scorgere l’inquietante malessere di un mondo oppresso dall’ingiustizia e dalla miseria. […]
È necessario vincere gli istinti xenofobi che ci dormono dentro. Che si ammantano di ragioni patriottiche. Che scatenano, all’interno delle nostre raffinatissime città, inqualificabili atteggiamenti di rifiuto, di discriminazione, di violenza, di razzismo. E che implorano dalle istituzioni, con martellante coralità, rigorosi provvedimenti di forza. Siamo vittime di una insopportabile prudenza, e scorgiamo sempre angoscianti minacce dietro l’angolo.
Perché lo straniero mette in crisi sostanzialmente due cose: la nostra sicurezza e la nostra identità».

La notte omicida della sicurezza e della identità

Giobbe 24,14: Quando non c'è luce, si alza l'omicida per uccidere il misero e il povero; nella notte si aggira il ladro e si mette un velo sul volto. La notte è sorella della morte, è luogo di banditi.
La notte è il luogo dell’esclusione abitata da numerosi fantasmi: i muri, la violenza, i silenzi, l’egoismo, gli interessi, le paure, i miti, l’integrazione (che cancella l’altro).

«Il problema è avere occhi e non saper vedere,
non guardare le cose che accadono, nemmeno l'ordito minimo della realtà.
Occhi chiusi. Occhi che non vedono più. Che non sono più curiosi.
Che non si aspettano che accada più niente.
Forse perché non credono che la bellezza esista.
Ma sul deserto delle nostre strade Lei passa,
rompendo il finito limite e riempiendo i nostri occhi di infinito desiderio». (Pierpaolo Pasolini)
Esodo 12,42: Notte di veglia fu questa per il Signore per farli uscire dal paese d'Egitto.
Questa sarà una notte di veglia in onore del Signore per tutti gli Israeliti, di generazione in
generazione.
Esodo 13,14: Quando tuo figlio domani ti chiederà: Che significa ciò?, tu gli risponderai:
Con braccio potente il Signore ci ha fatti uscire dall'Egitto, dalla condizione servile.

Poema delle 4 notti (Targum palestinese)

1) la notte della creazione o dell’amore umile

«La prima notte fu quando il Signore si manifestò sul mondo per crearlo: il mondo era deserto e vuoto e la tenebra si stendeva sulla superficie dell’abisso, ma il verbo del Signore era la luce e illuminava. Ed egli la chiamò: notte prima».
C’è un mondo che va ri-creato: un mondo deserto e vuoto, violento e inospitale. Dentro questo buio serve la luce.

La dottrina dello Zimzum:
«Il Dio biblico è ritiro, e il mondo accade perché egli si ritira»: il ritirarsi di Dio è "differenziazione creatrice", "kènosi" dell'amore eterno che consente all'essere finito di venire all'esistenza e di permanere in essa nella contingenza della libertà. È questo il motivo ispiratore della dottrina "giudaico-cabalistica" dello "zim-zum" divino, secondo la quale il mondo è potuto apparire proprio perché Dio si è nascosto e contratto. Per creare l'altro come "partner" dell'alleanza, l'Eterno accetta di raccogliersi in un atto di sovrana "auto-limitazione" in modo che la creatura possa esistere "al di fuori di Lui": lo spazio dell'abbandono di Dio diventa l'ambiente vitale dell'autonomia dell'essere creato, la condizione della sua libertà di accettazione o di rifiuto del Creatore».

Accoglienza o convenienza?
«L’accoglienza non può essere il criterio ispiratore di una seria politica statale. Perché si scontra con l’ineludibile problema della «scarsità »: quanti se ne possono accogliere? Qual è il tetto massimo? Quante risorse possiamo mettere a disposizione dell’accoglienza se la vogliamo decente? A chi e a quali altri compiti toglieremo queste risorse? L’unico criterio su cui è possibile fondare una politica razionale dell’immigrazione, per quanto arido o «meschino» possa apparire a coloro che non apprezzano l’etica della responsabilità, è dunque quello della convenienza, della nostra convenienza . Una volta adottato con franchezza ci consente di porci il problema - che altri Stati si sono già posti - di come selezionare gli immigrati. È evidente che se usiamo il criterio dell’accoglienza non possiamo selezionare. Invece, possiamo, e dobbiamo, farlo alla luce delle convenienze. Di quali immigrati abbiamo bisogno? Con quali caratteristiche, con quali eventuali competenze?»     (A. Panebianco - Il Corriere della sera 13-01-2014 ).

2) la notte di Abramo o della fede

«La seconda notte fu quando il Signore si manifestò ad Abramo dell’età di 100 anni, mentre Sara sua moglie ne aveva 90, affinché si adempisse ciò che dice la scrittura: Certo Abramo genera all’età di 100 anni e Sara partorisce all’età di 90 anni. Isacco aveva 37 anni quando fu offerto sull’altare. I cieli si abbassarono e discesero e Isacco ne contemplò la perfezione e i suoi occhi rimasero abbagliati per le loro perfezioni. Ed egli la chiamò: notte seconda».

Generare
Hannah Arendt, filosofa e scrittrice tedesca, scrive nel 1958: «il fatto che l’uomo sia capace di azione significa che da lui ci si può attendere l’inatteso, che è in grado di compiere ciò che è infinitamente improbabile. E ciò è possibile solo perché ogni uomo è unico e con la nascita di ciascuno viene al mondo qualcosa di nuovo nella sua unicità».
Da lui ci si può attendere l’inatteso ...
Il poeta non è chi sa meglio usare la parola ma chi sa meglio ascoltare Il profeta non è chi sa duramente condannare ma chi sa teneramente indicare.
Il cristiano non è chi sa con tenacia custodire ma chi sa con amore creare e generare.

4 verbi del definiscono e raccontano l’azione del generare GENERARE:

• DESIDERARE: vincere la paura e avere uno sguardo capace di vedere le stelle, di cercare la luce nel buio, oltre il buio. Coscienti che la legge, la regola non è nemica del desiderio e che il legame non è nemico della libertà e della speranza.

• PARTORIRE, METTERE AL MONDO: oltre la sterilità sapere che essere l’inizio non significa essere l’origine, mettere al mondo non significa schiavizzare e controllare. Partorire è fare l’esperienza del limite che si affida, che fa spazio all’altro, non lo cancella anzi gli da, gli offre la vita.

• PRENDERSI CURA: è di chi sa volgere lo sguardo e vedere l’altro, è coltivare con competenza e passione, è accettare con pazienza le situazioni, è far durare, fare memoria, è lottare per non perdere il dono di nessuna vita

• LASCIARE ANDARE: ci chiede di saper passare il testimone, liberandoci dalla prepotenza per affidarsi alla sapienza di Dio che genera processi e si fida che costruiranno bene e futuro, superando la prepotenza e l’impotenza per agire la deponenza cioè quella potenza che accetta l’esistenza di altre persone, di altre strutture, di altri punti di vista... «non significa rinuncia alla libertà, all’azione, al desiderio di vita, ma è un semplice atto di riconoscimento: constata che tutte le volte che agiamo, che ci assumiamo responsabilità, tutte le volte che svolgiamo un’azione, che desideriamo qualcosa, che esercitiamo la nostra libertà, siamo debitori di qualcosa che c’era prima di noi, che ci precede, che ci sta attorno, che sta oltre a noi». (Mauro Magatti)

3) la notte dell’Esodo o della speranza liberatrice

«La terza notte (della salvezza) fu quando il Signore si manifestò contro gli egiziani durante la notte: la sua mano uccideva i primogeniti d’Egitto e la sua destra proteggeva i primogeniti di Israele per compiere la parole della Scrittura: Israele è il primogenito (Es 4,22). Ed egli la chiamò: notte terza».

Cittadini o popolo (papa Francesco)
Essere cittadini è fondamentale ma non è sufficiente per costruire un popolo. Diventare un
popolo è molto più che essere cittadini titolari di diritti e doveri.
I  cristiani sono a un primo livello cittadini della chiesa, ma non basta; devono diventare popolo e per di più un popolo fedele che sta in mezzo agli altri. Occorre diventare un “popolo di gente che benedice”.
E per questo percorso c’è bisogno di un governo. A una sacrosanta lotta per i diritti al fine di diventare cittadini occorre segua un governo per diventare popolo; un governo che ricordi e dia spazio a un indirizzo comune, a un “forma” di popolo.

«Il tempo è superiore allo spazio»
II criterio ricordato da papa Francesco nella Evangelii gaudiumil tempo è superiore allo spazio”: significa lavorare a lunga scadenza, senza dare la precedenza ai risultati immediati e preoccupandosi di iniziare processi, più che occupare spazi (cfr. EG 222-225) «Dare priorità allo spazio porta a diventare matti per risolvere tutto nel momento presente per tentare di prendere possesso di tutti gli spazi di potere e di autoaffermazione. Significa cristallizzare i processi e pretendere di fermarli. Dare priorità al tempo significa occuparsi di avviare processi più che di possedere spazi, in vista di una crescita senza retromarce». Controllo e governo non sono la stessa cosa evidentemente. L’investimento sul tempo richiede misericordia cioè un atteggiamento inclusivo che sposta il centro fuori da sè privilegiando azioni che generano nuovi dinamismi, che coinvolgono altre persone e gruppi.
Si tratta in fondo di fare crescere lo spazio della promessa considerando peccato tutto ciò che la impedisce. La questione è quindi il popolo fedele, non il popolo intelligente.

4) la notte del Messia o dell’amore crocifisso

«La quarta notte sarà quando il mondo giungerà alla sua fine per essere redento. Le sbarre di ferro saranno spezzate e le generazioni degli empi saranno distrutte. E Mosè salirà dal deserto e il Re dall’alto: è il Verbo camminerà in mezzo a loro ed essi cammineranno insieme. E’ la notte di Pasqua nel nome del Signore, notte predestinata e preparata per la redenzione di tutti i figli d’Israele in ogni loro generazione».

Le opere di misericordia nuovo paradigma ecclesiale (Stella Morra) la misericordia evoca molto dell’esperienza vissuta perché è portatrice di sovrabbondanza. Sono 7 le caratteristiche della misericordia come categoria generatrice di un nuovo paradigma ecclesiale oltre la dimensione dogmatica e veritativa:

1. ha il suo oggetto fuori di sé: da il nome a uno stile, una qualità un modo della relazione
2. è un bidirezionale perfetto: fare misericordia e ricevere misericordia. Funziona con la stessa forza in tutte le direzioni, non fa preferenze nell’uso attivo e passivo.
3. ha un carattere processuale interno:può essere ripetuto all’infinito ma non è mai identica la ripetizione. L’azione ha già mutato tutti gli attori.
4. ha uno spiccato valore pratico: è molto più difficile spiegare la misericordia che viverla; è sempre storica e mai generica.
5. è una categoria inclusiva: è sempre particolare e universale; ogni esercizio di misericordia è unico e irripetibile. se è astrazione non è misericordia.
6. non è propria di un appartenenza: appartiene fortemente alla tradizione cristiana ma non è sequestrabile dalla logiche sacrali e confessionali. Più che un luogo di appartenenza è un luogo in cui ci si può intendere.
7. in essa azione ed emozione producono pensiero non ne sono nemiche.

La realtà è più importante dell’idea
«La realtà semplicemente è, l’idea si elabora». A noi sarà chiesto di cosa abbiamo elaborato di fronte alla realtà che è. Papa Francesco usa tre verbi: «cogliere, comprendere e dirigere la realtà». Un processo ben diverso dal classico percorso razionalista: parto da un principio, lo declino (spiego) e correggo la realtà se non corrisponde. Dirigere è molto diverso da correggere. Non dimentichiamo che nella scrittura il contrario della verità non è l’errore teorico ma l’infedeltà concreta al processo di salvezza

Verso cosa camminiamo? Abbiamo una meta? Abbiamo una meta condivisa? Perchè la sensazione è che anche nella nostra città ognuno ha la voglia di camminare ma verso mete ben diverse. C’è chi desidera sicurezza per sè e per i nostri, c’è chi pregusta succulenti guadagni, c’è chi immagina e prepara scenari violenti, c’è chi urla ingiustizia, c’è chi finge di avere una meta, c’è chi spera di vincere le paure, c’è chi se ne fraga, c’è chi prepara per sè un angolo tranquillo, c’è chi accoglie, c’è chi vuole legalità e giustizia, c’è chi prega per un mondo nuovo, c’è chi viaggia verso l’odio, c’è chi si innamora del diverso, c’è chi vede plurale e chi vede uniformi. Spero che oggi, nella nostra comunità a partecipazione plurale si possano condividere 3 mete:

- superare insieme la cultura del nemico e della violenza per recuperare la memoria del bene che c’è e che possiamo agire oltre che valorizzare le esperienze di riconciliazione e approccio nonviolento ai conflitti che emergono ogni giorno

- superare insieme la cultura dello scarto e dell’esclusione per creare luoghi e occasioni di accoglienza, di lavoro, di giustizia, di dignità, di collaborazione. Finchè l’ultimo, il povero, il rifiutato non sarà a casa (da noi, nella nostra città) nessuno di noi potrà dire di essere a casa e chiudere le porte per affrontare la notte. Le porte se esistono non sono per chiudere fuori, queste diventano muri, ma per dire sei a casa, non temere siamo con te e per te.

- superare insieme la cultura dell’indifferenza e dell’ignoranza per una politica del bene comune e dei processi costruttivi, non del potere, della corruzione e dell’egoismo, per una informazione che suscita vita e non odio, per un incontro non per lo scontro, per la legalità e responsabilità non per il rifiuto, per l’”i care” non per il “me ne frego” (don Milani).

Ecco quindi alcune piste di lavoro:

1.  per la chiesa cattolica sono fondamentali due direttrici nell’intervento a favore degli immigrati: Evangelizzazione e Promozione Umana. Approfondire l’apporto biblico su questa prospettiva.

2. non anestetizzare l’elemento religioso - di fronte a chi continuamente, e con ragioni non banali, demonizza l’elemento religioso come scatenante violenza e fondamentalismo sanguinoso (monoteismi e violenza) dobbiamo chiederci se la sparizione del senso religioso dell’uomo (secolarizzazione forzata) allontana i rischi di conflitto o se sposta continuamente il confine del senso di onnipotenza dell’uomo, incapace di Dio

3.  non sottovalutare le paure - di chi non ha ancora metabolizzato le complesse questioni identitarie. I timori di chi è confuso o impreparato si trasformano facilmente in rifiuto, gestiti con intelligenza possono valorizzare le possibilità di confronto

4. curare le relazioni interpersonali - favorire la diretta relazione fra persone, facilitare la comunicazione, creare occasioni di confronto paritario in presenza dell’altro. I sensi, lo sguardo, i toni della voce, la stretta di mano, la vicinanza fisica favoriscono la condivisione, l’umanizzazione del diverso.

5.  l’integrazione non è una strada a senso unico: non è un cammino che deve percorrere solo l’immigrato. L’integrazione è anche un cammino della società che accoglie.

6. nel piccolo territorio di una parrocchia o di un quartiere abita il mondo intero. Dal punto di vista religioso e culturale si impone la questione ecumenica accanto al dialogo interreligioso e all’incontro interculturale.

7.  la scommessa educativa, ha come soggetto il NOI (umanità) non l’IO (anche collettivo), e la sua personale e particolare salute identitaria e valoriale.

8.  allargare esperienze e luoghi di partecipazione e corresponsabilità, visto che nella città di Brescia un abitante su cinque proviene da paesi stranieri, comunitari e non. Quasi 40.000 persone su poco più di 190.000 abitanti. Tutti regolarmente presenti in città e in continuo aumento indipendente dal colore politico del governo cittadino. Siamo ben oltre il problema dell’accoglienza, siamo nella stagione della cittadinanza e della partecipazione.

9.  le scelte urbanistiche definite dai Piani di Governo Territoriale. Brescia vuole crescere, superare i 200.000 abitanti. Non lo potrà fare cancellando gli stranieri e non lo potrà fare nemmeno confinandoli in alcuni quartieri (il “carmine” o le nuove periferie) e nemmeno rispondendo solo a questioni di bilancio comunale o a logiche di speculazione edilizia.

10. dalla parte delle famiglie e dei familiari. Quando una persona può vivere con la sua famiglia non può che scommettere con maggiore determinazione sul futuro, sulla legalità, sulla giustizia, sull’educare, sulla condivisione, sull’amore.

11.  soprattutto, c’è da invertire la logica dello scontro e far prevalere le ragioni dell’incontro e del dialogo, le uniche che possono riaprire una stagione di solidarietà con chi soffre ingiustamente per la spaccatura del mondo lungo i suoi assi cardinali: Nord-Sud, Oriente-Occidente. Perché non vivere la proposta di Paolo VI nella Ecclesiam suam sul dialogo della salvezza (cfr n 73-79)?
«Creeremo speranza se avremo il coraggio di riconoscere che una città non si costruisce solo su basi materiale, economiche e di potere, sarebbe come un edificio costruito sulla sabbia. Essa si regge soprattutto sulla nostra coscienza. Il pericolo o la prospettiva viene dall’uomo: dalla menzogna che lo abita e lo rende nemico all’altro o dalla verità che lo libera e sa armonizzare parole, gesti, scelte e responsabilità».

Fabio Corazzina

 

Letto 1988 volte Ultima modifica il Martedì, 12 Aprile 2016 21:28
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

Search