Vita nello Spirito

Domenica, 26 Marzo 2017 10:11

La vicenda biografica di una cistercense fiamminga (Felice Accrocca)

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Profondità della mistica femminile medievale: Beatrice di Nazareth.

Della vicenda biografica di Beatrice di Nazareth, nata nel 1200 a Tienem nel Brabante fiammingo (a poche decine di chilometri da Bruxelles) e morta nel 1268 come priora del monastero cistercense di Nazareth presso Lier (non troppo distante da Anversa), siamo informati grazie al racconto agiografico della Vita Beatricis, scritto poco dopo la sua morte da un monaco cistercense rimasto anonimo. Insieme all’opera principale di Beatrice — I sette modi di amare Dio (Van seven manieren van heiliger minne), il più antico testo in prosa della letteratura in medio-nederlandese — questa fonte agiografica è stata ora per la prima volta presentata al pubblico in traduzione italiana nel volume 56 della prestigiosa collana “Letture cristiane del secondo millennio” (Introduzione di Franco Paris ed Elena Tealdi. Traduzione e note del testo nederlandese di Franco Paris. Traduzione e note del testo latino di Elena Tealdi, Edizioni Paoline, Milano 2016, pagine 311, euro 33).

Quello della mistica femminile brabantina medievale è un universo che solo di recente ha guadagnato l’attenzione degli stessi storici della Chiesa e della spiritualità, i quali fino a pochi decenni or sono conoscevano a malapena l’argomento. Basti dire che ancora alla metà del secolo scorso non si sapeva nulla di Margherita, autrice dello Specchio delle anime semplici, opera individuata da Romana Guarnieri nella biblioteca apostolica vaticana e da lei fatta conoscere al mondo il 16 giugno 1946 proprio attraverso le pagine dell’«Osservatore Romano». Oggi gli scritti di queste donne sono studiati in tutto il mondo, dall’Europa agli Stati Uniti, dall’America latina all’Asia: ne emerge un universo mentale e affettivo ardente e volitivo, una fede consumata nel rapporto con Dio-Amore tesa all’unione trasformante con Lui, in una tensione costante «in cui estasi e sofferenza si alternano con veemenza» (I sette modi, vv. 165-166, pagina 74).

Pur collocandosi nell’area renano-fiamminga, Beatrice mal s’inserisce nell’alveo dei rappresentanti della cosiddetta “mistica dell’essenza”, formulata da autori quali Meister Eckhart, Jan van Ruusbroec, Enrico Suso, Giovanni Taulero e che passa attraverso la via dell’annichilamento quale condizione necessaria all’unione con Dio. La monaca di Nazareth sembra meglio collocarsi, in realtà, nel solco della mistica cistercense, inaugurata da Bernardo di Clairvaux e Guglielmo di Saint-Thierry, che trova nella via amoris un presupposto essenziale alla mistica sponsale, con una sua originale collocazione all’interno anche della mistica femminile brabantina. Pur non arrivando alle arditezze — e alle ambiguità, sia detto a onor del vero — teologiche e lessicali della Porete, né agli struggenti lamenti di Hadewijch d’Anversa, cui Amore procurò più dolore che piacere («quaranta volte almeno dolore, per una di piacere»), la sua anima-sposa è però pervasa dal desiderio possente di «un’unione più intima e una conoscenza più profonda» (I sette modi, vv. 312-313, pagina 79): «da qui il piacere dell’esercitarsi nell’amore per Dio». «È come una donna di casa che gestisce e guida alla perfezione le attività domestiche. Tutto è ordinato a dovere, e organizzato con sapienza e con un piano ben preciso, la donna agisce dentro e fuori a suo piacimento. Allo stesso modo si comporta quest’anima: l’amore per Dio vi regna con irruenza» (vv. 325-326. 331-338, pagina 80).
Si coglie, in Beatrice, anche la distanza dalle mistiche coeve di area centro-italica: mentre ne I sette modi l’immagine del crocifisso sembra navigare sott’acqua, nel senso che non trova nel testo un’esplicita menzione, nell’esperienza mistica femminile umbro-toscana si manifesta, invece, una spiccata propensione verso Gesù in croce: è il caso di Angela da Foligno, la quale avrebbe voluto toccare con le proprie mani quei brandelli della carne di Cristo che i chiodi portarono fin dentro il legno della croce; di Maddalena, la mistica di Cortona, che di fronte alla croce gemeva di dolore e d’amore; di Chiara, la monaca di Montefalco che ebbe la croce di Cristo innervata nel cuore. Viceversa, si mostra più sfumata a tale riguardo Chiara d’Assisi, la quale, seguendo le orme del suo «beatissimo padre» — com’ella, con un’insistenza tutta particolare, era solita appellare Francesco —, si rivela in piena sintonia con il pensiero dell’Assisiate ponendosi davanti alla globalità del mistero dell’incarnazione di Cristo. Anche lei, tuttavia, nello scrivere ad Agnese di Boemia la invitò a contemplare lo specchio nel quale riluceva, oltre «la povertà di Colui che è posto in una mangiatoia e avvolto in pannicelli», «l’umiltà santa, la beata povertà, le fatiche e le pene senza numero che Egli sostenne per la redenzione del genere umano», pure «l’ineffabile carità, per la quale volle patire sull’albero della croce e su di esso morire della morte più vergognosa». Nondimeno, è vero che solo Chiara d’Assisi ebbe l’ardire di redigere dei testi in prima persona (o meglio, solo di lei sono giunti fino a noi degli scritti).

Felice Accrocca

(tratto da L’Osservatore Romano - 27 dicembre 2016)

 

Letto 2352 volte Ultima modifica il Venerdì, 20 Marzo 2020 17:06
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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