Formazione Religiosa

Sabato, 09 Ottobre 2004 19:51

Il tempio di Dio siete voi!

Vota questo articolo
(1 Vota)

di Christian Grappe *

"Perché santo è il tempio di Dio, che siete voi" (1 Cor 3,10-17): con queste parole, Paolo conclude un'argomentazione che lo ha portato, in un contesto polemico, a ritornare sulla fondazione della comunità di Corinto, servendosi di affermazioni suscettibili di essere applicate in conclusione alla fondazione di ogni comunità:

Secondo la grazia di Dio che mi è stata data, come un sapiente architetto io ho posto il fondamento; un altro poi vi costruisce sopra. Ma ciascuno stia attento come costruisce. Infatti nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo. E se, sopra questo fondamento si costruisce con oro, argento, pietre preziose, legno, fieno, paglia, l'opera di ciascuno sarà ben visibile: la farà conoscere quel giorno che si manifesterà col fuoco, e il fuoco proverà la qualità dell'opera di ciascuno. Se l'opera che uno costruì sul fondamento resisterà, costui ne riceverà una ricompensa; ma se l'opera finirà bruciata, sarà punito: tuttavia egli si salverà, però come attraverso il fuoco. Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? Se uno distrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà lui. Perché santo è il tempio di Dio che siete voi.

Paolo fa qui valere che il privilegio di essere Santuario spetta ad ogni comunità per il solo fatto che essa si trova fondata in Cristo e che lo Spirito Santo abita in essa. Egli opera così un'ardua trasposizione della rappresentazione tradizionale al culmine della quale il Tempio, che era succeduto al Tabernacolo del deserto, era il luogo della residenza misteriosa di Dio sempre in cammino, che il popolo aveva imparato a conoscere durante le sue peregrinazioni nel deserto, luogo della sua šekina. Ormai lo Spirito tiene il luogo della šekina e ogni comunità è Tempio per il fatto stesso che Dio si rende misteriosamente presente in essa per mezzo di lui. Ricorrendo a questa metafora della comunità-tempio, Paolo innova o si sforza di correggere l'uso che ne era stato fatto precedentemente? E inoltre come si è potuti arrivare ad esprimere l'idea secondo la quale una comunità è essa stessa santuario?

Gli Esseni alle origini della metafora

Il passaggio verso una rappresentazione spiritualizzata del santuario è avvenuto in ambiente esseno. Le circostanze stesse della nascita del partito esseno permettono d'altra parte di rappresentarsi i motivi di questo strappo. Il partito esseno nacque in realtà, con ogni verosimiglianza, nel II secolo a.C., in seguito al disaccordo intervenuto nel seno del movimento dei più ("asidei") che aveva sostenuto la vittoriosa rivolta dei Maccabei contro la politica empia di Antioco Epifane. La nuova famiglia regnante, che era di linea sacerdotale senza pertanto essere di estrazione sadocita, cosa che, di norma, le impediva di pretendere al sommo sacerdozio, rivendicò il sacerdozio supremo e volle per di più cumulare le funzioni di sommo sacerdote e di re, cosa che contrastava con tutta la tradizione di Israele. Questa situazione fu giudicata inaccettabile dagli Esseni, rimasti fedeli alla discendenza sadocita e decisamente ostili al cumulo dei poteri. Il loro nocciolo duro non tardò a rifugiarsi nel deserto, a Qumrân, dove, lontano dal mondo, costituì una comunità monastica persuasa della propria elezione divina, ma in rottura con il culto ufficiale.

Come attestano i loro scritti, questi Esseni non avevano perduto la speranza di una restaurazione. Essi attendevano in realtà una purificazione del santuario terrestre che sarebbe servita di preludio all'istituzione del santuario escatologico da parte di Dio stesso (cf Rotolo del Tempio 29,7-10). Nell'attesa, si costituirono in comunità-santuario, come dimostra questo passaggio della Regola della Comunità (1QS 8,4-l0):

Quando esistano queste cose in Israele, il consiglio della comunità sarà stabilito in verità, come una pianta eterna, una casa santa per Israele e il fondamento del Santo dei santi per Aronne, testimoni veritieri per il giudizio e eletti della volontà di Dio, per espiare per la terra e consegnare agli empi la loro retribuzione. Essa sarà la muraglia provata, la pietra d'angolo preziosa, le cui fondamenta non vacilleranno e non tremeranno nel loro luogo.

Sarà residenza santissima per Aronne, con conoscenza eterna del patto di giustizia e per offrire un buon profumo; e sarà una casa di perfezione e di verità in Israele per stabilire un patto secondo i precetti eterni, ed essi secondo la sua volontà, per espiare per la terra e per determinare il giudizio degli empi; e non ci sarà iniquità.

Questo resto mostra che la comunità, Casa santa per Israele e fondamento del Santo dei santi per Aronne, si sostituiva, nelle sue due componenti laica e sacerdotale, alle due parti più sacre del santuario, il Santo e il Santo dei santi. Assimilata al Tempio, essa si sentiva autorizzata ad espiare per la terra e a decretare il giudizio di empietà, cioè ad assumere una Funzione riparatrice assoluzione, che era parte costitutiva del culto sacrificale israelita.

Attraverso l'offerta di sacrifici spirituali, questa comunità effettuava di fallo un servizio che si sostituiva a quello del Tempio. Questo esprime anche un altro passaggio della Regola della Comunità (1QS 9,3-5) che dichiara che se la comunità adempie una funzione espiatrice, questo avvenne "senza la carne degli olocausti né il grasso dei sacrifici", in un contesto in cui l'offerta delle labbra riveste "un gradevole profumo di giustizia", e in cui la perfezione di vita è assimilata al "dono volontario di una oblazione gradita".

La Chiesa primitiva di Gerusalemme e il Tempio

I primi cristiani si sono a loro volta appropriati della metafora del Tempio. Basterebbe a dimostrarlo l'esempio di Paolo.

La Chiesa primitiva di Gerusalemme aveva già rotto con il culto sacrificale al Tempio, anche se continuava a frequentare il santuario come luogo di preghiera e come tribuna missionaria (At 1-5). Ben potrebbe, nei fatti, aver sviluppato a sua volta una ecclesiologia del Nuovo Tempio, suggerita da vari passi del Nuovo Testamento. Così, in Gal 2,9, Paolo parla dei tre principali responsabili della Chiesa primitiva in Gerusalemme, Giacomo, Cefa (Pietro) e Giovanni, affermando che essi sono considerati "colonne". Egli non si attarda su questa definizione. Un'altra tradizione, ben conosciuta, assimila Pietro alla pietra di fondamento della nuova comunità, la Chiesa, attribuendogli così prerogative che attenevano al diritto del sommo sacerdote e giocando sul simbolismo del Tempio:

Beato te, Simone, figlio di Giona, perché nè la carne nè il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli. E io ti dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarò sciolto nei cieli (Mt 16,17-19).

Questo testo gioca sulla simbolica del santuario, che poggiava esso stesso su una roccia alla quale si era attribuito il nome di pietra di fondamento e alla quale si era associata tutta una serie dì meditazioni. Tra le altre funzioni, essa era ritenuta rivestire quella di legame tra la terra e il cielo, nella misura in cui essa sosteneva il Tempio che permetteva l'incontro di questi due mondi. Essa era anche raffigurazione dello sbarramento del mondo sotterraneo, animato da forze ostili. Può sembrare che fin d'allora questo passo presentì la nuova comunità come destinata a sostituirsi al santuario. Come questo, essa ha la sua pietra di fondamento e possiede, su questa base, una vocazione a contenere e a respingere le forze ostili: come questo, essa sarà luogo in cui potrà essere annunciato e pronunciato il perdono dei peccati, privilegio simboleggiato dal potere di legare e di sciogliere, attribuito qui al suo capo, ma riconosciuto in altri passi all'insieme della comunità (Mt 18,18).

Alla luce di questo testo e di Gal 2,9, appare che, secondo i casi, la Chiesa primitiva di Gerusalemme, pur rivendicando il privilegio di costituire il nuovo e vero Tempio, abbia riconosciuto al suo o ai suoi responsabili la qualità di fondamento(i) di questo edificio. Questo, in sé, non costituiva una novità, poiché la metafora del fondamento si trova già applicata a Qumrân ai membri da più di venticinque anni della comunità-santuario (Allegato alla Regola della Comunità 1,12-13). Questi dati possono illuminare il discorso di Paolo, quando egli ricorda ai suoi corrispondenti che essi sono il Tempio di Dio e li avverte dell'impossibilità di porre un fondamento diverso da quello che già esiste, e cioè Gesù Cristo (1 Cor 3,10-17).

Sappiamo che Paolo aveva a che fare, in realtà, con una comunità divisa, all'interno della quale c’era chi faceva riferimento a lui, chi ad Apollo, chi a Cefa (Pietro), chi a Cristo (I Cor 1,12). Il suo avvertimento non potrebbe sin da allora essere mirato ad un partito che avrebbe invitato, fondandosi sulla promessa contenuta in Mt 16,17-19, a riconoscere in Pietro il fondamento sul quale deve essere edificata la Chiesa e che avrebbe preteso che egli non poteva partecipare alla comunità-Tempio che in un rapporto di sottomissione alla Chiesa primitiva di Gerusalemme? Paolo così protesterebbe contro un uso esclusivo di questa promessa estendendo ad ogni comunità il privilegio di essere santuario, per il solo fatto che essa è fondata in Cristo e che lo Spirito di Dio risiede in essa.

La vocazione della comunità-Tempio

I dati neotestamentari permettono di pensare che, all'interno della comunità-Tempio, i credenti, pietre vive impiegate per la costruzione di un edificio spirituale - cioè un santuario – per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio (1 Pt 2,5; Rm 12,1), acquisterebbero, attraverso l'unzione battesimale (2 Cor 1,21-22), la dignità di re e sacerdoti (1 Pt 2,9). Essi avevano così il privilegio di accostarsi a Dio e al suo trono, di trovarsi in comunione immediata con Lui, di partecipare, in un certo modo, alla liturgia del cielo (Eb; Ap). Il loro vissuto liturgico si articolava in primo luogo attorno ai due riti fondamentali, il battesimo e la cena del Signore, riti di cui si può pensare che si sostituissero di fatto a quelli che erano celebrati all'interno del Tempio di Gerusalemme. Il battesimo non produce forse il perdono dei peccati, e l'eucaristia non era forse partecipazione alla mensa del Signore (1 Cor 10,21), privilegio che spettava al sacerdozio che officiava nel santuario? Si trovavano così sommati, ma contestualmente capovolti, i due poli del sacrificio israelita, il polo della riparazione, finalizzato a ristabilire le condizioni perché fosse possibile la presenza di Dio nel suo Tempio, e comunione, concretato nella condivisione del pasto che segnava l'esito del culto sacrificale.

Un tale capovolgimento non era del tutto inedito dal momento che, già a Qumrân, la Purificazione e il Banchetto dei Molti erano pervenuti, all'interno della comunità-santuario, a significare il perdono dei peccati e la comunione alla tavola divina, nell'attesa del compimento escatologico.

Si rivelava tuttavia originale per almeno due motivi. In primo luogo, Gesù aveva inaugurato, nell'oggi della sua presenza, la commensalità del Regno, e vi aveva ammesso, senza iniziazione nè rito, tutti coloro che si aveva la spontanea tendenza ad escludere. Aveva manifestato così che le categorie del culto si trovavano sommate nella predicazione del Regno, poiché l'offerta della comunione aveva come corollario il conseguimento della riparazione. In seguito, egli aveva istituito, al momento dell'ultima cena in compagnia dei suoi, un rito che, aldilà del dono della sua propria vita e dell'offerta di riparazione che vi era inclusa (vedi in particolare i "per voi" dei racconti della Cena), eliminava per sempre gli ostacoli verso una comunione destinata ad espandersi nella pienezza del Regno (Mc 14,25 e paralleli). E così che, nel presente e nell'avvenire del Regno, si trovavano e si trovano di volta in volta ricapitolate e ribaltate le categorie del Tempio e del suo culto.

Metafora del Tempio e metafora del corpo

Il percorso che abbiamo seguito ci ha condotto con assoluta naturalezza a privilegiare la metafora del Tempio. Tuttavia questa metafora si trova a diverse riprese legata a quella del corpo nel Nuovo Testamento. È così che Giovanni, nel suo Vangelo, segnala ai suoi lettori che Gesù, proponendosi di rialzare in tre giorni il santuario che lasciava alla responsabilità dei suoi avversari di distruggere, parlava in realtà del suo corpo (Gv 2,19-21). È così anche che Paolo - di nuovo lui! - esorta i suoi corrispondenti Corinzi a non avvilire i loro corpi concedendosi a qualche forma di prostituzione. Egli fonda tale esortazione sul fatto che i corpi dei credenti sono membra del Cristo (1 Cor 6,15) e precisa per ciascuno: "...il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo che avete in voi e che avete da Dio" (1 Cor 6,19). Si raggiunge così all'affermazione già presente in 1 Cor 3,17: "Perché santo è il tempio di Dio, che siete voi".

Metafora del Tempio e metafora del corpo si ricongiungono dunque in tutti questi passi. Ma per quale ragione? Sembra proprio che sia in connessione con il motivo della presenza di Dio nell'uomo attraverso il dono che gli è fatto dello Spirito Santo. Già nel quarto vangelo Gesù è salutato, già dal prologo, come il Verbo che si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi (letteralmente: ha piantato la sua tenda), cosicché noi abbiamo potuto contemplare la sua gloria (Gv 1,14). Egli è così paragonato alla tenda dell'Incontro, al santuario, fuoco della misteriosa e gloriosa presenza divina (Es 25,8; Nm 35,34). Un poco oltre, Giovanni il Battista testimonia a questo proposito in questi termini:

Ho visto lo Spirito scendere come una colomba dal cielo e posarsi su di lui. Io non lo conoscevo, ma chi mi ha inviato a battezzare con acqua, mi aveva detto: L'uomo sul quale vedrai scendere e rimanere lo Spirito è colui che battezzo in Spirito Santo

(Gv 1,32-33).

Non vi è dunque nulla di strano se la metafora del Tempio sia applicata al corpo di Gesù in Gv 2,21, in occasione del suo intervento al santuario. Ma si comprende anche come coloro che erano battezzati di Spirito Santo abbiano potuto essere considerati essi stessi, individualmente e collettivamente, come santuario.

È così che Paolo fa valere che, nella misura in cui i credenti beneficiano del dono dello Spirito Santo, acquisiscono non solo, attraverso questa unzione, la dignità di re e sacerdoti, ma sono anche integrati in una comunità-santuario (1 Cor 3,17). Il loro corpo, abitazione dello Spirito, può anche essere considerato, individualmente come santuario (1 Cor 6,19). Ma tutto questo si realizza in Cristo e attraverso il dono dello Spirito Santo, Spirito di adozione che ci rende figli e ci rende partecipi della dignità del Figlio (Rm 8,15). Il privilegio che hanno i credenti di essere Tempio è così sempre privilegio di grazia ed è perché sono, nei loro corpi e in un medesimo corpo, membri del corpo di Cristo che, grazie allo Spirito Santo, essi sono chiamati a vivere questo privilegio.

* Professore di Nuovo Testamento presso la Facoltà di Teologia protestante dell’Università delle Scienze Umane di Strasburgo

(tratto da Il mondo della Bibbia n. 49)

 

 

 

 

Letto 2559 volte Ultima modifica il Martedì, 20 Settembre 2011 16:18
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

Search