Formazione Religiosa

Domenica, 13 Novembre 2011 20:09

Un banchetto per tutti i popoli (Is 25,6-8) (Donatella Scaiola)

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Si può ritenere che, a livello attuale, la composizione rifletta un cammino di fede rivolto verso un futuro intervento di Dio, capace di ristabilire la giustizia.

Il contesto remoto e immediato

Il testo di Is 25,6-8 appartiene al complesso dei cc. 24-27, la cosiddetta «grande Apocalisse di Isaia». Essi, insieme a Is 34-35, Gioele, Zc 9-14, preparano il libro di Daniele e altri scritti apocalittici non canonici, come il Libro di Enoc etiopico e 1 Enoc.
L'indagine su Is 24-27 si è occupata soprattutto di alcune questioni come quelle relative all'unità, alla data, alla relazione con il proto-Isaia. In questi capitoli infatti si trovano diversi generi letterari e vari temi, il che farebbe pensare che si tratti di testi piuttosto eterogenei alloro interno. D'altra parte, si possono riconoscere anche elementi unificanti, come il tema della città (24,10-12; 25,1-5; 26,1-6), la menzione della morte (24,17-23; 25,6-8; 26,11-19) e altri (per es. lo schema minaccia-guerra, vittoria-pace, l'inaugurazione del regno da parte di un resto purificato e rinnovato).
Si può ritenere che, a livello attuale, la composizione rifletta un cammino di fede rivolto verso un futuro intervento di Dio, capace di ristabilire la giustizia, come era già avvenuto al tempo di Noè, al quale si allude ripetutamente nel testo (Gn 6,12-13 e Is 24,5; Gn 8,21-22 e Is 27,3-4).
Sul genere letterario dell'apocalisse e sul significato che esso assume all'interno del testo, torneremo più avanti. Per ora, dopo aver considerato il contesto più ampio nel quale è insérita la pericope che prenderemo in esame, 25,6-8, intendiamo giustificare la delimitazione proposta. La pericope è ben delimitata nella sua struttura sia quanto alla forma che al contenuto.
Dal punto di vista del genere letterario, essa è un oracolo profetico inserito tra due composizioni inniche (25,1-5.9-l0a). Il primo inno (25,1-5), nel quale viene descritta la distruzione della città nemica, contrasta decisamente con il tono assolutamente positivo del brano di cui ci occupiamo. Inoltre la fine della pericope è indicata da una formula ricorrente, anche se di solito con una terminologia un po' diversa: «Il Signore ha parlato».
Infine al v. 9 inizia chiaramente un altro discorso, introdotto dall'espressione: «E si dirà in quel giorno». Come si diceva precedentemente, si tratta ancora di un inno, però dal contenuto positivo, che prosegue idealmente il discorso sviluppato nei vv. 6-8.

Analisi del testo

v. 6: «E farà il Signore degli eserciti per tutti i popoli su questo monte
un banchetto di cibi grassi, un banchetto di vini eccellenti,
di cibi grassi di midolla, di vini eccellenti, decantati».

Questo ricco banchetto è preparato dal Signore, al quale viene dato il titolo di «Signore degli eserciti», un epiteto che sottolinea il suo dominio universale. Nel contesto dei cc. 24-27 questo titolo compare solo due volte: nel nostro passo e in 24,23, in cui è evidenziato il tema della regalità di YHWH: «Il Signore degli eserciti regna sul monte Sion e su Gerusalemme e sarà glorificato davanti ai suoi anziani».

Oltrepassando l'inno di 25,1-5, il profeta riprende in 25,6 il tema del potere regale di YHWH, cui aveva accennato in 24,23. In questo contesto, il banchetto preparato dal Signore appare come il segno dell'instaurazione della sua regalità, come usavano fare i re nel momento in cui ascendevano al trono (1 Sam 11,14-15; l Re 1,9.24-25).

Il banchetto avviene «su questo monte», sul Sion, il centro a partire dal quale Dio esercita il suo potere regale universale (Is 2,2-5; 60). Il banchetto è ricco e abbondante, offerto a tutti, segno della regalità di Dio che non conosce limiti. Esso non è preparato per Israele che vive già in comunione con Dio e lo riconosceva come proprio re (Sal 93; 97; 99), ma per tutte le nazioni. Sul monte Sion tutti i popoli accedono alla salvezza definitiva entrando in comunione con Dio, a imitazione e per mediazione di Israele, che porta a compimento in questo modo la sua elezione, siglata tramite l'alleanza.

Nota caratteristica e ribadita dal testo è l'abbondanza delle vivande e la loro squisitezza. I banchetti antichi avevano come componenti principali le carni grasse e il vino, che ritornano anche nel nostro testo. I cibi grassi erano considerati i bocconi migliori, i più eccellenti (Gn 45,18; Lv 3,3-5) e così pure i vini lasciati maturare sul terreno, forti e amabili insieme. Questo banchetto eccellente, offerto in occasione dell'intronizzazione divina, simboleggia la vita che scaturisce dalla signoria di Dio, il quale concede a tutti i popoli la pienezza della vita, segno della comunione con Lui.

v. 7: «E distruggerà su questo monte
il velo posto sulla faccia di tutti i popoli
e la coltre distesa sopra tutti i popoli».

In forma negativa viene ulteriormente descritta la pienezza di vita, tema del versetto precedente. Il velo e la coltre possono indicare la mancanza di conoscenza, anche in senso religioso, cioè l'ignoranza del vero Dio (Is 29,10). Durante il banchetto, invece, Dio stesso aprirà gli occhi dei popoli perché possano conoscerlo e, di conseguenza, adorarlo. Si comprende allora che, al di là del banchetto, il vero dono che Dio fa sul monte Sion è la manifestazione di se stesso alle genti, l'esperienza della sua presenza. Ma il velo e la coltre potrebbero anche essere intesi come un segno di lutto e di dolore, secondo l'usanza orientale di coprirsi il viso quando si era colpiti dalla sventura (2 Sam 15,30). In questo caso, la rimozione del velo e della coltre indica la scomparsa di ogni sofferenza e dolore e anticipa così il contenuto del v. 8.
Si noti, infine, che il velo e la coltre non sono semplicemente tolti, ma completamente distrutti, così che non possono più essere posti di nuovo sul volto dei popoli. La piena comunione con Dio, simboleggiata dal banchetto, introduce un cambiamento reale e definitivo nella condizione umana, che si esprime attraverso la distruzione di tutti gli elementi negativi, come il dolore, il male, la sofferenza.

v. 8: «Distruggerà la morte per sempre
e cancellerà il Signore Dio le lacrime da tutti i volti;
e la vergogna del suo popolo toglierà da tutta la terra, perché il Signore ha parlato».

L'inizio del versetto che annuncia la distruzione della morte, è il vertice della pericope. Il verbo «distruggere», significa letteralmente «inghiottire». Esso è talvolta usato per indicare gli uomini che diventano preda della morte, rappresentata come un mostro che si avventa sull'uomo e cerca di distruggerlo (Es 15,12; Nm 16,32.34; Dt 11,6). Ora il Signore stesso si comporta così verso la morte che viene inghiottita e quindi annientata per sempre. Nel linguaggio biblico la morte indica tutto ciò che minaccia la vita umana, come la malattia, la solitudine, le lacrime, la sofferenza. In forma positiva, questa volta, si afferma che tutti i popoli godranno della perfetta felicità, della pienezza di vita che deriva dalla comunione con Dio e ciò in modo stabile e definitivo. Questa situazione raggiunge tutti i popoli, pur riconoscendo la situazione particolare e privilegiata di Israele.

Il genere letterario apocalittico

L'apocalittica è il genere letterario tipico di un'epoca di fine, di crisi. (1)  Non a caso, in Israele matura in rapporto con la nuova situazione storica che si era determinata dopo l'esilio e, in particolare, con la persecuzione di Antioco IV Epifane. L'apocalittica è frutto, da una parte, dell'esperienza profetica, e, dall'altra, contiene in sé elementi sapienziali (si pensi a Daniele, definito esplicitamente un sapiente, in Dn 2,48). L'apocalittica tenta di applicare alla storia concreta la visione religiosa dell'Antico Testamento. Per rendere possibile il passaggio dalle categorie religiose astratte ad un'interpretazione valida dei fatti, interviene una forma nuova di discernimento sapienziale. Il sapiente, allora, è colui che, da una parte, sa comprendere il piano di Dio sulla storia nelle sue dimensioni di fondo e lo sa spiegare; e, dall'altra, sa identificare e indicare le implicazioni concrete che riguardano il comportamento pratico. I fatti storici sconvolgenti provocano un'esigenza di lettura profetica che viene attuata in una forma nella quale ha una parte preponderante l'interprete sapienziale. Nell'apocalittica, sapienza e profezia costituiscono ormai una sintesi nuova e originale. (2) In questo modo si spiega l'inserzione in un testo profetico della nostra pericope apocalittica che si esprime con metafore e simboli che necessitano di una decodificazione sapienziale. L'essenza dell'apocalittica, però, giova ricordarlo, è centrata su un evento futuro di liberazione che si attende da Dio. Nei testi apocalittici canonici emerge la certezza del trionfo definitivo di Dio in un'epoca di pericoli e di persecuzioni, atteso spasmodicamente quando l'esperienza del male si fa più intensa. Si tratta dunque di una letteratura che intende consolare e confermare nella vittoria definitiva di Dio sulle diverse forme di male. Non a caso, allora, questa visione teologica si apre alla risurrezione (Dn 12; Is 26,19).
Nell'apocalittica viene riletto e reinterpretato tutto il passato: «Il tempo delle apocalissi è quello dell'appuntamento della Legge, della Profezia e della Sapienza alla loro meta comune: nessuna delle tre deve mancare». (3)
Se questo è vero, il testo che abbiamo rapidamente commentato non è solo bello e consolante, ma si pone anche come una pietra miliare all'interno dell'Antico Testamento, rispetto al quale svolge una funzione sintetica e ricapitolativa e, nello stesso tempo, articola il suo rapporto con il Nuovo Testamento. In questa sede, si potranno naturalmente fare solo degli accenni, senza poter sviluppare compiutamente tutto il discorso.

Ripresa e apertura

Vorremmo accennare brevemente ad alcuni testi significativi dell'Antico Testamento che invitano ad un convito. Il primo è Es 24,9-11, che, a conclusione dell'alleanza stipulata al Sinai, ne celebra il senso mediante questo banchetto. Esso indica la volontà di Dio di comunicarsi ai suoi, di stabilire un rapporto di comunione, nutrendo coloro che entrano in relazione con Lui. In questo testo, per alcuni aspetti misterioso, si sintetizza il senso della Torah, la prima parte, la più importante per il mondo ebraico, della Scrittura.

Ad esso si congiunge, idealmente almeno, Is 55,1-3. A differenza di Es 24. l'invito al banchetto si rivolge a tutti e non solo ad alcuni privilegiati. In comune resta però l'idea che il convito cui il Signore invita dà la vita. Non solo la Torah, la legge, è vitale, ma anche la proclamazione profetica si presenta come un vero nutrimento per l'uomo. In questo senso si esprimono altri passi profetici:

«Ecco venire giorni - oracolo del Signore -
nei quali io farò venire la fame nel paese,
non una fame di pane, non una sete di acqua,
ma di ascoltare la parola del Signore» (Am 8,11).

Gli fa eco Geremia:

«Quando le tue parole mi vennero incontro,
le divorai con avidità;
la tua parola fu la gioia e la letizia del mio cuore,
perché io portavo il tuo nome,
Signore, Dio degli eserciti» (15,16).

Nella letteratura sapienziale si ricordi il testo di Prv 9,1-6. La Sapienza è presentata qui come una padrona di casa intraprendente e coraggiosa, che, dopo aver costruito la sua casa, prepara un convito. Ella ha ammazzato gli animali e ha attinto il vino e apparecchiato la tavola. La Sapienza invia dunque le sue serve a portare l'invito (cf Gdt 8,10). Interessante è il fatto che la Sapienza invita essenzialmente coloro che avrebbero maggiormente da guadagnare a contatto con lei. Il testo ebraico parla di «chi manca di cuore», essendo il cuore l'organo del discernimento e della decisione. A coloro che avrebbero bisogno di acquistare un po' di giudizio, la Sapienza offre il suo banchetto, il cui menu è assai generico, soprattutto se confrontato con Is 25,6!

Questo testo, che conclude l'introduzione al libro dei Proverbi, si riferisce alle raccolte che seguono, considerate come un insieme. Il corpus sapienziale di Israele, condensato nei Proverbi, si offre come cibo a chi vuole acquistare la Sapienza. La raccolta dei Proverbi nutrirà e procurerà la vita e l'intelligenza che si addice all'uomo di buon giudizio, cioè, capace di discernere.
Un ultimo testo si impone: Sir 24,18-22, la parte conclusiva di un importante capitolo che descrive che cos'è la sapienza per Ben Sira. (4) La sapienza, uscita dalla bocca dell'Altissimo, ricevette da Lui l'ordine di stabilirsi in Israele e, più precisamente, nel tempio. Lì essa è cresciuta e si è espansa e adesso si offre come cibo e bevanda di cui non ci si stanca. Essa spiega che assimilarla, è obbedirle e compiere le opere che essa chiede. E Ben Sira, per fugare ogni eventuale dubbio, aggiunge che la sapienza è «il libro dell'alleanza del Dio altissimo, la legge che ci ha imposto Mosè, l'eredità delle assemblee di Giacobbe» (24,22). Questo versetto cita Dt 33,3, il termine di tutto il Pentateuco.
Il testo di Siracide completa allora il percorso ideale che abbiamo intrapreso partendo da Is 25: Is 55,1-3 invitava il suo uditorio a porgere l'orecchio al messaggio proclamato dal profeta; Prv 9,1-6 invitava chiunque ne avesse bisogno a mettersi alla scuola dei sapienti; Sir 24 infine invita i fedeli ad accogliere la rivelazione di cui il Pentateuco è il testimone fondamentale in Israele, la Legge, che non si deve intendere in senso legalista, ma che esprime la rivelazione del piano di Dio, la «vostra sapienza e la vostra intelligenza» (Dt 4,6). Essa è la Parola di cui si nutre il credente (Dt 8,3) e insieme diventa il punto di incontro tra Israele e le genti (Dt 4,6-8).
Is 55,1-3; Prv 9,1-6 e Sir 24,18-2-2 propongono tutti e tre un invito al convito, ma non lo descrivono, come invece fa Is 25,6-8; che si presenta quindi, a nostro avviso, come sintesi ed esplicitazione di quanto detto precedentemente, e cioè chiarisce che l'invito vale per tutti i tempi e che il convito è sempre preparato e ci attende.

Conclusione

Nel Nuovo Testamento Gesù si presenta come il Verbo che rivela il Padre. Egli ha piantato la sua tenda in mezzo a noi come la sapienza (Gv 1,14) e ci invita al suo convito (Gv 6,35.54; 7,37-38). Sotto la metafora della grande cena, egli ha anche parlato del mistero del Regno e del suo altrettanto misterioso rifiuto da parte degli invitati.
In conclusione, però, desideriamo richiamare un testo che più di altri rilegge Is 25. In Ap 21,4, infatti, non a caso alla fine di tutta la Bibbia, viene ripreso il messaggio di Is 25, apportandovi alcune significative modifiche. Il testo dice:
«E asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e la morte non sarà più né lamento né grido né fatica sarà più: le prime cose passeranno» (Ap 21,4).
Il Dio dell'alleanza, che condivide la stessa tenda degli uomini (21,3), fa sentire gli effetti di questa sua presenza. Il testo di Is 25,8 viene ripreso, ma mentre in Isaia si ha prima l'eliminazione della morte e poi, di conseguenza, il superamento del pianto, nell' Apocalisse si inizia proprio con questo secondo aspetto, tipicamente umano, e poi si elencano le cause che lo determinano, e tra queste, la morte è al primo posto. Il superamento del pianto viene attribuito direttamente a Dio con un tratto di tenerezza molto suggestivo: è Dio che personalmente asciugherà tutte le lacrime. Il contesto sottolinea che è la presenza faccia a faccia a determinare la fine del pianto: lacrime, pianto e presenza faccia a faccia si escludono a vicenda. La presenza di Dio comporta il superamento, ormai definitivo e reale, di ogni negatività, di ogni parzialità, di ogni sofferenza.

Donatella Scaiola

(da Parole di Vita, n.3, 1999)

Note

1) B. MARCONCINI, Origine e sviluppo dell'apocalittica, in B. MARCONCINI e collaboratori, Profeti e apocalittici, Logos 3, Elledici, Leumann 1995, pp. 199-209.
2) U. VANNI, Apocalittica, in P. ROSSANO, G. RAVASI, A. GIRLANDA (edd.), Nuovo Dizionario dì Teologia Biblica, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo 1988, pp. 98-106.
3) P. BEAUCHAMP, L'uno e l'altro Testamento, Paideia, Brescia 1985, p. 233.
4) M. GILBERT, «L'éloge de la Sagesse (Sir 24)», in RTL 5 (1974) pp. 326-348.

Letto 4833 volte Ultima modifica il Giovedì, 23 Febbraio 2012 15:40
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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