Formazione Religiosa

Mercoledì, 30 Aprile 2008 02:11

Gesù interprete delle Scritture negli Atti degli Apostoli (Pier Luigi Ferrari)

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Gesù interprete delle Scritture
negli Atti degli Apostoli

di Pier Luigi Ferrari



La prima comunità cristiana ha vissuto, fin dagli inizi, la consapevolezza che Gesù aveva realizzato la secolare attesa d'Israele. Le Sacre Scritture dell'Antico Testamento convergevano verso di lui e gli rendevano una straordinaria testimonianza rivelando tutto d'un tratto la loro «vera portata».

Era stato Gesù stesso, durante la sua vita terrena, a inaugurare questa utilizza zione delle Scritture. Nella finale del suo Vangelo, Luca mette sulla bocca del Risorto, che affianca i due discepoli sulla strada di Emmaus nel giorno di Pa squa, una lezione di interpretazione «cristologica» dell'Antico Testamento: «Cominciando da Mosè e da tutti i profeti, interpretò loro in tutte le scritture ciò che lo riguardava» (Lc 24,27). La sera stessa, apparendo agli Undici conti nua questa singolare istruzione: «Era necessario che si adempisse tutto ciò che è scritto di me nella Legge, nei Profeti e nei Salmi», indicando in tre punti il contenuto di tale compimento: 1) Il Messia doveva patire; 2) doveva risuscita re dai morti il terzo giorno; 3) nel suo nome il messaggio di salvezza doveva essere portato al mondo intero, comprese le nazioni pagane (cf Lc 24,44-47).

Sarà nel Libro degli Atti che Luca affronterà in maniera più organica questa dimostrazione. Egli dà sviluppo ad una operazione già avviata dalla prima comunità, la quale dopo avere semplicemente affermato che morte e risurre zione erano «secondo le Scritture», ha cercato precise citazioni della Bibbia disponendo tutta una serie di testimonia, che giustificassero il «bisognava» (in greco dei) dell'evento di Cristo.

Prima di presentare i testi sarà utile qualche nota sul metodo lucano. La sua lettura scritturistica suppone la Bibbia nella traduzione greca dei Settanta, tanto che per capire certe argomentazioni occorre partire da questa e talvolta dalle sue varianti. Quanto poi ai procedimenti esegetici degli Atti si scopre che essi hanno molto in comune con i midrashim giudaici: si nota la stessa adesione alla lettura del testo, vi si pratica una attualizzazione in rapporto al le circostanze del presente. Ma la vera novità distintiva di questa esegesi è che essa è sempre «messianica».

Attraverso le Scritture

Ripercorrendo 1'AT secondo il programma indicato dal Risorto - Mosè, i profeti e i Salmi - proponiamo qualche testo significativo sotto il profilo cristologico.

1. La legge di Mosè. Sono tre i personaggi della Torah (detto «pentateuco» o, semplicemente, «La legge»), la cui vicenda è letta in chiave cristologica. An zitutto nel compendio storico fatto da Stefano sono citati Giuseppe (7,9-16) e Mosè (7,17-42), mostrando come la loro vicenda è simile a quella di Gesù e ne è prefigurazione: rigettati ambedue dai fratelli o dagli Israeliti, rivestiti am bedue da Dio di una missione di salvezza a favore del loro popolo. Anche la promessa fatta ad Abramo, in base alla quale tutte le generazioni sarebbero state benedette nella sua «discendenza» (Gn 12,3; 22,18), viene letta in chia ve cristologica: questa «discendenza» è Cristo e nel suo nome si realizza la «benedizione» che comporta l'evangelizzazione dei pagani.

Altri due passi sono rilevanti per l'interpretazione cristologica. Grazie al l'ambivalenza del termine greco anistemi, che significa sia «suscitare» che «risuscitare», le parole dette da Dio a Mosè: «Io susciterò loro, in mezzo ai loro fratelli, un profeta simile a te» (Dt 18,15.18.19) sono interpretate da Pie tro (3,22) e da Stefano (7,37) come annuncio di un profeta che sarebbe stato risuscitato da Dio. At 5,30 e 10,39 vedono nella citazione della Legge che di chiara «maledetto chi pende dal legno» (Dt 21,23), dove si allude evidente mente alla pena capitale, una allusione alla crocifissione del Messia: è Gesù colui che, sospeso al legno della croce, è stato messo nella situazione di uno che la legge dichiara maledetto (cf 1 Pt 2,24 e Gal 3,13).

2. I profeti. È noto che il giudaismo con la parola «profeti», oltre agli scritti profetici propriamente detti, indica anche l'insieme dei libri storici. Mentre scarso è il rilievo dato dagli Atti a questi ultimi, diversi sono i passi di profe ti interpretati in chiave cristologica. Ne vediamo alcuni tra i più interessanti. La citazione di Gioele (3,1-5a), fatta da Pietro nel giorno di Pentecoste (2,17-21), concludeva che per essere salvati nell'ultimo giorno occorreva «in vocare il nome del Signore». Pietro spiega che questo Signore è Gesù, pro clamato tale mediante la sua risurrezione, il cui nome dev'essere invocato da quanti vorranno essere salvati nell'ultimo giorno. Anche il racconto di Giona (2,1) secondo il quale il profeta stette per tre giorni nel ventre del pesce, già letto tipologicamente da Gesù (cf Lc 11,29s), è alluso nell'insistito particola re della risurrezione di Gesù il «terzo giorno» (10,40; cf 1 Cor 15,4).

Un testo profetico ha colpito in modo particolare la prima generazione cri stiana: il grande Canto del Servo sofferente del secondo Isaia (Is 52,13 -53,12). Esso è citato esplicitamente una sola volta nel contesto dell'incontro di Filippo con l'etiope (8,32-33), ma si trovano in tutto il libro numerose allusioni che lasciano trasparire la profonda influenza di questa profezia. Si identifica Gesù, sofferente e risorto, con il servo che il profeta descrive come vittima innocente che soffre per riscattare i peccati di molti. Con lo stesso criterio è utilizzato da Paolo nel suo discorso ad Antiochia di Pisidia (13,47) anche il passo di Is 49,6, dove il misterioso Servo è costituito da Dio «luce delle nazioni» con la missione di portare la salvezza di Dio «fino alle estre mità della terra», quindi ai pagani.

3. I Salmi. Ampia risulta anche l'attualizzazione cristologica del Salterio, considerato dai primi cristiani come una raccolta profetica, composta dal «profeta» Davide.

L'utilizzo che la comunità cristiana, raccolta in preghiera, fa del Sal 2 (At 4,25-27) è un limpido esempio di come si faceva una lettura messianica dei Salmi. In questo caso, con una dettagliata applicazione alla passione di Gesù, si parla di una congiura dei popoli e delle nazioni contro il Signore e contro il suo Unto; i popoli corrispondono a Israele, le nazioni ai Romani; tra i con giurati vi sono Erode e Ponzio Pilato: tutti si sono dati convegno a Gerusa lemme contro Gesù, che è l'Unto di Dio.

Nel Sal 16,10 il salmista esprimeva la fiducia che Dio sarebbe venuto in suo aiuto nei pericoli: «Tu non abbandonerai la mia anima allo Sheol, né lascerai che il tuo fedele veda la fossa». Partendo dalla traduzione greca della LXX, che al posto di «fossa» usa «decomposizione», Pietro il giorno di Pentecoste (2,25-61) e Paolo nella sinagoga di Antiochia di Pisidia (13,34-37) applicano l'oracolo alla vicenda di Gesù, che non ha conosciuto la corruzione del se polcro perché risuscitato da Dio.

In Sal 110,1 è, fra tutti, il più abbondantemente utilizzato nelle varie tradizioni neotestamentarie perché non v'erano dubbi sul suo significato messianico. Il primo versetto: «il Signore (JHWH) ha detto al mio signore (Davide): siedi al la mia destra» è letto da Pietro, nel discorso di Pentecoste (2,34-36) come l'invito rivolto da Dio a Gesù Messia di sedersi alla sua destra in seguito alla sua risurrezione e intronizzazione. A questo Salmo si deve accostare il Sal 118,16, che torna in due discorsi di Pietro (2,33; 5,31), dove il Messia è esal tato alla destra di Dio (solo nella versione greca).

Due titoli significativi: Gesù Messia e Signore

L'attualizzazione cristologica della Scrittura trova una delle sue massime espressioni in due titoli che si imporranno nella tradizione cristiana anche a motivo del loro denso significato. Si tratta dei titoli Cristo e Signore, solen nemente proclamati nel discorso di Pietro il mattino di Pentecoste: «Sappia con certezza tutta la casa d'Israele che Dio ha costituito Signore e Messia (= Cristo) questo Gesù che voi avete crocifisso» (At 2,36). Nel pensiero della chiesa primitiva questi due titoli rappresentano i due aspetti fondamentali del la regalità di Gesù risuscitato, quantunque a questo stadio della tradizione non devono essere letti con quella pienezza di significato che acquisteranno solo nella riflessione cristologica successiva. Altri titoli presenti nel Libro de gli Atti, quali Servo di Dio, Santo e Giusto, Capo, Salvatore, Figlio di Dio, te stimonianze di una cristologia arcaica, cadranno presto in disuso - eccetto Figlio di Dio - e non si trovano più negli strati posteriori del NT.

1. Gesù Messia. Con la morte e la risurrezione di Gesù, la prima comunità cristiana comprese che egli era davvero il Cristo, cioè il Messia atteso. Que sto messaggio trovava garanzia nelle Scritture. Così vediamo che fin dai pri mi giorni gli apostoli a Gerusalemme «non cessavano di insegnare e di an nunciare, nel tempio e nelle case, il Messia Gesù» (5,42) e l'apostolo Paolo è impegnato a dimostrare che «questo Gesù è il Messia» nelle sinagoghe giu daiche della diaspora: a Damasco (9,22), a Tessalonica (17,3), a Corinto (18,5) e davanti ad Agrippa (26,22-23).

Questa predicazione comporta un salto di qualità rispetto alle attese messia niche del giudaismo. Prima della passione l'idea di Messia era legata, nelle credenze popolari, al figlio di David restauratore del regno di Israele, con un carattere eminentemente politico che aveva indotto Gesù a mostrarsi riserva to riguardo al titolo di Messia e a imporre cautela. Egli soprattutto aveva in sistito sulla necessità della sua morte come parte essenziale della sua missio ne messianica e salvifica. Ma dopo la risurrezione c'è uno spostamento di accento: i primi cristiani cominciano a valorizzare le profezie riguardanti un Messia che doveva morire e risorgere e il titolo di Messia perde il suo carattere regale con le risonanze politiche che poteva evocare: Gesù non ha re staurato il trono di Davide e quindi il titolo richiama ora solo la missione sal vifica che egli ha realizzato.

Un'ultima osservazione va fatta. Il titolo Christos-Messia appartiene inizial mente solo alla predicazione di tendenza apologetica destinata ai giudei. Quando esso viene trasferito nel mondo greco-romano subirà un'ulteriore evoluzione: sganciato definitivamente dal contesto giudaico nel quale era sor to, perde il suo valore e si avvia ad essere usato come un nome proprio, di ventando cognomen di Gesù.

2. Gesù Signore. Durante la sua vita terrena Gesù veniva chiamato normal mente Rabbi, Maestro, ma sono interessanti alcuni casi nei quali i Sinottici usano per il Gesù storico il titolo Kyrios perché dipende da essi l'uso invalso nella chiesa primitiva. Si tratta dei testi nei quali Gesù designa se stesso come «Signore», quando descrive la sua funzione di giudice sovrano e di re alla fi ne dei tempi: «Molti mi diranno in quel giorno: Signore, Signore!» (Mt 7,21. 22); e ancora: «Signore, quando ti abbiamo visto affamato ... ?» (Mt 25) e in alcune parabole espressioni quali: «Signore, Signore, aprici» (Mt 25,12).

È proprio in questa aspettativa che Gesù viene chiamato Signore dalla chiesa primitiva, la quale ha coscienza che con la sua risurrezione i tempi ultimi si sono compiuti. Essa si rivolge a Gesù come al Signore, figurandoselo assiso alla destra di Dio e pronto a manifestarsi come sovrano e giudice. Così Pietro il giorno di Pentecoste interpreta l'effusione dello Spirito come l'inizio di quei tempi definitivi. La speranza d'Israele cede il posto alla speranza cristia na. All'attesa del messia subentra l'attesa del Signore, espressa nella grande supplica liturgica: Marana tha! Signore vieni!

È singolare, poi, come alla luce della risurrezione si applichino alla persona di Gesù formule e testi dell'AT che parlano del Kyrios JHWH. Attribuendo al Risorto il titolo di Kyrios, la cristianità primitiva riconosceva che egli era sta to investito, nella sua umanità, di una funzione regale escatologica che era prerogativa veramente divina. Per osare attribuire a Gesù la regalità che il Dio dell'AT si riservava di esercitare personalmente alla fine dei tempi, i primi cristiani hanno dovuto concepire un'idea altissima del Risorto. A questo non hanno potuto essere condotti se non dall'insegnamento di Gesù stesso.

Infine va ricordata l'importanza che assume nella chiesa primitiva l' «invoca re il nome del Signore», sia nella liturgia cristiana (cf 1 Cor 11,26: 16,22; Ap 22,20), sia nelle confessioni di fede (cf Rm 10,5ss; 1 Cor 12,3; Fil 2,8-11). Il giorno di Pentecoste Pietro, concludendo la lunga citazione di Gioele, affer ma: «Allora chiunque avrà invocato il nome del Signore sarà salvo» (At 2,21; Gl 3,5), un'idea ripresa dallo stesso Pietro in un successivo discorso (At 4,12)e da Paolo in Rm 10,12-13. È interessante annotare come in Fil 2,8-11 dal l'ambito delle assemblee cristiane si passa audacemente ad una liturgia cosmica: è l'universo intero che «confessa» il nome di Gesù, proclamando Signore il Risuscitato. Nel linguaggio della chiesa primitiva, «invocare il no me del Signore» sarà anche sinonimo di «essere cristiani» (cf At 9,14.21;22,16; 1 Cor 1,2 e 2 Tm 2,22). Forse uno degli esempi più belli di tale invoca zione è la preghiera di Stefano durante il martirio: «Signore Gesù, accogli il mio Spirito» (At 7,59), rivolta a colui che si trova alla destra di Dio (7,55-56), come Gesù aveva dichiarato dinanzi ai suoi giudici (Lc 22,69).

Conclusione

La cristologia degli Atti è essenzialmente pasquale. Tutta l'attenzione della comunità delle origini è concentrata su questo evento decisivo: Gesù di Na zaret, il Crocifisso, è stato risuscitato e siede alla destra di Dio, divenuto sal vezza per noi. È la risurrezione ciò che gli apostoli propriamente proclamano come vangelo e lieto annuncio: così Pietro, riassumendo la missione dei Do dici, afferma che il loro compito precipuo è di essere «testimoni della risurre zione» (1,22) e Paolo nella sinagoga di Antiochia di Pisidia: «Noi vi portiamo questo messaggio di salvezza: Dio ha fatto risorgere Gesù» (13,32).

Questa affermazione della risurrezione di Cristo, per essere compresa, viene collocata sullo sfondo delle Scritture e attraverso di esse viene mostrato il ca rattere messianico. Per i primi cristiani si tratta di provare a se stessi e ai Giu dei il profondo collegamento tra questo singolare evento di Gesù e l'attesa di fede dell'antico popolo di Dio. Anzi, se la salvezza promessa da JHWH nel l'AT consisteva in una sua presenza, in un suo dono, ora agli occhi dei primi cristiani appariva del tutto logico, sia pure nella sua radicale imprevedibilità. che Gesù risorto, costituito Cristo e Signore, era questo «dono», il decisivo gesto salvifico di Dio, la sua comunicazione personale agli uomini.

La risurrezione però non cancella tutto quanto l'ha preceduta. Anzi, chi è ri sorto, è quel Gesù di Nazaret del quale sono menzionati la nascita storica, la discendenza davidica, il ministero pubblico preceduto dalla predicazione del Battista, i miracoli e, infine, la morte avvenuta per una condanna sulla croce. È nella duplice luce della risurrezione e delle Scritture che viene riletta e in terpretata la vita terrena di Gesù. Egli appare ora ai loro occhi come un esse re singolare, «unto di Spirito Santo e di potenza» (10,38), non racchiudibile entro schemi puramente umani. I discorsi missionari fondano l'annuncio del vangelo su questa identità costantemente affermata tra Gesù terreno e Risor to, tanto che per poter essere «testimoni della risurrezione» nel senso indica to da Pietro quando si trattò di sostituire Giuda, bisogna essere tra quelli che sono stati con Gesù «per tutto il tempo che ha vissuto con noi cominciando dal battesimo di Giovanni» (1,21-22).

In ultima analisi, di questo danno testimonianze le Scritture: in Gesù è «il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, Dio dei nostri Padri» (3,13) che ri vela il suo volto; è lui che lo ha risuscitato mostrandosi in modo definitivo come il Dio fedele alla promessa, colui che anche dalla morte sa «suscitare-ri suscitare» la vita, colui che «non permette che il suo Santo veda la corruzio ne». Meditando la Scrittura, i primi cristiani maturano la convinzione che il Dio vivente è il Dio indefettibilmente fedele.

(da Parole di vita, 2, 1998)

Letto 3064 volte Ultima modifica il Mercoledì, 21 Maggio 2008 20:25
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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