«Nella scienza sacra – egli dice – si tratta di tutto in rapporto a Dio: o perché queste cose sono esse stesse Dio (essenza, attributi, persone), o perché esse si ricollegano a Dio come loro principio e loro termine (le creatura, gli atti umani, le leggi, la grazia, le virtù, i sacramenti)» (Summa theologica, I. q. 1.a.6). La teologia tomista e scolastica, specialmente nei manuali degli ultimi secoli, anche se non ometteva di far ricorso alla Scrittura e alla Tradizione, era molto lontana dalla prospettiva storico-salvifica, la quale è imperniata sul movimento stesso della Rivelazione. L’oggetto formale della teologia, definito dai tomisti: «Dio in quanto Dio», nel metodo storico-salvifico viene espresso così: «Il Dio della salvezza, che salva per mezzo di Cristo nello Spirito». L’attenzione è rivolta più alla “oikonomia” (Dio che si rivela nella storia) che alla “teologia” (Dio com’è in sé).
A questo mutamento del pensiero teologico si è arrivati grazie al contributo dell’esegesi e della teologia biblica, a una più profonda comprensione dei Padri della Chiesa, agli apporti della liturgia e ad una più radicale comprensione esistenziale della storicità dell’uomo.
Il Concilio Ecumenico Vaticano II nel decreto Optatam totius, sulla formazione teologica del clero, al cap. V (n.14) fa proprio questo orientamento storico salvifico:
«Nel riordinamento degli studi ecclesiastici si abbia cura in primo luogo di disporre meglio le varie discipline teologiche e filosofiche e di farle convergere cocordemente alla progressiva apertura delle menti degli alunni verso il Ministero di Cristo, il quale compenetra tutta la storia del genere umano, agisce continuamente nella Chiesa ed opera principalmente attraverso il ministero sacerdotale» (n. 28).
«Affinché questa visione venga data agli alunni fin dall’inizio degli studi ecclesiastici incomincino con un corso introduttivo da protrarsi per un certo periodo di tempo. In quest’iniziazione agli studi il mistero della salvezza sia proposto in modo che gli alunni possano percepire il significato degli studi ecclesiastici…».
Questo stesso principio viene ripreso dalla Costituzione apostolica Sapientia christiana che riordina l’insegnamento teologico dell’università e facoltà ecclesiastiche (art. 67,2):
«Le singole discipline teologiche devono essere insegnate in modo tale che, dalle interne ragioni dell’oggetto proprio di ciascuna ed in connessione con le altre discipline, anche filosofiche, nonché con le scienze antropologiche, risulti ben chiara l’unità dell’intero insegnamento teologico, e tutte le discipline convergano verso Cristo, perché sia così annunciato con maggiore efficacia al popolo di Dio ed a tutte le genti».
In questa nuova prospettiva il corso introduttivo su Mysterium salutis, più che una materia a parte, è essenzialmente un’iniziazione a tutto il mistero della salvezza, che trova in Cristo il suo fulcro e la sua sintesi. Il nostro corso si fonda prevalentemente sulla Bibbia: in una visuale sintetica si toccheranno le “opere meravigliose” operate da Dio nella storia della salvezza.
2. La fede in rapporto alla teologia
dell’uomo essa può essere indicata con l’espressione classica di intellectus fidei, intelligenza della fede. La teologia in questosenso soggettivo suppone la fede e la luce della fede. Essa nasce quando la fede, mediante un movimento di appropriazione e di riflessione intellettuale, muove verso una conoscenza delle cose credute: fides quaerens intellectumsenza cessare per questo di essere fede. Quanto la fede, come atto totale dell’uomo, sia necessaria alla teologia, emerge dal fatto che quella implica una sottomissione di pensiero e di volontà alla Parola di Dio. Il nesso fondamentale tra Parola di Dio e fede viene svelato da Paolo in Rom. 10,13-17:
«Infatti: chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato. Ora come potranno invocarlo senza avere prima creduto in Lui? E come potranno credere, senza averne sentito parlare? E come potranno sentirne parlare senza che uno lo annunzi? E come lo annunzieranno, senza esserne prima inviati? Come sta scritto: “Quanto sono belli i piedi di coloro che recano un lieto annunzio di bene!”. Ma non tutti hanno obbedito al vangelo. Lo dice Isaia: “Signore, chi ha creduto alla nostra predicazione?”. La fede dipende dunque dalla predicazione e la predicazione, a sua volta, si attua per la parola di Cristo».
In base a questo testo biblico la teologia presuppone la fede, nella quale l’uomo si sottomette completamente alla Parola di Dio che gli viene nel kerygma (annuncio) della Chiesa. Tuttavia la teologia non è semplicemente fede, ma intelligenza della fede. La fede si manifesta nel confessare (homologein) e invocare (epikalein). L’intera catena cui si agganciano i singoli anelli è questa: confessione, fede, ascolto, predicazione della Parola di Cristo. La teologia aggiunge alla fede la riflessione.
In base all’oggetto la teologia, in quanto intelligenza della fede, si riferisce alla stessa cosa a cui è rivolta la fede, cioè Dio stesso. In teologia si parla di Dio come si è rivelato all’uomo sulla Parola accettata con la fede. L’orientamento oggettivo della fede verso Dio può essere espresso con la formula agostiniana: «Credere Deo, credere Deum, credere in Deum» (Credere a Dio, credere Dio, credere in Dio). Citiamo uno dei molti testi di Agostino che esprimono il carattere personale della fede:
«Hoc est etiam credere in Deum, quod utique plus est quam credere Deo. Nam et homini cuilibet plerumque credendum est, quamvim in eum non sit credendum. Hoc est ergo credere in Deum, credendo adhaerere ad bene cooperandum bona operanti Deo» (Enarrat. in Ps., 77,8).
Per Agostino credere Deum (o Christum) designa l’atto di fede in quanto constatazione del fatto che Dio esiste; credere Deo (o Christo) è l’accettazione dell’autorità divina come fonte di verità; credere in Deum (o in Christum) è la fides formata nel suo senso pienamente cristiano: l’uomo si rimette totalmente a Dio con fiducia e amore. In questo senso nel simbolo di fede diciamo «Credo ecclesiam, e non credo in ecclesiam».
3. La teologia in rapporto alla Parola di Dio
La teologia, intelligenza della fede, presuppone l’ascolto della Parola di Dio e perciò la storia salvifica.
«Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi permezzo del Figlio, che ha costituito erede di tutte le cose e per mezzo del quale ha fatto anche il mondo» (Eb. 1,1-2).
Compito della teologia è riflettere su quelle parole e sull’unica Parola.
Ciò si può fare solo attraverso la storia della salvezza (oikonomìa), in cui la Parola si rivela nell’unità con l’azione di Dio, che è oggetto di fede solo in quanto si rivela all’uomo.
L’autorivelazione di Dio avviene in un processo storico, in cui Dio agisce parlando all’auomo e agisce con lui. L’oggetto della teologia, secondo l’espressione di K. Barth, è «Dio nella storia dei suoi atti» (Introduzione alle teologia evangelica, Milano).
4. Significato di «storia della salvezza»
Per storia della salvezza si intende l’entrata di Dio nella storia per condurre l’uomo al suo fine ultimo (=la salvezza).
Da parte di Dio: è il suo incontro con l’uomo attraverso eventi, atti a realizzare la salvezza.
Da parte dell’uomo: è la storia di tutte le esperienze salvifiche, lo spazio in cui l’uomo realizza se stesso, liberamente, aderendo al progetto di Dio.
Storia della salvezza designa il fatto che Dio, per la sua volontà salvifica, ha misericordiosamente preso in pugno la storia dell’umanità per offrire a tutti gli uomini la sua salvezza, e la sua grazia e giustificazione si sono concretamente realizzate nella storia umana. Storia di salvezza significa, inoltre, la storia di questa esperienza e concretizzazioni della salvezza in seno a tutta l’umanità.
a) Storia salvifica e storia profana – Possiamo chiederci se esista una storia interamente dominata dall’uomo e al di fuori dell’orizzonte salvifico. È vero che la visione laica (atea) della realtà e della storia lo affermano. Anche la psicologia dell’uomo moderno tende a farlo ritenere creatore della sua storia. Si tratta, tuttavia, di una visione incompleta, parziale, L’uomo non è padrone incontrastato del tempo e dello spazio, bensì creatura.
Non esiste storia umana indifferente: ogni atto è sempre in rapporto con la salvezza, in quanto decisivo della realizzazione dell’uomo. Non esiste quindi una storia «al di fuori» del piano salvifico. La storia di salvezza ha le strutture della storia in genere. Si compone di eventi spazio-temporali che maturano quale nesso di avvenimenti in una continuità che trascende i singoli fatti. Questa unità trascendente è il progetto di Dio. La salvezza è ideata e guidata da Dio: in questa dimensione essa è ultramondana e trascendente.
La storia è oggettivazione frammentaria e provvisoria della salvezza trascendente.
b) Storia universale e particolare di salvezza – Se la storia di salvezza è costituita dalle esperienze di salvezza di tutta l’umanità, ciò significa che essa non si esaurisce nella storia giudeo-cristiana, ma che la storia di tutti gli uomini, prima, durante e dopo la rivelazione biblica e i tempi cristiani, vi fa parte e si riflette, in maniera speciale, nella storia delle religioni non cristiane. Questa può essere designata come storia universale di salvezza. Essa è stabilita dalla volontà salvifica di Dio, che si estende a tutti gli uomini, di tutti i tempi e di tutte le religioni storiche. Si desume anche dall’obbligo di ogni uomo di raggiungere il fine soprannaturale dell’esistenza.
L’offerta della salvezza da parte di Dio e la possibilità di ottenerla da parte dell’uomo, si estendono quanto la libertà umana. Come esiste una rivelazione universale (fatta non tanto di parole, quanto piuttosto di trasformazione della coscienza umana), così esiste una possibilità di salvezza per tutti. Va quindi data un’interpretazione positiva di tutta la storia delle religioni.
Bisogna tuttavia osservare:
- La storia generale di salvezza è sempre pre-cristiana e, quindi, in funzione propedeutica. Essa è sempre in tensione dinamica verso la pienezza escatologica della salvezza in Cristo. Diviene storia di perdizione solo quando l’uomo si sottrae colpevolmente a questo dinamismo.
- Dalla rivelazione non sappiamo se questa storia generale cesserà per essere incorporata definitivamente – già in questo tempo – nella storia particolare.
- La storia generale di salvezza rimane sempre un po’ confusa, perché ad essa manca l’interpretazione che offre la Parola storica di Dio, la quale sola giudica e scevera ciò che è puramente umano e depravato.
La storia particolare di salvezza si ha quando Dio, attraverso la sua parola storica, svela chiaramente nella loro portata di salvezza o di perdizione il senso di una situazione o di un insieme di fatti della storia profana, che altrimenti resterebbero ambigui: gli eventi della storia generale, ricevendo l’interpretazione ufficiale da parte della Parola divina, vengono chiariti nel loro significato salvifico inteso da Dio in modo chiaro, univoco e afferrabile. Le gesta salvifiche di Dio sono presenti, anzitutto, a livello di storia umana (storiche in senso stretto), ma è la Parola che le rivela e le interpreta e ne fa, perciò, un momento intrinseco e costitutivo dell’economia salvifica. Ovviamente anche questa storia particolare si svolge in un processo di sviluppo e di crescente chiarezza. Si pensi al cammino della rivelazione nella Bibbia dalla Genesi all’Apocalisse. Un ruolo unico nell’interpretazione della storia della salvezza e nel rivelare il nesso del disegno divino nei singoli eventi è stato svolto da Gesù Cristo: attraverso la sua testimonianza su Dio e la sua opera la salvezza raggiunge la definitività. «Con l’unione ipostatica è posto un evento storico-salvifico che è assolutamente e fondamentalmente insuperabile da altri eventi della storia della salvezza, e che in tal senso è definitivo» (Mysterium salutis, I, p. 114). La fede in Cristo è il termine della storia e anche il momento di massima apertura sulla storia (J. Moltmann, Prospettive della teologia, Brescia, pp. 284ss).
Nella rivelazione dell’Antico e Nuovo Testamento si possono distinguere quattro grandi periodi di storia salvifica (kairoi):
1. periodo dell’Eden;
2. periodo della comunità di Israele;
3. periodo di cristo e della Chiesa;
4. periodo dell’éschaton.
La Chiesa è il corpo di Cristo, destinata a continuare l’azione del Capo attraverso la grazia e la salvezza che essa offre agli uomini (Ef. 1). Essa è il «sacramentum seu signum et instrumentum intimae cum Deo unionis totiusque generis humani unitatis» (LG, 1: «il sacramento ossia il segno e lo strumento di intima unione con Dio e di unità di tutto il genere umano»), che continua l’opera salvifica di Cristo, mediante lo Spirito Santo (Cfr. LG, 4.17; AG, 5.17).
L’evento di Cristo risorto anticipa l’éschaton, perché è veramente evento storico e insieme metastorico. La risurrezione è l’inizio efficace di una trasformazione verso un mondo nuovo in cui opera la fede nella sua completezza raggiunta mediante la speranza, tese alla realizzazione della carità. La storia attuale alla luce della risurrezione rivela due aspetti: il “già” e il “non ancora”. Il “già” è quanto Dio ha realizzato per l’uomo, l’esperienza di ciò che si è compiuto, caparra di quanto si deve compiere; il “non ancora” è il mistero del mondo avvenire, la pienezza, in cui la storia non sarà più spazio e tempo, ma tutta realtà presente, piena e dinamica (vita, carità).