Vita nello Spirito

Domenica, 15 Maggio 2016 11:24

E siate riconoscenti (Benedettine di S. Maria di Rosano)

Vota questo articolo
(0 Voti)

Comprendiamo quanto cammino dobbiamo ancora fare per imparare la bontà che si fa gratitudine e crea intorno a noi un clima di delicatezza, di benevolenza umile e longanime.

Non si é trovato chi ritornasse a rendere gloria a Dio all'infuori di questo straniero?" (Lc 17,19).
Nel Vangelo di Luca leggiamo che, mentre il Signore è diretto verso Gerusalemme, gli vengono incontro dieci lebbrosi i quali a gran voce lo supplicano di avere pietà di loro. Gesù li invia ai sacerdoti e, mentre sono per strada, questi si trovano risanati ma quando riscontrano la guarigione tanto bramata uno solo torna indietro lodando Dio e correndo ai piedi di Gesù per ringraziarlo. E l'evangelista sottolinea che questi era un samaritano.
Forse anche noi deploriamo istintivamente la grettezza di quei nove e li riteniamo così meschini da essere incapaci di qualsiasi segno di riconoscenza per il dono grande, prezioso e così desiderato della salute. Ma siamo sicuri che noi sempre assomigliamo a quell'unico che ha saputo staccarsi dal gruppo e ritornare a ringraziare per aver ricevuto gratuitamente la salvezza?
Se pensiamo a quanti attriti si creano nella vita sociale e nell'ambito delle stesse famiglie per mancanze anche minime di attenzione e di rispetto, e se consideriamo come diventi faticoso superarle e dimenticarle, comprendiamo quanto cammino dobbiamo ancora fare per imparare la bontà che si fa gratitudine e crea intorno a noi un clima di delicatezza, di benevolenza umile e longanime. Quante volte una parola riconoscente basterebbe infatti a trasformare una situazione, a rasserenare i cuori, a dare fiducia, forza, gioia!
Gesù mostra quale valore attribuisca alla gratitudine con una parola accorata: "Non sono stati guariti tutti e dieci? E gli altri nove dove sono?". E con evidente rammarico soggiunge: "Non si è trovato chi tornasse a rendere gloria a Dio all'infuori di questo straniero?", quasi a volere con questa domanda condurre gli uomini a chiedersi perché nella pratica risulti così difficile riconoscere il bene ricevuto.
Se siamo sinceri, dobbiamo rispondere che il motivo è chiaro: non vogliamo, in fondo, sentirci bisognosi e non ammettiamo di buon animo che altri ci offrano quell'aiuto che forse abbiamo anche richiesto o almeno sperato: "La riconoscenza è umiltà essenziale della creatura, che sa di non aver alcun diritto di fronte al suo Creatore e ogni giorno con una gioia nuova spalanca lo sguardo sui beni di cui è stata saziata, anche in mezzo al dolore, poiché non c'è dolore che non racchiuda la sua goccia di consolazione (...). Troppo spesso invece non portiamo al Signore se non il nostro scontento, i desideri insoddisfatti, i lamenti della natura, che cerca la pace e la gioia eludendo ogni momento presente, mentre proprio esso, con tutte le sue modalità, è dono e grazia" (Madre Cabitza).
S. Beda commenta il brano dei dieci lebbrosi alla luce dell'esperienza monastica: "Veramente rende grazie a Dio, dice il santo, colui che respinti i pensieri della propria presunzione, umilmente vede quanto sia debole in se stesso, nessuna virtù attribuisce a sé e riconosce che il bene che compie è dovuto solo alla misericordia del Creatore". Seguendo la narrazione evangelica il grande monaco osserva che è facile trovare chi, pur ricolmo di doni, tuttavia è ingrato nei confronti di Dio perché, gonfio di superbia, non si stende a terra con la pia umiltà del rendimento di grazie. Ma solamente quello che si è prostrato davanti al Signore si sente rivolgere il comando di alzarsi.
Chi ha conquistato questo atteggiamento interiore sa godere con semplicità di tutto, conosce la letizia del cuore, diffonde la pace con ogni sollecitudine di carità ed è nella disposizione felice di attirare nuovi doni, come afferma il Crisostomo in una sua omelia: "Rendiamo sempre grazie a Dio! Ogni giorno Egli ci colma dei suoi benefici: sarebbe assurdo non rivolgergli neppure una parola di ringraziamento tanto più che tale riconoscenza ci è fonte di nuove grazie. Non è Lui, infatti, che ha bisogno di noi, ma noi di Lui. Il nostro rendimento di grazie non gli aggiunge nulla, ma rende noi più intimi a Lui". Il santo vescovo conclude poi rivelandoci un segreto di ascesi spirituale: "Rendiamo grazie a Dio, egli dice, non solo per i nostri benefici, ma anche per quelli degli altri; potremo così guarire dall'invidia, incrementare la carità, essere più sinceri. Non è possibile essere invidiosi di quei benefici di cui si ringrazia il Signore".
Ripensando al rammarico di Gesù per i nove lebbrosi che non hanno sentito il bisogno di ringraziare ci viene spontaneo di fare nostre le parole di congedo dell'arcangelo Raffaele, che tornano più volte nel libro di Tobia come un canto armonioso e corroborante e possono divenire l'anima della nostra preghiera: "Fate conoscere a tutti gli uomini le opere di Dio, come è giusto e non trascurate di ringraziarlo (...). Benedite il Signore sulla terra e rendete grazie a Dio" (Tob 12,16.20).

Benedettine di S. Maria di Rosano

(tratto da Il sacro speco di S. Benedetto, 6, 2005, pp. 122-123)

 

Letto 1819 volte Ultima modifica il Domenica, 15 Maggio 2016 11:47
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

Search