Formazione Religiosa

Mercoledì, 26 Marzo 2008 23:46

Il sacramento della riconciliazione

Vota questo articolo
(4 Voti)

Per intendere rettamente questo sacramento, detto anche sacramento della penitenza, occorre una valutazione secondo la fede di ciò che chiamiamo peccato. Esso è l’evadere consapevolmente e liberamente la vincolante volontà di Dio, è il no superbo ed egocentrico al Creatore e ai suoi ordini. Esso significa aprire una separazione tra il Creatore e la creatura.


Il sacramento della riconciliazione

 

 

1. Fondamenti biblici

 

Per intendere rettamente questo sacramento, detto anche sacramento della penitenza, occorre una valutazione secondo la fede di ciò che chiamiamo peccato. Esso è l’evadere consapevolmente e liberamente la vincolante volontà di Dio, è il no superbo ed egocentrico al Creatore e ai suoi ordini. Esso significa aprire una separazione tra il Creatore e la creatura.


Per i cristiani esso è insieme un tradimento della chiamata di Dio e della vera realizzazione di sé nella sequela di Cristo. Il peccato ha però anche una dimensione sociale, poiché esso infrange con l’arbitrio gli intimi fondamenti e ordinamenti della società umana e porta all’ingiustizia verso gli altri. Questo aspetto sociale assume particolare peso se si considera la comunità dei credenti che chiamiamo chiesa e che Cristo ha chiamato e ha impegnato nella ricerca della santità. Ogni peccato grave dei suoi membri significa un appesantimento e un danno per la sua vitalità e credibilità e quindi anche per la sua forza d’urto missionaria. Ciò che i santi con la grazia di Dio e con sforzi spesso eroici costruiscono, i peccatori talvolta distruggono. Così il peccato contrasta con quell’intenzione di Gesù, con la quale egli «ha amato la chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola per mezzo del lavacro dell’acqua accompagnato dalla parola» (Ef 5,25-26). Possiamo così parlare di un aspetto negativo del peccato dal punto di vista teologico, antropologico, sociale ed ecclesiale.

È facile capire che tali affermazioni di vasta portata valgono solo per quei comportamenti sbagliati che, nel senso della 1Gv 5,6, chiamiamo peccato mortale,un’azione di totale e libero allontanamento da Dio e dal suo ordine. L’odierna teologia e la psicologia pastorale inclinano a considerare il peccato mortale vero e proprio come un fatto piuttosto raro perché la conformazione psicologica e il contesto ambientale spesso fanno apparire come dubbia una cosciente opzione fondamentale contro Dio. Ma anche quando non c’è tale peccato, si possono avere gravi incoerenze e colpevoli rifiuti, che non si possono contare tra quei peccati “veniali” dei quali tutti ci rendiamo colpevoli (cfr. Gv 3,2). È stato proposto così di designare questa categoria media come peccati “gravi”.

 

Gesù di Nazareth, il cui cibo era di fare la volontà di colui che lo aveva mandato (cfr. Gv 4,34), secondo la testimonianza dei vangeli, ha preso molto seriamente il peccato e ha avuto contro di esso parole dure (ad es. Mt 18,6-9; 23,13 s.). Ma egli era non solo il predicatore penitenziale risoluto, bensì si dedicava ai peccatori, preparava la loro riconciliazione e rimetteva egli stesso i peccati (cfr. Mt 9,2). Punto culminante della sua misericordia verso l’umanità peccatrice è la sua passione e morte per l’espiazione e la riconciliazione (cfr. ad es. Rm 5,8). A questa azione riconciliatrice unica egli ha conferito perpetuità istituendo il sacramento del suo corpo offerto in sacrificio per noi, e del suo sangue versato «per la remissione dei peccati». Ai suoi discepoli egli diede il compito e il potere di predicare «a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati» (Lc 24,47) e di amministrare il battesimo per la remissione dei peccati (Mt 28,19; Mc 16,16). Inoltre egli fa della chiesa il segno e lo strumento della riconciliazione allorché, nella potenza dello Spirito santo le conferisce il potere di perdonare i peccati (Gv 20,22 5.; cfr. 2 Cor 5,18).

 

2. Sviluppo storico del processo penitenziale

 

Nella sua sollecitudine per la conversione del peccatore la chiesa usò nelle singole epoche e regioni un diverso grado di severità o di indulgenza e sviluppò diversi processi penitenziali. Già la comunità primitiva conobbe la prassi dell’esclusione (= scomunica) del peccatore, per un tempo determinato, dalla comunione del popolo di Dio, per spingerlo alla conversione (cfr. 1 Cor 5,1-13).Per il perdono delle colpe quotidiane si ritenevano sufficienti la preghiera, il digiuno, l’elemosina e altre opere buone. Nell’epoca seguente solamente i cosiddetti peccati capitali, ai quali appartenevano innanzitutto l’apostasia, l’omicidio e l’adulterio, furono sottoposti a un pubblico procedimento penitenziale. Prescindendo da certe modalità delle diverse epoche e regioni, esso consisteva nelle fasi seguenti: confessione segreta davanti al vescovo o al suo rappresentante, ammissione nel rango dei penitenti e assegnazione dell’obbligo penitenziale, esclusione dalla celebrazione eucaristica o dalla comunione. Questo periodo penitenziale poteva durare più anni e in certe regioni fino al punto di morte. La riammissione nella chiesa (= riconciliazione) avveniva, a Roma, per lo più il Giovedì santo attraverso l’imposizione delle mani e la preghiera del vescovo. In generale valeva il principio per cui il processo di riconciliazione era possibile una sola volta nella vita. In certe parti della chiesa al penitente venivano imposte per tutta la vita delle pratiche penitenziali, che spesso lo opprimevano in modo intollerabile dal punto di vista sociale ed economico. Così si giunse all’uso molto diffuso di differire il processo penitenziale fino al punto di morte (“Penitenza dei malati”).

 

Nelle comunità monastiche orientali si formò una pratica penitenziale differente, che si potrebbe chiamare confessione ai laici. Si confessava la propria colpa ad un confratello, che in generale non era sacerdote, e si chiedeva la sua preghiera. Il tempo di penitenza imposto per i peccati così confessati era assai inferiore a quello della penitenza pubblica ecclesiastica. Passato il periodo di penitenza l’interessato era nuovamente ammesso alla piena comunione dei monaci e la sua colpa era considerata come perdonata.

 

A partire dal sec. VI, sotto l’influsso dei monaci itineranti iroscozzesi, che erano quasi tutti sacerdoti, si giunse a una combinazione di questi due processi penitenziali. Si confessava la propria colpa a un sacerdote e se ne riceveva l’assoluzione. L’opera penitenziale, che originariamente doveva precedere l’assoluzione, poté ben presto essere compiuta dopo. Essa veniva calcolata secondo gli elenchi dei Libri penitenziali (Penitenza tariffata). Già nel sec. IX viene richiesto di confessarsi una o anche tre volte l’anno. Il quarto concilio del Laterano, nel 1215 concluse questo sviluppo con la prescrizione per cui ogni peccatore doveva confessare le sue colpe almeno una volta l’anno.

 

L’epoca moderna conosce lo sviluppo della cosiddetta Confessione di devozione con la confessione delle sole colpe veniali, specialmente come preparazione alla comunione. Le opere penitenziali imposte furono sempre più ridotte e spesso consistettero solo in una corta preghiera. Il processo penitenziale perdette quasi interamente il suo riferimento e il suo carattere pubblico-sociale. Questa evoluzione si intensificò quando, a partire dal sec. XVI, la confessione dal presbiterio si ridusse a essere celebrata lontano dal presbiterio, in una sede confessionale chiusa, nella quale il penitente era separato dal sacerdote da una grata. Per questo motivo anche l’originario segno del perdono, l’imposizione delle mani, dovette essere ridotto a una elevazione della mano in direzione del penitente. La parola della riconciliazione pronunciata all’occasione aveva fino al sec. XIII una forma di invocazione (deprecativa), per lasciar poi posto a una forma indicativa («Io ti assolvo….).

 

L’ultimo sviluppo portò anche alla diffusa denominazione di Confessione, che deve essere considerata come carente perché essa mette in primo piano solo una parte dell’azione del penitente, mentre altre premesse di carattere personale, come la conversione e il dolore, il buon proposito e la soddisfazione (riparazione) per il danno recato non vengono nominate. Soprattutto però con questa espressione rimane in ombra che si tratta qui di un fatto liturgico, nel quale interviene non solo l’uomo, ma anche Cristo, per mezzo della chiesa, in vista della salvezza dell’uomo e della glorificazione di Dio. Inoltre il rito ridotto favorì l’impressione che nel sacramento della penitenza si trattasse solo di un fatto privato. Il carattere sociale ed ecclesiale di questo evento rimase visibile a mala pena.

 

3. Il nuovo ordinamento postconciliare

 

Queste carenze erano conosciute anche al Vaticano II, che perciò dispose: «Si rivedano il rito e le formule della penitenza in modo che esprimano più chiaramente la natura e l’effetto del sacramento» (SC 72).

 

Il nuovo Rito della penitenza (Ordo paenitentiae) apparve il 2 dicembre 1973. Intenzionalmente esso non porta il titolo Ordo sacramenti paenitentiae perché ci sono anche altre forme di penitenza efficace, e il cristiano anche al di fuori del sacramento è chiamato, come ad un atteggiamento permanente, alla conversione e alla penitenza . La traduzione italiana (Rito della penitenza), confermata da Roma il 7 marzo 1974, fu pubblicata l’8 marzo 1974 e divenne obbligatoria dal 21 aprile 1974, domenica di pasqua.

 

Il nuovo rito della penitenza contiene, dopo un’ampia introduzione, tre diverse forme di riconciliazione sacramentale e inoltre modelli di “celebrazioni penitenziali” non sacramentali:

 

A. Rito per la riconciliazione dei singoli penitenti.

 

B. Rito per la riconciliazione di più penitenti con la confessione e l’assoluzione individuali.

 

C. Rito per la riconciliazione di più penitenti con la confessione e l’assoluzione generale. D. Celebrazioni penitenziali.

 

A. Rito per la riconciliazione dei singoli penitenti

 

Quanto al luogo per l’amministrazione del sacramento della penitenza l’Introduzione rimanda al luogo e alla sede «stabiliti dal diritto» (12). Questo negli ultimi 400 anni era il confessionale provvisto di grate (v. sopra). Nel frattempo è emersa la possibilità giuridica di una «stanza di confessione o di colloquio», che venisse meglio incontro al desiderio di molti di un colloquio personale di confessione. Riguardo al tempo della celebrazione il nuovo rituale esclude solo il tempo della messa, nella stessa chiesa (13). La questione della veste liturgica è lasciata alla decisione del competente Ordinario del luogo. Ultimamente quasi dappertutto è richiesta solo la stola.

 

Breve descrizione del rito A:

 

Il sacerdote saluta il penitente e, dopo il segno della croce, lo esorta alla fiducia in Dio. il sacerdote può leggere o recitare a memoria un breve testo della Scrittura sulla misericordia di Dio e sulla conversione dell’uomo. Deve così essere messo in evidenza che la parola e la grazia di Dio precedono ogni sforzo dell’uomo. Segue la confessione personale dei peccati, dopo la quale si ha la parola di chiarimento, di orientamento e di incoraggiamento del sacerdote, e l’imposizione di una adeguata opera penitenziale. Quest’opera penitenziale che naturalmente non toglie l’obbligo della riparazione dei danni recati con i peccati, può «concretarsi nella preghiera, nel rinnegamento di sé, e soprattutto nel servizio del prossimo e nelle opere di misericordia: con esse infatti si pone meglio in luce il carattere sociale sia del peccato che della stia remissione» (18). Dopo un atto di dolore del penitente, il sacerdote stende le mani - o almeno la destra - sul capo del penitente e recita l’assoluzione. La formula corrispondente nel suo contesto teologico si distacca con un netto vantaggio dalla precedente. Essa dice: «Dio, Padre di misericordia, che ha riconciliato a sé il mondo nella morte e risurrezione del suo Figlio, e ha effuso lo Spirito santo per la remissione dei peccati, ti conceda, mediante il ministero della chiesa, il perdono e la pace. E io ti assolvo dai tuoi peccati nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo». Durante l’ultima frase, che in caso di pericolo è sufficiente, il sacerdote traccia il segno di croce e mostra così il collegamento tra la morte in croce di Cristo e la riconciliazione. Dopo l’“Amen” del fedele segue il rendimento di grazie e il congedo, per i quali sono disponibili diversi testi.

 

Rito B:

 

La seconda forma della riconciliazione inserisce la confessione personale dei peccati e l’assoluzione sacramentale del singolo in una liturgia della Parola, alla quale partecipa una assemblea di fedeli. Con un piccolo gruppo non dovrebbe esserci alcuna difficoltà, mentre con un maggior numero di penitenti è desiderabile la presenza di più sacerdoti. Certo questa celebrazione comunitaria contribuisce a illustrare il carattere liturgico-ecclesiale della riconciliazione.

 

Rito C:


Se qualcuno ha ricevuto questa assoluzione generale, rimane obbligato, al più tardi nello spazio di un anno, a confessare a un sacerdote i peccati mortali così perdonati. Come motivazione, il nuovo rituale (34) si richiama in prima linea al concilio di Trento e alle Normae pastorales della Congregazione per la dottrina della fede del 16 giugno Al riguardo si dovrà certo far attenzione e si dovrà anche mettere sufficientemente in evidenza che, quanto ai “peccati gravi” che si ha l’obbligo di confessare, deve trattarsi realmente di peccati mortali, che anche soggettivamente comportano una decisione di fondo contro Dio.

Quanto alla “grave necessità”, che oltre il pericolo di morte, giustificherebbe l’assoluzione generale, la Conferenza episcopale italiana non conviene sull’effettiva presenza in Italia di situazioni tali che giustifichino la necessità e quindi la liceità della concessione dell’assoluzione collettiva, la quale rimane come prima legata ai soli casi di emergenza con pericolo di morte (nota del 1975).

 

B. Celebrazioni penitenziali senza assoluzione sacramentale

 

Oltre le tre forme descritte di riconciliazione sacramentale il nuovo rituale della penitenza contiene anche direttive e schemi per le cosiddette celebrazioni penitenziali. Esse presero avvio verso la metà degli anni sessanta in Olanda e si diffusero rapidamente nei paesi di lingua tedesca godendo di un considerevole favore in molte parrocchie. A proposito di queste celebrazioni penitenziali si ebbe tuttavia una preoccupante confusione in quanto molti videro in esse un’alternativa equivalente della confessione individuale e taluni teologi attribuirono a esse efficacia sacramentale in rapporto alla remissione di tutti i peccati benché si avesse qui solo una confessione generale delle colpe. Dopodichè le direttive della Congregazione per la dottrina della fede del 16 giugno 1972 (Normae pastoraies) già avevano ridimensionato tali concezioni e tali attese, il nuovo rituale della penitenza ha contribuito essenzialmente a chiarire il problema. Oltre le tre forme di perdono sacramentale dei peccati descritte sopra, esso contiene anche direttive e schemi per celebrazioni sacramentali. Il rituale le presenta come «riunioni del popolo di Dio, allo scopo di ascoltare la proclamazione della parola di Dio, che invita alla conversione e al rinnovamento della vita, e annunzia la nostra liberazione dal peccato, per mezzo della morte e risurrezione di Cristo. La loro struttura è quella abitualmente in uso nelle celebrazioni della parola di Dio, come viene proposta nel Rito per la riconciliazione di più penitenti» (36). Due volte tuttavia è ripetuto il richiamo a evitare «che queste celebrazioni vengano confuse, nell’opinione dei fedeli, con la celebrazione stessa del sacramento della penitenza» (37 e Appendice II, 1). Esse sono di grande utilità soprattutto in quanto servono «per ravvivare nella comunità cristiana lo spirito di penitenza; per aiutare i fedeli a prepararsi alla confessione, che poi i singoli potranno fare a tempo opportuno; per educare i fanciulli a formarsi a poco a poco una coscienza del peccato nella vita umana, e della liberazione dal peccato per mezzo di Cristo; per aiutare i catecumeni nella loro conversione. Inoltre, là dove non c’è a disposizione nessun sacerdote per impartire l’assoluzione sacramentale, sono utilissime le celebrazioni penitenziali, perché sono un aiuto per quella contrizione perfetta che sgorga dalla carità, con la quale i fedeli possono conseguire in voto la grazia della futura penitenza sacramentale» (37).

 

Il nuovo rituale della penitenza contiene nell’Appendice II schemi di celebrazioni penitenziali per la Quaresima e l’Avvento, per le celebrazioni comuni, per quelle con i fanciulli, con i giovani e con i malati. Negli ultimi anni sono uscite numerose pubblicazioni con proposte e modelli, cosicché si hanno molti sussidi per una buona messa in atto di tali celebrazioni.

 

Dal presente documento risulta chiaro che l’autorità della chiesa si attiene strettamente al principio enunciato dal concilio di Trento per cui i peccati mortali devono in ogni caso essere sottoposti integralmente alla confessione individuale, anche se essi sono stati perdonati attraverso l’assoluzione generale o attraverso il dolore perfetto. Ma qui emergono degli interrogativi diffusi, che furono espressi anche alla VI assemblea plenaria del sinodo dei vescovi tenuto a Roma dal 29 settembre al 29 ottobre 1983. Senza dubbio la confessione individuale si trova attualmente in crisi, come dimostrano i confessionali poco frequentati e le celebrazioni penitenziali spesso affollate. Da una parte molti fedeli mostrano una vera disposizione alla conversione e alla riconciliazione, d’altra parte, per qualunque motivo ciò accada, essi non trovano la strada del confessionale.

 

4. Penitenza e riconciliazione presso i cristiani separati

 

Nessuna chiesa cristiana può ignorare l’appello fondamentale dei vangeli (ad es. Mc 1,15) alla conversione e alla penitenza, Perciò in tutte le chiese si trovano accanto all’esortazione alla penitenza forme più o meno istituzionali di riconciliazione.

 

Nei riti penitenziali delle singole chiese orientali regna attualmente una grande varietà. Si tratta di rielaborazioni e ampliamenti di riti che derivano dal processo penitenziale di una volta. In talune chiese scismatiche orientali i riti penitenziali nel senso del nostro sacramento della penitenza sono a dire il vero andati fuori uso. «Nelle attuali chiese dell’area bizantina, in molti luoghi, il gruppo dei penitenti recita insieme determinate preghiere secondo l’uso antico; in ogni caso ognuno si porta davanti al sacerdote e compie la confessione. L’assoluzione si ha di norma solo dopo il compimento dell’opera penitenziale imposta. Similmente accade nella chiesa siro-occidentale. Presso i Copti sembra che la penitenza sia da lungo tempo caduta in dimenticanza. Per molte delle loro comunità si può parlare di una “confessione presso l’incensiere” e cioè di una confessione silenziosa durante l’incensazione compiuta all’ingresso, dopo la quale viene recitata una solenne formula di assoluzione» .

 

Le chiese della Riforma ritennero la necessità del ravvedimento e della penitenza, ma rifiutarono la sacramentalità del processo di riconciliazione perché mancherebbe al riguardo l’esplicita parola di istituzione da parte di Cristo (come per il battesimo e la santa Cena). Lutero stesso apprezzava e praticava la confessione segreta e all’inizio era ancora disposto a considerarla come sacramento. La chiesa evangelico-luterana della Germania conosce nella sua Agenda la “confessione individuale” con diverse proposte per la sua messa in opera; conosce però anche la “confessione collettiva” in due versioni, e la “celebrazione pubblica della penitenza”. Nella confessione collettiva, dopo la confessione generale dei peccati può essere promessa, con l’imposizione delle mani del “confessore”, l’assoluzione a ognuno, oppure anche a tutti i penitenti insieme senza imposizione delle mani.

Letto 7991 volte Ultima modifica il Domenica, 01 Aprile 2012 20:23
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

Search