Una formula poetica
A differenza del Concilio, che non ha condannato né proibito quel titolo, alcuni teologi lo giudicano "una formula inadeguata e ambigua, poetica e non teologica". Essa unirebbe al vero il falso nella misura in cui suggerirebbe l'idea di una ierogamia o unione sessuale tra un dio pagano e una donna. Ciò è evitato intenzionalmente dagli evangelisti Matteo e Luca i quali attribuiscono la nascita umana di Cristo allo Spirito (termine femminile in ebraico: ruah, e neutro in greco: pneuma).
Inoltre per Luca (1, 35) lo Spirito scende su Maria non già come uno sposo, ma come la nube sull'arca quale simbolo della presenza trascendente di Dio (come spiega il mariologo Renè Laurentin). Per questi motivi, nel definire i rapporti tra Maria e lo Spirito, sembra da preferirsi il titolo di "tempio", "santuario" a quello di "sposa" - come ha fatto il Concilio - oppure pare sia meglio ricorrere ai termini di "cooperatrice", "segno", icona", "trasparenza".
Tuttavia, lo stesso Renè Laurentin ammette che la formula in questione esprime autentici valori: l'amore che caratterizza lo Spirito Santo, Maria e l'opera di Dio; l'unione profonda, indissolubile, perfetta e senza mescolanza tra Maria e lo Spirito Santo; la loro comune fecondità per la nascita del Figlio di Dio (Matteo 1, 18-20) e di tutto ciò che ne costituisce il prolungamento.
Teologicamente fondato
Ciò spiega perché altri teologi considerino il titolo "sposa dello Spirito Santo" non già devozionale ma teologicamente fondato, anche se non appartenente al deposito della fede. Già nel 1968 Gerard Philips giudicava legittimo quel titolo, poiché "è chiaro che l'allegoria suppone precisamente la distinzione tra i due partners, e la trascendenza divina resta salva". Nel 1996 Franco Rebecchi riteneva che il titolo di "sposa" appartenente alla categoria interpersonale e familiare è particolarmente adatto a esprimere "l'arcano rapporto" tra la Vergine e lo Spirito; e d'altra parte tra i cristiani non si dà equivoco sulla sua interpretazione. Un'altra difesa del titolo mariano è avanzata dalla studiosa Argentina Ines Moreno nel contesto delle relazioni di Maria con lo Spirito Santo come emergono dal celebre "Trattato della vera devozione a Maria" di San Luigi di Montfort. Anzi, in base alla teologia trinitaria secondo cui le operazioni storico-salvifiche (ad extra) sono comuni alle tre persone divine, l'autrice legittima un'applicazione a Maria del titolo di sposa rispetto al Padre, al Figlio e allo Spirito, com'è avvenuto nel corso della tradizione cristiana. In particolare non è facile trovare miglior titolo di quello di sposa per esprimere l'amore fedele e la sublime fecondità che congiungono Maria allo Spirito Santo.
Le espressioni dei pontefici
In questa prospettiva non meraviglia che il magistero pontificio si sia dichiarato favorevole al titolo del Maria "sposa dello Spirito Santo". PaoloVI nell'esortazione apostolica del 1975 (Marialis cultus, numero 26) ricorda come alcuni antichi scrittori videro nell'arcano rapporto Spirito Santo-Maria un aspetto sponsale, porticamente ritratto così da Prudenzio: "La Vergine non sposata si sposa allo Spirito Santo". Giovanni Paolo II, oltre che in vari discorsi, ha affermato chiaramente nell'enciclica Redemptoris Mater del 1987 che, quando lo Spirito è sceso su Maria nell'annunciazione, ella "è diventata la fedele sua sposa".
La conclusione circa il titolo mariano fin qui illustrato risulta orientata a un legittimo pluralismo teologico secondo cui ci si può attenere all'atteggiamento riservato del Concilio e quindi parlare di Maria "santuario dello Spirito ". E’ invece necessario che tutti accogliamo il contenuto essenziale trasmesso dalla Scrittura, cioè un'intima comunione operativa e mistica esistente tra Maria e il Paraclito in ordine alla concezione di Gesù e alla rigenerazione e formazione dei figli di Dio.
(da Famiglia Cristiana)