Vuoi l’acqua? Te la vendo
di Marcelo Barros
Dal 9 al 12 di questo mese di novembre (2004) si terrà a Porto Alegre, Brasile, un Forum internazionale sull’acqua, promosso da diversi organismi brasiliani e internazionali. L’obiettivo è quello di richiamare la società civile a una più matura responsabilità sul tema dell'acqua, indispensabile per la vita ma fortemente minacciata. Rappresentanti di ben 33 paesi hanno confermato la loro partecipazione. I vari movimenti che animeranno l'incontro lo vedono come parte integrante del processo del Forum sociale mondiale e come un ulteriore passo verso la creazione di un nuovo mondo possibile.
Quello dell'acqua è un problema grave e riguarda l'intera umanità. Più di un miliardo di persone vivono in una situazione considerata di "stress idrico", ovvero con meno di due litri di acqua potabile al giorno. Studi recenti rivelano che, negli ultimi 50 anni, le riserve di acqua dolce sono diminuite del 62%!
Secondo l'Onu, in 36 differenti punti del pianeta esistono conflitti in cui il principale motivo di tensione è dato proprio dall'approvvigionamento di acqua dolce. D'altra parte, nella guerra quotidiana mossa dal sistema economico neoliberale contro i poveri, la soluzione indicata è stata quella di dire che l'acqua "costa". Non la si chiama più, come una volta, semplicemente acqua: oggi si dice"risorse idriche"... e queste risorse - come tutte le altre - vanno sfruttate in modo moderno, secondo i dettami del liberismo imperante: vanno cioè privatizzate. Pensate: si vuole privatizzare un bene che la natura ci dona gratuitamente.
Già in questi giorni di vigilia, non è difficile prevedere che ci saranno tensioni durante il forum. Gli uni difendono a spada tratta la mercificazione dell'acqua. Gli altri ribattono: «L'acqua è un diritto universale e basilare di ogni essere vivente. La sua gratuità va garantita da tutti i governi del mondo».
Il diritto all'acqua non è soltanto un diritto "economico". È anche un diritto culturale e spirituale. Conosco una piccola comunità afro-brasiliana che si è rifiutata di costruire il proprio tempio di Candomblé nella periferia di una città e per una sola ragione: là dove tutti i fedeli hanno casa o baracca non c’è acqua, mentre la comunità ha bisogno di riunirsi attorno a una "fonte di Oxum".
Ho letto da qualche parte che, di recente, un gruppo dell'etnia dogon (Mali) era stato invitato a esibirsi in danze rituali in una città d'Italia. Parlando con il responsabile del gruppo etnico, uno degli organizzatori dell'evento si meravigliò che tra i danzatori non ci fosse una sola donna. Sorprendente fu la risposta del danzatore capo: «Le donne non hanno potuto venire perché sono il nostro acquedotto. Senza di loro, l'acqua non arriverebbe ai nostri villaggi».
Per molte culture africane e afro-americane l'acqua è il seme con cui Dio rende fertile la terra e la feconda. Altre descrivono la pioggia come "le lunghe dita di Dio». Insomma, l'acqua è una sorta di "sperma divino" e, come tale, ha la forza di "divinizzare" chiunque entra in comunione con essa.
In ogni tempo e a tutte le latitudini, l'acqua ha sempre accompagnato la vita degli esseri umani. È stata anche l'elemento più utilizzato negli antichi riti. È stato ed è uno strumento essenziale di igiene e salute. Ispira artisti e attrae poeti. Pertanto, difendere l'acqua come un diritto di ogni essere vivente e pretendere che non venga "venduta" è un modo di accogliere e fare propria la saggezza indigena e nera, come pure di vivere una spiritualità ecologica.
(da Nigrizia, novembre 2004, pag. 77)