Dal primato dello "Spirito"
alla perfezione della carità
di Cipriano Carini, osb
Un documento che non si applica tanto alle opere dei consacrati, ma piuttosto alla loro vita spirituale. È un ritorno al Monachesimo.
Richiede quindi una conversione interiore ben più difficile che una preparazione professionale allo svolgere determinate attività.
A mio parere mette in evidenza due principi molto semplici, ma riassuntivi di tutta la teologia e spiritualità della vita consacrata.
1. Il primato dello "Spirito"
Già nei documenti precedenti ci era stato richiesto di tornare al Vangelo (PC 2), poiché «i religiosi sanno di essere coinvolti in un quotidiano cammino di conversione verso il regno di Dio, che li rende, nella Chiesa e di fronte al mondo, segno capace di attirare, provocando a profonde revisioni di vita e di valori. È questo, senza dubbio, il più atteso e fecondo impegno al quale essi sono chiamati, anche nei campi in cui la comunità cristiana opera per la promozione umana (Promozione umana 18).
E i Lineamenta insistono; basta rileggere il n. 11 che elenca i valori essenziali della nostra vita e richiede come impegno spirituale: la rinuncia al mondo e la scelta radicale di Dio solo, il senso cristocentrico della consacrazione, la dimensione pasquale della consacrazione, la dedicazione totale al servizio del Signore, l'unità di vita nella contemplazione e nell'azione. Aspetti che vengono ripresi più avanti (n. 26.29.44) con proposte molto luminose per superare le ambiguità e le sfide della società moderna, presentando con la nostra vita la libertà vera, l'amore vero, la preghiera vera, la donna vera. «Si deve affermare con realismo la necessità della presenza dei consacrati nella società stessa, come cittadini in questo mondo eppure pellegrini verso la patria. Con i loro carismi e servizi vogliono rendere operante il Vangelo delle beatitudini e delle opere di misericordia», cori attenzione ai giovani, ai poveri, alla cultura, all'umanità intera.
Una presenza che ha le opere, ma al di sotto ha una mentalità evangelica, un'adesione totale a Cristo; non siamo dei professionisti ma degli afferrati da Cristo.
Per questo non si insiste tanto sulle opere da svolgere, bensì sulla vita spirituale da coltivare, esercitandoci nel primato della carità, rinnovandoci quotidianamente alle sorgenti genuine della spiritualità cristiana, nell'assidua lettura, meditazione, contemplazione ed esperienza vissuta della parola di Dio, in un impegno di continua conversione, guardando a Maria come al modello esemplare (cf n. 12).
La consacrazione e la professione pubblica dei voti di castità, povertà e obbedienza, esigono un adeguato stile di vita, autentico nelle sue motivazioni soprannaturali, vero nelle sue esigenze ascetiche, ricco nei diversi aspetti complementari, vissuto all'interno della comunità in una doverosa comunione ed emulazione (cf n. 31b)-
Nient'altro che il primo comandamento preso sul serio.
2. La perfezione della carità
Da qualche decina di anni la richiesta ai religiosi di essere "esperti in comunione" viene ripetuta, anche se in modo diverso, in tutti i documenti ecclesiali.
È un sottofondo costante anche dei Lineamenta che, direttamente o indirettamente, richiamano il titolo del documento conciliare Perfectae caritatis. Siamo quelli che tendono alla perfezione della carità tra gli uomini, sia nei riguardi dell'apertura che questa richiede, sia nella qualità di un dono gratuito che deve avere, e non solo all'interno delle comunità. religiose, ma anche nell'inserimento nella vita della Chiesa, nella storia dell'umanità.
Il primato della carità (n. 12a) parte dalla vita interna degli istituti con «la valorizzazione delle persone più che delle strutture, l'attenzione ai bisogni dei singoli membri della comunità, il senso dell'impegno personale e della corresponsabilità, la comunione reciproca fatta di relazioni interpersonali più mature, semplici, autentiche» (cf n. 266).
Ma la comunione si apre alla vita ecclesiale, anzi all'umanità intera (cf n. 43). «Non si può infatti scegliere Cristo, senza scegliere tutto quello che è suo, la Chiesa e il Regno» (n. 11d). Perfino «i monasteri sono invitati ad offrire, pur conservando la fedeltà al proprio spirito, opportuni aiuti per la preghiera e la vita spirituale agli uomini e alle donne del nostro tempo, specialmente mediante un'appropriata partecipazione alla preghiera liturgica» (n. 20). I richiami sono continui e pressanti. «Una maggiore ecclesialità della vita consacrata, [...] con lo sviluppo di nuovi rapporti di comunione e collaborazione con i chierici e i laici» sembra essere la richiesta più grande che ci viene fatta (n. 26e); «con l'emergere della teologia della Chiesa locale, con la consapevolezza dell'appartenenza della vita consacrata al mistero della Chiesa universale, che si rende presente nella Chiesa locale, sta maturando un nuovo rapporto di presenza e di comunione dei membri, ottenendo una maggiore partecipazione e coscienza di appartenenza alla famiglia diocesana, un inserimento più attivo e specifico nella pastorale» (n. 27a). «Il rinnovamento della vita consacrata si attua con un'intensificazione della comunione e del servizio ecclesiale, secondo il proprio carisma e le nuove necessità della Chiesa e del mondo» (n. 31d).
È un leit motiv che raggiunge nei nn. 38-40 la sua manifestazione più esigente.
Comunione anche con l'umanità, a servizio della promozione dell'uomo, con nuova sensibilità sociale verso gli oppressi e gli emarginati (n. 27d), per andare incontro alle vecchie e nuove povertà (n. 29g), con degli ambiti di lavoro preferenziali (cf n. 44).
È il secondo comandamento che viene messo in risalto.
Non vengono prese in considerazione quindi le attività in se stesse, le opere degli istituti, nemmeno quelle derivanti dalla vita sacerdotale, bensì lo spirito che deve permeare la vita dei consacrati.
Le opere le possono svolgere normalmente anche gli altri: sacerdoti diocesani, laici; lo spirito invece deve essere proprio dei consacrati. Possono fare qualsiasi opera, ma il loro fare sarà fruttuoso se proverrà dallo Spirito.
A mio avviso viene fatta la scelta giusta più esigente e interiore; una scelta che tocca l'anima della consacrazione, più che le derivazioni esterne, le opere che ne derivano.
Alcuni desideri personali nei riguardi dei Lineamenta sono i seguenti:
1. Mettere maggiormente in evidenza l'aspetto profetico della vita consacrata, non solo come segno della vita futura, ma anche nella sua libertà di continuare il profetismo nella Chiesa; lasciamogli la libertà sufficiente di poter dire pane al pane e vino al vino. Sono stati i profeti che hanno annunciato la Parola alla politica e alla gerarchia ecclesiastica. Non tentiamo di ridurre tutto ai numeri del Codice canonico; non possiamo imbrigliare lo Spirito. Libertà profetica non solo per "rinnovare" (nn. 26d.31c), ma anche per creare ex novo (nn. 18f.24).
2. Mettere maggiormente in evidenza (e lavorare perché diventi vita vissuta) tutto quello che unisce piuttosto che quello che divide i vari istituti di vita consacrata; ogni istituto ha un carisma, ma nell’insieme tutti partecipano al carisma della vita consacrata, alla scelta radicale di Dio.
3. Veramente ogni istituto ha un carisma? Mi sembra che occorrerebbe svolgere un’attività di ecumenismo all’interno della vita consacrata: questo porterebbe ad avvicinare (e forse ad unire) molte famiglie religiose, con minor dispendio di energie, persone, economia nello svolgere gli stessi servizi all’umanità; la crisi di vocazioni vuole forse portarci a questo? Se fossimo uniti potremmo rispondere meglio alle necessità, ai problemi, alle urgenze della storia.
Al momento attuale mi sembra che ci sia da aspettarsi dall’assemblea CEI e dal Sinodo dei vescovi una crescita di equilibrio tra difesa del carisma della vita consacrata e un suo inserimento armonico nella vita della Chiesa comunione.
(da Vita Consacrata, 29, 1993/5, 605-608)