Formazione Religiosa

Mercoledì, 16 Marzo 2005 17:44

Abramo, straniero per comando di Dio (Faustino Ferrari)

Vota questo articolo
(1 Vota)

Abramo, alle querce di Mamre ci insegna che attraverso l'ospitalità dello straniero possiamo fare la più sorprendente delle nostre esperienze: l'incontro con la presenza misteriosa, vitale e stupefacente di Dio.

 

Il racconto biblico si apre con la grandiosa pagina della creazione del mondo. Con la presentazione di una prodigiosa relazione tra la parola di Dio e l'esistenza delle cose e del mondo. Dio parla e le cose prendono forma ed iniziano ad esistere. Ma dopo la creazione dell'uomo e della donna e la consegna a loro del creato affinché ne siano custodi, cominciano i problemi. I racconti che seguono ci descrivono una progressiva alienazione dell'uomo da sé stesso, dagli altri, dalla creazione e da Dio. Si moltiplicano le fratture: prima già nel rapporto tra l'uomo e la donna, tra l'uomo e la creazione; poi in quello tra i fratelli Caino e Abele. Fratture che investono le varie dimensione della vita umana fino alla dimensione sociale, descritto nel racconto della torre di Babele. Mentre la parola di Dio aveva permesso alle cose di esistere, ora non abbiamo più comunicazione all'interno della coppia umana, tra i fratelli, tra gli uomini in genere. Nel racconto della torre di Babele, questa difficoltà della parola, della comunicazione viene descritta nel suo apice massimo. Abbiamo gli uomini che parlano tra di loro e che non si comprendono. E Dio che parla con se stesso! Il monito di questo racconto si amplifica per il fatto che la costruzione ha origine dalla pretesa umana di essere simile agli dei, nella pretesa di porsi al loro stesso livello, nei cieli. Pretesa che si vanifica in una dispersione sulla terra, in una confusione di linguaggi ove non c'è più reale comunicazione tra gli esseri umani, ma neppure sembra più possibile una comunicazione con il mondo divino.

Da questo punto di vista la storia iniziale biblica ci appare una storia di "fallimenti". Eppure ogni volta, Dio ricomincia. Adamo riconosce che Dio gli dà un'altra discendenza al posto di Abele, ucciso dal fratello Caino (Gn 4, 25). Enoch cammina con Dio (Gn 5, 21), al pari di Noè, che è protagonista della vicenda del diluvio e di un nuovo cominciamento della storia dell'umanità. Noè è anche il depositario di una alleanza tra Dio e gli uomini. Alleanza che coinvolge l'intero genere umano. Tra le genti disperse durante la costruzione della torre di Babele il messaggio di Dio raggiunge un uomo originario di Ur dei Caldei, che con il suo clan si è trasferito in Carran.

Il Signore disse ad Abram: «Vàttene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò» (…) Allora Abram partì, come gli aveva ordinato il Signore, e con lui partì Lot.  Abram aveva settantacinque anni quando lasciò Carran. Abram dunque prese la  moglie Sarai, e Lot, figlio di suo fratello, e tutti i beni che avevano acquistati in  Carran e tutte le persone che lì si erano procurate e si incamminarono verso il  paese di Canaan.
(Gn 12, 1-5). Abramo, dopo l'esperienza di Noè, è il primo uomo che si mette all'ascolto di Dio. Come nella creazione, abbiamo Dio che parla e un'azione si realizza. In questo caso, un uomo che ascolta questa parola, si mette in cammino, fa sì che questa parola si concretizzi.

Di solito la lettura della vicenda di Abramo, in ambito cattolico, è rivolta alla sua vocazione e alle promesse di Dio a lui rivolte. Si sottolinea la profonda dimensione della fede di quest'uomo. Ma la lettura del testo biblico si mostra sempre ricca e complessa. Proviamo, allora, a vedere questa vicenda da un'angolatura particolare. Cosa si lascia dietro Abramo in questa sua avventura ?

1. Una terra, la patria.
La parola di Dio che raggiunge Abramo è un comando a lasciare la propria terra, la propria patria. È un comando ad andare verso una nuova terra, abitata da stranieri, i cananei. Una terra che gli viene sì promessa, ma che per tutta la sua esistenza resta soltanto promessa. Riuscirà a comprarsi soltanto un piccolo fazzoletto di questa terra promessa, per poter seppellire la moglie Sara e ove a sua volta verrà sepolto. Lasciare la propria terra vuol dire abbandonare i parenti e gli appartenenti del clan (solo il nipote Lot lo segue), la lingua, gli usi e i costumi. Ma, soprattutto, lasciarsi dietro gli dèi. Vuol dire andare incontro ad una nuova esperienza senza portarsi dietro il "conforto" della religione dei propri antenati.

2. La terra promessa. Sembra un paradosso, ma quella terra promessa, appena raggiunta, gli viene in qualche modo "sottratta". A causa di una carestia che grava sul paese, deve scendere in Egitto e soggiornarvi (Gn 12, 10). Non è una terra dove scorre latte e miele, una terra paradisiaca. Anzi è una terra in cui è più difficile vivervi che altrove. Abramo si deve misurare con una apparente contraddizione: da quella terra promessa è costretto ben presto ad allontanarsi. In Egitto deve sperimentare una doppia estraneità. Già straniero nella terra promessa, deve recarsi, da straniero, in una nuova terra. Grande la sua fede? Sì. Ma il racconto biblico si sofferma a presentarci un Abramo timoroso per la propria sorte. Abramo mente dichiarando Sara sua sorella (cosa in parte vera, in quanto figli dello stesso padre) e non sua moglie. Ed in questa sua paura, quante, innumerevoli storie di paure vissute dagli stranieri di ogni tempo nelle loro nuove esperienze di emigrazione ritroviamo?

3. La discendenza. È una delle promesse da parte di Dio. "Avrai una discendenza più numerosa delle stelle del cielo, della sabbia del mare". Eppure discendenti non arrivano. Tutto il suo patrimonio rischia di disperdersi. Sara è sterile. E alla fine, quando un figlio gli sarà dato, il figlio della promessa, il figlio del riso, si trova ben presto di fronte alla prospettiva di perderlo. Per di più, per mano sua. Nel racconto della legatura di Isacco possiamo leggere la prova della fede di Abramo. Possiamo ritrovarvi la condanna di Dio per i sacrifici umani. Ma possiamo anche scorgervi i drammi, i conflitti che attraversano le generazioni che conoscono l'emigrazione. Generazioni in qualche modo ancora legate, culturalmente, sentimentalmente con i propri paesi, con le proprie "origini", ma che entrano in conflitto con la nuova realtà nella quale si trovano a vivere. Il sacrificio del figlio primogenito era proprio delle culture cananee. Per Abramo era un prezzo da pagare per sentirsi integrato?

4. La parentela. La separazione non è solo con il proprio clan. Ad un certo punto anche il nipote Lot si separa e va per la sua strada. Lo devono fare per necessità. Non c'è pascolo sufficiente per i greggi e gli armenti di entrambi. Oggi noi diremmo: una separazione per motivi di lavoro. Le conseguenze: non poter contare sul sostegno e sull'aiuto reciproco. Quante storie di emigrazione sono fatte di solitudine, perché, per cercare un po' di fortuna, bisogna affrontare sacrifici, quali la separazione, la mancanza di aiuto da parte delle persone care, rinunciando al sostegno della rete parentale.

5. Dio. Anche qui sembra di essere di fronte ad una aspetto paradossale, quasi assurdo. Eppure ad un certo punto dell'esperienza di Abramo cala il silenzio tra lui ed il suo Dio. Dopo l'episodio della legatura di Isacco, il racconto biblico, ricco di "colloqui" tra Dio ed Abramo, si protende in un insistente silenzio. La prova della legatura di Isacco si prolunga nella prova del silenzio di Dio. Potremmo quasi dire: nella prova della sua "assenza". Ci sono esperienze molto forti nella nostra vicenda umana che ci portano a chiederci: ma Dio dov'è? E sembra che sia scomparso dal nostro orizzonte. È una domanda che varie volte in questi anni ho sentito risuonare sulle labbra di stranieri. Come se il prezzo di aver lasciato dietro a sé tante cose, in qualche modo ci porti alla domanda più radicale: dov'è Dio?

Una tomba comprata da uno straniero. Con la morte della moglie Sara Abramo si ritrova vecchio e solo. Ed inoltre non sa dove seppellirla. È nomade, è straniero. Non possiede un pezzo di terra. Si rivolge ad altri stranieri: gli Hittiti. Ed è proprio da uno di essi, Efron l'Eteo, che acquista la caverna di Macpela per quattrocento sicli d'argento (Gn 23). Il racconto della trattativa è articolato e gustoso da leggersi, con molte, sottili sfumature psicologiche. Perché Abramo si rivolge ad un Hittita e non ad un cananeo? Forse perché uno straniero è più consapevole dei bisogni e delle problematiche di un altro straniero? Forse perché ha sperimentato sulla propria pelle cosa voglia dire non possedere un pezzo di terra, non avere neppure un luogo dove poter seppellire i propri cari defunti? Abramo sa bene che un abitante del luogo non è disposto a diventare suo vicino. Non è questione di possibilità o di ricchezza (Abramo pagherà all'Hittita un prezzo esorbitante): possedere un pezzo di terra è un primo passo per non essere più straniero. Ma se uno straniero non è più straniero, cosa diventa?

La morte è sempre un aspetto drammatico nella nostra esperienza. Ma all'interno di un'esperienza di emigrazioni, si moltiplicano i problemi. La morte del padre, della madre, di un fratello o di una sorella è vissuto con maggior solitudine e dolore. La lontananza impedisce di compiere quel gesto che resta fondamentale nell'esperienza umana: l'estremo saluto. Ma se è uno straniero a morire, si pone il problema di dove seppellirlo. In terra straniera, lontano non solo dalla presenza dei cari, ma anche dal loro ricordo? Oppure rimpatriare la salma? Quante collette che si fanno per poter permettere alle salme dei propri connazionali, amici, parenti di poter essere riportate al proprio paese d'origine! Quanti gesti di solidarietà per permettere ad un immigrato di poter rientrare a casa propria nel caso di un lutto improvviso!

Se siamo sulla stessa lunghezza d'onda dei cananei, di coloro che abita quella terra e la possiedono, non potremo mai renderci conto dei bisogni dei mille e mille Abramo-stranieri che vivono in mezzo a noi, con le loro speranze, le loro sofferenze ed i loro dolori.

Lekh lekhà… Vattene dal tuo paese! Ma la traduzione biblica può essere anche resa in questo modo: vai a te stesso. Il comando divino invita Abramo ad uscire dalla propria terra per andare a se stessi. Uscire dalla città per andare verso il deserto. Lasciare le cose che si hanno per ritrovare se stessi. Un viaggio che diventa non solo spaziale, ma interiore. Un viaggio che non dobbiamo interpretare, falsificandolo, con una sorte di spiritualizzazione, ma che deve conservare tutto il suo impatto pratico, operativo.

Qual è la città che dobbiamo lasciare? Cosa vuol dire oggi andare di nuovo verso il deserto? «Possiamo tentare di raggiungere il «deserto», inteso come fonte di consapevolezza, attraverso la qualità e l'attenzione alle relazioni che formano la nostra vita. Per mezzo del rapporto con l'altro, sia esso individuo o collettività» (M. Ovadia). La vicenda di Abramo sembra suggerirci che per un incontro con Dio l'uomo deve lasciare dietro di sé qualche cosa. Ma qualcosa di forte, di radicalmente importante. Il fenomeno dell'immigrazione di questi anni è soltanto un fenomeno sociale, da contrastare o da contenere? Possibile che come cristiani, sempre pronti a parlare di segni dei tempi, non si riesca a cogliere il messaggio che, forse - anzi, probabilmente - Dio ci sta dando? Non possiamo leggere questo fenomeno con gli occhi della fede, con gli occhi di Dio? Non è che ci stiamo ribellando, con tutte le nostre forze, con tutta la nostra cocciutaggine, a questo Dio che per la millesima volta rimescola le carte della storia, ponendoci di fronte alle sue imprevedibili vie di salvezza?

Il racconto biblico, quando lo leggiamo o lo sentiamo narrare, non riguarda le vicende di uomini e donne vissute migliaia di anni fa. Non è un racconto concluso. Dobbiamo ricordarci che la storia narrata non riguarda altri uomini ed altre donne. La storia che vi è narrata, è la nostra storia. Il comando di Dio rivolto ad Abramo non è soltanto il comando per Abramo. Quel comando, risuonando oggi, è rivolto ad ogni lettore, ad ogni ascoltatore. Quella storia diventa la nostra storia. Il comando ad uscire dalla terra è un comando rivolto a ciascun credente. Ma è oggi possibile ascoltare quella voce? Oppure ci sono troppi elementi di disturbo, troppi rumori che si sovrappongono ed invece di permetterci di ascoltare la voce di Dio, ci tengono avvinghiati ai mille "idoli" delle nostre città?

Oggi, Abramo non potrebbe emigrare. Se fosse ligio alle leggi degli Stati, non potrebbe seguire il comando divino. Ad Abramo si richiamano le tre grandi religioni monoteistiche: ebraismo, cristianesimo ed islam. Tutte e tre lo riconoscono come proprio padre nella fede. Eppure oggi stiamo dimenticando un po' troppe cose dell'esperienza di questo uomo, delle sue vicende e della sua esemplarità simbolica. Forse oggi siamo più legati alla casa di Terach, alle sue certezze ed ai suoi idoli, piuttosto di sentirci un po' avventurieri sulle strade che Dio ci presenta e che sono strade che ci chiedono di uscire da noi stessi, dalle nostre certezze, dai nostri confini, dalla nostra terra, per poter abbracciare quel Dio inafferrabile che ci chiede di fare sempre un passo in più, sulla traccia delle sue orme.

Possiamo anche dirci che la questione però, non è materiale, ma semplicemente "spirituale". Tuttavia, le vicende bibliche sono concrete. Sono fatte di parole e di azioni. E la vicenda di Gesù è tutta storica, conosce la polvere delle strade di Palestina, le lacrime degli ammalati ed il vino alla festa di nozze degli sposi. È una storia di pianto di fronte alla tomba dell'amico Lazzaro e di sangue sudato nell'orto del Getzemani. La croce è di legno e pesa sulle spalle del Cristo che sale verso il Golgota. Ed i chiodi sono reali, quanto la lancia che trafigge il costato. E chi ha visto ne rende testimonianza. Dal punto di vista cristiano, l'esperienza di fede si misura sempre con lo stile di vita. L'invito alla metanoia è un invito al capovolgimento e allo stravolgimento del nostro approccio alla storia e alle vicende umane, per poter far emergere, all'interno di questa storia, la novità del Regno di Dio. Cosa vuol allora dire che Abramo è il nostro padre nella fede?

"La fede è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono. (…) Per fede Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava. Per fede soggiornò nella terra promessa come in una regione straniera, abitando sotto le tende, come anche Isacco e Giacobbe, coeredi della medesima promessa. Egli aspettava infatti la città dalle salde fondamenta, il cui architetto e costruttore è Dio stesso. Per fede anche Sara, sebbene fuori dell'età, ricevette la possibilità di diventare madre perché ritenne fedele colui che glielo aveva promesso. Per questo da un uomo solo, e inoltre già segnato dalla morte, nacque una discendenza numerosa come le stelle del cielo e come la sabbia innumerevole che si trova lungo la spiaggia del mare. Nella fede morirono tutti costoro, pur non avendo conseguito i beni promessi, ma avendoli solo veduti e salutati di lontano, dichiarando di essere stranieri e pellegrini sopra la terra. Chi dice così, infatti, dimostra di essere alla ricerca di una patria". (Eb. 11, 1. 9- 14).

La tenda di Abramo è la tenda dell'ospitalità. Le persone che vi giungono sono subito accolte e al meglio. Se sono straniere, non viene loro chiesto da dove vengono, per quanto tempo si fermano e dove andranno. L'ospitalità vi è vissuta come una dimensione essenziale dell'esperienza religiosa. Ed un giorno, alla tenda di Abramo, giungono tre stranieri. Abramo siede all'esterno, quasi volesse essere pronto ad accogliere quanti si possano affacciare in quella contrada. Nell'incontro misterioso che avviene presso le querce di Mamre viene adombrata la presenza di Dio (Gn 18). «Non passare oltre» è l'invito che gli rivolge Abramo. Ed Abramo fa molto di più di quanto richiesto dalle leggi dell'ospitalità. Lui stesso corre al gregge per scegliere un vitello bello e tenero. Anche le parole che usa sono significative: «Permettete che vada a prendere un boccone di pane e rinfrancatevi il cuore». Dall'ospitalità scaturisce la promessa che la nascita di un figlio allieterà entro un anno la sua famiglia. L'ospitalità genera il dono della vita. L'accoglienza permette di accogliere altra vita.

Rinfrancatevi il cuore! Saremmo capaci di mettere lo stesso augurio nelle varie occasione che abbiamo di incontrare gli altri? E non diciamo, a nostra scusante, che oggi i tempi sono difficili e che non ci si può fidare più di nessuno. Anche per Abramo, sotto le vesti dei tre ospiti avrebbero potuto celarsi dei predoni, pronti a compiere una strage e la razzia al momento più opportuno. In fondo, la nostra società è molto più sicura e garante della società in cui viveva Abramo!

Anche Mosè, al momento della rivelazione del Nome presso il roveto ardente, sta vivendo una condizione di esilio. È fuggito dall'Egitto, dopo l'uccisione di una guardia ed è stato accolto dai Madianiti, ha sposato una delle figlie di Ietro (una coppia mista) e si guadagna da vivere facendo il pastore. Ed il profeta Elia, in fuga dal re Acab, volge anche lui i passi verso il monte Oreb, il luogo della rivelazione a Mosè. Anche Elia è in "esilio" quanto sperimenta la rivelazione di Dio, non nel tuono, nel terremoto o nel fuoco, ma nel silenzio dolce come quello di una lieve brezza.

Credo che non sia allora azzardato affermare che, dal punto di vista biblico, l'essere straniero è una delle condizioni privilegiate che possono permettere all'uomo di incontrare Dio. Intendiamoci: non perché si è stranieri si incontra automaticamente Dio, ma la condizione di straniero rende più facile, dà maggiori possibilità di mettersi in relazione con Dio. Lo straniero è colui che ha già dovuto lasciare molto dietro di sé, ha poco da perdere. E poiché ha poco da perdere, è nella condizione spirituale di poter accogliere molto: di poter accogliere il Dio della storia che va verso di lui e gli si rivela.

Ed Abramo, l'uomo che per tutta la sua vita vivrà una condizione di straniero, alle querce di Mamre ci insegna che attraverso l'ospitalità dello straniero possiamo fare la più sorprendente delle nostre esperienze: l'incontro con la presenza misteriosa, vitale e stupefacente di Dio.

Faustino Ferrari

 

Letto 3223 volte Ultima modifica il Domenica, 15 Gennaio 2017 21:24
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

Search