La preghiera eucaristica
tra teologia e spiritualità
di Don Carmelo Carvello *
Come è noto, la preghiera eucaristica è il momento centrale e culminante dell’intera celebrazione della Santa Messa. Ha inizio con il prefazio e svolgendosi attraverso la solenne acclamazione dell’assemblea (Sanctus), l’invocazione al Padre e l’epiclesi consacratoria raggiunge la sua massima espressione nella narrazione dell’istituzione e nell’anamnesis del sacrificio di Cristo, per concludersi nella dossologia trinitaria.
In maniera più particolareggiata e puntuale, nei Principi e Norme del Messale Romano n. 55 leggiamo: «Gli elementi principali di cui consta la preghiera eucaristica, si possono distinguere come segue:
a) L’azione di grazie (che si esprime specialmente nel prefazio): il sacerdote, a nome di tutto il popolo santo, glorifica Dio Padre e gli rende grazie per tutta l’opera di salvezza o per qualche suo aspetto particolare, a seconda della diversità del giorno, della festa o del Tempo;
b) L’acclamazione: tutta l’assemblea, unendosi alle creature celesti, canta o recita il Santo, Questa acclamazione, che fa parte della Preghiera eucaristica, è pronunciata da tutto il popolo con il sacerdote;
c) L’epiclesi: la Chiesa implora con speciale invocazione la potenza divina, perché i doni offerti dagli uomini vengano consacrati, cioè diventino il Corpo e il Sangue di Cristo, e perché la vittima immacolata, che si riceve nella comunione, giovi per la salvezza di coloro che vi partecipano;
d) Il racconto dell’istituzione: mediante le parole e i gesti di Cristo, si compie il sacrificio che Cristo stesso istituì nell’ultima Cena, quando offri il suo Corpo e il suo Sangue sotto le specie del pane e del vino, lo diede a mangiare e a bere agli Apostoli e lasciò loro il mandato di perpetuare questo mistero;
e) L’anamnesi: la Chiesa, adempiendo il comando ricevuto da Cristo Signore per mezzo degli Apostoli, celebra la memoria di Cristo, ricordando soprattutto la sua beata passione, la gloriosa risurrezione e l’ascensione al cielo;
f) L’offerta: nel corso di questa stessa memoria la Chiesa, in modo particolare quella radunata in quel momento e in quel luogo, offre al Padre nello Spirito Santo la vittima immacolata, ma anche imparino ad offrire se stessi e così portino ogni giorno più a compimento, per mezzo di Cristo Mediatore, la loro unione con Dio e con i fratelli, perché finalmente Dio sia in tutto in tutti;
g) Le intercessioni: in esse si esprime che l’Eucaristia viene celebrata in comunione con tutta la Chiesa, sia celeste che terrestre, e che l’offerta è fatta per essa e per tutti i suoi membri, vivi e defunti, i quali sono stati chiamati a partecipare alla redenzione e alla salvezza acquistata per mezzo del Corpo e del Sangue di Cristo;
h) La dossologia finale che esprime la glorificazione di Dio: essa viene ratificata e
conclusa con l’acclamazione del popolo.
La Preghiera eucaristica esige che tutti l’ascoltino con rispetto e in silenzio, vi partecipano con acclamazioni previste nel rito».
Quale valore per la vita del cristiano hanno queste affermazioni? Proviamo a sottolineare soltanto alcuni aspetti, ricordando che «questo richiamo alla valenza morale della celebrazione eucaristica non va interpretato in chiave moralistica. È innanzitutto la felice scoperta del dinamismo dell’amore nel cuore di chi accoglie il dono del Signore, si abbandona a Lui e trova la vera libertà. La trasformazione morale, implicata nel nuovo culto istituito da Cristo, è una tensione e un desiderio cordiale di voler corrispondere all’amore del Signore con tutto il proprio essere, pur nella consapevolezza della propria fragilità» (Benedetto XVI, Sacramentum caritatis, n. 82).
Rendimento di grazie... per divenire gratitudine
Innanzitutto è fondamentale rilevare l’aspetto eucaristico o del «rendimento di grazie» che è così centrale da aver dato il nome all’intera celebrazione della Santa Messa. È un inno di ringraziamento a Dio per tutti i suoi doni, a partire dalla creazione e dalla redenzione.
La preghiera eucaristica non può essere adeguatamente compresa e quindi veramente vissuta se non viene inquadrata nel contesto del rituale ebraico, quello stesso che Gesù pronunziò la notte in cui fu tradito, mentre compiva la «sua» cena con gli Apostoli. Infatti, nella cena pasquale ebraica, il pasto, accompagnato da canti e preghiere si sviluppava, in modo particolare, intorno alla grande «benedizione», proclamata dal padre di famiglia, che voleva essere memoriale dei benefici di Dio, realizzatesi nell’avvenimento della Pasqua.
Anche Gesù pronunziò la sua «benedizione», usando una formula particolare nell’azione di grazia sul calice, la quale doveva mettere in rilievo la propria economia di salvezza: «Questo è il calice del mio Sangue» , lo stesso si dica per il rito del pane.
Anche nel Canone della Messa ci troviamo di fronte ad una «eucaristia», cioè ad una benedizione con carattere laudativo in cui si rende grazie a Dio per le opere straordinarie che egli ha compiuto e compie e che, appunto perché tali, suscitano l’ammirazione e la gratitudine. Tutta la preghiera eucaristica della Chiesa non è solo preghiera, puro «sacrificio di lode», ma è attuazione di un evento: il sacrificio pasquale di Cristo. Le parole non sono solo evocatrici di un avvenimento passato, ma compiono un mistero nel presente, ora e qui: la morte e la risurrezione di Cristo. Per questo motivo esse esprimono la più alta azione di grazia al Padre per Cristo nello Spirito Santo.
È dunque evidente che non ci si può limitare a considerare soltanto la «formula» di consacrazione. Le parole consacratorie sono in qualche modo il punto culminante del memoriale della storia della salvezza.
Ne segue che la preghiera eucaristica va vista in tutto il suo insieme: ciò che precede la consacrazione non è solo una «preparazione» per giungere a «consacrare» il Corpo e il Sangue di Cristo, ma è un elemento indispensabile per comprendere il significato e il valore della narrazione eucaristica durante la quale il mistero si «compie».
«Nella preghiera di lode, la Berakah, Egli ringrazia il Padre non solo per i grandi eventi della storia passata, ma anche per la propria “esaltazione” (...) Collocando in questo contesto il suo dono, Gesù manifesta il senso salvifico della sua morte e risurrezione, mistero che diviene realtà rinnovatrice della storia e del cosmo intero. L’istituzione dell’Eucaristia mostra, infatti, come quella morte, di per sé violenta e assurda, sia diventata in Gesù supremo atto di amore e definitiva liberazione dell’umanità dal male» (Benedetto XVI, Sacramentum Caritatis, n. 10)
Memoriale per la vita… la vita nel memoriale
Un secondo aspetto che va rilevato è il Memoriale. La preghiera eucaristica non è solo un racconto di un evento divino diventato istituzione (memoria di un passato), ma un’azione.
Gesù aveva affermato: «Fate questo in memoria di me» (Lc 22,19). La Chiesa continua a fare questo, riprendendo le parole e i gesti del racconto dell’istituzione e introducendoli all’interno della sua preghiera.
Gesù inoltre aveva voluto che il rito fosse compiuto in sua memoria. La Chiesa ha subito proclamato e proclama questa memoria, non secondo un ritmo annuale, come gli ebrei, ma ogni giorno, in particolare la domenica. Le stesse acclamazioni dell’assemblea dopo la consacrazione, sono vere professioni di fede che sottolineano come nell’Eucaristia si compia una vera azione. Quindi, attraverso la forma narrativa, la liturgia interpreta il racconto come l’atto che Gesù aveva richiesto in sua memoria.
In altri termini, mentre il sacerdote narra, è Cristo stesso che agisce. «Il memoriale infatti, non è una semplice commemorazione, è un pegno sacro, dato da Dio al suo popolo, e che il popolo conserva come il suo tesoro spirituale per eccellenza. Questo pegno implica una continuità, una permanenza misteriosa delle grandi azioni divine, dei mirabilia Dei. La nostra commemorazione soggettiva, infatti, non è altro che il riflesso di una commemorazione oggettiva stabilita da Dio che, innanzitutto, attesta a se stesso la propria fedeltà» (Louis Bouyer).
Ma chiediamoci ancora: cosa significa fare questo? E fare questo in memoria?
Cristo, consacrando il pane e il vino, compie il memoriale rituale del fatto (evento) della sua Pasqua. Questo memoriale (rito che rende presente l’evento) si realizza mediante due segni che rappresentano due momenti distinti, ma non separati dell’unico sacrificio pasquale, il quale, considerato in Cristo, è il sacrificio della croce. Quindi, nel pane e nel vino consacrati, Egli ci offre il grande evento pasquale che ha compiuto per la vita del mondo.
Che Cristo nella Cena abbia compiuto il memoriale del suo evento il giorno primo che esso si realizzasse, non deve stupire: nel concetto sacramentale il passato e il futuro non hanno ragione di essere, perché il sacramento è sempre una presenza.
Cristo poi, comanda di fare di questo avvenimento un memoriale: «Fate questo in memoria di me», analogamente a quanto Dio aveva ordinato nell’Esodo nella liberazione d’Israele: «Questo giorno sarà per voi un memoriale; lo celebrerete come festa del Signore. Di generazione in generazione, lo celebrerete come un rito perenne» (Es 12,14).
In altri termini Cristo vuole che si faccia un memoriale:
• del «Corpo che viene sacrificato»: è il memoriale della sua morte;
• e del «Sangue della nuova Alleanza, sparso per la remissione dei peccati»: è il memoriale dell’alleanza con Dio per mezzo del suo sangue.
Cristo si pone in continuità della tradizione ebraica, ma in Lui si ha l’adempimento e la realizzazione di essa. Anche l’avvenimento della Pasqua ebraica (Esodo - passaggio liberatore di Dio) era stato compiuto in due momenti distinti nel tempo, ma non separati:
• la liberazione dall’Egitto, sottolineata dalla immolazione dell’agnello pasquale (Es 12,26);
• l’alleanza del Sinai (dopo 50 giorni), ratificata nel sacrificio del sangue offerto al Signore (Es 24,8).
Questi due momenti dell’evento storico sono oggetto del rito pasquale compiuto da Cristo nell’ultima Cena. Essi costituiscono il simbolo dell’unico sacrificio di Cristo. Ritornano perciò nella cena pasquale di Cristo nei due riti sacramentali del pane e del vino, nei quali però la realtà è unica: cioè la presenza sacramentale del sacrificio di Cristo che libera il suo popolo e fa l’alleanza.
Questo sacrificio è dato alla Chiesa e al mondo nel sacramento del Corpo e del Sangue che è unico, ma contiene e realizza i due momenti della redenzione, cioè la liberazione e l’alleanza.
Il memoriale, perciò, rende presente l’atto della morte e risurrezione di Cristo, il quale costituisce il culmine dei mirabilia Dei per la salvezza del mondo; rende presente quindi anche tutto ciò che ha condotto alla croce attraverso i secoli: dal sacrificio di Abele, di Abramo, di Melchisedech a tutta la storia del popolo di Dio. Rende ugualmente presente il mistero pasquale di Cristo in tutta la sua ampiezza, cioè passione, morte, resurrezione e ascensione, effusione dello Spirito Santo, la costituzione della Chiesa e la consumazione finale di ogni cosa nella divina Carità.
Scriveva acutamente il noto moralista Bernard Haring: «Il memoriale eucaristico che risana la nostra memoria, la nostra volontà e la nostra intelligenza ci inserisce efficacemente nella storia della salvezza come cooperatori di Cristo. La memoria riconoscente ci darà quella serenità che risana anche gli altri. Non ci accontentiamo però mai di quello che abbiamo fatto. La memoria riconoscente è la nuova dinamica, la più forte, che ci invita e urge alla conversione continua e a un impegno solidale per il rinnovamento della società e della Chiesa».
È chiaro dunque, da quanto sopra, che «memoriale» non è solo e semplicemente «richiamare la memoria»; significa realizzare rinnovare, far rivivere, attualizzare, perpetuare... Quando si afferma che Dio «si ricorda» dell’alleanza significa che interviene per attuarla. Questo è vero soprattutto a proposito del culto cristiano: il popolo «si ricorda» di Dio e Dio si rende presente al suo popolo per rinnovare l’alleanza. Questo è il memoriale della morte del Signore: una celebrazione nella quale si rende presente per l’assemblea il mistero di Cristo, che muore e risorge per la salvezza del mondo e annunzia il suo ritorno escatologico.
Si chiedeva qualche anno fa il noto liturgista Mariano Magrassi: «Quali riflessi questo può avere sulla nostra vita?
Che cosa esige concretamente dalla vita spirituale?
Anche la mia vita è una storia meravigliosa. Le cose meravigliose il Signore non le ha fatto solo nella grande storia del popolo di Dio, le ha fatte anche nella mia piccola, piccola-grande storia. C’è stata una scelta anche per me, una redenzione, c’è stata una vocazione, un patto, un’alleanza d’amore. E anche tutta quella grande storia di meraviglie che racconta la Bibbia, è tutta profezia per me; deve trovare realizzazione nella mia vita... La vita spirituale è fatta soprattutto di memoria. Non si tratta tanto di capire. Capire è il primo passo; si tratta di ricordare. Questo ha un peso enorme nella vita spirituale. E poiché questa memoria eucaristica è efficace, bisogna che sia efficace anche nel nostro cuore. Non solo efficace nel pane e nel vino perché produce la presenza di Cristo; ma efficace nelle mie giornate. Quindi bisogna prolungare nella giornata ciò che abbiamo celebrato nella Messa... Quella “memoria” deve passare dall’ambito della celebrazione a quello della vita».
Il suo sacrificio… il mio sacrificio
Un altro aspetto fondamentale da considerare è la realtà del sacrificio. Si tratta di un «vero sacrificio» che la Chiesa ha sempre inteso offrire, quando si trova radunata nel nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo per celebrare l’Eucaristia. La Pasqua nuova e vera è il sacrificio di Cristo.
In tal senso, la Chiesa non ha un sacrificio, ma il sacrificio, quello pasquale di Cristo, cioè l’unico vero sacrificio che sia stato compiuto al mondo; gli altri erano o imitazioni deformate di esso o prefigurazioni profetiche.
La Chiesa quindi non celebra un sacrificio, ma quello che fu ed è sempre il sacrificio di Cristo, perché, per essa, celebrare il sacrificio pasquale, vuoI dire rendere presente nel rito la morte e la risurrezione e la loro efficace redentrice. Poiché la croce è il sacrificio di Cristo, la ripresentazione sacramentale della croce è ugualmente il sacrificio di Cristo, poiché il mistero contiene in sé la realtà della cosa significata. La Santa Messa non è dunque un sacrifico indipendente e nuovo, ma il mistero del sacrifico della croce e pertanto il sacrificio vero.
Ma il sacrificio di Cristo è reso presente per diventare un fatto comunitario, ossia il sacrificio dell’intera comunità ecclesiale, il quale non rimane più rinchiuso in un rito speciale, ma forma un tutt’uno con la vita cristiana. Se l’Eucaristia è un convito sacrificale o un sacrificio conviviale dal momento in cui i fedeli vi prendono parte, tutta la loro vita rimane impregnata della virtù sacrificale, diventa cioè un sacrificio propriamente detto. Per questo san Paolo non usava affatto un linguaggio figurato quando parlava in termini sacrificali delle offerte fatte dai Corinti ai poveri di Gerusalemme, oppure quando parlava dell’oblazione della sua vita e delle sue fatiche per la salvezza delle anime (Col 1,24).
Commentando il Padre Nostro, san Cipriano scriveva: «Dio non accoglie il sacrificio offerto da chi nutre inimicizia. Vuole che costui si allontani dall’altare e si rechi prima a riconciliarsi col fratello, poiché Dio non può essere propiziato da chi prega col cuore agitato da odio. Il più alto sacrificio agli occhi di Dio è la nostra pace, la concordia fraterna e il suo popolo raccolto nell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo».
L’unico sacrificio della Chiesa, che è suscitato da quello di Cristo e da esso riceve valore, riassume le aspirazioni non solo dei presenti, ma di tutto il creato, affinché per mezzo di Cristo, con Lui e in Lui, a Dio Padre nell’unità dello Spirito Santo, salga ogni onore e gloria.
Cosa comporta per la vita del cristiano considerare la dimensione sacrificale della preghiera eucaristica? La risposta è una e una sola: «L’atto del Cristo, nel quale l’Eucaristia assimila i cristiani, è il suo sacrificio. Essa dunque, fa in modo che anch’essi siano sacrificio; che la loro vita sia un sacrificio, che continua il sacrificio del capo; che la croce prenda possesso dell’umanità. I fedeli, in Colui che è il riparatore totale del peccato, diventeranno riparatori essi stessi, riparatori in se stessi e riparatori, in tutta l’estensione, del corpo mistico; ma di una riparazione che sarà continuazione, dipendenza e derivazione da quella di Cristo. Sarà una riparazione di membri. Questo redentore, questo Cristo, in quanto ci assimila a Lui, è il Cristo nell’atto supremo del suo amore; il Cristo nell’atto in cui egli in qualche modo scoppia d’amore per essere totalmente obbediente al Padre ed è un’offerta completa agli uomini. È questa esplosione che entra nei cristiani per trasformarli in essa... Si onora di più l’Eucaristia mediante la donazione al prossimo che non con belle cerimonie, anche se queste ultime sono necessarie» (Emile Mersch).
La Comunione... per vivere in comunione
Ultimo aspetto che vogliamo lumeggiare è la Comunione. La Santa Messa è contemporaneamente e inseparabilmente sacrificio e sacro convito mediante cui si partecipa alla Pasqua del Signore. Sacrificio e comunione appartengono allo stesso mistero al punto da essere uniti tra loro da strettissimo vincolo. Il sacrificio tende intrinsecamente alla comunione e questa è unione a Cristo e al suo sacrificio che è celebrato nella Santa Messa. Perciò anche la comunione, come del resto la presenza reale, è di carattere sacrificale.
Gesù ha istituito il rito del suo sacrificio nel quadro di una cena. Ha scelto i segni del pane e del vino, che orientano immediatamente il sacrifico alla manducazione. Egli afferma: «Prendete e mangiatene tutti... Prendetene e bevetene tutti» (Mt 26,26-27); ha così finalizzato la celebrazione di ciò che ha fatto alla comunione. La realizzazione del sacrificio è il banchetto, la Comunione.
La Comunione va intesa come comunione di tutti al Corpo e al Sangue di Cristo, come comunione di tutti fra loro nel Corpo e nel Sangue di Cristo. La Comunione eucaristica, riunendo tutti attorno alla stessa mensa, è segno ed espressione di questa unità.
Osserva giustamente e con profondità Chiara Lubich: «L.’Eucaristia da vero sacramento d’unità produce anche l’unità fra gli uomini. Ed è logico: se due sono simili ad un terzo, a Cristo, sono simili tra loro. L’Eucaristia produce la comunione tra i fratelli. E questo è splendido e, se preso sul serio dall’umanità, avrebbe delle conseguenze paradisiache, impensate. Perché, se l‘Eucaristia ci fa uno fra noi, è logico che ognuno tratti gli altri come fratelli. L’Eucaristia forma la famiglia dei figli di Dio, fratelli di Gesù e tra loro. Nella stessa famiglia naturale esistono delle regole che portate su piano soprannaturale e su vasta scala cambierebbero il mondo».
Il termine «comunione» significa che l’Eucaristia è un convito di comunità, in cui tutti i partecipanti sono riuniti per avere parte in comune ai beni comuni: il pane e il vino, i quali nel cotesto della celebrazione liturgica diventano Il segno e la presenza del «Pane vero» disceso dal cielo. La partecipazione a questo banchetto è segno, e insieme causa, della nostra comunione all’agàpe di Dio nel corpo di Cristo, della nostra comunione d’amore con gli altri nel mistero della Chiesa, comunione degli uomini tra loro e di tutti con Dio nell’amore di Cristo, comunione anticipata nel tempo e destinata a maturare nell’eternità.
* Docente Ordinario di Liturgia dell’Istituto Teologico “G. Guttadauro” di Caltanisetta, affiliato alla Pontificia Facoltà Teologica di Sicilia in Palermo