Formazione Religiosa

Mercoledì, 23 Marzo 2011 12:03

La madre del mio Signore. Esegesi di Lc 1,39-45 (Bruno Maggioni)

Vota questo articolo
(8 Voti)

È certamente corretto leggere i passi mariani all'interno della tradizione biblica, cogliendovi allusioni, rimandi, figure. In tal modo i testi mariani appaiono come un crocevia in cui si incontrano molte strade, un intarsio elaboratissimo di sottili sovrapposizioni. Tutto questo è suggestivo.

La madre del mio Signore.
Esegesi di Lc 1,39-45

di Bruno Maggioni

Nota preliminare

Prima di intraprendere l'analisi del passo, l’autore dichiara la sua intenzione di rispettare i silenzi della narrazione. Rispettati i silenzi, l'episodio si rileva molto compatto.

L'analisi - che non si impegna sulla diacronia - si sofferma particolarmente sui personaggi e le relazioni che si instaurano fra di loro. Ne emerge il carattere essenzialmente epifanico dell'episodio: una manifestazione che riveste soprattutto i caratteri del compimento e della mediazione. Altri aspetti, pur presenti, risultano necessariamente secondari.

Sono personalmente convinto che sia giunto il momento di ritornare nella lettura dei testi biblici mariani - a una certa sobrietà, soprattutto in tre direzioni.

La prima direzione riguarda i riferimenti anticotestamentari. È certamente corretto leggere i passi mariani all'interno della tradizione biblica, cogliendovi allusioni, rimandi, figure. In tal modo i testi mariani appaiono come un crocevia in cui si incontrano molte strade, un intarsio elaboratissimo di sottili sovrapposizioni. Tutto questo è suggestivo. Tuttavia deve rimanere fermo che in primo piano sta la persona di Maria, persona precisa e singolare: non anzitutto figura della Chiesa o figlia di Sion o icona del discepolato o della donna, ma lei, Maria. Sono state la sua persona e la sua singolare relazione con Gesù ad attrarre a sé i riferimenti anticotestamentari, non i riferimenti anticotestamentari a costruire la sua figura e la sua storia.

La seconda direzione riguarda l'attenzione alle strutture narrative. È fuori discussione - per quanto riguarda, ad esempio, i racconti dell'infanzia - che Luca costruisce la narrazione secondo una struttura binaria, nella quale il Battista e Gesù sono messi a confronto. Tuttavia non si dimentichi che a Luca interessa Gesù, non semplicemente il suo confronto con Giovanni. La struttura binaria gli serve, ma non al punto da impedirgli di raccontare altri tratti di Gesù che non rientrano nella struttura. Sentire esegeti, che ritengono «secondario» tutto ciò che non rientra nella struttura, è veramente sorprendente. La struttura non è mai una gabbia nella quale il narratore rimane prigioniero. Certi spiriti troppo «geometrici» dimenticano che Luca è interessato a Gesù, non allo schema della narrazione.

La terza direzione è la più importante di tutte. Si tratta di rispettare sempre i silenzi del narratore. In un racconto i silenzi sono importanti come le parole, gli spazi in ombra come le parti illuminate. I silenzi concentrano l'attenzione su ciò che al narratore maggiormente interessa.

La sobrietà di cui sto parlando non impoverisce la lettura dei testi: al contrario, è proprio togliendo le sovrastrutture (pur gustose e piacevoli), che si ritrova la semplicità - e la bellezza - della costruzione originaria[1].

1. Il racconto

A quanto mi risulta, l'episodio dell'incontro di Maria con Elisabetta non è fra i passi lucani dell'infanzia più studiati, anche se tutti riconoscono che nella struttura della narrazione lucana svolge un ruolo importante[2]. In genere l'attenzione scivola frettolosamente sul Magnificat. E invece è un passo che merita di essere studiato in se stesso, non soltanto nelle sue relazioni con gli altri episodi.

L'incontro di Maria con Elisabetta conclude il dittico dell'annunciazione, ponendo a confronto Giovanni e Gesù. Non è una conclusione formale, introdotta per ragioni di struttura narrativa. È una conclusione vera, una tappa nella manifestazione dell'evento salvifico. I verbi dell'annunciazione erano al futuro (1,13-15.31.35), qui al passato. L'evento si è compiuto. E la notizia dell'evento messianico non è più chiusa nell'animo di Maria, ma inizia a farsi pubblica e riconosciuta. il nostro episodio è, dunque, compimento e riconoscimento[3].

Dopo una breve annotazione di viaggio - in cui i verbi sono di movimento: alzarsi, mettersi in cammino, entrare - tutto si concentra sulla risposta di Elisabetta al saluto di Maria. Qui dominano i verbi di dire, che però manifestano e spiegano un evento, come è chiaramente indicato dalla duplice ricorrenza di ἐγενέτο. Si tratta in tutte e due le ricorrenze del fatto che il bambino sobbalzò nel grembo della Madre. L'attenzione del lettore è chiaramente invitata a soffermarsi su questo particolare, in qualche modo al centro. Ed è invitata ad accorgersi che le parole di Elisabetta non sono soltanto una risposta al saluto di Maria, ma anche - e soprattutto - sono racconto e spiegazione di un fatto.

La narrazione è interamente tracciata da verbi al tempo aoristo, e perciò scorre puntuale e scattante, e senza alcuna retorica, quasi senza aggettivi. Solo tre verbi sono accompagnati da una modalità; Maria che cammina in fretta, Elisabetta che grida con voce forte, il bambino che sobbalza di gioia. Proprio perché inserite in una narrazione assai scarna, queste tre modalità acquistano rilievo.

Anche la disposizione dei personaggi e delle relazioni che si instaurano fra di loro non manca di tratti singolari. In primo piano, visibili sulla scena, le due madri, una di fronte all'altra. Invisibili, perché nascosti nel grembo delle loro madri, i due bimbi, uno di fronte all'altro. E invisibile sulla scena, e tuttavia protagonista e visibilissimo nelle manifestazioni che suscita, lo Spirito.

2. Il viaggio

II viaggio di Maria è detto brevemente. L'attacco è suggestivo ed efficace: «Alzatasi». Il verbo ἀνίστημι in forma participiale e seguito da un verbo di movimento, indica l'inizio di un'azione nuova, che richiede un cambiamento e una decisione. Si potrebbe tradurre con «apprestarsi» o «accingersi» a intraprendere qualcosa. Di per sé indica un movimento verso l'alto, un'immagine, questa, che non va del tutto perduta, anche quando il verbo è usato in modo stereotipo[4].

L'indicazione temporale («in quei giorni») è molto vaga, anche se in grado di avvicinare strettamente la decisione di Maria all'episodio dell'annunciazione. Più precisa, l'indicazione con la quale Luca conclude l'intero episodio: «Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua» (1,56). Quest'annotazione delimita lo spazio temporale interno all'episodio, ponendolo in collegamento con le parole dell'angelo dell'annunciazione (1,36), e al tempo stesso, separandolo completamente dal racconto successivo della nascita di Giovanni. Maria si separa da Elisabetta prima della nascita del figlio. Nell'episodio della nascita del Battista Ella non avrà alcun ruolo.

In fretta è la sola nota che Luca ci offre sul viaggio. La parola greca dice la fretta, ma anche la diligenza, la premura e persino l'entusiasmo. E può trattarsi di una nota qualitativa, dell'animo, più che del tempo. Luca ci offre un'immagine di Maria che cammina spedita, senza distrazioni, premurosa, protesa verso la casa di Elisabetta. Ma la ragione di questa fretta non è espressa. Le opinioni, naturalmente, sono diverse. Inutile elencarle. È meglio rispettare il silenzio del narratore, per il quale la figura di Maria e l’atteggiamento del suo animo sono più importanti del motivo[5]. Anche perché i silenzi sono qui molti. Generica è l'indicazione del luogo: verso la montagna, in una città di Giuda. E nulla è detto della lunghezza del viaggio, la fatica, gli ostacoli, le resistenze dell'ambiente[6].

Per quale motivo Maria si reca da Elisabetta? Secondo un diffuso sentire popolare, e anche secondo diversi esegeti. Maria sarebbe stata spinta dalla carità e dalla volontà di servizio. «Maria poteva aiutare sua cugina (sic) nelle sue occupazioni quotidiane, offrendole quei servigi che le donne usano rendersi in tali circostanze»[7]. La «Serva del Signore» si fa serva degli uomini, come è nella logica del vangelo, dove l'amore di Dio si dimostra e si verifica nell'amore del prossimo[8]. E. Bianchi annota che l'intenzione caritativa di Maria si trasforma però - nel racconto di Luca - in un viaggio missionario: «Maria va per fare il bene e finisce per portare Cristo»[9].

In realtà, da nessuna parte del testo è suggerito che il viaggio di Maria sia stato motivato dal desiderio di aiutare Elisabetta[10]. Tanto più che, come si è visto Maria ritorna a casa sua prima della nascita del Battista (1,56). E l'espressione «Serva del Signore» (1,38) sottolinea l'obbedienza a Dio, non di per sé il servizio al prossimo.

L'unico motivo, che può trovare un appoggio nel testo, è il desiderio di Maria di osservare il segno che l'angelo le ha indicato (1,36). Diversamente da Zaccaria (1,18), Maria non ha chiesto un segno, tuttavia il segno le è stato dato. L'indicazione dell'angelo nasconde un invito. Un desiderio, dunque, di verificare la verità della prova offerta dall'angelo?[11]. Forse anche questo. Il segno e la sua verifica fanno parte della logica delle rivelazioni. Dio mostra la sua verità e non vuole che l'assenso della fede avvenga al buio. Tuttavia va osservato che Luca nel suo breve racconto non suggerisce in alcun modo l'idea della verifica. Piuttosto il suo scopo è di raccontare una tappa ulteriore della manifestazione dell'evento messianico. Non un segno «prova», ma un segno «rivelazione». L'episodio raccontato da Luca non è riducibile a una prova di ciò che è stato detto dall'angelo. È invece un segno, che a sua volta parla. Nell'ottica lucana il viaggio di Maria è anzitutto in funzione della manifestazione di Gesù: non a servizio di Elisabetta, nemmeno a servizio della fede di Maria, ma a servizio di Gesù.

Come già osservato, pensare che il viaggio di Maria sia stato motivato dall'implicito invito suggerito dall'angelo (1,36), è l'unica ipotesi che trova un suo punto d'appoggio nel testo stesso. Tuttavia va notato che non è un aspetto che il narratore direttamente dice. Tocca al lettore scoprirlo. Stando all'episodio in se stesso, il viaggio di Maria appare come immotivato, del tutto gratuito, come sempre - del resto - le manifestazioni di Dio. Non importa a Luca il motivo per cui Maria si è posta in viaggio. Gli importa ciò che è avvenuto nell'incontro con Elisabetta. Il viaggio di Maria è semplice cornice, il quadro è la rivelazione del bimbo che porta in grembo.

A questo punto, si può dire una parola su due letture dell'episodio non prive di importanza, per lo meno suggestive. La prima vede nel viaggio di Maria un riferimento al viaggio dell'Arca dell'Alleanza nel suo trasporto a Gerusalemme al tempo di Davide (2Sam 6,2-11)[12]. Le analogie fra i due episodi non mancano, ma neppure mancano le differenze; non tutti, perciò, accettano l'ipotesi che Luca si sia riferito al trasporto dell'Arca[13].

Personalmente ritengo che il riferimento all'Arca non sia da escludere, tuttavia - nell'economia narrativa del nostro episodio - non può considerarsi un elemento importante. Resta un aspetto secondario, direi di contorno, capace - certo di rafforzare un'idea, ma non di introdurla.

La seconda lettura si appella alla struttura teologica dell'intero vangelo di Luca, scorgendo nel viaggio di Maria un anticipo del futuro viaggio di Gesù verso Gerusalemme. Secondo R. Laurentìn si assiste a «una inarrestabile ascensione che va da Nazaret a Gerusalemme in quattro tappe: le prime due nel paese montagnoso di Giuda per la visitazione e la nascita di Cristo; le altre due nel tempio di Gerusalemme per la presentazione e il ritrovamento»[14].

3. Il saluto

«Entrò nella casa di Zaccaria e salutò Elisabetta» (1,40): Zaccaria è nominato, ma poi subito del tutto lasciato nell'ombra. È stato attivo prima e lo sarà dopo, ma non qui. Lasciamolo nel suo silenzio. Ogni tentativo di spiegazione finirebbe con l'essere fuorviante.

Maria porge il saluto per prima. In qualche modo l'iniziativa è dunque sua. Si tratta di un saluto importante, ricordato nella narrazione ben tre volte. È attorno a questo saluto che si sviluppano gli aspetti narrativi più importanti dell'episodio: il sussulto del bimbo, la venuta dello Spirito, il riconoscimento di Elisabetta.

Il saluto (ἀσπασμόσ) è l'inizio della comunicazione tra le persone. Non si inizia un incontro senza un saluto, col quale si dimostra che la situazione è aperta e le persone sono pronte ad accogliersi. Il saluto non è mai cosa banale[15]. Ma qui il saluto di Maria - diversamente dal saluto/risposta di Elisabetta - è senza parole. Anche questo è un tratto da rispettare nel suo silenzio[16]. Proprio perché senza parole, il saluto di Maria pone in primo piano la sua persona, non ciò che eventualmente Ella ha detto. In primo piano è la voce (1,44):  non le parole di Maria hanno fatto sussultare il bambino, ma la sua voce. È nella voce di Maria che il bambino percepisce la presenza del Messia atteso[17]. Il silenzio sulle parole pone in primo piano la persona che saluta.

4. L'avvenimento

Le due ricorrenze di ἐγένετο (1,41,44) suggeriscono di porre l'attenzione su ciò che accade, non soltanto sulle parole che vengono dette[18]. L'avvenimento è raccontato due volte, la prima dal narratore, la seconda da Elisabetta. Il tratto comune è il sussultare del bambino, che dunque assume un peso particolare. I due racconti non sono una pura ripetizione. Il primo racconta tre cose: il bambino che sussulta nel grembo materno, Elisabetta che viene riempita di Spirito Santo, Elisabetta che proclama a gran voce. Il secondo precisa che a far sobbalzare il bambino è stata la voce di Maria e che si trattò di un salto di gioia.

Il verbo σκιρτάω (saltare, sobbalzare, anche danzare) ricorre nel Nuovo Testamento soltanto tre volte, sempre in Luca (1,41.44; 6,23). Nell'Antico Testamento può designare il movimento naturale dei bambini nel grembo materno (Gn 25,22), o anche l'esultanza del creato, degli animali e degli uomini per la venuta del Signore (MI 3,20). Nel nostro passo è certamente un salto di gioia per la venuta dei tempi messianici (1,44).

Per dire la gioia del bambino nel grembo della madre, Luca ricorre al vocabolo άγαλλίασις, (allegrezza) che «nell'uso linguistico biblico ed ecclesiastico esprime la gioia, che pervade tutto l'uomo, e che si manifesta anche all'esterno. E ha un significato religioso: la gioia e il giubilo per la salvezza promessa e donata da Dio mediante Gesù»[19],

Elisabetta sente il bambino sobbalzare in grembo e - ripiena di Spirito Santo - comprende che si tratta di un gesto da leggere in ordine alla salvezza. Prima di nascere, il Battista già rinvia a Gesù[20]. Giovanni, ancora nel grembo materno, riconosce che Maria porta nel suo grembo il Messia. Ed esprime questo riconoscimento con un sobbalzo di gioia. Maria è portatrice di santificazione (lo Spirito), ma prima ancora di gioia.

5. Benedetta fra le donne

Dopo il saluto di Maria, la scena - a prima vista - viene interamente occupata da Elisabetta: lei è salutata, avverte il movimento del bambino, è ripiena di Spirito Santo, proclama e racconta. Maria è completamente in silenzio. È sempre presente nelle parole di Elisabetta, ma non per qualcosa di suo, per una sua parola o un suo gesto. Tuttavia la figura centrale è Maria, non  Elisabetta. È di lei, infatti, che si parla. Certo, in ultima analisi, la meraviglia di Elisabetta è la venuta del Signore, ma il Signore è nascosto nel grembo di Maria e tutto è direttamente rivolto a Lei.

Le parole di Elisabetta rivolte a Maria non sono soltanto un saluto di risposta, ma una interpretazione di ciò che accade, riconoscimento e proclamazione. «Esclamò a gran voce»: il verbo che esprime questo grido di Elisabetta - un grido che dice la sorpresa e la meraviglia – è άναφονέω . Si tratta di un verbo utilizzato per esprimere esclamazioni di tono liturgico (cf 1Cr 15,28; 16,4.5.42; 2Cr 5,13). È come se il saluto di Elisabetta si distendesse in una sorta di cantico. Una traccia di culto mariano già presente nella comunità di Luca? «Con voce forte» è una sigla che introduce la parola profetica, che sa svelare ciò che ancora è celato. E difatti Elisabetta non parla per forza propria, ma ispirata («ripiena di Spirito Santo»), come i profeti. Le sue parole non sono un augurio, come solitamente nei saluti, né una personale intuizione, ma una rivelazione di Dio, un'interpretazione autentica dell'evento che accade in Maria. Tre i riconoscimenti: benedetta fra tutte le donne, madre del Signore, beata perché ha creduto. Il grido di Elisabetta non augura una benedizione, ma constata una benedizione già data. E non è Elisabetta che benedice Maria, ma Dio: ciò è chiaro nel «passivum divinum» (benedetta). «Tra le donne» è una forma comparativa: Maria è la più benedetta. Il fatto, poi, che prima venga dichiarata benedetta Maria e poi il frutto del suo grembo non dice l'ordine della dignità, ma la mediazione. Secondo molti esegeti, le parole di Elisabetta rivolte a Maria ricalcano le parole rivolte a Giuditta (13,18): «Tu sei benedetta fra tutte le donne e benedetto è il Signore Dio». La novità - e la grandezza - del Nuovo Testamento è tutta racchiusa nel cambiamento dell'espressione «il Signore Dio» nell'espressione «il frutto del tuo grembo». È in questo cambiamento che si capisce la grandezza di Maria.

6. La madre del mio Signore

«A che debbo questo...»: l'espressione dice la meraviglia, quasi incredula, di Elisabetta, e pone una domanda che non ha risposta: la visita di Dio è gratuita. E dicendo «la Madre del mio Signore», Elisabetta riconosce al tempo stesso l'identità di Maria (la Madre) e di Gesù (il mio Signore). Per la prima volta nel vangelo di Luca Gesù è chiamato «Signore» (κύριος). Con lo stesso titolo lo chiameranno poi gli angeli nell'annuncio ai pastori (2,11). È un titolo che appartiene alla fede della comunità post-pasquale. «Madre del mio Signore» è il titolo mariano più splendido che si legge nel Nuovo Testamento. Luca lo pone sulle labbra di Elisabetta, che in tal modo diviene la «prefigurazione» della comunità credente. Kύριος, è il Gesù risorto e glorioso, nella pienezza della sua sovranità. «Signore» è un titolo che riassume in una sola parola tutto quanto l'angelo dell'annunciazione ha detto a Maria sulla scorta degli oracoli messianici[21].

7. Beata colei che ha creduto

II participio aoristo («Colei che ha creduto») e, soprattutto, il riferimento alle parole dette dal Signore dirigono l'attenzione verso le due annunciazioni, per un confronto tra Zaccaria e Maria. In ambedue i racconti viene posta all'angelo una domanda (1,18.34), ma la valutazione è completamente diversa: Zaccaria è rimproverato per la sua incredulità. Maria è Iodata per la sua fede. Dove sta la differenza fra le due domande?

Di fronte alla promessa di un figlio, Zaccaria resta incredulo e chiede un segno, una garanzia («in forza di che cosa posso conoscere questo?»), ponendosi in tal modo nella scia di alcuni racconti anticotestamentari come Gen 15,8; Gdc 6,17; Is 7,11; 38,7. La risposta dell'angelo («Ecco, sarai muto e non parlerai più fino al giorno in cui queste cose avverranno») è al tempo stesso un segno dell'efficacia della parola di Dio e un castigo per la poca fede dell'uomo. Maria, invece, non chiede un segno (e per questo un segno le sarà dato). Già crede alla promessa dell'angelo, ma si interroga sul «come», dal momento che la promessa divina pare contraddire il suo proposito di «non conoscere uomo». Maria non si interroga sulla potenza di Dio, ma si chiede quale sia la sua volontà.

Elisabetta riconosce Maria dapprima come Madre (1,44) e poi come credente (1,45)[22]. II primo riconoscimento riguarda soltanto Maria; è infatti interamente espresso alla seconda persona singolare. Il secondo, invece, è detto alla terza persona: «Colei che ha creduto». In tal modo l'espressione si dilata su un orizzonte più ampio. La maternità appartiene solo a Maria, invece nel suo atteggiamento di credente c'è posto anche per altri. Maria assume la figura del discepolo[23]. Per la sua fede è il modello di tutti coloro che «ascoltano la Parola e la osservano» (11,27-28; cf 8,21). «Qui la maternità di Maria è intesa già in termini molto profondi: non fu solo una maternità fisica, ma eminentemente una realtà spirituale... La maternità di Maria aveva profonde premesse nella sua vita personale, era inserita nella sua disponibilità e nella sua fede»[24].

E tuttavia, secondo Luca, Maria è al tempo stesso la prima credente (1,45) e colei che non comprende (1,34; 2,50). Nessuna contraddizione. Luca sa che la fede non chiude il cammino, ma lo apre. Il cammino di Maria, però, non è stato una sorta di passaggio dalla maternità al discepolato, da una maternità fisica a una maternità sempre più spiritualmente vissuta. La maternità di Maria è sempre stata l'una e l'altra sin dall'inizio. Neppure si può parlare di un cammino da una fede esitante a una fede forte. Maria è credente sin dall'inizio. I passi evangelici non concedono di pensare diversamente. Tuttavia come ogni discepolo e ogni credente, anche Maria ha compiuto un itinerario: ha seguito il cammino del Figlio, che a poco a poco, in una specie di continuo contrasto tra gloria e debolezza, ha svelato non semplicemente di essere Figlio, ma il modo inatteso e sconcertante di esserlo. È questo lo spazio del cammino di Maria e del discepolo di ogni tempo. La singolarità di Maria sta nell'aver percorso questo cammino all'interno della sua condizione di madre.

8. Lo Spirito

Nel racconto della visitazione lo Spirito è nominato una sola volta: «Elisabetta fu ripiena di Spirito Santo». Tuttavia è un protagonista. E in forza dello Spirito che Giovanni inizia - tramite la madre - la sua funzione di profeta e di precursore. Ed è perché è ripiena di Spirito Santo che Elisabetta comprende e annuncia. Così la testimonianza del Battista avviene ancor prima di nascere. Questa anticipazione - resa possibile dallo Spirito - dice che la testimonianza viene da Dio, non dagli uomini. Le manifestazioni visibili passano attraverso gli uomini, le loro parole e le loro azioni, ma il protagonista vero, invisibile, è lo Spirito.

Lo Spirito Santo, che discende su Elisabetta e Giovanni, è attore di un compimento. La promessa (1,15) è comunicata dall'angelo («sarà pieno di Spirito Santo sin dal seno materno»), ma il compimento è opera dello Spirito (1,41). Il fatto che Giovanni riconosca Gesù con un balzo di gioia è il segno che lo Spirito è disceso su di lui, non soltanto sulla madre. Se Elisabetta appare sulla scena in primo piano, è solo perché è il soggetto visibile e attivo[25].

9. Un racconto epifanico

Ritengo che l'analisi del testo non abbia fatto altro che confermare un'idea: l'episodio della visitazione di Maria a Elisabetta è un episodio epifanico: una manifestazione di Gesù e di Maria, Meglio, di Gesù attraverso Maria. Altri aspetti, pur presenti, non sono i principali. Certo è presente l'interesse di confrontare Gesù e Giovanni, mostrando la superiorità del primo sul secondo. Ma l'episodio non è stato costruito a questo scopo, come alcuni sembrano pensare[26]. Certo sono presenti anche significati di grande valore morale e esemplare, ma neppure questi significati costituiscono la ragione dell'episodio[27].

Molteplici sono i tratti teofanici che vengono sottolineati. Per esempio il compimento. La visitazione è una scena di compimento, anche se - nell'economia dell'infanzia e dell'intero vangelo - questo compimento a sua volta rinvia. Come l'intera storia della salvezza, la manifestazione di Gesù procede mediante promesse e compimenti che, a loro volta, sono rinvianti.

Un secondo tratto è la mediazione. Si è osservato che l'ordine dei personaggi è invertito. Dal punto di vista «teologico», prima il Signore, poi la Madre; prima Giovanni e poi Elisabetta; prima il «frutto del tuo seno», poi Maria. Ma dal punto di vista del visibile - cioè di come i personaggi compaiono e agiscono sul palcoscenico - l'ordine è capovolto: prima la Madre e poi il frutto del suo seno, prima Elisabetta e poi Giovanni. In tal modo viene fortemente sottolineato che la manifestazione di Dio passa attraverso la mediazione. Non c'è esperienza del divino che non passi attraverso le mediazioni. Il vedere dell'uomo va dal visibile all'invisibile. Ed è dalle manifestazioni (da ciò che avviene) che si risale all'identità (chi è Gesù).

Oggetto primario della rivelazione è Gesù. A Lui conducono sia il sobbalzo di gioia di Giovanni, sia le parole di Elisabetta a Maria, sia la venuta dello Spirito. Ma oggetto della rivelazione è anche Maria, nel suo duplice aspetto di Madre e di credente. E anche nel suo aspetto di mediazione, nel senso già detto. Visibile sulla scena è infatti Maria: Gesù è nascosto in lei, Gesù è qui, presente e attivo, ma come all'ombra di sua Madre. Poi - in tutto il vangelo - sarà la Madre a camminare all'ombra del Figlio, come discepola.  Più nascosta, suggerita con discrezione, c'è anche l'affermazione del primato di Dio. Le parole di Elisabetta, che occupano gran parte dell'episodio, non suscitano una risposta di ritorno verso di lei, né verso Gesù, ma verso Dio (il Magnificat).


(Maggioni B., 1997 -  La madre del mio Signore. Esegesi di Lc 1,39-45. Theotokos V:11-24).

[1] Non mi occupo qui della diacronia del testo, perché, per la lettura che intendo fare, essa è quasi del tutto irrilevante. Ne mi piace moltiplicare le ipotesi. Formulare ipotesi e poi da quelle trarre deduzioni è, a mio parere, un esercizio rischioso. Meglio porre tutta l'attenzione sul testo e ad esso limitarsi.

[2] BREVE NOTA BIBLIOGRAFICA

Studi: J. Galot, Marie dans l'évangile, Desclée de Brouwer, Paris-Louvain 1958. L. Deiss, Elementi fondamentali di Mariologia, Queriniana, Brescia 1970. G. Leonardi, L'infanzia di Gesù, Ediz. Messaggero, Padova 1975, 167-174. J. Mc Hugh, La mère de Jésus dans le NT, Cerf, Paris 1977, 113-117. A. Feuillet, Jésus et sa Mère, Gabalda, Paris 1981. R.E. Brown, La nascita del Messia secondo Matteo e Luca, Cittadella Editrice, Assisi 1981, 445-467. R. Laurentin, I Vangeli dell'infanzia di Cristo, Ediz. Paoline 1985. A. Serra, Maria secondo il vangelo, Queriniana, Brescia 1987. E. Bianchi, Magnificat, Benedictus, Nunc dimittis. Commento esegetico spirituale. Edizioni Qiqajon, Magnago 1989. O. Battaglia, La Madre del mio Signore. Maria nei vangeli di Luca e di Giovanni, Cittadella, Assisi 1994.

Commenti al vangelo di Luca: C. Ghidelli, Luca, Ediz. Paoline 1977. O. Da Spinetoli, Luca, Cittadella, Assisi 1982. H. Schurman, Il Vangelo di Luca, Prima parte, Paideia, Brescia 1983, 164-171. J. Ernst, il Vangelo secondo Luca, Morcelliana, Broscia 1985, 108-112. G. Rossé, Il Vangelo di Luca, Città Nuova, Roma 1992, 65-68. S. Fausti, Una comunità legge il vangelo di Luca, EDB, Bologna 1994.

[3] Naturalmente si tratta di un riconoscimento ancora germinale nella sua pubblicità, e tuttavia già chiaro. È come un passaggio intermedio: «Per un attimo l'azione è pervasa da una grande calma. Prima di manifestarsi pubblicamente, gli avvenimenti preannunciati vengono considerati in uno spazio di meditazione più intima» (J. Ernst, Il Vangelo di Luca, Morcelliana, Brescia 1985, 108).

[4] Cf H. Balz - G. Schneider, Dizionario esegetico del Nuovo Testamento, I, Paideia, Brescia 1995, 235-236.

[5] Alcuni vedono nella fretta di Maria la prontezza e la gioia di seguire l'indicazione dell'angelo (1.36). Altri rilevano il desiderio di verificare il segno che le è stato dato. Altri ancora preferiscono sottolineare la fretta di manifestare la gioia dell'accaduto: una gioia traboccante che vuole comunicarsi. Per qualcuno si tratta della fretta di recarsi ad aiutare l'anziana parente. E non manca chi vi scorge un simbolo del tema lucano della corsa della Parola.

[6] La tentazione di riempire gli spazi bianchi della narrazione è facile, come pure quella di passare indebitamente dalla narrazione alla storia. In un libro, per altro esegeticamente e spiritualmente molto pregevole, O. Battaglia scrive: «La critica, la condanna, l'ostracismo erano i rischi che doveva correre se voleva mostrarsi indipendente e libera. Maria sa quel che vuole e quel che fa, perciò si comporta con grande libertà e decisione. Doveva essere una donna di carattere, coraggiosa e intraprendente. Non si è fatta condizionare da nessun pregiudizio e consuetudine. Anche Gesù agirà così, vero figlio di Sua madre» (La Madre del mio Signore, Cittadella, Assisi 1994, 88).

[7] L. Deiss, o. c., 122. Il medesimo autore suggerisce anche l'idea che Maria sia stata spinta «dal desiderio, del tutto naturale, di trovare in Elisabetta una parente che potesse essere la confidente dei suoi pensieri» (o. c., 121-122).

[8] Cf O. Battaglia, o.c., 85. L'autore intitola il viaggio di Maria «II pellegrinaggio della carità», e osserva che «La scena dell'annunciazione illustra il comandamento dell'amore di Dio, che trova la sua espressione nell'obbedienza totale di Maria. La scena dellla visitazione illustra l'amore del prossimo che trova la sua manifestazione nella carità fervorosa e sollecita di Maria» (o. c., 86).

[9] Vedi anche E. Bianchi, o. c., 24.

[10] Né il desiderio di aiutare l'anziana parente, né di cercare comprensione e protezione presso di lei: cf H. Schurmann, o. c., 165

[11] O. da Spinetoli, per esempio, insiste sul motivo della «verifica»: «Anche in Maria la fede ha bisogno di garanzie, di appoggi, di conferme» (o. c., 81).

[12] Cf ad esempio R. Laurentin, Structure et théologie de Luc I-II, Gabalda, Paris 1964,79-81.

[13] Vedi H. Schurmann, o. c., 164.

[14] I Vangeli dell'infanzia di Cristo, 90.

[15] Cf H. Balz - G. Schneider, o. c., 460.

[16] Diversamente O. da Spinetoli (o. c., 82) che scrive: «Il saluto di Maria (v. 40) non è esplicitato dall'evangelista, ma può essere rintracciato nella risposta di Elisabetta che secondo il cerimoniale ebraico era una replica quasi letterale delle parole udite dalla prima interlocutrice».

[17] «La voce della madre è il veicolo della voce del Figlio. La serva del Signore è il primo strumento di trasmissione del vangelo come annuncio di gioia. Esso addirittura ha preceduto il Battista come prima voce» (O. Battaglia, o. c., 96).

[18] II verbo γίνομαι  (divenire, venire all'esistenza, accadere) suggerisce sempre, in un modo più o meno accentuato, un evento.

[19] H. Balz – G. Schneider, o. c., 20. Su un totale di sedici ricorrenze, nel Nuovo Testamento, sette si trovano nella duplice opera di Luca,

[20] II confronto fra Giovanni e Gesù - in realtà accennato discretamente, ma con chiarezza - «Sottolinea la rappresentazione, tipica di tutta la prima parte del racconto lucano dell'infanzia, della testimonianza di Giovanni a favore di Gesù» (E. Ernst, o. c., 108).

[21] Cf A. George, Jésus Seigneur, in Etudes sur l'oeuvre de Luc, Gabalda, Paris 1978, 246.

[22] II participio esprime una modalità più che una nota temporale. Il participio aoristo non necessariamente dice soltanto un fatto passato, ma può indicare anche una modalità presente: Maria è colei che ha creduto ed è la credente.

[23] Cf J. McHugh, o. c., 113.

[24] H. Schurmann, o. c., 170.

[25] Elisabetta «sa non soltanto che Maria ha concepito, ma anche chi ha concepito. Ciò che il bimbo non è ancora in grado di fare, viene fatto da lei» (H. Schurmann, o. c., 168).

[26] Per esempio E. Lupieri, Giovanni Battista nelle tradizioni sinottiche, Paideia, Brescia 1987; Idem, Giovanni Battista fra storia e leggenda, Paideia, Brescia 1988. Secondo questo autore «Quel che interessa a Luca è rendere accettabile il dato, che gli crea un problema teologico e che non può negare, del battesimo di Gesù» (Giovanni Battista nelle tradizioni sinottiche, 74).

[27] «Con le figure di Elisabetta e Maria sono descritti tipi caratteristici o modelli: si manifesta così i'arte poetica della comunità cristiana delle origini nel plasmare queste scene» (K. Gutbrod, Il messaggio del Natale. Le tradizioni evangeliche. Marietti, Torino 1973, 64-65).

Letto 8875 volte
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

Search