L’amore immotivato
di Giovanni Vannucci
Gesù, invitato a pranzo da uno dei capi religiosi del suo popolo, osservò come molti ospiti discutevano per decidere chi doveva sedere a capo tavola e chi più vicino o lontano dai notabili. Con fine senso realistico e ironico, osserva che l’invito a pranzo è un gesto di amicizia per consumare dei cibi con semplice gioia; la ricerca dei primi posti a tavola è l’espressione di una vanità che niente ha a che fare con la gioia di consumare insieme un pasto con amici, anzi ne costituisce un avvelenamento.
«Quando sei invitato a pranzo, scegli con semplicità l’ultimo posto, lascia al capotavola la libertà di chiamarti più vicino a lui [...]. Se poi tu fai un pranzo, invita alla tua tavola i poveri, i reietti, quelli che non possono darti niente in contraccambio. Compi un gesto di amore disinteressato, la ricompensa ti sarà data sul piano dell’infinita coscienza di Dio, a essa la tua gioiosa liberalità ti introdurrà» (cfr. Lc 14, 8-14).
La grande catena dell’amore universale viene tracciata e indicata da queste semplici parole: «Dona a chi non può contraccambiarti il tuo dono, offri i tuoi pranzi a chi non può invitarti a sua volta. Se inviti chi può restituirti il pranzo, tu non esci dai confini di un misero egoismo; invita chi non potrà renderti il contraccambio, in tal modo la tua gioiosa generosità ti aprirà un credito presso il Padre che è nei cieli» (cfr. Lc 14, 12-14).
Ogni azione umana crea continuamente dei vuoti e dei pieni, apre delle parentesi che dovranno venir chiuse. Se l’uomo fa il male come reazione al male, chiude una parentesi aperta dal male inferto; se fa il male per il male, apre una parentesi creando un vuoto che gli attirerà del male. Cosi avviene per il bene. Se l’uomo usa generosità per attirare generosità, apre e chiude questa parentesi; ma se è generoso con chi non potrà ricambiarlo, apre un vuoto di bene in cui entrerà dell’altro bene per colmarlo.
Quando uno fa del male come reazione a un male, chiude la parentesi del male; in questo caso vige la legge del taglione, chi è stato offeso può domandare giustizia: giustizia che è sempre una larvata forma di vendetta e, una volta soddisfatta l’esigenza di giustizia, la parentesi è chiusa, l’offensore ha pagato, non deve più nulla; l’offeso non ha più alcun diritto. Ma se chi ha ricevuto l’offesa non reagisce, l’offensore apre in sé un vuoto che sarà fatalmente ricolmato da un’altra offesa, anche se interviene il perdono dell’offeso.
Una legge severa presiede a questi meccanismi; così colui che fa il bene, e di questo riceve la ricompensa e la gratitudine del beneficato, chiude la parentesi, e il benefattore ha ricevuto la sua ricompensa; se invece la generosità è gratuita, se l’amore non è limitato da nessuna finalità, se qualcuno rivolge la sua forza di amore e di dono a chi non potrà rispondergli con altra generosità e amore, si stabilisce una corrente di vuoto che sarà colmata da altra generosità e da altro amore.
Le nostre azioni, le nostre opere di cristiani dovranno essere contrassegnate dall’apertura di una assoluta gratuità: questa stabilirà un continuo flusso di bene e di grazia tra il cielo e noi. E ci libererà da tutte quelle solidificazioni create dall’ambizione vanitosa di porre una finalità alle nostre azioni, anche a quelle che riteniamo più conformi alle qualità cristiane. Amiamo «per», preghiamo «per», facciamo delle opere sociali «per»; motivare l’amore non è amare, avere una ragione per donare non è dono puro, avere una motivazione per pregare non è preghiera.
Cristo ci dice: «Se dai un bicchier d’acqua a chi ha sete, nel mio Nome, non lo dai all’assetato, ma a Me!» (cfr. Mt 25, 35 s). «Nel Nome del Signore» vuoi dire nella più assoluta gratuità, nell’amore più libero e oggettivo, nella vastità della Coscienza divina che a noi si è rivelata come Pane e come Vino.
La finalizzazione dell’amore porta all’affermazione di lottare perché questo nostro amore si affermi, alla necessità di essere più forti, più abili, più tortuosi per imporlo, alla necessità di apparire portatori dell’amore, alla necessità delle mille strutture per renderlo obbligatorio. Quando saremo soltanto amore, dono e preghiera, come è Dio e il suo Cristo?
«Ai tuoi pranzi non invitare gli amici, i potenti, i consanguinei [...]. Al contrario invita i poveri, i reietti, gli storpi, che non avranno mai di che ricompensarti» (Lc 14, 12-14). Il tuo amore sarà immotivato come l’amore del Padre che è nei cicli, il tuo dono sarà l’offerta pura e incontaminata che è accetta a Colui che crea, ama, dona per la pura gioia della creazione, del dono, dell’amore! Altrimenti creerai delle strutture, dei modelli, delle forme che ti faranno sentire potente, generoso, buono, e perderai te stesso e le tue opere nelle strettoie del secolo presente! Ti sei mai domandato se lo sbocciare di un fiore, il canto dell’usignolo, il brillare di una stella sono motivati? Impara dai gigli dei campi, dagli uccelli dell’aria la grande lezione del dono puro e immacolato da finalità!
Solo colui che ha raggiunto il senso della sua eternità può non dare importanza al tempo e alle egoistiche esigenze del tempo. Solo colui che è forte ama senza porsi dei perché; solo colui che è forte dona generosamente e instancabilmente come il Creatore della vita. Cristo ci addita la via per diventare forti, ricchi, per attuare l’essenzialità del regno di Dio, essenzialità che è potenza di spirito, e che qualcuno raggiungerà quasi a sua insaputa, come il contadino che lavorando il campo trova un tesoro, altri invece conquisterà per appassionata ricerca, come il mercante di perle.
Giovanni Vannucci, in La Vita senza fine, 1a ed. Centro studi ecumenici Giovanni XXIII, Sotto il Monte (BG) ed. CENS, Milano 1985. «L’amore immotivato», 22a domenica del tempo ordinario. Anno C., Pag. 178-181.