Formazione Religiosa

Sabato, 31 Luglio 2010 09:46

Dei vizi e delle virtù. La lussuria

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E’ un vizio di cui oggi quasi non si parla più. Gran parte dell’anatema che inchioda la lussuria appartiene al passato. Il lussurioso è una persona incapace di opporsi al desiderio smodato del proprio corpo.

Dei vizi e delle virtù

La lussuria

di Cettina Militello

Poche parole risultano a noi più incomprensibili, tant'è che di lussuria poco si parla, anzi è termine scomparso dal vocabolario comune. E se ne capisce la ragione constatando - non ci vuole molto, a dire la verità - di quanto è cambiato il modo di guardare al proprio corpo e alle sue pulsioni. Gran parte dell'anatema che inchioda la lussuria appartiene, ci piaccia o no, a un mondo che è passato, nel quale poi, non dimentichiamolo, a scrivere le regole erano i maschi, e la lussuria, la condanna della lussuria - l'adulterio innanzi tutto - costituiva un deterrente alla invasione in campo altrui. E dico campo, piuttosto che "donna altrui", visto che la donna era tutt'uno con il campo, l'asino, le cose, il proprio possedere, cose tutte che un maschio di pari condizione doveva avere il buon gusto di non invadere e rispettare. Basta leggere la Scrittura, per averne conferma.

Una ricerca smodata del piacere del corpo

La lussuria, alla lettera sciogliersi nel piacere, soluptio in voluptate - così Isidoro, Etymol. X, lett. L - è perdita del controllo di sé, ricerca smodata del piacere corporeo, sordo a ogni regola di buon vivere. Evoca, dunque, il corpo proprio, la possibilità di leggerlo nella negatività del desiderio impellente che chiede d'essere a ogni costo soddisfatto. E poiché, appunto, sono in questione i corpi, anzi la commistione corporea, a essere immediatamente demonizzato è il corpo in quanto tale; il corpo proprio, ma soprattutto il corpo altrui.

Certo è paradossale trovare nella Scrittura insieme alla condanna dell’impudicizia della sensualità eccedente, l'epopea del corpo vissuto in dialogia corporea totale. Mi riferisco al Cantico dei Cantici. E mi riferisco ancor più al fatto inoppugnabile della salvezza corporea come linea rossa che attraversa la rivelazione e soprattutto la rivelazione cristiana: kai ho logos sarx hegeneto (Gv 1,14). Né si dimentichi il mistero della Chiesa corpo e carne di Cristo e sua sposa.

E' dunque con un certo imbarazzo che mi confronto con la lussuria. Nell'immaginario di un tempo essa ha veicolato misoginia, manicheismo, ascesi radicale e altro ancora, mentre il più delle volte era solo paura, fuga da sé e dall'altro, misconoscimento dell'Incarnazione e dunque del corpo quale "corpo di Dio", sacramento originario di salvezza.

Detto ciò, la lussuria resta un vizio, almeno in ciò che essa ignora, sovverte e strumentalizza. Tant'è che, restituita all'equilibrio di fondo la questione del corpo, il rischio di offenderlo resta. Ma sono convinta che a fare della lussuria un vizio capitale non è l’orientamento all’altro ,quanto la cosificazione dell'altro. La lussuria. insomma, come peccato artistico, come incapacità di incontrare l’altro, di gioirne; ovvero di fargli spazio in un contesto significante , gratificante, salvifico nel senso cristiano del termine.

Aristotele,nell'Etica7,11,4,definisce la lussuria come eccesso corruttivo da piacere corporeo, sino alla irrazionalità. Il lussurioso - il termine lussuria viene anche connesso a luxus (eccesso/esagerazione) come pure a lussazione (deformazione, divisione) - è insomma corrotto dal suo stesso corpo, dalle sue pulsioni, incapace com'è di governarlo, e perciò di opporsi al suo smodato desiderio.

Gregorio Magno, Moralia XXXI, 45, colloca la lussuria tra i vizi capitali. Su questa linea una lunga tradizione stigmatizza i lussuriosi. Basti citare per tutti ancora Dante, si tratti nell’Inferno della "lonza" incontrata quasi all'inizio del canto I - «E non mi si partia dinanzi al volto / anzi impediva tanto il mio cammino / ch'io fui per ritornar più volte volto» (vv. 35-37); o dell'elencazione tutta al femminile del canto V - Semiramide, Didone, Cleopatra (cf vv. 52-63); si tratti nel Purgatorio del canto XXVI dove i lussuriosi camminano divisi in due schiere che, incontrandosi e poi di nuovo subito separandosi, gridano gli uni: «Sodoma e Gomorra», gli altri: «Ne la vacca entra Pasife / perché 'l torello a sua lussuria corra» (vv. 40-42); e Guido Guinizelli spiega a Dante: «Però si parton 'Sodoma' gridando,/ rimproverando a sé com’hai udito / [ ... ] nostro peccato fu ermafrodito; / ma perché non servammo umana legge. / seguendo come bestie l'appetito / [ ...] quando partinci, il nome di colei / che s’imbestiò nelle 'mbestiate schegge» (vv. 79-87); e per contrapasso nel canto XXVII si ode cantare: «Beati mundo corde!»(v. 8)

Ben dodici tipi di lussuria

In un tempo come il nostro, nel farsi labile del vivere,e del senso dell’esistenza, diventa davvero difficile imbrigliare il desiderio, imporgli regole precise. Nella ricerca parossistica del sentirsi vivi, la lussuria diventa una risorsa, cui si supplisce di eccesso in eccesso, coltivando la trasgressione in tutte le sue forme. Le "figlie" della lussuria le conosciamo bene: stupro, adulterio, incesto, violenza sessuale ... Tommaso distingue puntigliosamente ben 12 tipi di lussuria (STh II/II, q. CLIV) e, a loro radice, le figlie già indicate da Isidoro di Siviglia: cecità di mente, incostanza, precipitosità, stultiloquio.

Come non urlare di fronte alla violenza sessuale subita dalle donne, dai bambini. Come non denunciare l'incesto, piaga mai sconfitta, anche ai nostri giorni, anche nella società più opulenta e avanzata. Come non reagire dinanzi alla lussuria divenuta problema ecclesiale proprio nei suoi eccessi trasgressivi, e ci chiediamo se non siano il frutto dello squilibrio instaurato con il proprio e l'altrui corpo, mai del tutto sanato. Ma oltre ciò che ci ferisce e scandalizza - la pedofilia, ad esempio, soprattutto se a praticarla sono uomini che, in aggiunta, si votano al celibato - ci chiediamo se la lussuria sia solo una questione legata al sesso, alla contrapposizione irrisolta tra eros e agape, tra la gioia dell'avere/essere un corpo e l'istanza di trascenderlo, esasperata nel senso di ignorarlo, demonizzarlo, subirlo, senza mai usargli "misericordia".

Sì, del nostro corpo occorre avere misericordia, e tanta. E lì che tocchiamo la nostra finitudine, il nostro limite. Questo e non altro manifesta l'accanirsi sul corpo del lussurioso, che così cerca di esorcizzare il suo limite, d'essere e di sentirsi onnipotente. Ecco, ci pare, che, alla radice, in questione non sia in senso stretto la lussuria, quanto il delirio d'onnipotenza, e, dunque, che vada denunciata, combattuta, condannata la lussuria dell'anima, ossia lo sciogliersi nel piacere del possesso, dell'arbitrio, del potere, della sopraffazione. Lottiamo tanto per ricondurre a morigeratezza il corpo, ma non abbastanza per fustigare e combattere ciò che non altrimenti offende e umilia l'altro/altra, facendone ugualmente un oggetto, anche senza goderne sessualmente.

C'è un delirio lussurioso, un "eccesso" di segno "spirituale" (e mi si perdoni questo nobilissimo termine che sempre dovrebbe evocare lo Spirito) che non è meno nefasto e grave della lussuria corporale. Cecità di mente, sconsideratezza, incostanza, precipitosità, stultiloquio toccano la psiche prim'ancora del corpo, ovvero, da esso inseparabili, pur tuttavia possono presumere d'eluderlo. Ma proprio a questo punto la bramosia si fa incontrollata e la presunzione di sé diabolica. Proprio a questo punto mi diletto a usare l'altro/a, godendone, eccome! Penso a mafiosi, camorristi e affini, sepolti come topi nei loro orrendi bunker: non è la lussuria del potere a sostenerne la vita grama, derelitta? E’ forse un vivere quello?

Penso alla catena di asceti presuntuosi, giustamente più volte messi alla berlina, la cui santità esteriore, magari sconosce la fornicazione, ma conosce e a fondo la cupidigia, il disprezzo degli altri "fornicatori"; penso all'ostentazione in eccesso di insegne e di beni che feriscono gli indigenti; penso alla lussuria del potere, anche nella Chiesa, non meno sottilmente ignobile e vergognosa, nella misura in cui di tutto si serve e tutto sottomette pur di raggiungere il proprio scopo: la carriera. Penso a un "regno" introiettato e posseduto, servito con alacrità lussuriosa perché non diretto alla meta a venire, ma concupito e consumato qui e ora, magari bollando pesantemente quanti - profeti - levano forte la loro voce avvertendo che il "regno" non è ancora venuto e le sue regole sono molto diverse da quelle che ci piace attribuirgli.

Sì, abbiamo ragione di fustigare il vizio e promuovere la virtù. Anche la lussuria va smascherata per quello che è. Ma appunto perciò non possiamo far diventare un comodo alibi la denuncia della sua sozzura. C'è lussuria più profonda e nefanda che rende antitestimoniale la nostra fede. Bisogna avere il coraggio di espungerla. Forse ci sarà allora anche più semplice vivere in armonia la nostra creaturalità e il corpo, il nostro corpo, diventerà finalmente interpellanza, dono, kairos.

(da Vita Pastorale, n. 7, 2009)

Letto 10719 volte Ultima modifica il Domenica, 08 Giugno 2014 12:11
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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