Rapporto tra darwinismo e teologia
Adamo contro Dio?
di Carlo Molari
(...) Queste riflessioni sono ovvie, da tempo acquisite nella teologia cristiana e inserite persino nei catechismi.
Per questo sorprende la reazione della stampa come se l'ammissione del papa fosse straordinaria o potesse avere conseguenze sconvolgenti per la dottrina cristiana.
Binomio acquisitoScrive ad esempio A. Oliverio sul Corriere della Sera (27/10/96, p. 38): «la teoria dell'evoluzione formulata da Darwin circa un secolo e mezzo fa conteneva in sé vari elementi di contrasto con la fede cristiana: non soltanto poneva in discussione il racconto biblico e i tempi e i modi della creazione della vita sulla terra, ma soprattutto implicava un'origine animale dell'uomo, apparentandolo con gli altri organismi viventi». Ora, se questo era vero al tempo di Darwin non lo era più qualche decennio dopo, quando sia i biblisti che i teologi cominciarono a interpretare la Scrittura in modo più rispondente alla sua natura religiosa e simbolica, e tanto più non lo è oggi, quando l'esegesi biblica e la teologia hanno acquisito metodi più raffinati di analisi dei testi antichi e dell'esperienza di fede.
Anche per Pio XII, già nel 1950, era chiaro che la Bibbia doveva essere interpretata diversamente da come avevano fatto al tempo di Galileo. Per questo l'affermazione di Giovanni Paolo II non «rappresenta un fatto nuovo», né «introduce un elemento di laicità nel campo della metafisica», come invece sostiene Oliverio.
Ancora più sorprendenti appaiono le affermazioni di E. Scalfari, secondo il quale l'ammissione del papa «sarebbe ben più che aggiornamento: sarebbe una rivoluzione con conseguenze incalcolabili sulla teologia e addirittura sulla fede» (Repubblica, 27/10/96, p. 1). Cercando poi di precisare quali conseguenze «avrebbe avuto una accettazione pura e semplice e completa dell'evoluzionismo da parte della chiesa», Scalfari scrive: «Adamo non sarebbe stato creato da Dio, tutta la simbologia dell'Eden, dell'albero della conoscenza, della tentazione del serpente, della cacciata dal paradiso, sarebbe caduta infranta (...) Non ci sarebbe stato il peccato originale, la colpa da riscattare e la necessità che il Figlio si facesse uomo per redimerci ed aprirci la via della salvezza».
«A stretto rigor di logica, questo azzeramento della Genesi e della dottrina neotestamentaria che a essa si ricollega avrebbe reso assai discutibile, perché non necessaria, la seconda Persona, e quindi l'intera struttura teologica che si compendi nel mistero della trinità». Il papa non sarebbe giunto a queste drammatiche conseguenze - continua Scalfari - solo perché postulerebbe «l'ancoraggio all'intervento divino sul cosmo e sull'uomo, creato "a immagine e somiglianza di Dio" perché possa onorarlo, amarlo e infine godere in eterno delle celesti beatitudini se il giudizio finale lo avrà ammesso al cospetto del suo creatore». Secondo Scalfari, quindi, il baratro è stato evitato solo perché, secondo il papa, il processo «ha richiesto un intervento diretto del creatore, è lui che ha inserito l'anima immortale nel corpo di quello strano bipede eretto e implume, che senza l'anima, non sarebbe stato l'uomo che è».
Qui Scalfari traduce bene il pensiero espresso dal papa, ma non ne coglie bene la portata. Non è infatti la convinzione di un intervento diretto di Dio a salvare la dottrina della fede cristiana. Si possono infatti accettare completamente le teorie evoluzioniste senza che cambi nulla nella fede come oggi viene vissuta e nella dottrina come oggi viene professata.
Il concetto di creazione
Da decenni la teologia cristiana utilizza un Concetto di creazione che non implica "interventi" di Dio, e inoltre può fare anche a meno di utilizzare il concetto di anima spirituale e immortale, come principio di differenza tra gli animali e l'uomo.
Per chiarire questi concetti del pensiero teologico occorre partire dal Concilio vaticano II. Nella costituzione pastorale Gaudium et spes il Concilio ha presentato la prospettiva evolutiva come una caratteristica della cultura attuale. Scriveva infatti: «il genere umano passa da una concezione piuttosto statica dell'ordine, a una concezione più dinamica cd evolutiva» (GS. 5). Conseguentemente il Concilio sollecitava i credenti a tener conto di questo mutamento. da cui sarebbe derivato «un formidabile complesso di nuovi problemi», che avrebbe richiesto «analisi e sintesi nuove».
Sollecitati da questo autorevole invito i teologi hanno raccolto diversi elementi già presenti nella tradizione cristiana e hanno messo a punto un concetto di creazione molto più ricco e fecondo di quello comune negli ultimi secoli. È stata infatti recuperata la nozione di creazione come dipendenza totale dell'essere da Dio. Scriveva S. Tommaso d'Aquino: «La creazione non è un cambiamento. È la dipendenza stessa dell'essere creato in rapporto al suo principio» (Contra Gentes, 2.18). Secondo questo modello l'azione creatrice di Dio investe con tutta la sua potenza il nulla o il caos originario, che però non è in grado di accogliere pienamente fin dall'inizio la perfezione offerta, ma solo nella successione e a frammenti. La creatura perciò è tempo, perché è successione. Intendendo la creazione in modo dinamico ed evolutivo, occorre dire che la forza creatrice alimenta in ogni istante il processo dell'evoluzione. Non vi è dunque alcuna necessità di "interventi" divini.
La realtà stessa, evolvendo, è in grado di accogliere in modo molto più ricco e profondo l'offerta vitale contenuta nell'energia creatrice, che alimenta tutto i processo. Il peccato è la resistenza che l'uomo pone alla forza di vita quando giunta a livello consapevole, sollecita decisioni consapevoli e libere.
Anche il catechismo degli adulti La verità vi farà liberi, pubblicato da vescovi italiani nel 1995, si pone in questa prospettiva: «Nella bibbia la creazione è presentata anche come la sua attività continua, il fondamento perenne di ogni cosa. L'universo dipende sempre da Dio, sia per iniziare, sia per continuare a esistere e per svilupparsi verso nuove e più alte forme di vita. Il soffio dello Spirito avvolge, penetra le creature, le sostiene e le fa germogliare come vento di primavera... La creazione non è il gesto compiuto da Dio in un tempo remoto, ma il dono di ogni giorno» (CdA, n. 360)
La stessa sensibilità appare quando il catechismo parla dell'origine d ogni uomo. Vi si dice che «partecipando a un processo evolutivo globale l'uomo nasce, si trasforma e muore come gli altri esseri della natura. Può ricevere la vita solo a frammenti» (n 372), «non viene alla luce come una realtà ben definita e compiuta, ma come un progetto da portare a compimento, con la sua stessa libera cooperazione», diventa se stesso attraverso i rapporti, «riceve e trasmette la vita in un tessuto di relazioni» (n. 366). Di conseguenza il male non viene attribuito solo al peccato perchè «molti mali derivano senz'altro dai limiti naturali, dall'inserimento nel mondo... La precarietà della condizione naturale viene poi aggravata da innumerevoli colpe personali, che procurano più o meno direttamente una infinità di guai, a sé e agli altri» (n. 372). Della solidarietà nel peccato si dice che «impedisce di integrare nella vita, in maniera significativa, i dolori che provengono dagli altri uomini e dai limiti inerenti alla natura» (n. 373).
La creazione e l’anima dell’uomo
Nel discorso del papa all'Accademia della scienze è riportata pure un'affermazione di Pio XII sulla creazione immediata dell'anima di ogni uomo da parte di Dio. L'accenno di Giovanni Paolo II è veloce e non approfondito, ma cita esplicitamente il testo della lettera enciclica Humani generis di Pio XII, che per la prima volta nei tempi moderni aveva parlato della creazione immediata dell'anima di ogni uomo («la fede cattolica ci obbliga a ritenere che le anime sono state create immediatamente da Dio», (DH. 3896). Ma oggi, accogliendo la prospettiva evolutiva e il concetto classico di creazione, il modello anima-corpo non è molto significativo e non appare necessario: inoltre parlare di creazione immediata dell'anima diventa incongruo.
Già il catechismo degli adulti della CEI ha in merito utilizzato un linguaggio più duttile e simbolico e ha evitato di parlare di creazione dell’anima: «secondo la concezione biblica l'uomo è"spirito, anima e corpo" (1 Ts 5.23) cioè un soggetto partecipe della vita divina, vivo e pieno di desideri, inserito nel mondo e sottomesso alla caducità» (CdA, n. 1017). Pur riconoscendo che «la nostra tradizione culturale preferisce parlare di anima e di corpo», conclude: «quel che conta è affermare l'unità dell'uomo, unico soggetto che vive a vari livelli, posto tra cielo e terra, uditore di Dio e interprete delle cose materiali».
Più decisa ancora è la scelta quando in riferimento alla continuità della vita il CdA scrive: «dopo la morte sopravvive l'io personale, dotato di coscienza e volontà. Se si vuole chiamarlo "anima" bisogna intendere questa parola in maniera biblica» (CdA n. 1195). Per questo il catechismo della CEI, commentando il secondo capitolo della Genesi, scrive: «L'uomo riceve direttamente da Dio il soffio della vita spirituale. L'evoluzione da sola non basta a dare origine al genere umano; la causalità biologica dei genitori non spiega da sola la nascita di un bambino, persona cosciente e libera, del tutto singolare. Occorre in entrambi i casi uno speciale concorso di Dio creatore» (n. 367).
Un cambio di prospettivaIn prospettiva evolutiva si continua ad affermare la continuità causale di Dio, che però non si esprime in interventi o cambiamenti di rotta. Essa offre possibilità molteplici alle creature che seguendo le proprie dinamiche si sviluppano per vie spesso casuali e nell'intreccio di molteplici relazioni. Ogni passo avanti dell'evoluzione consente una nuova espressione della causalità creatrice resa possibile da nuove capacità di accoglienza delle creature. Il nuovo emergente non deve essere inteso come un'inedita azione di Dio o un suo "intervento" nel processo evolutivo, ma come un nuovo modo di esprimersi, dal di dentro della creazione della stessa forza creatrice che fonda tutta la realtà. Come una luce che si espande quando si creano nuovi spazi alla sua presenza.
In ogni caso anche accettando pienamente la teoria evoluzionista, la dottrina cristiana resta intatta. Certamente molte nozioni tradizionali debbono essere sostituite da altre più coerenti. Questo è appunto il lavoro che il concilio chiedeva ai teologi in modo da adattare per quanto conviene «il vangelo sia alle capacità di tutti, sia alle esigenze dei sapienti» (GS, 44). In questi decenni molto lavoro è stato compiuto dai teologi e acquisizioni definitive sono state realizzate, sotto lo stimolo delle scienze, ma secondo dinamiche proprie della fede. Per questo esse resteranno anche quando le teorie evoluzioniste saranno sostituite da altre. Scrivevano già nel 1979 due noti teologi dell'Università gregoriana di Roma: «Se un giorno le scienze abbandonassero l'evoluzionismo, ciò in teologia non cambierebbe nulla. Resterebbe sempre un arricchimento dell'intelligenza della fede, provocata dall'incontro con l'evoluzionismo» (Alszeghy A. - Flick M., I primordi della salvezza, Marietti, 1979, p. 79).
Le discussioni di questi giorni potranno servire a rendere pubbliche queste acquisizioni teologiche, rimaste forse ancora patrimonio di pochi specialisti.
(da Testimoni, 15 dicembre 1996)