La teologia come profezia è pensiero della speranza e nella speranza, «docta spes». Essa non registra l'esodo nella sua chiusura e ripetitività, che sfocerebbe in una sostanziale staticità, ma nel suo movimento sempre nuovo verso la vita, nel suo essere nutrito di attesa e di ricerca di senso. Analogamente, essa non pensa l'avvento nell'infinita, inavvicinabile lontananza del Mistero assoluto, ma proprio nel suo essere l'evento della venuta di Dio nella storia, che si offre come ingresso sempre sovversivo e inquietante, capace di suscitare novità di vita in chi accetti di passare per la « porta stretta » dello scandalo della Parola fatta carne e della sequela che essa esige. Questo esodo e questo avvento, nella loro rispettiva consistenza e dignità, la profezia teologica li pensa insieme: essa è pensiero dell'incontro mortale e vivificante al tempo stesso, in cui la totalità dell'uomo è assunta nella potenza del Mistero e l'infinita ricchezza del Dio vivo accetta di venire ad abitare nella fragilità della condizione umana. La profezia teologica è il tentativo di portare alla parola l'evento del Verbo fatto carne (cf. Gv 1,14), in tutta la radicalità dell'antitesi ed in tutta l'intensità della sintesi che esso comporta. Ed è insieme lo sforzo di pensare come questo evento inaudito è divenuto e diviene esperienza di salvezza nella vita di tanti, al punto da far loro affermare: « Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me » (Gal 2,20). Pensando l'ingresso della novità dell'avvento nella condizione esodale dell'uomo, la profezia teologica è pensiero della speranza: essa porta alla parola le speranze degli uomini, i sogni, i progetti e le attese, che fanno il senso e la dignità di ogni vita; essa è testimone nel pensiero della grande speranza fondata nel nuovo inizio del mondo, che è stato dischiuso nella resurrezione del Crocifisso dai morti; essa pensa l'incontro, esigente e trasformante, delle speranze con la speranza. In quanto il futuro assoluto annunciato dall'avvento divino denuncia le miopie degli egoismi umani, dei ripiegamenti su se stessi e delle fughe dalla storia, la grande speranza è morte delle false speranze; in quanto il futuro relativo delle giuste aspirazioni del cuore dell'uomo è assunto e benedetto dal Dio dell'avvento, la speranza della resurrezione è resurrezione di queste speranze. La profezia teologica pensa, dunque, l'evento della morte e resurrezione compiutosi una volta per sempre nella Parola fatta carne, e il suo sempre nuovo e sorprendente ripresentarsi nelle umili e feriali storie delle speranze, proprie della vicenda umana sulla terra. Così essa è «docta spes», pensiero pasquale...
Speranza portata alla parola, la profezia teologica è anche in se stessa speranza vissuta, pensiero nella speranza: concependo l'impossibile possibilità dell'Infinito entrato nella finitudine della storia del mondo, essa si apre all'eccedenza sempre nuova del Mistero. In quanto pensiero aperto alle sorprese dell'avvento, in quanto ragione storica segnata dall'analogia con l'evento dell'Assoluto, che si è detto nel tempo restando nel silenzio, la teologia come profezia è pensiero in cammino, mai soddisfatto e sempre desideroso di luce più grande, teologia negativa, che più parla, più tace, più afferma, più sente il bisogno di sfociare nell'adorazione e di sciogliersi — e sciogliere la Parola — da indebite identificazioni: «La "sintesi" teologica è sempre simbolica, è cioè dilatazione del dato in direzione dell'Assenza e solo in questo modo è lettura di una Presenza... La riflessione teologica è tutta in questo movimento simbolico, mistico e negativo al tempo stesso» (1). Ma questo più grande tacere e adorare e attendere nella vigile critica di indiscrete catture, la teologia, pensiero nella speranza, lo vive nella certezza che una tale sua debolezza agli occhi del mondo è grazia e promessa agli occhi di Dio: « Il Dio che agisce e si rivela nella morte del Suo Figlio diletto è certamente il pericolo mortale, ma è anche la speranza vivificante dell'esistenza umana e cristiana, dunque anche della teologia. Insomma Gesù Cristo è morto anche per i teologi — non lo si crederebbe; ma è così — e nella rivelazione è risorto anche per loro; quindi è anche la loro speranza» (2). Anche per chi fa teologia come « spes quaerens intellectum », speranza vissuta e pensata, vale la parola del profeta: « Quanti sperano nel Signore mettono ali come aquile. Corrono, senza affannarsi. Camminano, senza stancarsi » (Is 40,31). A quale altro pensiero è promesso tanto?
Bruno Forte
1) G. Ruggirei, La compagnia delle fede, Torino 1980.
2) K. Barth, Introduzione alla teologia evangelica, Milano 1969, 165.
(tratto da Bruno Forte, La teologia come compagnia, memoria e profezia. Introduzione al senso e al metodo della teologia come storia, Cinisello Balsamo 1987, pp. 197-199)