Formazione Religiosa

Giovedì, 24 Febbraio 2005 00:14

Verità della Bibbia (Gaetano Castello)

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Verità della Bibbia

di Gaetano Castello



Molte volte il credente, leggendo alcune pagine della Sacra Scrittura, si trova di fronte a problemi di coerenza apparentemente insolubili tanto da determinare in alcuni la scelta di un'adesione piena a ciò che si legge, in altri la scelta di una definitiva «emancipazione» che relega la Bibbia tra i libri di credenze ormai passate e insostenibili.

Verità delle scienze e verità della Bibbia

Le acquisizioni scientifiche moderne, in ogni campo del sapere, rivelano infatti l'incongruenza tra alcuni passi della Bibbia e le posizioni della scienza. Come sostenere che la creazione e il frutto a dell'attività divina descritta nei primi capitoli della Genesi? In Gn 1 si parla della creazione dell'universo e dell'uomo in sei giorni, mentre la scienza parla di intere epoche, di milioni di anni di gestazione per ogni trasformazione, verificatasi nel cosmo, dalla sua origine all'apparizione dell'uomo, recentissima se misurata in termini di milioni di anni. E come si potrà sostenere la creazione dell'uomo come trasformazione di un po' di fango attraverso un soffio divino di fronte alla fondata, benché discussa, teoria dell'evoluzione delle specie?

Domande sulla coerenza della Bibbia con la verità oggettiva dei fatti vanno oltre l'ambito delle scienze naturali coinvolgendo questioni storiche e conoscenze geografiche. Non solo. Alcune domande nascevano anche tra gli antichi lettori della Bibbia che si imbattevano in discordanze interne alla stessa Bibbia, talvolta interne alla stessa narrazione, come è il caso del «diluvio universale» di Gn 6-9.

Eppure la fiducia nella Bibbia come Parola ispirata da Dio stesso quindi «inerrante», come si usava dire fino a prima del Concilio vaticano II, non è mai crollata. In ogni tempo si è cercato di spiegare le incongruenze di cui si è detto proponendo diverse soluzioni. Così gli antichi rabbini sostenevano che le cose sarebbero risultate chiare, alle menti incapaci di comprendere, con il ritorno di Elia che avrebbe spiegato le apparenti discordanze (per es. quelle tra Ezechiele e la Torà). I Padri della Chiesa e gli antichi scrittori cristiani sottolinearono spesso l'aspetto di «mistero» intrinseco alla Parola di Dio, che la rendeva solo apparentemente incongruente. Spesso si indicò la soluzione nella lettura «allegorica» della Bibbia, sottolineando il fatto che le notizie, la descrizione di fatti, avevano in realtà come vero scopo la rivelazione di una realtà superiore, spirituale, di fronte alla quale la coerenza della historia o della littera biblica diventava del tutto secondaria. Benché questo principio della «lettura spirituale» della Bibbia abbia dominato nell'antichità cristiana e nel Medio Evo, l'esigenza di risposte più precise e soddisfacenti ai problemi che nascevano dal confronto tra Sacra Scrittura e scienza divenne sempre più pressante fino a determinare una vera e propria crisi allorché, con l'era moderna, si verificò quel progresso di conoscenza che determinò il superamento dell'antica, unificata concezione dell'uomo e del cosmo.

Il caso più noto, emblematico di questa crisi, è quello di Galileo Galilei con il problema dell'eliocentrismo. L'antica concezione tolemaica veniva minata e con essa la base su cui alcune affermazioni bibliche potevano essere spiegate. Che senso avrebbe avuto a quel punto il comando di Giosuè «fermati o sole» (Gs 10,12-14), se la scienza poteva dimostrare che a girare era la terra e non il sole? Emergeva con drammaticità il problema che avrebbe dominato la coscienza dell'uomo moderno: proseguire nel cammino scientifico con la forza della ragione avrebbe voluto dire abbandonare le antiche concezioni sull'uomo e sul mondo di cui tanti riflessi appaiono anche nella Bibbia? Già sant' Agostino aveva affermato che il Signore «voleva fare dei cristiani, non degli scienziati», una affermazione che sarà ripresa e sviluppata da Galilei nella sua Lettera a Cristina di Lorena del 1615.

Il cammino, come è facile immaginare, non è stato facile. La condanna di Galileo da parte della Chiesa sembrava sancire la rottura tra scienza e fede, tra verità scientifica e verità della Bibbia come qualcosa di inevitabile. La verità, almeno così sembrava ai più, doveva essere ricercata e trovata scegliendo l'una o l'altra via: la fede, con la Bibbia «inerrante», o la scienza moderna, con i suoi tentativi e le sue verità.








Tentativi di soluzione

Non sono mancati tentativi di riconciliazione, come la cosiddetta teoria del «concordismo» che, di fronte alla teoria evoluzionistica di Darwin, propose di leggere il dato biblico sulla base delle conoscenze scientifiche attuali: così, per es., i sei giorni del racconto di creazione (Gn 1) andavano in realtà compresi come sei diverse epoche geologiche...

Ma la via da seguire sarà un'altra e verrà faticosamente indicata da chi, mantenendo la fede nella Bibbia come Parola di Dio, la affronterà senza rinunciare all'intelligenza critica, alle esigenze della ragione. Alla base di questo atteggiamento che si interroga sul significato, la destinazione, gli ambiti relativi alla lettura della Bibbia e alla ricerca scientifica, vi è la coscienza di fondo che la parola di Dio è parola divino/umana. Eppure, nonostante questi presupposti, altre vie imboccate dovevano risultare insufficienti. La proposta che maggiormente ebbe successo alla fine del secolo scorso, e che può apparire a prima vista convincente, è che la Bibbia è «inerrante» in tutte quelle parti che riguardano l'ambito della fede e della morale. Naturalmente una tesi del genere si scontra con il principio antichissimo e sempre ribadito che l'intera Bibbia è ispirata da Dio.







La via giusta


La via giusta per affrontare il problema della «verità» della Bibbia venne imboccata proprio grazie ad una maggiore apertura verso acquisizioni scientifiche in campo letterario che solo con fatica e tra mille perplessità iniziali furono utilizzate per la comprensione della Sacra Scrittura. Studiosi della Bibbia, soprattutto tedeschi, già dal secolo scorso fecero osservare come l'insieme dei libri che costituiscono la Bibbia appartenessero a «generi letterari» diversi, non solo, perciò, al genere «storico». Si può facilmente intuire quali fossero le conseguenze di un simile approccio all'insieme delle Sacre Scritture. È come se il lettore di quest'articolo, leggendo un qualunque libro della sua biblioteca, non avesse altro modo di leggerlo se non come libro di storia, assegnando lo stesso valore ad un romanzo, ad una novella, ad un saggio e così via.

Si pensi, per esempio, al libro biblico di Giona, il riluttante «profeta» chiamato da Dio a predicare la conversione dei peccati agli abitanti di Ninive, città simbolo della perversione dei costumi. Giona rimase per tre giorni, secondo quella narrazione, nel ventre di un pesce (Gio 2,1), per essere poi rigettato all'asciutto (Gio 2,11). Le difficoltà a considerare «storico» un simile fatto sono evidentemente enormi. Così è se non si considera che quel libro, con il suo meraviglioso messaggio di perdono divino per tutti gli uomini, non solo per gli israeliti, appartiene al genere letterario della «novella profetica» di cui si apprezza soprattutto l'aspetto didattico, l'insegnamento sulla misericordia di Dio e sull'universalità della salvezza che attraverso la novella di Giona si intende dare agli israeliti.

Ancora più chiaro per tutti noi è il caso del libro dell' «Apocalisse». Movimenti, sètte, persone di ogni tempo ne hanno frainteso e ridotto il messaggio, interpretando il libro alla lettera, come una sorta di «prima visione» di ciò che materialmente accadrà alla fine del mondo. Non hanno cioè considerato, ne lo fanno tutt'oggi i Testimoni di Geova, che il libro delle «Rivelazioni» appartiene al genere letterario «apocalittico-profetico». Caratteristica fondamentale del genere apocalittico, molto diffuso all'inizio dell'èra cristiana, è quella di utilizzare cifre, immagini, colori, descrizioni simboliche. Il lettore che voglia comprenderne il messaggio è chiamato innanzitutto a decodificare quei simboli, non ad assumerli semplicemente come la descrizione, in anteprima, di ciò che accadrà, che rimane un mistero.

Questa attenzione al genere letterario non toglie nulla alla verità del messaggio comunicato dai testi, anzi, è l'unica via per non confondere i modi di espressione con il messaggio della salvezza. Una via obbligata per distinguere il messaggio di salvezza rivelato all'uomo non solo attraverso la descrizione degli interventi di Dio nella storia (il re Davide, gli eroici Maccabei), ma anche attraverso racconti più antichi (le origini del mondo e dell'uomo di Gn 1-11, la vicenda di Giobbe o quella di Giona recuperati dall'autore sacro come mezzi per comunicare all'umanità il progetto salvifico di Dio.







La verità... per la nostra salvezza


Dalla fine del secolo scorso gli interventi di alcuni Papi sull'argomento servirono a porre degli argini a quei tentativi di soluzione alla questione della «verità della Bibbia» ritenuti insufficienti. Dalla Providentissimus Deus di Leone XIII alla Divino Afflante Spiritu di Pio XII si apriva definitivamente la strada al nuovo modo di accostare la Bibbia, mantenendo la fedeltà al principio dell'Ispirazione divina e dunque della Verità proposta da Dio all'uomo per la sua salvezza, ed aprendo il campo ad una maniera scientificamente «critica» di affrontare la Scrittura. Si giunse, così, all'accoglienza di quanto proprio le scienze letterarie offrivano agli studiosi di Sacra Scrittura per chiarire il problema: «Quindi l'esegeta cattolico, per rispondere agli odierni bisogni degli studi biblici, nell'esporre la Sacra Scrittura e nel mostrarla immune da ogni errore, com' è suo dovere, faccia pure prudente uso di questo mezzo, di ricercare cioè quanto la forma del dire o il genere letterario adottato dall'agiografo possa condurre alla retta e genuina interpretazione; e si persuada che questa parte del suo ufficio non può essere trascurata senza recare gran danno all'esegesi cattolica» (Providentissimus Deus, cf. Enchiridion Biblicum 560).

Respinte le soluzioni teologiche insufficienti, i Padri del Concilio Vaticano Il, al n. 11 della Dei Verbum, hanno presentato l'argomento in questi termini: «poiché dunque tutto ciò, che gli autori ispirati o agiografi asseriscono, è da ritenersi asserito dallo Spirito Santo, si deve dichiarare, per conseguenza, che i libri della Scrittura insegnano fermamente, fedelmente e senza errore la verità che Dio per la nostra salvezza volle fosse consegnata nelle Sacre Scritture».

Viene indicato così, dal Magistero più alto della Chiesa, che la soluzione non sta nel limitare il principio della verità biblica a una determinata parte della Sacra Scrittura, ma nell'assumere nei suoi confronti la corretta prospettiva; nel considerare, insomma, la vera finalità per la quale essa fu consegnata all'uomo.

Quella del Concilio è una parola che orienta credenti, esegeti, teologi, sgombrando il campo dai tanti equivoci a cui può condurre una maniera semplicistica o teologicamente insufficiente di parlare della «verità della Bibbia».
Sulla base dell'affermazione conciliare, che riprende ciò che è presente in maniera semplice nella fede del credente, giudeo e cristiano, appare più chiaro che la Parola di Dio, senza tentativi di armonizzazioni odi giustificazioni rispetto alle moderne conoscenze scientifiche, permette all'uomo di ogni tempo di cercare risposte alle sue domande ultime, non tanto sullo svolgimento di alcune vicende storiche, ma sul senso della storia, non sul come sia nato l'uomo e la donna ma sul mistero dell'origine, sul significato dell’esistenza e sul destino dell’uomo.


(da Parole di Vita)


Letto 3348 volte Ultima modifica il Domenica, 17 Aprile 2005 20:41
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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