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Domenica, 07 Settembre 2025 08:46

XXIII Domenica del tempo ordinario - Anno C In evidenza

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XXIII Domenica del tempo ordinario - Anno C

Omelia di Paolo Scquizzato

Prima Lettura Sap 9,13-18

Dal libro della Sapienza
 

Quale uomo può conoscere il volere di Dio?
Chi può immaginare che cosa vuole il Signore?
I ragionamenti dei mortali sono timidi
e incerte le nostre riflessioni,
perché un corpo corruttibile appesantisce l’anima
e la tenda d’argilla opprime una mente piena di preoccupazioni.
A stento immaginiamo le cose della terra,
scopriamo con fatica quelle a portata di mano;
ma chi ha investigato le cose del cielo?
Chi avrebbe conosciuto il tuo volere,
se tu non gli avessi dato la sapienza
e dall’alto non gli avessi inviato il tuo santo spirito?
Così vennero raddrizzati i sentieri di chi è sulla terra;
gli uomini furono istruiti in ciò che ti è gradito
e furono salvati per mezzo della sapienza».


Salmo Responsoriale Sal 89 (90)

Signore, sei stato per noi un rifugio
di generazione in generazione.

Tu fai ritornare l’uomo in polvere,
quando dici: «Ritornate, figli dell’uomo». 
Mille anni, ai tuoi occhi,
sono come il giorno di ieri che è passato, 
come un turno di veglia nella notte.

Tu li sommergi:
sono come un sogno al mattino, 
come l’erba che germoglia;
al mattino fiorisce e germoglia, 
alla sera è falciata e secca.

Insegnaci a contare i nostri giorni 
e acquisteremo un cuore saggio. 
Ritorna, Signore: fino a quando? 
Abbi pietà dei tuoi servi!

Saziaci al mattino con il tuo amore:
esulteremo e gioiremo per tutti i nostri giorni. 
Sia su di noi la dolcezza del Signore, nostro Dio: 
rendi salda per noi l’opera delle nostre mani, 
l’opera delle nostre mani rendi salda.

 
Seconda Lettura  Fm 1,9b-10.12-17
 
Dalla lettera di san Paolo apostolo a Filèmone
 
Carissimo, ti esorto, io, Paolo, così come sono, vecchio, e ora anche prigioniero di Cristo Gesù. Ti prego per Onèsimo, figlio mio, che ho generato nelle catene. Te lo rimando, lui che mi sta tanto a cuore.
Avrei voluto tenerlo con me perché mi assistesse al posto tuo, ora che sono in catene per il Vangelo. Ma non ho voluto fare nulla senza il tuo parere, perché il bene che fai non sia forzato, ma volontario.
Per questo forse è stato separato da te per un momento: perché tu lo riavessi per sempre; non più però come schiavo, ma molto più che schiavo, come fratello carissimo, in primo luogo per me, ma ancora più per te, sia come uomo sia come fratello nel Signore.
Se dunque tu mi consideri amico, accoglilo come me stesso.
 
 
Canto al Vangelo (Sal 118,135)


Alleluia, Alleluia

Fa' risplendere il tuo volto sul tuo servo
e insegnami i tuoi decreti.

Alleluia, Alleluia

 

Vangelo Lc 14,25-33
Dal Vangelo secondo Luca
 

In quel tempo, una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro:
«Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo.
Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo.
Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”.
Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace.
Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo».

 

OMELIA
 
Trasformarsi da servi a discepoli, da marionette mosse da fili invisibili a esseri umani liberi, richiede un atto radicale: imparare a “odiare” ogni potere che tenta di soffocare il nostro vero Sé. Non si tratta di odio distruttivo, ma di un distacco, di una disidentificazione da ciò che pretende di definire la nostra identità.
È necessario sciogliere i legami con tutto ciò che appartiene alla dimensione storica: nascita e morte, successi e fallimenti, inizi e conclusioni. Solo così, liberandoci dalle identificazioni che ci imprigionano, potremo conoscere ciò che sta al fondamento del nostro essere: la realtà suprema, il nostro Sé più vero.
Il grande maestro Thich Nhat Hanh ci offre un’immagine luminosa:
«Sulla superficie dell’oceano ci sono molte onde, alcune alte, altre basse, alcune belle, altre meno. Tutte hanno un inizio e una fine. Ma quando entrate in profondo contatto con le onde, realizzate che le onde sono fatte soltanto d’acqua, e dal punto di vista dell’acqua non ci sono inizio e fine, alti e bassi, nascita e morte».
Noi siamo onde, ma ci illudiamo di essere soltanto questo: la forma fragile, la cresta che appare e scompare. Dimentichiamo d’essere acqua, la sostanza che costituisce l’onda. Ci attacchiamo alla superficie, investiamo energie e speranze in ciò che è destinato a dissolversi. E così smarriamo il contatto con la nostra realtà profonda: l’acqua infinita, senza principio né fine, che non conosce nascita né morte.
Gesù stesso invita a questa liberazione. Chiede di rompere con ogni illusione che scambia per vita ciò che è solo apparenza, anche quando si tratta di realtà preziose come gli affetti più cari — padre, madre, figli, fratelli, sorelle — e persino la nostra stessa vita biologica. Perché in verità esistono due vite:
• la vita che conosciamo, fragile e consumata dal tempo, nutrita di ciò che nasce e muore;
• e la Vita che ci attraversa, senza inizio e senza fine, che ci unisce al Tutto e ci fa partecipi dell’Uno.
Non siamo chiamati a trattenere l’onda, ma a riconoscerci acqua. Non a difendere ciò che passa, ma ad abitare ciò che resta.
Ogni distacco che ci è chiesto – dagli affetti, dai ruoli, persino dal nostro stesso volto – non è perdita, ma iniziazione: un varco verso l’essenza.
In fondo la vita autentica non si misura nei battiti del tempo, ma nell’intensità con cui partecipiamo all’Infinito che ci attraversa. Lì, dove non c’è nascita né morte, non c’è servo né padrone, ma solo il silenzioso splendore del Sé che è Uno con tutto.
Riconoscerlo è il vero atto di libertà. È allora che cessiamo di essere marionette e diventiamo esseri umani: non più prigionieri della superficie, ma trasparenti all’abisso da cui veniamo e verso cui siamo continuamente richiamati.

 
Paolo Scquizzato
 
Letto 5 volte Ultima modifica il Domenica, 07 Settembre 2025 09:00
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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