Formazione Religiosa

Domenica, 09 Ottobre 2011 23:22

31. Litugia e pietà popolare

Vota questo articolo
(2 Voti)

Sarebbe errato valutare la pietà popolare come un «prodotto religioso di scarto» e mettere ad essa la parola fine.

 Accanto alla liturgia ufficiale, contenuta nei libri liturgici promulgati per autorità del papa o dei vescovi, ci sono molteplici espressioni di pietà cristiana in vasti strati popolari, in comunità, associazioni e famiglie, alle quali si dà il nome di pietà o religiosità popolare, e alla quale appartengono anche gli usi religiosi. Si tratta di irradiazioni e di concretizzazioni della fede e della liturgia nella vita quotidiana. Certi usi risalgono però anche ai tempi della religione pagana e furono in seguito più o meno cristianizzati. I fenomeni e i problemi della pietà popolare e degli usi cristiani hanno in alcuni paesi europei e nei paesi neolatini e nei popoli da essi colonizzati e cristianizzati dell’America centrale e meridionale e delle Filippine un ruolo di rilievo essenziale (1).
Poiché molte forme della pietà popolare hanno le loro radici nel Medioevo e nell’epoca barocca, con il loro differente senso della vita e della fede, e si basano su strutture agrarie e artigianali, è comprensibile che gli uomini della società industriale odierna, con la loro mentalità improntata ad un secondo Illuminismo, si pongano di fronte ai fenomeni della pietà popolare in modo assai critico e abbiano gettato a mare molte cose. Ciò accade particolarmente dove gli usi tradizionali sono mescolati con idee magiche o sono occasioni per pratiche magiche (2). Però anche per altri usi meno problematici manca in vasti strati popolari la fede viva nella trascendenza e nelle forze e potenze soprannaturali. Si aggiunge inoltre un ritorno del senso comunitario e tradizionale, dell’attaccamento alla tradizione, il che è ancora favorito dal predominare della famiglia. Non è neppure da trascurare il fatto che molti riempiono il tempo libero fuori dell’attività professionale con i divertimenti offerti dai mass-media e con una crescente mobilità. Così si può parlare da decenni di una crisi della pietà popolare e degli usi devoti popolari. Questa constatazione è fatta anche ad es. dai vescovi dei paesi di lingua tedesca quando ad una inchiesta della Congregazione per il Culto divino del 1980, riguardante l’accoglienza della riforma liturgica, rispondono: «La pietà popolare è da tempo in regresso. La riforma liturgica non ha arrestato, bensì accelerato tale regresso» (3).
E tuttavia sarebbe errato valutare la pietà popolare come un «prodotto religioso di scarto» e mettere ad essa la parola fine. Può essere che anche il movimento liturgico nella gioia per la riscoperta della bellezza e del significato della liturgia abbia un po’ relegato in secondo piano la preghiera e gli usi pii del popolo. «Nessuno vorrà contestare i difetti, i lati oscuri e la debolezza del cattolicesimo popolare; d’altra parte esso, come sottolineò Paolo VI nella sua esortazione apostolica Evangelii nuntiandi nasconde in sé la possibilità di aiutare molti a realizzare un ‘vero incontro con Dio in Gesù Cristo’» (4).
Già il buon senso dovrebbe raccomandare di non gettar via senza previo esame «cose antiche», bensì di appurarne dapprima il reale valore. Così anche B. Fischer nel Katholikentag (Giornata cattolica) di Treviri del 1971 avanzò la richiesta di «non abolire ciecamente ciò che non sembra più esser adeguato ai tempi, ma di esaminare prima se le forme in questione non possano essere purificate e consolidate così da poter mantenere diritto di esistenza anche in un mondo nuovo» (5).
È quindi compito dei pastori separare il grano dalla pula, riscoprire nelle espressioni della pietà popolare il nocciolo di valore, liberarlo dalle intonacature e incrostazioni e ripresentare gli antichi usi, attraenti nel loro significato ritrovato, allo sguardo delle comunità.
Il criterio della ecclesia semper reformanda vale come per la liturgia così più che mai per talune manifestazioni della pietà popolate Anche in essa si deve tener conto di quanto la SC richiede dai pii esercizi del popolo cristiano e dai sacri esercizi delle chiese particolari: essi «tenendo conto dei tempi liturgici, siano ordinati in modo da essere in armonia con la sacra liturgia, da essa traggano in qualche modo ispirazione e ad essa... conducano il popolo cristiano». Una pietà popolare rinnovata può perfettamente integrare e arricchire la liturgia ufficiale, e per la sua insita forza di socializzazione cristiana può rendere preziosi servizi all’esistenza credente. (6).
È bello quindi che in molti paesi si abbiano indizi di una rigenerazione di antiche forme di pietà popolare e di una formazione di nuove. Tali impulsi sorgono non da ultimo in ambienti giovanili, ad es. nelle forme della Via crucis dei giovani e dei pellegrinaggi dei giovani, in cui si alternano preghiera, canto e dialogo su un determinato tema. Anche nelle comunità parrocchiali nascono nuove forme di pietà popolare come ad es. nella ripresa di una specie di Agape dopo le celebrazioni, e preghiere familiari nei tempi di Avvento e Quaresima. In non poche famiglie giovani la celebrazione delle feste e dei tempi liturgici conosce una intensità rinnovata.
Nuove forme di pietà popolare e usi religiosi popolari hanno bisogno di tempo per crescere. Ciò può avvenire tanto prima quanto più la fede si rafforza e da una liturgia vicina alla vita emanano veri impulsi e valori spirituali. Da parte sua una sana pietà popolare contribuirà allora alla crescita della fede e all’arricchimento della liturgia
Per quanto riguarda le processioni ancora così importanti in tante parti dell’Europa e del resto del mondo cristiano, almeno quello cattolico ed ortodosso, si può dire che esse  son significative e positive nella misura in cui sono effettivamente unite al mistero di Cristo o alla figura esemplare di Maria la Prima Discepola o all’esemplarità della vita dei Santi.
E’ importante che siano espressione di fede autentica e che siano adeguatamente curate ed animate.
I pellegrinaggi, oggi diffusi anche a livello internazionale, sappiamo come possono essere occasione di crescita spirituale e di testimonianza. Un esempio ne sono i pellegrinaggi in occasione del GMG.
E’ fondamentale che se ne curino le motivazioni, il clima di preghiera e di meditazione avendo cura di non sbilanciare il livello di essi verso un clima di turismo religioso.
I giubilei e le indulgenze meriterebbero una più ampia riflessione.
In questa sede ci limitiamo ad offrire uno stimolo, a ricercare essenzialmente nei giubilei l’occasione di un vero RINNOVAMENTO personale e sociale e nelle indulgenze la prima e fondamentale ricerca dell’INDULGENZA del Signore.
Le benedizioni, così spesso richieste, è necessario che non siano viste in chiave magica ma come l’espressione della misericordia e compassione di Dio, di cui siamo grati e per cui LO benediciamo ora e sempre.

Note

(1) Rimandiamo a numerose ricerche in Concilium 2 (1977), e alla parte Volksreligiosität in einzelnen Regionen, in J. BAUMGAKTNER (ed.), Wiedederent-deckung der  Volksreligiosität, Regensburg 1979, 125-248.
(2) Così ad es. non è più accettabile per l’uomo moderno l’idea di allontanare lampi e temporali bruciando rami di palma benedetti o fissandoli ai puntoni del tetro oppure suonando le campane. Fulgura frango (spezzo le folgori) era una iscrizione per le campane molto diffusa.
 (3) Cfr. Gd 18 (1984) 179.
 (4) J. BAUMGARTNER, Op. cit. (nota 1), 8.
 (5) E. FISCHER, Gottesdienst und Gemeinde, in ZENTRALKOMTTEE DER DEUTSCHEN KATHOLIKEN (ed.), Gemeinde des Herrn. 83. Deutscher Katbolikentag in Trier 1970, Paderborn 1970, 396.

 

Letto 7268 volte Ultima modifica il Venerdì, 11 Novembre 2011 23:30
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

Search