Formazione Religiosa

Lunedì, 18 Aprile 2011 22:13

Una Chiesa da "riformare" (Mauro Pizzighini)

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Vescovi, teologi ed economisti si interrogano sulla coscienza che la chiesa ha di sé e sul suo rapporto con la società. E chiedono il coraggio dell'apertura, del dialogo e della vicinanza.

 

Una Chiesa da "riformare"

di Mauro Pizzighini

«Il concilio ha avviato un confronto che va continuato. Non chiudiamoci in difesa inventandoci complotti contro la chiesa. O riducendo a chiacchiericcio le voci che denunciano le nostre mancanze di fedeltà al vangelo. Non si tratta solo della pedofilia… Non è tempo per battaglie di retroguardia. Bisogna uscire in campo aperto e camminare insieme con tutti gli uomini e le donne di buona volontà». Sono affermazioni franche e coraggiose del vescovo emerito di Foggia-Bovino, Giuseppe Casale, nella prefazione del suo libro, pubblicato di recente, dal titolo Per riformare la chiesa. Appunti per una stagione conciliare.

Due voci di pastori. La voce del vescovo pugliese chiede con forza una "riforma" all'interno della chiesa perche solo in questa prospettiva essa potrà svolgere il suo ruolo "profetico" di presenza nel "mondo". Se, secondo il concilio, la chiesa è "per" il Regno - afferma mons. Casale -, occorre «rispettarne la logica fondamentale, qual è espressa nel vangelo»: nelle parabole «il regno di Dio non vuole clamore, pubblicità, potenza organizzativa», ma «cresce e matura nelle profondità del cuore umano per irradiarsi gradualmente nel mondo». Quindi, «per realizzare quest'opera, la chiesa deve specchiarsi in Cristo, deve con lucida analisi verificare se appaiono sul suo volto "ombre o difetti" e quindi riformarsi, correggersi, sforzarsi di riportare se stessa a quella conformità con il suo divino modello che costituisce il suo fondamentale dovere».

Su questa linea si innestano le parole pronunciate da Paolo VI nel discorso di apertura della seconda sessione del concilio (29 settembre 1963): «Il concilio vuole essere un primaverile risveglio di immense energie spirituali e morali, quasi latenti nel seno della chiesa; esso si manifesta come il risoluto proposito di un ringiovanimento sia delle forze interiori sia delle norme che regolano le sue strutture canoniche e le sue forme rituali».

Per un "autentico" rinnovamento della chiesa è necessario - continua Casale - «il coraggio di non rinchiudersi nelle strutture già costituite, di non limitarsi a cambiamenti marginali, ma di reinventare il nuovo modo di operare in una società che è profondamente cambiata»: in altre parole, si tratta di «affermare il primato del vangelo sulle istituzioni, di superare i compromessi con il potere civile, di favorire la vera libertà religiosa, di porsi al servizio degli ultimi».

Il vescovo constata con amarezza che «le riforme che sono state attuate hanno abbellito l'aspetto esterno dell'istituzione ecclesiastica, hanno creato nuovi organismi, ma non hanno eliminato o modificato mentalità e atteggiamenti del passato», quali, ad esempio, il clericalismo che «rimane dominante». Addirittura oggi «sembra che la chiesa parli a se stessa» e «riesce a fare notizia quando vengono alla luce le piccole lotte di potere tra uomini di chiesa o gli scandali, ieri del prete che si sposava, oggi dei preti pedofili». Inoltre, «si registrano «nostalgici ritorni al tempo che fu, come se le indicazioni del concilio fossero una pericolosa ventata di novità e non la ricerca del modo più autentico di essere chiesa».

«La chiesa - ha affermato il vescovo emerito di Novara, Raffaele Nogaro² - è elemento fondante e sempre originario della società umana. La società può non volere la chiesa. La chiesa però è totalmente rivolta alla società. Per mandato divino. Ha ricevuto la consegna di Cristo di "sovvenire" alle necessità dell'uomo. Non ha una funzione di governo, non ha una gestione dell'economia, non gode di privilegi. La chiesa non ha nulla per sé, ha tutto per gli altri. È a servizio dell'uomo. Ed è la gratuità del dono».

Il pastore emerito di Caserta lancia un allarme: «Il rischio forte è che la chiesa, invece di rimanere discepola del vangelo, diventi la procuratrice degli interessi più incontinenti di alcune categorie di devoti». Sono affermazioni dirette, chiare e incalzanti che chiedono alla chiesa di non recedere dalla sua vocazione originaria e profetica.

La voce dei teologi. In questa volontà di "riforma" a rincarare la dose ci si mette anche il teologo Dianich, nel suo intervento sulla rivista Il Regno, invitando la comunità cristiana a mettere al primo posto una "preoccupazione" che riguarda il suo "interno", dal momento che «alla chiesa non interessano i voti, ma le persone». Oggi occorre recuperare il compito originario della chiesa: quello di allargarsi «alla responsabilità complessiva verso il bene comune», anche se «tutto si dirama a partire da quello che è il cuore e il nerbo portante della sua missione, il compito di comunicare al mondo la fede». In virtù di questa "consapevolezza ecclesiale", «solo una vera preoccupazione per la fede delle persone sarà capace di costruire un nuovo equilibrio dei rapporti della chiesa con la cultura contemporanea, che non le impedisca di manifestare il proprio giudizio morale sui temi che vi si dibattono, ma che, allo stesso tempo, non sia - né sembri che lo sia - volontà d'imporre alla società e alle sue istanze legislative le decisioni da adottare, invece di proporre a tutti il suo vangelo, con i suoi valori, come fonte di ispirazione per tutti coloro che sono alla ricerca della soluzione più giusta dei problemi del bene comune». Quindi «solo partendo dal mettere in primo piano l'attenzione alle persone, da raggiungere nei loro bisogni interiori e nella loro ricerca di senso, e la cura dell'annuncio del vangelo, la chiesa potrà demolire le barriere fra la sua parola e le coscienze e rapportarsi positivamente con la cultura contemporanea, la vita e gli assetti della società civile. Non perché il vangelo non venga a contestare il costume di vita dominante, ma perché la sua proposta si dirige alla libertà di decisione delle persone e non può appoggiarsi al potere delle istituzioni».

Dianich fa notare che «in questi ultimi anni non è solo il problema politico a condizionare pesantemente l'opera dell'evangelizzazione»: infatti «il coinvolgimento di preti e vescovi nello scandalo della pedofilia, la denuncia di transazioni finanziarie condotte in maniera scorretta o disonesta da istituzioni ecclesiastiche hanno logorato gravemente l'autorevolezza morale della chiesa». Il teologo toscano afferma: «Poiché le umiliazioni le vengono dall'interno, dai suoi membri, la chiesa umiliata è chiamata a diventare una chiesa umile», nello spirito conciliare di Gaudium et spes secondo il quale «la chiesa sperimenta assieme al mondo la medesima sorte terrena» (n. 40), la impegna ad abbandonare ogni atteggiamento di superiorità e a sentirsi solidale nel bene e nel male con tutti gli uomini.

In questa prospettiva si pone anche Roberto Repole, docente di teologia sistematica presso la Facoltà teologica di Torino, che nel suo intervento su Il Regnodal titolo Umile, non debole. Il vangelo in Occidente, parla di un "ripensamento ecclesiologico" a cui è chiamata la chiesa di oggi. Egli fa notare che «il fatto che questa nostra cultura occidentale sia contrassegnata dal "debolismo" può offrire la possibilità di ripensare alla chiesa come ad una realtà che non è né debole e priva d'identità, come vorrebbe spesso una certa cultura contemporanea, né forte e imponente, come vorrebbero (forse per istintiva reazione) certe prassi ecclesiali attuali; ma appunto strutturalmente umile, perché in lei forza e debolezza si danno insieme e perché la sua forza si manifesta, per il paradosso evangelico, nella sua debolezza».

Secondo Repole la chiesa è "umile", perché la sua non è un'identità che si dà "in sé e da sé", ma è «data dalla relazione nella quale è coinvolta, in diverse direzioni. In direzione di Dio, anzitutto». Quindi non si tratta di una "questione primariamente morale", ma «di qualcosa che riguarda la chiesa intimamente». Quindi la chiesa è chiamata «a una prassi di vita umile perché questa è particolarmente conforme al suo essere umile», altrimenti, se non la vive, «si percepisce un tradimento, in qualche modo, di quel che la chiesa è».

La voce dell'economista. Rimane vivo l'interrogativo lanciato dal teologo Dianich: "Chiesa, che fare?" a cui accetta di rispondere dalle pagine de Il Regno il docente di economia politica Luigino Bruni della Bicocca di Milano. È impressione dell'economista che «la chiesa (soprattutto l'istituzione, ma non solo) appaia oggi sempre più distante dalle questioni ordinarie, urgenti e vitali della gente», dal momento che «i grandi temi sui quali in questi anni si stanno concentrando le nostre battaglie, non sono sentiti urgenti, vicini e capaci di muovere le grandi passioni del vivere». Se, fino a qualche decennio fa, la chiesa era presente nella ferialità della vita (si pensi al grande tema della festa, di alcuni riti di passaggio del vivere, l'accompagnamento del lutto…), oggi molte domande sono "radicalmente" cambiate e hanno che fare con la vita economica, politica, con le città, con la multiculturalità… Secondo Bruni, «se non saremo di nuovo capaci di decifrarle, intercettarle e cercare di entrare in esse per "abitarle", la marginalità crescente sarà solo un effetto di qualcosa di molto più profondo e radicale».

Oggi la "nuova" evangelizzazione richiede ancora di più un'operazione preliminare di "nuova" inculturazione, la quale «rimanda all'altra grande questione del linguaggio e del codice simbolico che la chiesa utilizza». Ecco perché, se i nostri linguaggi e i nostri simboli non sono più capaci di «parlare parole theofore», ci si dovrà avvalere - a detta di Bruni - di «un magistero laico che soprattutto in questa nostra età ha tante cose importanti da dire, anche e in modo speciale a noi cristiani: penso a chi oggi ci sta svelando dimensioni nuove e nascoste della povertà, dei diritti e di altre questioni che sono essenziali alla chiesa stessa». Così come, ai tempi della grande Scolastica, la chiesa «ha incluso nelle sue sintesi elementi di verità provenienti dal mondo greco, romano, arabo, germanico». Ecco la sfida a cui la chiesa non dovrà e potrà sottrarsi e che non può essere rinviata ancora troppo a lungo. Sulla linea dell'affermazione del teologo Dianich: in questo modo, «in maggiore povertà e con più sincera umiltà recupereremo una più ampia libertà e, quindi, l'entusiasmo e l'audacia per andare incontro a tutti, non con l'ansia di doverci scontrare con degli avversari, ma con la parola del vangelo da donare al mondo».

 

(Da Settimana, 9, 2011)

Letto 2764 volte Ultima modifica il Martedì, 10 Maggio 2011 10:33
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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