Come osserva Luigi Ranzato, Presidente dell'Associazione Onlus Psicologi per i Popoli «In un mondo che deve sempre più fare i conti con calamità naturali, disastri ecologici e con catastrofi umanitarie, anche senza voler fare gli apocalittici, c'è da chiedersi se la psicologia e gli psicologi non siano chiamati su questo nuovo "limen" della storia del pianeta a dare risposte appropriate ed efficaci alle comunità umane, ai singoli individui e alle istituzioni con una presenza non occasionale e una professionalità robusta».
Lo psicologo statunitense Gilbert Reyes definisce la psicologia dei disastri come un campo applicativo che riguarda circostanze in cui, un evento disastroso crea un ambiente straordinariamente stressante in cui le persone devono fare appello a capacità di sopravvivenza e di reazione eccezionali per assistere le vittime nel loro difficile processo di ripresa psicosociale. È opinione diffusa che le catastrofi, in quanto situazioni anomale, scatenano reazioni parossistiche definite comportamenti reattivi, non sempre razionali e coerenti, che possono essere pericolosi per le vittime stesse e d'intralcio per i soccorritori.
Le reazioni dell'organismo a situazioni straordinarie, costituite da un evento catastrofico e dalle conseguenti perdite umane e materiali, determinano un notevole stato di tensione a cui si associano sintomi specifici. Questi sintomi si possono presentare immediatamente o successivamente al disastro (anche dopo mesi) in maniera blanda o più o meno intensa.
Oltre agli stati ansioso-depressivi, nei casi di gravi calamità naturali può comparire un blocco delle emozioni corrispondente alla presa di coscienza dell'oggettiva gravità della situazione che si sta vivendo unita ad un penoso senso di impotenza.
Inoltre il timore di subire altri danni, la preoccupazione per la sorte dei propri familiari, la paura di essere lasciati soli, di dover lasciare i propri congiunti in ricoveri improvvisati o non adeguatamente attrezzati, di non farcela a superare il momento difficile, rappresentano aspetti direttamente correlati con il terrore che il disastro si ripeta, rendendo sempre più complessa l'attività di primo soccorso.
Gli psicologi impegnati nell'assistenza a persone vittime di calamità naturali, devono anche confrontarsi con gli intensi stati di tristezza e dolore provocati dalla morte di persone care o disperse o gravemente ferite; inoltre può sussistere un'alternanza di stati d'animo che può determinare il passaggio repentino da uno stato di prostrazione, sfiducia e delusione alla speranza, quasi euforica, di futuri tempi migliori. La vittima che sopravvive ad una catastrofe, anche se supera l'evento senza subire danni o menomazioni fisiche, riporta in forma più o meno lieve danni non visibili, ma non per questo meno profondi e dolorosi quanto le ferite al corpo.
Felice Di Giandomenico
(da L'Ancora)