L’intento di queste pagine è di ricercare, attraverso alcuni significativi testi veterotestamentari che si riferiscono alla creazione dell’essere umano, la traccia di questo progetto di Dio sull’uomo che ne rivela la fisionomia più profonda e trova nel compimento messianico la sua dimensione definitiva.
L’ultima opera di Dio (Gn 1,1-2,4a)
La Bibbia si apre con una proclamazione di fede che, riconoscendo in Dio il creatore di tutto, lo confessa come origine di ogni bene. Attraverso la modalità della creazione in sette giorni, si afferma la relazione di strutturale dipendenza da Dio di tutto il creato. Il mondo è il risultato del "fare" e del "dire" del Signore, un’attività totale che coinvolge globalmente il Creatore e lo pone per sempre in rapporto all’esistere. Egli crea, fa, pone, dà, separa, dice, chiama, benedice. Il risultato è un mondo buono, molto buono, in cui si rivela il Dio della salvezza. Storia e creazione si incontrano, a testimoniare la bontà dell’unico Signore.
All’interno di questo quadro, nel sesto giorno, come ultima opera di Dio prima del riposo, viene creato l’uomo:
"E Dio disse: "Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra". Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e disse loro: "Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare…""
la creazione dell’uomo è solenne, e la benedizione che riceve gli conferisce una fisionomia e un potere tutti particolari. Con il comparire della vita, al quinto giorno, quando vengono fatti pesci e uccelli (cf 1,20-23), compare la benedizione, che implica fecondità e abbondanza, tipiche manifestazioni di "vitalità" che si moltiplica e si espande. Ma per l’uomo essa implica anche un dominio sugli altri viventi e lo pone signore del mondo, perché immagine di Dio.
Si delinea così il mistero dell’uomo e il difficile paradosso che è chiamato ad incarnare. Egli è uno, ma nella duplicità; ed è immagine di Dio e signore del creato, ma fatto nello stesso giorno degli animali, condividendo inoltre con loro benedizione e nutrimento (cf 1,29-30).
Accogliere la propria identità vuol dire, per l’uomo, accettare una radicale dipendenza da Dio proprio nel realizzarsi come dominatore del mondo. Un dominatore, dunque, che obbedisce a un compito ricevuto, che non gestisce autonomamente il proprio potere, ma lo accetta come responsabilità di cui deve rispondere.
In questa prospettiva si situa anche il suo rapporto con il giorno conclusivo della creazione, il sabato del riposo di Dio. Immagine del divino del mondo, l’uomo è chiamato a contemplarne e celebrarne l’opera e l’assoluta signorìa con la santificazione del sabato (cf Es 20,8-11) in cui, riconoscendo buone tutte le cose, proclama buono, nella lode, il loro Creatore.
Il centro del creato (Gn 2,4b-25)
il secondo racconto di creazione, come è noto, sembra debba essere situato, dal punto di vista cronologico, anteriormente al primo, ed ha uno stile e un andamento letterario molto diversi. Gli elementi di rivelazione del senso dell’uomo sono però gli stessi, pur se formulati con categorie differenti.
Dio è il Creatore di tutto, e l’uomo è la sua prima creatura, in vista della quale viene fatto tutto il resto. L’essere umano resta dunque al centro del creato e ne rappresenta il punto di riferimento, come in Gn 1 ne era il culmine. Egli è signore del mondo: il giardino gli è affidato per essere coltivato e custodito (v. 15), e gli animali sono dati in suo potere (vv. 19-20).
Ma, ancora una volta, la realtà umana è segnata dal mistero. L’uomo è tale (‘ādām) nella duplicità della differenziazione sessuale (‘îš e ‘iššâ: cf v. 23), e si rivela come creatura bisognosa di relazione che solo nell’alterità trova la sua dimensione più vera. Il giardino è per lui e tutto è suo, ma è fatto di terra, come gli animali, e alla terra appartiene.
Questa paradossale verità dell’uomo sembra trovare la sua sintesi nel comando che Dio gli rivolge:
"Il Signore Dio diede questo comando all’uomo: "tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti" (vv. 16-17).
L’uomo non può mangiare, cioè assimilare e fare suo il frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male, perché ciò significherebbe diventare il principio di tutto, avere pieno possesso della realtà e del suo mestiere, che è prerogativa solo divina. La proibizione di Dio è profferta di verità che Egli fa all’uomo, rivelazione di identità e dono della possibilità di essere in comunione con Colui che è l’origine di tutto.
Il limite imposto all’uomo fa dunque parte integrante della sua realtà, ed è perciò luogo di vita e offerta di amicizia da parte di Dio. Se l’uomo lo accetta, può vivere in pienezza ed accedere, nell’obbedienza alla verità, a tutte le dimensioni dell’esistere.
A tale proposito, può essere significativa la presenza, nel racconto di Gn 2, di due alberi diversi, quello della conoscenza del bene e del male, che l’uomo non può mangiare, e quello della vita, che è in mezzo al giardino (cf v. 9) e su cui non pesa alcuna proibizione. Lo stato attuale del testo sembra così far capire che l’uomo ha libero accesso alla vita, è signore della realtà, ma solo se accetta di non possedere la conoscenza del bene e del male, cioè se accetta la propria verità di creatura, radicalmente diversa e totalmente dipendente dal suo Creatore.
La realtà umana che emerge da questi testi è dunque di una situazione privilegiata e unica, chiamata a una relazione particolare con il divino, nella realizzazione armonica delle fondamentali dimensioni relazionali della persona: con Dio, con gli altri, con la vita ed il mondo.
Il rifiuto della propria verità, che si consuma nel peccato che cerca di sostituirsi a Dio (cf Gn 3) altera radicalmente questa armonia e spezza le linee di relazione. Il progetto di Dio si deforma, e tutta la storia della salvezza si snoderà a ricostituire la primitiva armonia e restituire all’uomo la sua fisionomia di immagine di Dio.
La grandezza dell’uomo (Sir 17, 1-12 e Sal 8)
Questo testo deve essere letto in relazione a 16,24-30, con cui forma una unità letteraria che celebra la creazione, da parte di Dio, di tutte le cose: il cielo e gli astri, gli animali, gli uomini. L’ordine è quello di Gn 1, e i vari elementi sono in relazione tra di loro. Il discorso sull’uomo è ampio, e offre molti spunti di riflessione.
Innanzitutto, l’essere umano creato da Dio è presentato nella sua relazione con gli animali. Come loro, anch’egli deve tornare alla terra da cui è stato tratto (cf 16,30-17,1); la sua realtà, come la loro, è segnata dalla morte (17,2a); tuttavia, ha potere sul mondo e domina gli animali perché è fatto a immagine di Dio (17,2b-4).
L’uomo è visto in tutta la sua dignità di essere privilegiato, ma anche nella sua realtà caduca e contingente, segnata dal peccato. È questa la realtà umana di cui si fa esperienza, questo l’uomo che è dato di conoscere. La morte è perciò menzionata per prima, come caratteristica fondamentale che, all’interno del quadro di creazione, con chiari riferimenti a Gn 1 e 2, pone anche inequivocabile il richiamo alla caduta: il "ritorno alla terra" (v. 1b) è il limite evidenziato in Gn 3,19, e la paura degli animali nei confronti degli uomini (v. 4a) è il segno della spezzata armonia tra uomo e mondo e conseguenza del regime di violenza instaurato dal peccato (cf Gn 9,2ss).
Ma questa realtà così ferita e piena di complessità non distrugge nell’uomo l’immagine di Dio: il suo destino è segnato da questa struttura originaria e l’uomo è chiamato a vivere in relazione con il suo Creatore e a condursi secondo sapienza.
I vv. 5-8 di Sir 17 delineano proprio questa fondamentale caratteristica dell’essere umano: egli è dotato di intelligenza e discernimento, capace di scegliere tra il bene e il male, testimone della grandezza delle opere del Signore.
Come dice il Salmo 8, davanti a quella grandezza, l’uomo prende consapevolezza della propria miseria, ma insieme anche della propria particolare fisionomia fatta a somiglianza di Dio:
"Se guardo il cielo, opera delle tue dita,
la luna e le stelle che tu hai fissato,
che cosa è l’uomo perché te ne ricordi,
e il figlio dell’uomo perché te ne curi?
Eppure l’hai fatto poco meno di un dio,
di gloria e di onore lo hai coronato:
gli hai dato potere sulle opere delle tue mani,
tutto hai posto sotto i suoi piedi…" (vv. 4-7).
L’immensità del cielo evidenzia la piccolezza dell’uomo, eppure questi può fare qualcosa di immenso: celebrare il Signore per tanta immensità. Perché egli solo, immagine di Dio, può riconoscere il volto nelle sue creature e perciò lodarne il nome narrando la grandezza delle sue opere.
Si offre così all’uomo la pienezza della vita, che viene dalla comunione con il Signore e che trova, nel dono della Legge, la sua possibilità di essere (cf vv. 9-12). L’alleanza sinaitica apre l’uomo alla vera sapienza, che passa per il cammino dei precetti di Dio e che consente all’uomo di vivere secondo il progetto divino che è in lui.
Il compimento neotestamentario
abbiamo visto come "dal principio" Dio si sia rivelato come origine della vita e garante di essa. E l’uomo, fatto a sua immagine, è il partner che entra in dialogo con Lui, che riceve il dominio su tutto, che accoglie l’alleanza e , nell’osservanza della Legge, entra nel riposo della lode e della celebrazione del Signore.
Ma questo uomo, segnato dal peccato e dalla morte, attende ancora la sua definitiva realizzazione che nel Messia Gesù trova il suo anticipato compimento. È il Cristo l’uomo secondo il progetto di dio, vera immagine del Padre (Col 1,15; cf Eb 1,3; Gv 1,18; 6,46) e definitivo signore del mondo. Nell’accoglienza dell’Alleanza consumata nel suo sangue, la Legge diventa vita eterna, l’armonia spezzata si ricompone in tutte le sue dimensioni e l’uomo nuovo, capace di conoscere Dio, può aprirsi alla lode per sempre.
Questo, durante il suo processo, Gesù viene presentato da Pilato con le significative parole "Ecco l’uomo" (cf Gv 19,5), è come se lì si mostrasse il vero volto cui ognuno è chiamato ad assomigliare per essere davvero uomo, volto di chi, dileggiato e messo a morte, sceglie di morire per amore, perdonando.
Nella tradizione giudaica, a proposito di Sal 115,16, si legge: "Ciò che sta scritto: I cieli sono cieli del Signore, e la terra l’ha data ai figli dell’uomo, significa: i cieli sono già cieli, … e la terra l’ha data ai figli dell’uomo perché ne facciano dei cieli". Quando l’uomo accetta di dare la vita per gli altri in obbedienza al Padre, allora la creazione è compiuta, il progetto divino si realizza, e la terra diventa cielo, Regno di Dio in cui la Gloria si fa infine manifesta.
(da Parole di Vita, 1, 2004).