Formazione Religiosa

Venerdì, 01 Dicembre 2006 00:50

Omosessualità e morale cristiana: cercare ancora - seconda parte (Enrico Chiavacci)

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A questo punto è possibile e doveroso, nella nostra riflessione, confrontarci col dato biblico. Si tratta di un capitolo ben noto e ampiamente studiato, ma i testi biblici veramente rilevanti sono proprio molto pochi, e tutti a mio parere di non immediata interpretazione.

IV

A questo punto è possibile e doveroso, nella nostra riflessione, confrontarci col dato biblico. Si tratta di un capitolo ben noto e ampiamente studiato, ma i testi biblici veramente rilevanti sono proprio molto pochi, e tutti a mio parere di non immediata interpretazione: resta però il fatto incontestabile che il comportamento omosessuale è sempre condannato in contesti diversi e con motivazioni diverse. Ma alla riflessione teologico-morale odierna non devono sfuggire due elementi importanti:

la motivazione del “contro natura” appare solo in un testo di Paolo, e presenta qualche ambiguità all’uso che se ne è fatto nella produzione teologica successiva;

l’idea di persona omosessuale – sessualmente orientata, come oggi si dice nel linguaggio ufficiale della Chiesa – non esiste in assoluto; esiste forse invece il maschio dedicato a prostituzione cultuale.

Nella Tôrâh esistono solo due testi sicuramente prescrittivi in Lv 18 e 20, più uno circa la prostituzione sacra in Dt 23. lasciando agli esegeti uno studio analitico di questi e di altri testi, e la collocazione temporale sia della eventuale tradizione orale sia della stesura definitiva nel canone (che è importante per determinare il contesto culturale e sociale in cui la formulazione viene definitivamente fissata), vediamo subito che i due testi di Lv 18,6-23 e 20,1-21 sono assai simili, con la differenza che 18 contiene norme mentre 20 contiene vere leggi penali con relativa sanzione (prevalentemente la morte). I due testi presentano alcuni caratteri singolari. Essi pongono il divieto di comportamenti omosessuali (maschili) all’interno di una serie di divieti: divieto di incesto, assai rigoroso e dettagliato; divieto di rapporti con donna durante il periodo mestruale; divieto di adulterio; divieto di sacrifici umani (di bambini a Moloch);divieto di relazioni sessuali con altro maschio; divieto di rapporti con animali (bestialità). Lc 20 aggiunge il divieto di rivolgersi a negromanti e indovini. E’ rilevante l’espressione “non avrai con altro maschio relazioni come si hanno con donna: è abominio (Lv 18,22; 20,13): essa denota sicuramente un rapporto omosessuale quasi sicuramente con penetrazione anale, ma essa denota molto probabilmente anche la motivazione del divieto. L’uomo è superiore alla donna, e con l’atto che compie usa violenza all’altro sottomettendolo, riducendolo a ruolo femminile; la condanna vale anche per l’altro (si suppone consenziente), perché ha accettato un ruolo femminile. Questa lettura è molto probabile, in specie se raffrontata con le narrazioni di Noè e Cam, di Sodoma, di Gabaa su cui torneremo fra poco (come è quella di Dt cit.), ma non credo che questo sia il caso. L’abominio consiste proprio nella violazione dell’ordine sociale e dei relativi ruoli voluti da Dio.

Un’altra importante osservazione è che qui, e solo qui, si parla della perversione sessuale anche femminile nel caso di bestialità. L’omosessualità femminile è sconosciuta all’A. T., mentre è conosciuta la bestialità. O l’omosessualità femminile non era un evento sufficientemente diffuso per esser sanzionato, o era un evento non interessante: il rapporto fra donne probabilmente non sembrava moralmente e soprattutto socialmente importante perché non sembrava violare l’ordine sociale voluto da Dio. Ma siamo nell’assoluta incertezza. E tuttavia che nella donna ci fossero stimoli sessuali molto forti e pratiche diffuse è dimostrato dal divieto di bestialità, il divieto che è espresso con estrema durezza: è ipotizzabile che nella bestialità la donna si facesse succube della forza animale, e con questo ricadesse nella stessa violazione dell’ordine sociale-naturale voluto da Dio. Si potrebbe pensare cioè a uno schema uomo-uomo, con l’uomo degradato e degradatesi a donna, con la donna degradatesi nella sottomissione a animali. Emergerebbe allora, come io sono propenso a pensare e come altre narrazioni bibliche confermano, che il peccato di omosessualità sia in radice non in primo luogo un peccato di sesso, ma un peccato di dominio violento e – nel consenziente – un peccato di abdicazione dal proprio ruolo naturale di dominatore e non di dominato.

Tralasciando il testo di Dt 23, che riguarda solo la prostituzione sacra,. E che del resto non è privo di incertezze e ambiguità, è infine importante osservare come i due testi di Lv siano entrambi inclusi in una raccomandazione di non seguire gli usi delle popolazioni pagane in cui il popolo sta per inoltrarsi. Ma la redazione finale molto più tarda, esilica o immediatamente postesilica, ha sicuramente di mira l’ambiente socio-culturale e culturale (così dovrebbe essere intesto anche il testo di Dt) medio-orientale dell’epoca. In ogni caso qui è in gioco l’identità culturale e religiosa del popolo di Israele, che deve esser salvaguardata da influssi esterni. Questo spiega perché in mezzo a tanti peccati sessuali vi sia anche il peccato di immolazione di bambini e di negromanzia.

Ma nell’A. T. vi sono narrazioni – non prescrizioni dirette – di uguale rilievo per la nostra ricerca. La più famosa è l’episodio di Sodoma (Gn 19,1-11), e ha poco o nulla a che vedere col peccato di omosessualità. Lot, che a Sodoma era considerato uno straniero, ospita due angeli (apparentemente in forma di uomini). “Tutto il popolo al completo” si raduna davanti alla sua casa, e esige i due uomini per abusarne. Lot rifiuta, e anzi offre loro le due figlie vergini per placarli, in ossequio al supremo dovere di difendere gli ospiti (celesti). Il popolo rifiuta e dice: “Questo individuo (Lot) è venuto qui come straniero e vuol fare il giudice! Ora faremo e te peggio che a loro”. Lot con gli ospiti e la famiglia è salvato per un intervento celeste e fugge, mentre il castigo di Dio piomba sull’intera città distruggendola (Gomorra appare solo prima (18,20) e dopo (19,24), facendo di Sodoma e Gomorra un tutt’uno). Qui appare chiaro che il loro peccato non consiste specificamente nella pratica dell’omosessualità, ma nella violenza, nella volontà di dominare e di umiliare. Nei numerosi richiami biblici a Sodoma e Gomorra non si fa riferimento alcuno all’omosessualità. Anzi in Ezechiele (Ez 16,46-54) il peccato è di orgoglio, disprezzo del povero (del debole, dello straniero), volontà di dominare e umiliare. E’ anche significativa la contrapposizione spesso dimenticata fra l’atteggiamento verso lo straniero, l’ospite, di Abramo verso gli angeli – che precede immediatamente il fatto di Sodoma – e quello dei sodomiti. In nessuna citazione intrabiblica l’omosessualità dei sodomiti è vista come peccato in sé, ma come sineddoche per violenza, dominio, rifiuto dello straniero. E’ importante la citazione implicita dei sodomiti paragonati agli egiziani: “essi soffrirono giustamente per la loro malvagità, avendo nutrito un odio tanto profondo verso lo straniero” (Sap 19,13, ma vedi l’intero brano 13-19), ma gli egiziani fecero ancora peggio verso il popolo ebreo che gli era amico. Solo nell’ebraismo ellenistico (Giuseppe Flavio e Filone) emerge in Sodoma il peccato specifico di omosessualità. Nella bibbia il peccato è in sintesi arroganza, volontà di dominio, xenofobia, disprezzo dell’ospitalità.

Altra narrazione parallela a quella di Sodoma, e forse derivata da essa, si ha nel libro dei Giudici (Gdc 19 tutto). Un levita va a riprendersi la sua concubina/moglie. Al ritorno a Efraim deve pernottare, e rifiuta di farlo in una vicina città pagana per arrivare alla più lontana città di Gabaa, della tribù di Beniamino. Ma, giunto nella città israelita, “si fermò nella piazza della città, ma nessuno lo accolse in casa per passare la notte” (v. 15). Solo un vecchio, straniero anche lui, lo accoglie. Qui si ripete la stessa scena di Sodoma, con un racconto terrificante. Ma i Gabaiti si accontentano questa volta della moglie, che il levita vilmente ha offerto al suo posto. Ne abusano tutta la notte fino a farla tramortire (morire?). le tribù si alleano contro Beniamino e dopo lunghe battaglie lo sconfiggono. Poi però Beniamino viene riammesso nel popolo e riabilitato. Il parallelo è ovvio, con due varianti: il popolo cattivo si accontenta di una donna e poi viene più o meno sconfitto e perdonato. Dunque la richiesta omosessuale viene soddisfatta con un’offerta eterosessuale. La malizia è il rifiuto e l’abuso dello straniero, colpito nella sua moglie: non invece l’omosessualità. Vi è certamente un terribile abuso sessuale sulla donna, che però i stata offerta dal marito. Il peccato è un peccato di violenza, non importa se su maschio o femmina. E l’episodio serve bene per suffragare l’interpretazione sopra data del peccato di Sodoma. Può darsi che il parallelo con Sodoma sia deliberato, e che le due varianti – etero-sessualità e perdono finale – siano introdotte per rispetto alla tribù di Beniamino.

Una terza narrazione di comportamento omosessuale, ma in un contesto che non può considerarsi direttamente storico, è quello di Cam di fronte a Noè ubriaco (Gn 9,20-27). “Cam, padre di Canaan, vide suo padre scoperto” (v. 22): l’espressione “vedere o scoprire la nudità” è sicuramente una circonlocuzione per indicare qualche atto sessuale. Stessa espressione nei divieti di incesto in Lv 18 e 20. infatti Noè, rinvenuto, “seppe quanto gli aveva fatto il figlio”. Anche qui domina la volontà di potere: Cam sembra voler sostituire il padre nella guida dell’umanità futura. Infatti il suo castigo è di divenire schiavo dei suoi fratelli: la sua stirpe, Canaan, sarà schiava degli israeliti, ma con essa l’Egitto. Si tratta di un testo javista mirante a giustificare la superemazia di Israele su Canaan e sugli Egiziani (Lv 10,6). Potrebbe essere interessante esaminare il testo di Gn 6,1-13, che apre il racconto del diluvio. In esso sarebbe da vedersi, io ritengo, una commissione sessuale fra gli angeli (i figli di Dio) e le donne, commistione da cui nascono i giganti: in tal caso vi sarebbe una connessione con gli angeli di Sodoma. Ma in ogni caso emerge anche qui, e dichiaratamente, il tema della violenza unita alla corruzione (vv.11-13) come causa unica del castigo del diluvio. Una discussione più approfondita del testo sarebbe importante, ma fuori luogo in questo breve scritto.

Concluderei dicendo che ogni rapporto – o tentato rapporto – omosessuale è sempre condannato. L’interpretazione fra David e Gionata come omosessualità approvata è infondata nel testo, e del tutto fantasiosa. Se però l’atto omosessuale è sempre condannato, non appare mai condannato per se stesso, ma per lo spirito di dominio violento che esprime; in più in Lv esso è visto solo come una parte – non particolarmente rilevante – dei costumi sociali-cultuali dei popoli in cui Israele si insedia, e dai quali deve difendere la propria identità sociale e cultuale. Infine è del tutto assente il concetto di “persona omosessuale”. L’omosessualità è condannata in sé solo in alcuni testi ebraici non biblici contemporanei agli inizi del cristianesimo e legati alla filosofia e alla morale ellenistica allora prevalente. Probabilmente – ma nessuno lo può dire con certezza – è da questi testi che nasce nell’ebraismo successivo la demonizzazione dell’omosessualità per se stessa, indipendentemente dalle motivazioni sociale o personali da cui possa emergere l’atto concreto omosessuale.

V

In tutto il N. T. l’unico motivato riferimento alla malizia del comportamento omosessuale si ha in Paolo nella lettera ai Romani (1,26-27). Altri riferimenti sono due inclusioni nei cataloghi dei vizi in 1Cor 6,9 e 1Tim 1,10. non è mio compito addentrarmi nella complessità, davvero estrema, delle interpretazioni testuali e spesso divergenti degli specialisti. (10) Intendo invece accennare ad alcuni elementi presenti nel testo paolino e scarsamente o per nulla considerati dalla riflessione teologico-morale corrente. Il riferimento di base è a Rm 1,26-27.

E il primo fondamentale elemento è il collegamento fra omosessualità e idolatria. I pagani hanno “cambiato” la gloria di Dio con l’immagine di uomini e animali vari (v. 23). Hanno “cambiato la verità di Dio con la menzogna” (v. 25). Questa radicale inversione che è l’idolatria genera altre inversioni (cambiamenti): è in questo contesto che segue subito il testo sull’omosessualità, seguito subito da un lungo elenco di altri vizi (vv. 28-30). Non è possibile scindere e interpretare un versetto ignorando l’intera sequenza. Rapporti sessuali e rapporti contro natura devono essere intesi anch’essi come inversione (cambiamento) che è conseguenza dell’inversione di base. Il verbometallasso è ripetuto identico per l’idolatria e per le conseguenti perversioni sessuali. Qui, a mio modo di vedere, non è in gioco solo né primariamente la natura del sesso anatomico, ma piuttosto la natura globale del ruololoro donne: la donna è a servizio dell’uomo. Forzando un poco (ma non tradendo) il testo, per Paolo qui non esistono “le donne” in genere, ma le “loro donne”. rispettivo dell’uomo e della donna. Il testo è di carattere generico, e non si preoccupa di descrivere a quali specifici comportamenti si riferisce: ciò potrebbe indicare una condanna esplicita e assoluta di qualsiasi comportamento, ma più probabilmente Paolo qui è interessato solo a un’inversione clamorosa dei ruoli naturali. Non può essere ignorato il fatto che per prime vengono menzionate le donne, e anzi le

Un altro elemento per la comprensione del testo è il fatto che esso è solo il primo e più clamoroso frutto di una “intelligenza depravata” (v. 28) che ha abbandonato la conoscenza di Dio. Segue infatti, senza soluzione di continuità, un lungo elenco di comportamenti egualmente indegni: e tutti questi comportamenti riguardano l’ingiustizia e la violenza verso il prossimo. Anche questi sono un capovolgimento dell’ordine voluto da Dio – in particolare esser “ribelli ai genitori” – capovolgimento che si conclude con l’esser senza cuore, senza misericordia (v. 29). E si ricordi che nella stessa lettera Paolo dice che “pieno compimento della legge è l’amore” (13,10), come somma e logica suprema di tutti i comandamenti: forse riemerge qui il dato di fondo tradizionale della condanna dei vari episodi omosessuali sia nella Bibbia che Paolo conosceva – che l’A. T. – sia nel mondo greco-romano anch’esso ben noto a Paolo e che, come abbiamo visto, non era più quelo di Socrate e Platone anche in materia di omosessualità.

Un terzo elemento di comprensione è la totale ignoranza di “persona omosessuale” nel senso odierno. I comportamenti omosessuali qui vengono presentati come comportamenti di persone normalissime, cioè eterosessuali che deliberatamente tradiscono il loro ruolo naturale. Si tratta di gravi peccati alla pari di quelli elencati nel versetti seguenti, e che hanno per i pagani l’unica origine di aver cambiato il creatore con le creature. Al riguardo occorre ricordare che la lettera è tutta dedicata al tema del bisogno di salvezza per fede che accomuna pagani ed ebrei: e infatti segue subito la condanna anche degli ebrei, che fanno cose anche peggiori (2, 1ss). Vengono citati i vizi omosessuali dei pagani per respingere il senso di superiorità degli ebrei che si appellano alla legge. E Giovanni Crisostomo nota che Paolo qui parla non di amore, ma di libidine (Hom. in Roma 4).

Quanto ai cataloghi dei vizi in altre lettere, sopra citati, la condanna dei comportamenti omosessuali va letta nella stessa luce di quanto già esposto. In essi occorre tener conto dell’incertezza interpretativa dei termini arsenokoîtai e malakoí, che qui non possiamo discutere e che comunque vengono omessi dal commento a 1Cor 6 della Didaché e ignorati dalle trattazioni sull’omosessualità di Clemente Alessandrino e Giovanni Crisostomo. (11)

Un ultimo elemento di comprensione è l’analisi del termine “natura”, e del corrispettivo “contro natura”. In Paolo le cose non sono così semplici come tutta o quasi la tradizione morale cristiana ha ritenuto. Occorre tener ben presente che Paolo presenta una buona formazione giudaico-ellenistica, e che in materia di giustificazione di una norma morale egli dipendente in gran parte dalla filosofia post-aristotelica allora dominante sia nel mondo greco che in quello romano. Nei tanti cataloghi di vizi (i cosiddetti Lastenkatalogen) l’elencazione non segue i dieci comandamenti ma piuttosto riprende quasi di peso gli elenchi stoici o cinici, una sorta di filosofia popolare allora corrente: fa eccezione 1Tim 1,9-10 che segue l’ordine dei comandamenti, ma la lettera è molto più tarda e riflette una diversa situazione della chiesa e della società. E’ perciò non solo lecito, ma doveroso conoscere il significato dei termini nel quadro di quella cultura e filosofia morale.

In questa sede è fuori luogo ripercorrere la lunga e tormentata storia dell’idea di legge naturale. Ai nostri scopi è sufficiente osservare che a quell’epoca – da Aristotele e anche dall’ultimo Platone – la natura dell’uomo non è vista solo in termini di una pura fisicità, ma piuttosto in termini di ordine naturale della società. Così si spiega perché Paolo in Ef 5 raccomandi a tutti di esser sottomessi l’uno all’altro (v. 21), ma subito dopo (v. 22) chiede alle moglie di esser sottomesse ai mariti, ma non viceversa: i mariti dovranno invece amare le mogli con dedizione totale, come Cristo ha amato la Chiesa. Io ritengo che in questo passo sia evidente la tensione fra il supremo comando dell’amore reciproco e la collocazione sociale della donna rispetto all’uomo. Nella lettera ai Colossesi (3,18-25, e in altri brani più o meno paralleli) si raccomanda la sottomissione della moglie al marito, l’obbedienza dei figli ai genitori, la docilità dei servi: e tutto questo nel nome del Signore. Per Paolo non vi è discrepanza fra la sottomissione evangelica (o dedizione totale reciproca) e l’osservanza dell’ordine sociale esistente ai suoi tempi. Così per Seneca i bagni caldi, i banchetti dopo il tramonto e il ruolo sessuale passivo dell’uomo sono a pari titolo contro natura. E per Paolo si veda la descrizione del buon comportamento nelle assemblee: in esse uomo e donna devono fare cose diverse: non è conveniente che l’uomo preghi a capo coperto e la donna a capo scoperto. “Non è forse la natura stessa a insegnarci che è indecoroso per l’uomo lasciarsi crescere i capelli, mentre è una gloria per la donna lasciarli crescere?” (1Cor 11, 2-17). E tuttavia nel Signore né la donna è senza l’uomo né l’uomo senza la donna (v. 1).

Abbiamo dunque da un lato la precisa visione del supremo comandamento dell’amore che supera ogni sistema umano di relazioni uomo-donna, e dall’altro lato un sistema “naturale” di precetti e subordinazioni necessari al retto ordine della convivenza. Le idee di natura e di “contro natura” sono dunque legate alla pura fisicità primariamente (o solo) in quanto elemento determinante il ruolo prescritto a un essere umano in ordine a ciò che è socialmente necessario (oggi, in una lettura diacronica del sociale, diremmo piuttosto socialmente accettato: ma qui si potrebbe aprire un’ampia discussione estranea ai nostri scopi). Del resto fino agli anni ’60 del nostro secolo una donna in chiesa a capo scoperto o un uomo col cappello erano considerati in accettabili, e fino agli anni ’50 nelle prediche quaresimali era spesso inserita la predica contro le donne in pantaloni. E quando io entrai nel 1961 nella mia parrocchia tutta di contadini, e lascia che le donne venissero in chiesa e alla Santa Comunione vestite come meglio credevano – purché decorosamente – dovetti fare una lunga opera di persuasione per fare comprendere e accettare tale prassi.

VI

Questa, più o meno, dovrebbe essere l’idea di natura (e rispettivamente di “contro natura”) che Paolo adopera, e che gli deriva dalla filosofia greco-romana tipica dei suoi tempi e da lui ben conosciuta. Occorre tener presente che nella tradizione greca ogni essere umano è sempre inserito nella polis come parte al tutto e che, almeno al tempo di Platone e anche di Aristotele, la natura dell’essere umano include il suo ruolo nella polis. Ora io credo che a cavallo dell’era cristiana, sempre all’interno del filone filosofico di matrice aristotelico-stoica, si sia sviluppata una visione della natura un poco diversa, probabilmente di origine eudemonistica – “se vuoi viver bene, agisci secondo natura” – già presente in Aristotele, ma ormai spogliata dalla componente sociale. Questa idea di natura, e la sua riduzione agli organi, funzioni e strutture della corporeità animale considerata in se stessa, diverrà univoca nei primi secoli dell’era cristiana, e si riscontra certamente in tutti gli autori stoici e nei Padri (che da essi in materia sessuale attingono ampiamente) a partire dal IV secolo. Deve esser chiaro che questa è una mia ipotesi, ma la ritengo plausibile perché rende conto delle tante sfumature dell’idea di natura e di morale naturale che si riscontrano e si scontrano nei molti testi filosofici e soprattutto letterari dei primi secoli dell’impero. (12)

Il ragionamento di base è il seguente: se in tutti gli animali – e l’essere umano appartiene al genere animale – l’istinto sessuale è finalizzato alla procreazione, solo i comportamenti sessuali ordinati alla procreazione sono secondo natura. “Id quod natura omnia animalia docuit” viene insegnato all’uomo per mezzo della ragione invece che dell’istinto. Accanto a questo vero e proprio principio primo in materia di morale sessuale, ve ne è un altro (che in qualche modo rispecchia ancora l’importanza sociale del ruolo sessuale): la superiorità dell’uomo sulla donna, con una varietà di motivazioni ben note e che si avvicendano in pratica fino al nostro secolo, mescolando o intervallando ragionamenti biblici, filosofici, scientifici. Questi due principi restano immutati nella teologia morale cattolica, nella filosofica morale occidentale, nell’organizzazione sociale e anche nel diritto penale praticamente fino agli anni ’60 del nostro secolo, e in alcune applicazioni fino ad oggi. Ma non sono fondati sulla verità rivelata: questa idea non appare mai nella Scrittura, neppure in s. Paolo; e neppure appare l’idea dell’omosessualità come peccato contro natura. In tutti i testi o documenti di morale cristiana il riferimento biblico è fatto appena di sfuggita (e talora solo in nota con la pura citazione dei versetti di Gn 19 e di Rm 1), mentre pagine e pagine illustrano l’orrore per il crimine nefando in tutti i suoi possibili dettagli. Farò solo alcuni esempi di epoche diverse per illustrare la permanenza dello schema mentale che ne è il fondamento.

S. Pier Damiani nell’XI secolo è preoccupato e indignato per il diffondersi di comportamenti omosessuali nei monaci e nel clero, e soprattutto in ecclesiastici costituiti in, o aspiranti a superiori gradi. Il quadro che ne fa è davvero desolante, ed è sicuro indice di una ancor più ampia diffusione della pratica nei laici. Scrive perciò un libello al papa Leone IX, detto Liber gemorrhianus, (13) illustrando le diverse modalità dell’andare contro natura, e chiedendo che gli ecclesiastici rei siano rimossi dal loro stato o ufficio ecclesiastico con un atto solenne e severo del pontefice. Leone IX sottoscrive ed elogia il libello e il suo autore, ma contemporaneamente prende molto alla leggera la richiesta di sanzioni (“nos humanius agentes”), specialmente per casi saltuari o rari, e in pratica ignorando la richiesta perentoria di rimozione. Forse era preoccupato del gran numero di ecclesiastici distinti e in autorità che praticavano l’omosessualità. Ma comunque approva con la sua autorità la presentazione del caso quale è offerta da Pier Damiani.

“Vitium igitur contra naturam velut cancer ita serpit, ut sacrorum hominum ordinem attingat”. Il vizio assume quattro forme, che vengono elencate ordine di gravità crescente: “Alii siquidem (la masturbazione solitaria), alii aliorum manibus (la masturbazione reciproca), alii inter femora (anche inter cruera: si ha già un ero rapporto o commercio omosessuale), alii denique consumato actu contra naturam delinquunt” (penetrazione anale). Negli ultimi due casi i partner sono ambedue colpevoli (solo in caso di violenza), ma quello passivo lo è meno di quello attivo. Va qui notato come la tradizione greco-romana venga qui intervitata: la colpa non è nel ridursi alla condizione inferiore di donna, ma nel violare la natura dell’atto stesso con emissione di sperma inevitabilmente infecondo. La colpa maggiore è perciò nell’attore. Il resto del libello è una nobilissima riflessione spirituale fatta con una consumata arte retorica: la sincera passione è tale da far scambiare la malattia di “fluxus seminis” (gonorrea) col morbo “gomorrhianus”, nella citazione di 2 Sam (allora indicato come 2 Re) 28-29. e’ vero che vengono citate due versioni latine diverse, ma viene preferita la prima e comunque vengono equiparate nel loro significato.

Nel corso del libello, che enumera e critica sanzioni canoniche precedenti, appare anche un altro peccato contro natura, che pare fosse praticato anche dal clero: la bestialità ovvero un rapporto sessuale più o meno completo con animali. Viene citato e poi criticato un canone esistente: “Qui cum pecude fuerit fornicatus, vel jumento, decem annis poeniteat; item episcopus cum quadrupedibus peccans, decem annis poeniteat et gradum ammittat…”. La situazione non era certo allegra. Il peccato di bestialità viene affiancato a quello di omosessualità, visto infine come atto demoniaco: “Vigilanter ergo Sancti Patres sodomitas cum energumenis simul orare sanxerunt, quos eodem diabolico spiritu invasos esse non dubitaverunt”.

Lo schema proposto sapientemente da s. Pier Damiani resta praticamente immutato nei secoli seguenti. A omosessualità e bestialità si aggiunge il peccato di incesto: esso non viene considerato propriamente contro natura, salvo quello in linea diretta, ma neanche secondo natura: “in commistione personarum coniunctarum aliquid est quod est secundum se indecens et repugnans naturali rationi”. S. Tommaso qui nota molto acutamente che, salvo i legami più stretti (genitori figli), il peccato di incesto è legato alle diverse legislazioni sociali. (14) Nella Chiesa si ha un incesto nel rapporto con persone con le quali sussiste impedimento di consanguineità o affinità per il matrimonio (e anche quest’impedimento ha subito diverse variazioni nel corso dei secoli): L’osservazione di Tommaso è importante perché in qualche modo – probabilmente non conscio – rispecchia l’idea di contro natura quale abbiamo trovato in s. Paolo.

Nel XVIII secolo s. Alfonso – da cui dipende gran parte della teologia morale fino ai nostri giorni (e non immeritatamente, sia per l’accurata recensione e discussione delle opinioni dei moralisti che lo precedono, sia per l’attenzione agli aspetti pastorali: e su questo forse oggi abbiamo ancora molto da imparare)- fa un’esposizione accurata fin nei minimi dettagli dei vari peccati contro natura in materia sessuale, è in pratica riprende lo schema di s. Pier Damiani. (15) E’ però interessante, e confermante l’idea di natura puramente fisica, notare che per lui come per i teologi posteriori si può peccare contro la natura violandola – oltre che con l’autoerotismo – in tre modi: usando del vaso indebito (coito anale), del sesso indebito (omosessualità), della specie indebita (bestialità). La prima violazione riguarda anche rapporto eterosessuali e anche matrimoniali: la sodomia nel matrimonio è ben nota (lo vedremo fra poco), e condannata come contro natura. E’ infine interessante il problema del “sito” o modo indebito. Il modo naturale – e quindi più o meno prescritto – è quello dell’uomo sopra la donna (sdraiata). Altri modi non sono pienamente approvati, ma in genere costituiscono solo peccato veniale. Le motivazioni sono due: la prima è che per natura l’uomo deve dominare la donna nel rapporto sessuale; la seconda è che con posizioni diverse può essere compromessa la fecondazione. Col progresso delle conoscenze scientifiche la seconda motivazione si attenua e scompare. Lo stesso avviene per la prima motivazione; ma la supremazione sessuale dell’uomo resta ancora nei manuali di morale del nostro secolo, infatti il petere debitum è proprio dell’uomo, mentre è proprio della donna il reddere debitum. In un manuale del novecento la donna potrà convenientemente chiedere in forma indiretta, cioè con sguardi e atteggiamenti. Non si dice che chiedere sia un peccato, ma non è consigliabile né conveniente.

Tutti senza eccezione i manuali di teologia morale più famosi fino a dopo la seconda guerra mondiale dicono, con sfumature diverse, le stesse cose. Solo in qualcuno – per esempio nella Theologia moralis di Iorio e di Noldin, rispettivamente del 1946 (16) e del 1941: (17) in entrambi gli autori emerge un’assegnazione psicopatologica, la già ricordata medicalizzazione – solo nel sec. XX si comincia ad accennare al problema dell’omosessualità come condizione inerente a una persona, ma in forma brevissima e senza alcuna interpretazione o attenzione pastorale. La teologia morale risente in ritardo delò processo di medicalizzazione di cui abbiamo già parlato, ma non sposta in nulla la riflessione sui singoli comportamenti sessuali derivanti da tale condizione. (18)

VII

Nessuno deve perciò pensare che oggi si abbia un subitaneo aumento dell’omosessualità, dovuto a qualche perversione dei nostri tempi. Comportamenti omosessuali, e più in generale quelli detti contro natura sopra specificati, vi sono sempre stati in tutte le aree culturali che hanno portato alla cultura occidentale e per quanto è dato sapere anche in molte altre culture. Sicuramente in Asia: l’offerta di bambine e bambini è presumibilmente tradizionale nel Sud-Est asiatico. Molto recentemente si è avuta in Cina una maggior tolleranza, e il dato approssimativo fornito è di 50 milioni di persone che praticano l’omosessualità: Probabilmente la realtà è superiore. Per restare nella nostra area culturale, comportamenti omosessuali vi sono sempre stati. Anche in epoca cristiana devono essere stati molto frequenti se si è sempre provveduto a sanzioni giuridiche sia ecclesiastiche che civili. Firenze e Venezia erano particolarmente dedite a questa prassi, e rinominate in Europa per questo: di esse abbiamo ampia documentazione e studi accurati. (19) Fra il XIII e il XVII secolo – approssimativamente – abbiamo i resoconti giudiziari e abbiamo ampie testimonianze letterarie e di predicazione. La pena sancita, almeno per la parte attiva, era la morte (il rogo); pene minori l’esilio (per le classi elevate), la gogna, la multa. Sia a Firenze che a Venezia si crearono squadre speciali di polizia o magistratura antisodomitica, con pattugliamento delle città durante la notte, dette rispettivamente “Ufficiali della notte” e “Collegium sodomiticum”.

L’omosessualità era frequente nelle classi più elevate socialmente e culturalmente, non esclusi i religiosi di ordine e grado: ne è testimone, fra tanti altri, lo stesso Dante Alighieri nella Divina Commedia. Nel bellissimo canto XV dell’inferno Dante si incontra con Brunetto Latini che era stato anche il suo maestro. Il canto dovrebbe essere letto per intero, quanto meno per cogliere lo struggente contrasto fra la condizione di dannato di Brunetto e il commosso rispetto che Dante ha per lui. Qui ricordo solo che Dante si accompagna per un poco a Brunetto, e “dimando ci sono/li suoi compagni più noti e più sommi./Ed elli a me. Saper d’alcuno è buono;/de li altri fia laudabile tacer ci,/che ‘l tempo saria corto a tanto suono (discorso)./Insomma sappi che tutti fur cerci (uomini di chiesa)/ e letterati grandi e di gran fama,/d’un peccato medesimo al mondo lerci” (vv. 100-106). Grande studioso di diritto è Francesco D’Accorso (1225-1293); grande uomo di chiesa è (citato indirettamente) il vescovo di Firenze nel 1287, Andrea dei Mozzi, trasferito da Bonifacio VIII a Vicenza; grande letterato è lo stesso Brunetto Latini. (20) Due secoli dopo, al finire del ‘400, nella cerchia di Niccolò Machiavelli (21) vi erano certamente uomini di lettere rinomati e omosessuali. La predicazione di Bernardino da Siena e di Girolamo Savonarola è durissima, le leggi penali sempre assai rigorose, ma non sembra che gli effetti siano stati proporzionati all’impegno. (22)

Una questione interessante è il perché della legge penale: è certo che la legge segue il diritto comune allora vigente e strettamente connesso con la tradizione cristiana. Ma vi è anche l’elemento “paura”: la vendetta divina su Sodoma e Gomorra spaventa ancor gli amministratori, veneziani in specie per il pericolo delle acque. Dopo la grande peste vi è anche il problema demografico che incombe a Venezia come a Firenze, tanto che si promuovono nuovi bordelli mirati a scacciare il vizio orribile con un altro più domestico. Ma la legge penale a Venezia, essendo durissima, raramente viene applicata: quasi mai alle famiglie nobili, un poco di più al popolo. A Firenze le leggi sono meno rigorose e forse più applicate, ma i fiorentini si difendono meglio con l’arma dell’irrisione e dello schermo benevolo. Poesiole varie circolavano, anche sul clero: e io personalmente, giovane prete degli anni ’50, le ho udite da vecchi preti e da contadini, trasmesse per tradizione popolare orale. Ma specialmente a Firenze una causa della diffusione dell’omosessualità verso i giovinetti può essere stato l’umanesimo e il conseguente influsso dei costumi greci colti, mentre a Venezia si ipotizza l’influsso del mondo turco, certamente dedito a comportamenti omosessuali soprattutto a scopo di sopraffazione. Tutto ciò è interessante, e può chiarire la triste fama di Firenze e Venezia, ma l’uso di comportamenti omosessuali è vastissimo e ampiamente popolare.

In tutta la teologia morale,e con essa nell’opinione pubblica, scarsissimo rilievo viene dato all’omosessualità femmine, se non per un vago ricordo dei nomi di Saffo e di Lesbo, con cui essa sarà denominata. Il cosiddetto “seme femminile” prodotto nell’orgasmo, dal momento che non aveva parte attiva alla procreazione, non rendeva il rapporto propriamente contro natura: era si contro la natura del sesso, ma non contro la procreazione. Il vero peccato di sodomia è praticamente solo maschile. Può essere anche femminile quando il partner maschile penetri in vase indebito e la donna acconsenta. Ancora oggi si parla di donna sodomizzata (è stato il vero elemento di scandalo del film Ultimo tanto a Parigi). La scarsa attenzione dei secoli scorsi all’omosessualità femminile ha portato, per contrasto, elementi di novità nel novecento. Ma vi torneremo in seguito.

La teologia morale cristiana, quella cattolica e più ancora quella protestante, nella sua esposizione sistemica è rimasta in materia di omosessualità sostanzialmente immutata per ben oltre un millennio fin verso l’ultima parte del XX secolo, ancorata ad alcuni presupposti che merita il conto di evidenziare.

  1. La sessualità è valutata moralmente in base a una concezione della natura vista esclusivamente nel suo aspetto fisico, o meglio nell’uso dei vari apparati sessuali nei singoli comportamenti, e nella sua funzione biologica ordinata alla riproduzione.
  2. Il comportamento omosessuale appare sempre come vizio, attività deliberata posta in essere in voluta alternativa a quella eterosessuale, che è supposta sempre naturale e quindi possibile. La nozione di “persona omosessuale” appare solo molto tardi e non ha rilevanza in ordine alla valutazione morale del comportamento sessuale.
  3. La fondazione biblica della condanna dell’omosessualità, nei due passi essenziali di Levitico e di Romani, è riportata senza alcuna attenzione alle motivazioni profondamente diverse che stanno alla base dei due passi.
  4. L’idea di natura e di “contro natura” propria di Paolo, che presenta differenze profonde rispetto a quella usata costantemente e senza problemi da tutti i testi di teologia morale, viene invece acriticamente omologata e resa funzionale ad essi.

Note

10) Oltre ai commenti esegetici specializzati, cf. E. F. Rogers jr., The Narrative of Natural Law in Aquinas’s Commentary on Romans 1, “Theological Studies” 59 (1998) 154-276.

11) Citazioni e commento in J. Boswell, Christianity, Social Tolerance and Homosexuality: Gay People in Western Europe from the Beginning of Christian Era to Fourteenth Century, Chicago – London 1980.

12) Di permanente valore L. Strauss, Diritto naturale e storia, Venezia 1957, 127-166, e H. Welzel, Naturrecht und materiale Gerechtigkeit, Gottingen 1960, 37-56.

13) PL 145, 159-190.

14) S. Th. II-II, q. 154 a. 9 ad 3.

15) Teologia Moralis, III, IV: “De sexto et nono decalogi praecepto”, nrr. 464-475; VI, VI: “De Matrimonio”, nrr. 915-917, In Civitate Vaticana 1953, I, 691-697; IV, 96-98.

16) Th. A. Iorio, Theologia moralis, II, Nespoli 1946, 148-149.

17) H. Noldim, De sexto praecepto,Oeniponte 1941, 45.

18) Cf. J. A. Bonsor, Homosexual Orientation and Anthropology: Reflections ion the Category “Objective Disordeer”, “Theological Studies” 59 (1998) 60-83. W.E. May, Quaestio disputatra: Harvey’s The Truth about Homosexuality. Setting the Record Straight, G.D,. Coleman, A Response to dr. May, “Theologiocal Studies” 58 (12997) 718-722: breve ma intenso dibattito sull’importante operas di J. F. Harvey, The Truth about Homosexuality: The Cry of the Faithful,Persona humana” è riconfermata in una Notification drella stessa Congregazionbe del 31.5.1999 co9ntro due religiosi americani operanti nella pastorale degli omosessuali: originale inglese in “L’Osservatore Romano” 154.7.1999. San Francisco 1996. la dottrina ufficiale di “

19) R. Canosa, Storia di una grande paura: la sodomia a Firenze e Venezia nel Quatrtrocento, Milano 1991, con documentazione e bibliografia.

20) Cf. A.M. Chiavacci-Leonardi, Dante Alighieri, Commedia, I: Inferno, Milano 1991, 448-477.

21) Riferimenti nell’epistolario di N. Machiavelli, in Opera, a cura di S. Bertelli, Milano 1968.

22) Per l’aspetto giuridico-sociale cf. L. Marcello, Società maschile e sodomia. Dal declino della “polis” al Principato, Archivio Storico Italiano” 110 (1992) 115-137.

Enrico Chiavacci

(continua)

Letto 4166 volte Ultima modifica il Domenica, 08 Giugno 2014 11:23
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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