Monaco benedettino francese, professore emerito di teologia a Roma, vanta numerose pubblicazioni tradotte in svariate lingue e l'affetto di una generazione di studenti che ha goduto da un lato della sua caratura intellettuale e dall'altro della sua capacità di coniugare immagini e idee, spiritualità e astrazione, fedeltà alla tradizione e spirito di scoperta.
Nel prologo della sua opera principale, il grande teologo san Tommaso d'Aquino dichiara di rivolgersi soprattutto ai principianti per aiutarli a progredire nella "sacra doctrina". Oggi, a chi si rivolge la teologia e a cosa serve?
"Oggi, almeno in Francia, ci sono tanti laici che richiedono la teologia. Nelle parrocchie fioriscono i gruppi di studio, sia dei testi biblici, sia di una teologia che potremmo dire "elementare", ma estremamente seria. La teologia si muove certamente su di un piano accademico, ma spero sappia accogliere le richieste che queste persone avanzano relativamente ad un insegnamento scientifico di livello medio alto. Spero che si formino professori in grado di nutrire questa teologia, per aiutare la formazione fondamentale dei cristiani...che oggi, a dire il vero, sono un po’ ignoranti"
Posso scrivere così?
"Forse non è il caso dell'Italia, non conosco a fondo la situazione, ma in Francia, a fronte di attese molto grandi, non si può negare che un certo sfondo cristiano è sparito. Si deve ricominciare per così dire da capo, ma la domanda è molto forte e la gente reagisce molto bene".
La domanda del popolo cristiano è di sapere di più di teologia?
"Per "teologia" intendo sapere cosa significa essere cristiani in questo tempo. Del resto, lo scopo della teologia è questo, non certo quello di creare gruppi teoretici di alto livello".
Possiamo dunque dire che la teologia, per un cristiano, è investigare su chi si è?
"Sì, ma mettendo in rilievo che essere cristiano significa essere parte del corpo di Cristo, essere discepolo di Cristo, dunque conoscere Cristo. Non puoi conoscere la tua identità cristiana se non conosci Cristo, sia a livello intellettuale che a livello della vita, della preghiera, dell'impegno spirituale".
Nel suo ultimo libro sull'Eucaristia, lei avverte di aver offerto un saggio di "teologia meditativa".
"Sì, in quel libro ho provato a dire una parola "da anziano". Ho passato molti anni nello studio della teologia scientifica, affiancandolo, come potevo, con uno spirito di meditazione cristiana, dì "contemplazione". Ho pensato sia giunto il momento in cui offrire il midollo del ragionamento, piuttosto che tutte le cose sulle quali si appoggia il ragionamento. "Teologia meditativa" per descrivere un tentativo di offrire una riflessione che possa essere meditata da tutti. Una riflessione cioè, che non avesse come caratteristica principale solo una certa coerenza intellettuale, ma che rispondesse anche a un bisogno e desiderio spirituale, e che fosse comprensibile per tutti. Si tratta, in definitiva, di un modo di fare teologia per nulla nuovo ma molto radicato nella tradizione e nella riflessione".
Lei parla di "bisogno di spiritualità". E tuttavia una delle accuse che si fa a volte alla teologia è di essere slegata dalla vita concreta dei cristiani...
"Io non sono in grado di dare un giudizio sulla teologia italiana. Ho però letto parecchi libretti di formazione cristiana dell’Azione cattolica italiana e li trovo veramente di alto livello. Li trovo ben fatti e li leggo con piacere. Secondo me, è materiale molto ben adattato ai suoi iscritti, giovani e adulti, e che suppone dei redattori che conoscono bene la teologia".
È curioso che lei chiami "di teologia" i libretti dell'Azione cattolica: in genere, li si classifica tra le opere "pastorali"...
"Una pastorale che non è radicata in una percezione un po’ seria del mistero cristiano, non penso si possa definire "pastorale". Sicuramente, ci sono altri elementi nella pastorale, ma per quanto riguarda il nucleo del mistero cristiano, dipende dalla teologia. D'altra parte, pensare una teologia accademica senza nessun contatto con la spiritualità e con la pastorale, diventa un esercizio astratto".
Lei è cristiano, monaco e teologo. Come stanno in rapporto questi tre elementi?
"Teologo e monaco non fanno problema perché sono due dimensioni dell'essere cristiano. In monastero c'erano tante vocazioni, tutte differenti; io, ho fatto il teologo. È vero, chi si interessa alle cose della teologia, al pensiero cristiano, deve trovare un equilibrio fra il suo interesse un po’ straordinario - nel senso di "non ordinario" - e la necessità di essere un fratello con gli altri. È una cosa sempre da rimettere in questione di fronte a sé stesso, di fronte agli altri e di fronte ai superiori. Occorre trovare man mano un equilibrio. Importante è ricordare che il centro della vita monastica non è la teologia universitaria, perché l'essenziale della vita monastica è la ricerca di un rapporto con Dio. A un certo punto, tra l'altro, diventa sempre più chiaro che l'iniziativa della ricerca è in mano a Lui. In realtà, è Lui il primo ad avere un rapporto con noi. In altre parole: non occorrono grandi sforzi per fare coesistere il monachesimo e in teologia. Il problema è l'equilibrio, non l'essere monaco e teologo. È lo stesso problema di tutte le vocazioni cristiane: non è più difficile essere "teologo e monaco" di quanto lo sia ad esempio essere "falegname e monaco"".
Significa che noi siamo sempre più cose? Che nessuno di noi è mai una cosa sola?
"Eh, sì. E l'equilibrio giusto non è mai raggiunto una volta per tutte. Si deve sempre togliere e aggiungere: è il rischio e la bellezza della vita. Del resto, quando non c'è nulla da mettere a posto, ci si annoia...".
A proposito di "mettere a posto"; l'ultimo convegno dell’Associazione teologica italiana, cui lei ha partecipato, ha posto l'attenzione sul rapporto fra annuncio del Vangelo e riforma della Chiesa. Quali sono a suo avviso i temi più urgenti su cui ragionare oggi?
"E’ difficile rispondere in poche parole. Dovendo indicare un tema centrale, direi il ministero. Il prete di tipo tridentino, con tutta la spiritualità che si è sviluppata successivamente, aveva un ruolo assolutamente centrale nella forma della Chiesa. Il Concilio Vaticano II ha modificato questa figura a livello teorico, ma i cambiamenti strutturali conseguenti sono stati molto difficoltosi. Forse si potrebbe, almeno a livello del pensiero teologico, mettere tra parentesi per il momento tutte le nostre consuete immagini ministeriali e ripensare tutte le diverse funzioni ecclesiali alla luce della Scrittura, tenendo conto delle richieste reali del mondo e della Chiesa dove siamo. Occorre forse ripensare, ancora più a fondo di quanto ha fatto il Concilio, i fondamenti del sacerdozio, di una vita radicale, di una vita confessionale, ripensare un po' l'insieme dei doni, delle funzioni e dei carismi nella Chiesa".
Nei suoi interventi, lei parla sempre con entusiasmo della modernità.
"Io sono convinto che dobbiamo assumere l'essere moderni, per diversi motivi. Il primo è il più semplice: non possiamo fare altrimenti, siamo tutti moderni. In secondo luogo, la modernità porta con sé dei frutti umani di alto valore, nei quali noi viviamo e che chiedono di essere assunti. Nessuno di noi sarebbe disposto a tornare in un mondo antico, gerarchico, scomodo. La libertà, la coscienza, la storia, l'interpretazione di essa sono tutti frutti della modernità, senza contare gli sviluppi tecnici e scientifici che ci permettono di vivere meglio. In terzo luogo, questi valori di libertà, coscienza, storia, mi sembra che corrispondano molto bene all'insegnamento del Nuovo Testamento. Gesù è venuto nella storia e ci ha invitato a pensare e a vivere nell'insieme, dalla Creazione all'Apocalisse. Gesù è venuto a portare la libertà che certamente è anche una certa liberazione interiore: la capacità di decidersi".
La modernità come una grande possibilità, quindi?
"Certamente. Di recente, ho parlato di "assunzione moderata della modernità". Essa infatti, deve essere assunta e adattata, lottando ad esempio contro tutti gli eccessi: pensiamo ad esempio al problema della corretta distribuzione delle risorse. Nella corretta assunzione della modernità, è fondamentale l'idea della rinuncia. a mio avviso intrinseca alla modernità stessa. Spesso abbiamo pensato alla questione della rinuncia solo come legata alla dinamica del peccato. Essa, in realtà, è legata anche alla dinamica della storia. La storia, infatti, suppone una scelta, sempre. E scegliere è sempre decidersi a favore di una direzione rinunciando alle altre. Fare storia, poi, è anche fare storia insieme: ascoltare e rispettare gli altri chiede anche di rinunciare a se stessi. La vera modernità ha una componente di rinuncia. È un elemento su cui forse non tutti Coloro che si dicono "moderni" sono d'accordo, ma tant'è. Definirei una "via regale" l'essenza della modernità, nella sua componente di libertà e rinuncia".
La chance che ci offre la modernità è quindi quella di riconoscere di essere creature, libere e capaci di scelte, quindi di rinunce?
"Sì. E questo san Tommaso lo ha spiegato benissimo, all'inizio della parte morale della sua Summa Theologiae: noi siamo immagine di Dio in quanto facciamo ciò che vogliamo, secondo i disegni della nostra saggezza. Nello stesso modo che Dio fa ciò che vuole secondo i decreti della sua scienza, allo stesso modo facciamo noi. Ovviamente, dice Tommaso, la nostra scelta non è assolutamente indipendente perché la nostra saggezza non è assolutamente indipendente, ma dipende dalla nostra disposizione a Dio e alla sua Parola. Essere liberi, in fondo, è fare ciò che "voglio". Il problema è come "volere bene". Soprattutto di questo è interessante occuparsi...".
Marco Ronconi
(da Jesus, febbraio 2004)