Formazione Religiosa

Mercoledì, 11 Maggio 2005 23:10

Il settimo discepolo (Faustino Ferrari)

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Sulle rive di questo lago che il mondo rinnovi l’invito alla sequela. Oggi, come allora. A questo settimo discepolo che è ognuno di noi.

"Dopo questi fatti Gesù si manifestò di nuovo ai suoi discepoli sulla riva di un lago. E si manifestò così: si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Didimo, Natanaele di Cana di Galilea, i figli di Zebedeo e altri due discepoli. Disse loro Simon Pietro: "Io vado a pescare". Gli dissero: "Veniamo anche noi con te". Allora uscirono e salirono sulla barca; ma in quella notte non presero nulla.

Quando già era l’alba Gesù si presentò sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: "Figlioli, non avete nulla da mangiare?". Gli risposero: "No". Allora disse loro: "Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete". La gettarono e non potevano più tirarla su per la gran quantità di pesci.

Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: "E’ il Signore!". Simon Pietro appena udì che era il Signore, si cinse ai fianchi il camiciotto, poiché era nudo, e si gettò in mare.

Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci; infatti non erano lontani da terra se non un centinaio di metri.

Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del companatico sopra, e del pane. Disse loro Gesù: "Portare un po’ del pesce che avete preso or ora". Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatre grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si spezzò.

Gesù disse loro: "Venite a mangiare". E nessuno dei discepoli osava domandargli: "Chi sei?", poiché sapevano bene che era il Signore.

Allora Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro, e così pure il companatico.

Questa era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risuscitato dai morti..." (Gv 21).

 

Oggi, come allora. Come allora sulle rive di un lago. Come allora ti manifesti a chiunque è pronto a riconoscerti (Gv 8,19: "Voi non conoscete né me né il Padre; se conosceste me, conoscereste anche il Padre mio"). Come sempre.

Allora, ad alcuni discepoli. A Simon Pietro: a colui che per tre volte ha affermato di non conoscerti. Gli avevi cambiato il nome: da Simone in Cefa. Era stato capace di dirti: "Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna; noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio" (Gv 6, 68-69). Ma era anche colui che aveva inizialmente rifiutato che Tu gli lavassi i piedi. "Non mi laverai mai i piedi!" (Gv. 13, 8). Un uomo impulsivo, che ritorna sulle sue precipitose affermazioni. "Simon Pietro gli dice: "Signore, dove vai?". Gli rispose Gesù: "Dove io vado per ora tu non puoi seguirmi; mi seguirai più tardi". Pietro disse: "Signore, perché non posso seguirti ora? Darò la mia vita per te!". Rispose Gesù: "Darai la tua vita per me? In verità, in verità ti dico: non canterà il gallo, prima che tu non m'abbia rinnegato tre volte" (13, 36-38). E’ anche colui che estrae la spada e la usa per cercare di difendere il maestro al momento dell’arresto. Tra i primi che accorrono alla tua tomba, quando le donne raccontano di averla trovata vuota. Ed ora ancora, sul lago, a pescare con gli altri discepoli.

A Tommaso, il discepolo esemplare nella sua incredulità. Il discepolo a cui non basta sentire il racconto della tua risurrezione, ma che vuol vederti, toccarti, per poter credere (e che fede può essere se è necessario toccare per credere?). Che fosse una persona con i piedi per terra – come diremmo noi oggi – lo si può capire anche da altri contesti: "Gli disse Tommaso: "Signore, non sappiamo dove vai e come possiamo conoscere la via?" (Gv 14, 5). Si era mostrato anche generoso, questo discepolo: "Allora Tommaso, chiamato Dìdimo, disse ai condiscepoli: "Andiamo anche noi a morire con lui!" (Gv 11,16).

Nella loro generosità e nel loro tradimento, nell’infedeltà e nella loro fatica di credere e a seguirti, quanto ci sono simili! In loro e nelle loro debolezze possiamo riconoscerci.

E poi, abbiamo Natanaele, l’uomo probo, retto. A Filippo, il primo discepolo, che gli aveva detto: "Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i Profeti, Gesù, figlio di Giuseppe di Nazaret", egli aveva risposto: "Da Nazareth può mai venire qualcosa di buono?". Tuttavia Natanaele era stato capace di riconoscere subito la straordinarietà della persona che l’amico Filippo gli aveva presentato: "Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d'Israele!" (Gv 1, 45-51).

E ci sono i due figli di Zebedèo. I "figli del tuono" come Tu stesso li aveva soprannominati.. "Giacomo di Zebedèo e Giovanni fratello di Giacomo, ai quali diede il nome di Boanèrghes, cioè figli del tuono" (Mc 3, 17). Sono personaggi che non hanno peli sulla lingua. Avanzano pretese. "E gli si avvicinarono Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedèo, dicendogli: ‘Maestro, noi vogliamo che tu ci faccia quello che ti chiederemo’. Egli disse loro: ‘Cosa volete che io faccia per voi?’. Gli risposero: ‘Concedici di sedere nella tua gloria uno alla tua destra e uno alla tua sinistra’ (Mc 10, 35-37) – nel vangelo di Matteo è la madre ad avanzare la richiesta. Ma sono anche quelli che, insieme con Pietro, nell’orto del Getsemani, non sanno vegliare un’ora con Te e si addormentano mentre Tu sei preso da grande angoscia di fronte all’imminenza dell’ora.

Ma allora, c’erano anche due discepoli senza nome. Uno di essi potrebbe essere il tuo discepolo prediletto - come lo indica il vangelo - se personaggio diverso da Giovanni figlio di Zebedèo. E l’ultimo, il settimo, resta senza nome. Ed in lui, personaggi senza nome, oggi io pure mi ritrovo su quel lago.

Sono sette, questi discepoli. Sette, il numero della totalità, della perfezione. Il numero che ci rimanda alla settimana della creazione, al compimento. Il numero della diaconia e del servizio. Il fatto che il nome del settimo discepolo non sia conosciuto non mi sembra casuale. La chiesa, nella sua azione di missione e di testimonianza del Tuo nome, ha bisogno anche di me, oggi.

Anche oggi, come allora, ci avventuriamo nella costruzione di progetti, ci lanciamo in avventure senza ritorno, sicuri delle nostre sole forze. Ha forse bisogno di Te, Signore, questo "mondo" di uomini adulti? Sono sette i discepoli che escono a pescare. Non è più la pesca materiale, ma quella della missione. Che senso avrebbe, altrimenti, questo ritorno alla normalità della vita precedente all’incontro con Te. Il lago non è quello di Genezareth, ma il mondo ed i pescatori non sono altro che i discepoli partiti per la missione. La barca è la chiesa. Ancora una volta abbiamo Pietro protagonista: "Io vado a pescare". Gli altri vanno con lui. Ma nonostante tutto il loro impegno "in quella notte non presero nulla".

Ed anche oggi il nostro grande brigare è vuoto niente; e attraversiamo una notte - notte oscura come la pece - che pare senza fondo. Non la notte naturale, ma la notte oscura, la notte cosmica del nostro errare. La notte del nostro dubitare, del nostro peccato. Della nostra lontananza da Te. O dell’estrema fiducia che riponiamo in noi stessi, sulle nostre forze.

Notte e nudità. Nel linguaggio biblico sono due simboli per indicare la distanza dell’uomo da Te. Il suo peccato, la sua fragilità.

Abbiamo la notte che avvolge l’esperienza della primitiva comunità cristiana e la nudità di Pietro. Possiamo sapere di che cosa si tratti? Quali siano i problemi che travagliavano questa comunità? Il testo biblico sembra offrirci un piccolo spiraglio. I biblisti si sono a lungo interrogati sul significato del numero della pesca: i 153 grossi pesci. Una precisa rimembranza di un fatto storico o un aspetto che ci rimanda ad altro? Sono state date le più diverse interpretazioni di questo numero. Secondo alcuni, 153 è un numero triangolare, formato dalla somma delle prime 17 cifre. Indicherebbe la progressione della crescita della chiesa. C’è chi ha fatto riferimento alle specie di pesce conosciute nell’antichità. E chi ci vede un riferimento ad ogni sorta di pesci della parabola del regno di Matteo 13, 47.

Ma nell’intera bibbia c'è un solo passo che in qualche modo può essere riferito a questo numero. E’ quello relativo agli stranieri che secondo il libro delle Cronache lavorarono alla costruzione del tempio salomonico. "Salomone censì tutti gli stranieri che erano nel paese di Israele: un nuovo censimento dopo quello effettuato dal padre Davide. Ne furono trovati centocinquantatremilaseicento. Ne prese settantamila come portatori, ottantamila come scalpellini perché lavorassero sulle montagne e tremilaseicento come sorveglianti perché facessero lavorare quella gente" ("Cr 2, 16-17). Ora, non dobbiamo ragionare secondo la precisione della nostra mentalità scientifica. Inoltre dobbiamo tenere presente che nell’antichità i numeri si scrivevano diversamente – venivano usate le lettere dell’alfabeto e bastava variare con un piccolo segno per far diventare centinaia o migliaia le unità, e viceversa.

A questo punto l’intero brano del vangelo viene ad assumere un ulteriore significato. La chiesa sta attraversando un periodo di difficoltà e di crisi (notte) nella sua missione (pesca), a causa di Pietro, partito, come suo solito, con entusiasmo, ma forse fermatosi o in dubbio (nudità). Il motivo delle difficoltà va ricercata nella missione ai "gentili", ai pagani (153 grossi pesci della pesca abbondante). Le difficoltà vengono superare soltanto nel riconoscimento del Cristo risorto e nell’incontro intorno alla mensa eucaristica imbandita dal Cristo risorto. Questo tipo di lettura ci viene indirettamente confermato dal libro degli Atti e da alcuni passaggi delle lettere di Paolo, circa le difficoltà della missione ai gentili e all’ambiguità avuta da Pietro nel corso di questa missione.

Alle prime luci dell’alba... Come in un altro racconto. Come nel mattino pasquale. Nell’alba dell’ottavo giorno... Ma oggi, come allora, i nostri occhi non vedono. E come potrebbero vedere gli occhi di coloro che vedono (Gv 9,39)? E sulla spiaggia, nulla scorgiamo. Tu, Signore, straniero alla tua stessa gente, ignoto a quanti credono di (ri)conoscerti. E oggi, come allora, abbiamo bisogno di qualcuno che ci rammenti, ci ricordi che Tu sei il Signore. "Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: "E` il Signore!". Pietro, colui che aveva fatto professione di fede, ora è come cieco. E la sua cecità è simile alla nostra. Nonostante tutte le nostre professioni di fede, abbiamo continuamente bisogno di qualcuno che ci ricordi che Tu sei il Signore. A noi, chiusi nella fatica del nostro fare ed operare.

Oggi, come allora, riconoscere che nulla siamo. E se nella vergogna celiamo la fragilità del nostro essere, non ci possiamo nascondere. Nudi fummo partoriti e nudi torneremo alla madre terra (Gb 1,21). E quando venivamo formati nel segreto già non Ti erano nascoste le nostre nudità (Slm 139,15). Ben sappiamo che quando conosciamo e la colpa e la paura siamo nudi davanti a Te (Gn 3,10). E nel nostro limite qualcuno ci deve ricordare che solo Tu sei il Signore.

Intorno al fuoco acceso, il pane ed il companatico. Sulla mensa imbandita, il vino e il pane. Oggi come allora rinnovi la tua presenza. Ci rinnovi alla tua presenza. Come allora. Scarse le nostre parole, il nostro linguaggio povero, insignificante. Se usiamo metafore ben poco riusciamo ad esprimere. Possiamo forse porre domande? Chiedere: chi sei? Poiché nel silenzio sappiamo bene che sei il Signore. E se abbiamo parlato una volta, non replichiamo (Gb 40,4). Intorno alla mensa imbandita noi sediamo scoprendo che ci hai preceduto nei nostri incerti passi. Che la nostra opera nulla sarebbe se Tu non fossi già all’opera.

Infatti il pasto consumato è stato preparato dal Cristo risorto. Il fuoco è già acceso. Vi è già del pesce (opsarion = companatico) preparato. Gesù chiede che i discepoli gli portino del pesce pescato. Siamo ancora immersi nel piano simbolico. Il pesce è il simbolo del Cristo. Il pane ci rimanda all’eucarestia. Ed il companatico-pesciolino ci fa comprendere che il frutto della missione è rappresentato dall’incontro dell’azione di Dio con l’azione dell’uomo.

Siamo di fronte ad una pesca abbondante: la missione ha dato frutto. Non è bastato l’impegno dei discepoli, è stata necessaria la presenza del Cristo risorto ed il suo augurio (gettare la rete dalla parte destra). Ma a differenza di un’altra pesca (Lc 5,6) le reti non si rompono. Unica è la barca. La grossa rete è sufficiente per contenere tutti i pesci.

"E nessuno dei discepoli osava domandargli: "Chi sei?", poiché sapevano bene che era il Signore". Non siamo di fronte al silenzio dell’imbarazzo o del timore. È un silenzio che nasce dal riconoscimento. "Questa era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risuscitato dai morti".

E nel silenzio di oggi, come allora, rinnovi la tua domanda: mi vuoi bene? Tu già sai, Signore, le ritrosie dei nostri cuori e l’incerto amore. Tu lo sai che nel fondo del cuore non ti possiamo ingannare. Ma ripeti per la terza volta: Tu, mi vuoi bene? Dopo lungo silenzio possiamo solo sussurrare: Signore, Tu conosci la misura del nostro amore.

Oggi come allora anche noi desideriamo una sorte che non ci sia avversa. Anche noi vogliamo conoscere il destino di chi ci è vicino. Se la nostra croce (la nostra sequela) sia la più pesante. Se la nostra sorte sia migliore di quella riservata agli altri. Ma oggi, come allora, Tu rispondi: la vita e le scelte degli altri non ti siano di pretesto e di giustificazione.

Sulle rive di questo lago che il mondo rinnovi l’invito alla sequela. Oggi, come allora. A questo settimo discepolo che è ognuno di noi.

Faustino Ferrari

 

Letto 2806 volte Ultima modifica il Domenica, 15 Gennaio 2017 21:30
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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