Formazione Religiosa

Domenica, 02 Marzo 2025 09:16

Lettura rabbinica del Libro di Isaia (Mauro Perani)

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È forse opportuno, prima di venire a trattare di alcune interpretazioni rabbiniche relative alla figura del profeta Isaia, ricordare che per il giudaismo le tre parti che compongo­no la Bibbia, ossia Torah o Legge di Mosè contenuta nel Pentateuco, Nevi'im o Profeti distinti in anteriori e posteriori, e Ketuvim o scritti sapienziali noti come Agiografi (le cui iniziali danno origine all'acronimo Tanak con cui gli ebrei indicano la Scrittura), non rivestono tutte la stessa importanza ed autorevolezza, riflettendo con gradi diversi di intensità lo splendore della rivelazione. Il primato assoluto spetta alla Torah nella sua duplice forma di scritta e orale; essa è la pura e diretta rivelazione data da Dio a Mo­sè sul monte Sinai e risplende di luce pro­pria come il sole. Profeti e Agiografi svol­gono un ruolo complementare, di integra­zione dovuta alla dura cervice di Israele: se infatti questo avesse accolto in maniera per­fetta la Torah, degli altri due gruppi di scrit­ti non ci sarebbe stato bisogno. Essi sono come una esplicitazione degli insegnamenti della Torah, sono ad essa funzionali ed han­no un valore subordinato ed inferiore, in quanto splendono della luce riflessa che su di essi emana dalla prima. Inoltre, ad esem­pio, i profeti hanno gradi diversi di lumino­sità, a seconda della fonte stessa della loro profezia.

In questo senso in un passo del Levitico Rabba, un grande midrash redatto in Pale­stina nel V secolo, leggiamo: «Lo Spirito Santo, che risplende sui profeti, non ri­splende che con misura. Alcuni profetizzarono per 1'estensione di un libro, altri per due libri» (15,2). Non solo la misura dello Spirito si calcola quantitativamente, ma anche qualitativamente. In effetti, secondo al­cuni maestri, il più grande profeta, natural­mente dopo Mosè, fu Isaia. Nello stesso mi­drash leggiamo: «Tutti gli altri profeti rice­vettero le loro profezie uno dall'altro, ma Isaia le ricevette direttamente dal Santo, egli sia benedetto» (ibid., 10,2). Un testo del Talmud così caratterizza la sua superio­rità rispetto ad Ezechiele: «Tutto ciò che vi­de Ezechiele, lo vide anche Isaia· ma Eze­chiele a chi è simile? È paragonabile ad un contadino che guarda il re. A chi è simile Isaia? È paragonabile ad un cittadino che guarda il re» (trattato Chaghigah 13b). Il senso di questo passo è che, non essendo Ezechiele abituato alla visione di Dio, quando ne ebbe una fu colto dalla meravi­glia e si dilungò in maniera molto dettaglia­ta nella sua descrizione, come un campa­gnolo che resta meravigliato al vedere il re in città, non vedendolo mai. Al contrario, Isaia era abituato ad avere la visione di Dio. per cui nel suo libro la menziona semplice­mente in forma breve.

Un altro passo del Talmud elenca gli scritti profetici e gli altri libri della Bibbia, in una baraita databile al II secolo d.C. che costi­tuisce uno dei primi passi in cui si elenca il canone completo della Bibbia ebraica. L'e­lenco, contenuto nel trattato Brava batra 14b, è diverso da quello presente nella Bib­bia ebraica - nella quale Isaia precede Ge­remia - e rispecchia probabilmente un di­verso ordine precedente alla sistemazione masoretica. In questo elenco la successione è: libro dei Re, Geremia, Ezechiele e Isaia. Eccone la spiegazione secondo il passo tal­mudico menzionato: «Poiché Isaia fu ante­riore a Geremia ed Ezechiele, avrebbe do­vuto precedere nell'ordine. Ma, poiché il li­bro dei Re termina con la distruzione del tempio, Geremia tratta tutto quanto relativa­mente alla distruzione, Ezechiele comincia con la distruzione e termina con un messag­gio di consolazione, ed Isaia tratta tutto quanto di consolazione, facciamo seguire distruzione a distruzione e consolazione a consolazione» .

La Pesiqta Rabbati, una raccolta omiletica la cui redazione medievale presenta diverse stratificazioni, afferma che, quando Isaia ebbe la visione di Dio, si rammaricò con se stesso di non aver adeguatamente rimprove­rato il re per distoglierlo dalla sua via mal­vagia. Il profeta si duole di non aver unito la sua voce a quella degli angeli, poiché se lo avesse fatto sarebbe divenuto immortale. Allora egli si scusa con le note parole: Sono un uomo dalle labbra impure e vivo in mezzo ad un popolo dalle labbra impure (Is 6,5). A questo punto Dio gli risponde rico­noscendo che egli è il maestro e lo elogia, ma lo rimprovera chiedendogli chi gli abbia dato il permesso di calunniare i suoi figli chiamando gli israeliti gente dalle labbra impure. A questo punto un serafino gli toc­ca la lingua con un carbone ardente e Isaia impara la lezione: che cioè era suo compito difendere e sostenere Israele e non accusar­lo. Per questo egli divenne il profeta della consolazione che, dopo aver all'inizio an­nunciato la disfatta, in seguito nel suo libro si impegna a consolare il popolo di Dio e a descrivere più di ogni altro profeta il suo splendido destino futuro.

Nel trattato talmudico sulle benedizioni Be­rakot (10a) si narra di come il profeta ebbe un dialogo con il re Ezechia gravemente ammalato. Egli venne da lui e gli disse: «Così ha detto il Signore "Dai disposizioni per la tua casa, perché morirai e non vi­vrai" (Is 38,1). Che cosa significa perché morirai e non vivrai?; "Perché morrai", in questo mondo e "non vivrai" nel mondo av­venire. Allora egli chiese: "Perché una pu­nizione così severa?". "Perché non hai adempiuto all'obbligo di procreare figli". Ezechia gli disse: "Ho visto, con l'aiuto dello Spirito Santo, che sarebbero usciti da me figli indegni". Isaia gli replicò: "Che hai tu a che fare con i segreti del Misericordio­so? Ciò che ti è stato comandato dovevi fa­re e il Santo, egli sia benedetto, faccia ciò che gli piace"».

Altri testi ci parlano della relazione del pro­feta con il re empio Achaz, figlio di Yotam, i cui peccati furono i più gravi perché peccò contro Dio conoscendo la sua grandezza e il suo potere. Isaia gli disse: «Chiedi un segno da Dio, come ad esempio che un morto ri­sorga dicendo: "Korach, sali dallo Sheol!", oppure chiedendo che Elia discenda dal cie­lo»; Allora il re rispose: «Io so che tu hai il potere di fare ciascuna di queste cose, ma io non voglio che il nome di Dio sia glorifi­cato per mezzo mio» (Midrash Tanchuma, Buber 1, 153).

Alcuni testi parlano di un samaritano, di­scendente del falso profeta Sedecia, che ac­cusò Isaia di fronte al re sacrilego Manasse, il quale lo condannò a morte. L'accusa con­tro il profeta fu che le sue profezie contene­vano cose in contrasto con la legge di Mo­sè. Infatti nella Torah si legge che Dio disse a Mosè: «Tu non puoi vedere la mia faccia, poiché un uomo non può vedere il mio vol­to e restare in vita», mentre, al contrario Isaia afferma: «Ho visto il Signore assiso su un trono alto ed eccelso» eppure è rimasto in vita. I principi di Israele e gli empi abi­tanti di Sodoma e Gomorra si presentano ad accusare il profeta, ma questi sceglie di non pronunciare la sua difesa, preferendo che Manasse agisse per ignoranza piuttosto che per malvagità. Quando gli accusatori gli si avvicinano, Isaia pronuncia il nome di Dio e all'improvviso un albero di cedro lo in­ghiottisce. Il re ordina che l'albero venga segato a pezzi e, quando la sega taglia la corteccia sotto la quale si nascondeva la bocca del profeta, egli muore. La bocca, in­fatti, era l'unica parte vulnerabile del corpo di Isaia, poiché quando egli venne chiamato a compiere la sua missione, aveva usato un'espressione di spregio verso i figli d'I­sraele dicendo: Sono un uomo dalle labbra impure e vivo in mezzo ad un popolo dalle labbra impure (Is 6,5). Quando morì, se­condo il Midrash Aggadat Be-reshit 14,32 Isaia aveva centoventi anni; egli, come Ab­dia, aveva profetizzato in 71 lingue, numero pari a tutti i popoli della terra, che sono set­tanta, più i Filistei.

Un altro testo rabbinico afferma che il pro­feta Isaia non menziona Isacco fra i padri, per il fatto che egli concesse il potere della spada ad Esaù, simbolo di Roma (Genesi Rabba 67,7, con riferimento a Is 63,16: Poiché Abramo non ci riconosce e Israele [= Giacobbe] non si ricorda di noi, dove il profeta omette Isacco).

I Rabbi ritengono che all'epoca di Isaia, la Shekinah o divina presenza la quale, secon­do il Midrash Aggadah su Numeri 30,15 era ritornata nel tempio all'epoca del nostro profeta dopo una lunga assenza, pure lasciò il tempio a causa del peccato di Manasse sempre all'epoca di Isaia.

Concludiamo questa carrellata con un'idea assai curiosa che mostra come la fantasia del midrash sia davvero senza limite nel cercare di cogliere ed enfatizzare il signifi­cato religioso delle realtà spirituali. Secon­do una tradizione rabbinica attestata in varie fonti, fra cui Avot de-Rabbi Natan (2,2) e il Midrash Tanchuma, Buber (1,32), Isaia eb­be il raro privilegio di nascere già circonci­so, avendo fin dal seno materno impresso nel suo corpo il segno dell' alleanza con Dio. Gli fanno compagnia nel gruppo di questi privilegiati Adamo, Set, Enoc, Noè, Sem, Terach, Giuseppe, Mosè, Balaam, Sa­muele, Davide, Geremia e Zorobabele.

Mauro Perani

(tratto da Parole di Vita, n. 3/1999)

 

 

 

 

Letto 2 volte Ultima modifica il Domenica, 02 Marzo 2025 09:22
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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