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Martedì, 04 Dicembre 2007 23:46

«Consolate il mio popolo» (Is 40,1-11) (Benito Marconcini)

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«Consolate il mio popolo» (Is 40,1-11)

di Benito Marconcini




Il Secondo Isaia inizia con un prologo solenne che, mentre segna uno stacco netto con la tematica e il linguaggio dei capitoli precedenti, racchiude in sintesi i grandi temi dei cc. 40-55 che dalle prime parole sono stati chiamati «Libro della consolazione». L'introduzione tende a convincere il popolo sulla fine dell'esilio e sull'imminente ritorno in patria, verità che le cinque parti del libro progressivamente e in modo organico cercano di dimostrare: (1) i numerosi imperativi «consolate», «parlate», «preparate», hanno l'obiettivo di vincere ogni dubbio e incertezza sul realizzarsi dell'evento. Predomina il tema della Parola (2) (dire, parlare, gridare, voce, rispondere, parola, liete notizie, annunziare) ripreso inclusivamente alla fine del libro (55,10-11). La Parola risuona in un orizzonte cosmico che ne rivela il dinamismo.

Essa infatti parte dal cielo (v. 1) scende nel deserto (v. 3) testimone di eventi meravigliosi (v. 4) e di episodi di debolezza (v. 6), è udita sul monte alto (v. 9), prolunga il suo effetto in Gerusalemme, dove il Signore sta guidando, con forza (v. 10) e come un pastore (v. 11) il suo popolo. Il brano si snoda in quattro parti: fine della schiavitù babilonese (vv. 1-2), attraversamento del deserto (vv. 3-5), riflessione sulla fragilità umana (vv. 6-8) pellegrinaggio verso Gerusalemme (vv. 9-11) sostenuto da una certezza: «Il Signore Dio viene con potenza». Seguiamo le quattro parti, introdotte da Dio e da tre voci imprecisate, con uno sguardo alla ripresa della tematica nei capitoli seguenti.

Consolate il mio popolo

Questo imperativo include tutti i valori espressi nel prologo: la consolazione comporta infatti l'attraversamento del deserto, la sicurezza del permanere della Parola anche dopo la distruzione del popolo e la necessità dell'annuncio a Sion sul ritorno del Signore. La completezza del discorso richiederebbe anche l'ordine di partire, rimandato alla fine: «Fuori, uscite di là, uscite da Babilonia, purificatevi» (52,11). Tra i due ordini sta la predicazione del profeta che nel partire vede l'inizio della consolazione. La mancata identificazione degli esecutori dell'ordine (chi deve consolare? I profeti? I sacerdoti? Gli spiriti celesti?) dà risalto al messaggio stesso.

Il verbo «consolare» supera il pronunciare parole di affetto e di solidarietà e comporta la trasformazione di una situazione: la morte diventa vita, il dolore gioia, la disperazione speranza e - come qui - l'esilio si apre al ritorno in patria. Soggetto della consolazione è infatti Dio, anche quando ad agire immediatamente sono i suoi inviati. «Consolare» assume così il significato anche di «avere misericordia». «Questa concezione spiccata si trova ovunque quando YHWH stesso è il consolatore, perché nel suo volgersi alla consolazione Dio rinnova la comunione di grazia con colui dal quale si era allontanato nell'ira» (Is 12,1). L'incoraggiamento e l'aiuto divino che rendono concreta la trasformazione della situazione ritorna più volte nel Secondo Isaia. «Consolare» (nhm), in parallelo con «aver pietà» (riham: 49,13), esprime la trasformazione del deserto in Eden, della steppa in giardino, l'improvvisa comparsa in Sion di giubilo, gioia, ringraziamento, lode (51,3), (3) la liberazione del popolo dalla paura degli uomini (51,12), la sottrazione a una schiavitù presente nel parallelo «consolare il popolo/riscattare (gā' al) Gerusalemme» (52,9). Il verbo assume anche il senso debole di compatire (51,19; 54,11), non mai disgiunto dall'amore divino (54,10). «Il v. 1 è in germe per forma e contenuto la buona notizia del Deuteroisaia». (4)

Questo è confermato dalla triplice motivazione presente nel resto del versetto che dà contenuto e consistenza alla consolazione. I rapporti tra Dio e il popolo, turbati dall' esilio, sono stati ristabiliti, come chiarifica l'espressione «mio popolo/vostro Dio», evocatrice della tradizionale formula del patto «voi siete il mio popolo e io sono il vostro Dio», usata anche da Geremia per annunciare la «nuova alleanza» (Ger 31,31-34), inclusiva anche del ritorno in patria (cf Ger 31,41; Ez 36,24.28). Il ritorno comporta la fine della schiavitù, cioè quel lavoro faticoso, quel servire stressante e continuo che è stato l'esilio conseguente al debito contratto con Dio. Questo parallelismo, cioè la qualifica dell'esilio come lavoro forzato e come debito, pone il Secondo Isaia in continuità con i profeti precedenti: c'è stata una colpa del popolo (cf 50,1), le cui conseguenze finiscono quando Dio decide di condonare il debito con un perdono incondizionato. È sempre l'iniziativa di Dio a produrre cambiamenti nella storia, come afferma l'espressione «doppio castigo» per qualificare l'esilio. Pur dovuto ai peccati, il tempo del lavoro forzato appare eccessivo all'amore di Dio, impegnato in prima persona. È alla città amata che Dio parla come si fa con la sposa, l'amico, il fratello rivolgendosi a quella sede dei pensieri, della volontà, dei sentimenti, della vita morale, a quella radice delle decisioni, all'io profondo di ciascuno, che è il cuore.

Attraverso il deserto alla libertà

L'uscita da Babilonia e l'ingresso in Gerusalemme sono separati dal deserto, il cui attraversamento costituisce l'inizio della consolazione. Il mediatore di questa è lasciato volutamente imprecisato per far risaltare l'efficacia della Parola che non ritorna a Dio senza aver compiuto il suo desiderio (cf 55,11): «Nel deserto preparate la via del Signore / tracciate nella steppa una strada al nostro Dio».

Il tema della via è ripreso dall'esperienza di Babilonia, dove splendidi itinerari univano i palazzi reali con il tempio ed erano luogo di esaltazione della divinità. Qui la strada del Signore (meglio che al Signore) è preparata nel deserto che assume un duplice senso, geografico e teologico. Esso indica gran parte del vasto territorio tra le due capitali da affrontare con decisione e senza paura, poiché il popolo avrà come guida Dio stesso, capace di infondere più sicurezza di quella sperimentata dai padri nell'attraversare il Mar Rosso.

Questa tematica del secondo esodo sarà ripresa più volte nella profezia, sia paragonando la via del mare con quella del deserto (43,16.19), sia insistendo sul deserto rinnovato e fiorente (41,19-20; 48,21; 49,10-11). Il deserto è pertanto l'ostacolo perenne che si frappone ogni volta che si tratta di uscire da una schiavitù per entrare nella libertà, come nell'abbandonare l'Egitto per raggiungere la terra, Babilonia per entrare in Gerusalemme, o - come avviene nel terzo esodo - nell'uscire da se stessi per entrare nelle vie di Dio. (5)

L'attraversamento del deserto non è solo un segno della potenza divina, ma anche una tappa della storia salvifica. Come già la liberazione dalla schiavitù meridionale, dall'Egitto, anche la sottrazione alla tirannide settentrionale, a Babilonia, rivela il Dio di un popolo apparentemente sconfitto come il Signore della storia, i cui fatti egli predice perché capace di realizzarli. «I primi fatti, ecco sono avvenuti e i nuovi io preannuncio, prima che spuntino io li faccio sentire» (42,9; cf 41,4-4). Chiunque potrà vedere lo splendore divino racchiuso in quella presenza raggiante detta gloria (40,6) e constatare la conduzione amorosa del popolo verso la città.

Parola di Dio e realtà umana a confronto

L'insistenza sull'efficacia della Parola («la bocca del Signore ha parlato») apre un confronto con la fragilità umana, con la sfiducia e la depressione della gente incapace ad aprirsi all'annuncio della novità. «Veramente il popolo è come l'erba» riconosce la voce che invita all'entusiasmo e rivela il profeta solidale con il popolo. Sembra infatti proprio Dio la causa di questa situazione, come il vento caldo del deserto («il soffio del Signore») fa appassire il fiore. Il vocabolo hesed (bellezza/splendore, v. 6) esprime lo scoraggiante ripiegamento dell'uomo, così come kabôd (gloria/magnificenza, v. 5) aveva tradotto il raggiante apparire di Dio. È possibile - si chiede il profeta - unire le due realtà, la potenza divina e il fallimento umano? La possibilità risiede nell'efficacia della Parola che dinanzi al ripiegarsi di ogni realtà umana perdura, o meglio sta in piedi, si erge, producendo nella storia quel miracolo constatato nella natura che fa passare il fiore dalla morte dell'inverno allo splendore della primavera. «La Parola è la forza efficace che crea un momento imprevedibilmente nuovo nella storia, che dona vita dove regnava la morte, che consola chi è nella disperazione, che reca la presenza e la potenza di Dio, che chiude il passato di colpe e di castigo aprendo un futuro nuovo». (6) È la Parola la sola realtà che «tiene» davanti allo sgretolarsi dei poteri umani, anche degli attuali dominatori: dinanzi ad essa svanisce la differenza tra chi ha il potere e chi ne è privo, per cui gli esuli sono invitati ad aggrapparsi alla sola forza capace di ricondurli in patria. È una tematica che il Secondo Isaia richiama costantemente in sfumature diverse (44,24-28; 45,23-24; 50,4; 51,16) specialmente con la frequente espressione «così dice il Signore» (43,1; 44,6; 49,8; 50,1).

Il vangelo di Gerusalemme

Dopo la voce, è direttamente Sion/Gerusalemme, nella figura di una donna, a trasmettere alle altre città di Giuda la lieta notizia, dopo averla ricevuta per prima. Il termine usato è della più grande importanza: biśśar (evangelizzare).

L'annuncio che Dio sta venendo alla testa del popolo, considerato un trofeo di guerra, è la buona notizia, è «vangelo», (7) è certezza del ritorno a Gerusalemme. Il popolo quasi scompare dietro all'avvento del Signore, ritenuto tanto sicuro da essere considerato come già realizzato. «L'inno di lode al quale viene invitata Sion nei vv. 9-11 corrisponde alla forma letteraria, di importanza determinante nella predicazione del Deuteroisaia, dell'oracolo di salvezza, nel quale la liberazione promessa viene annunziata al passato, così che si viene a dire che la svolta causata da Dio è già avvenuta (40,1-2). Per questo l'oracolo di salvezza risuona anche alla lettera nell'invito a non avere paura, alla fine del v. 9». (8)

Il volto di Dio presenta in questi ultimi versetti due aspetti diversi e complementari. Esprime fortezza e decisione: «Il Signore Dio viene con potenza, con il braccio egli detiene il dominio» (v. 10). D'altra parte l'immagine del pastore presenta un volto pieno di tenerezza, attento alle necessità della singola persona con vocaboli toccanti: pascolare, radunare, agnellini, seno, piano piano, pecore madri. È un Dio che si fa vicino, per il quale il tutto esiste nel singolo, che si sente considerato nei propri bisogni, sostenuto e reso capace di camminare.

Conclusione

Is 40,1-11 è un prologo nel senso di introduzione e sintesi del Libro della consolazione sotto un quadruplice aspetto.

Letterariamente anticipa gran parte del vocabolario ripreso e sviluppato in tutti i capitoli, specialmente il linguaggio relativo alla Parola e fa largo uso dell'esortazione presente in modo particolare nei numerosi imperativi.

Teologicamente richiama un fatto, la presenza efficace del Signore nella storia, capace di superare ogni ostacolo, anche l'esilio definito con due categorie complementari, come duro servizio e conseguenza di un peccato: l'effetto prodotto dall'agire divino mediante la Parola è considerato «consolare» ed «evangelizzare». Il volto di Dio caratterizzato nei sedici capitoli con 23 titoli e 63 verbi riceve già qui una prima delineazione: è il Dio del patto, giusto e misericordioso, pieno di gloria e potenza, pastore forte e tenero, che ha scelto il suo popolo.

Da un punto di vista storico-salvifico questo prologo unisce, rileggendole, precedenti tradizioni come quelle relative all'alleanza, al deserto, alla Parola, alla teofania, a Sion/Gerusalemme, a Dio pastore (cf Ger 23; Ez 34) e prepara testi come le riflessioni sulla gloria divina, l'immagine di Dio pastore (cf Gv 10), la tematica della consolazione (cf il libro di Zaccaria), la concezione dell' evangelizzare.

Antropologicamente il prologo, con l'insistenza sull'efficacia della Parola, si rivolge ad ogni uomo che patisce una qualsiasi forma di esilio: oppressione politico-religiosa, esperienza della propria incapacità, difficoltà per un coerente cammino spirituale. L'uomo in ascolto della Parola è condotto a scegliere tra le apparenze ingigantite dalla propaganda e l'umile offerta di una Parola che nasconde la sua potenza nella povertà della fede e sfugge a evidenti verifiche umane, anche se quelle che offre sono sempre significative.

Per ritrovare qualcosa che assomigli a Is 40,1-11 bisognerà attendere il prologo giovanneo (Gv 1,1-18), introduzione e sintesi del quarto Vangelo.

(da Parole di Vita, 4, 1999)

Note

1) B. MARCONCINI, «La salvezza contemplata dal Secondo Isaia», in La Parola diventa preghiera. Parola, Spirito e Vita 25, EDB, pp. 53-57.

2) B. MARCONCINI, Il libro di Isaia 40-66 (Guide Spirituali all'Antico Testamento), Città Nuova, Roma 1996, pp. 33-39.

3) In 51,3 il verbo è tradotto nella Bibbia CEI ambedue le volte con «aver pietà» a differenza della più esatta e comune traduzione «consolare, confortare» e di quella più immediatamente comprensibile «mostrare bontà» de «La Bibbia in lingua corrente».

4) K. ELLIGER, Deuterojesaja (40,1-45,7) (BK.AT XI,1), Neukirchener Verlag, Neukirchen/Vluyn 1989, p. 13.

5) A. SPREAFICO, «Il terzo-esodo: schemi e immagini», in Rivista Biblica 28 (1980), pp. 129- 6) A. BONORA, Isaia 40-66. Israele: servo di Dio, popolo liberato (LoB 1,19), Queriniana, Brescia 1988, p. 32.

7) Il testo isaiano è tra i più importanti che hanno contribuito a dare il senso forte al termine «vangelo/evangelizzare» proprio degli scritti neotestamentari. Cf B. MARCONCINI, I Vangeli Sinottici. Formazione - Redazione - Teologia, San Paolo, Cinisello B. (MI) 1977, pp. 6-10. Il testo ebraico propende per una identificazione tra colei che annuncia e Sion/Gerusalemme, a differenza della traduzione CEI.

8) C. WESTERMANN, Isaia - Capitoli 40-66, Paideia, Brescia 1978, p. 61.
Letto 7019 volte Ultima modifica il Lunedì, 04 Febbraio 2008 02:41
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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