Vita nello Spirito

Mercoledì, 17 Maggio 2006 02:47

La crisi del superamento della metà della vita (Luciano Manicardi)

Vota questo articolo
(6 Voti)

Forma specifica della "crisi" che investe l'uomo nella sua esistenza è quella connessa all'età di mezzo e chiamata midlife-crisis, più comunemente "crisi dei quarant'anni".

La crisi del superamento della metà della vita

di Luciano Manicardi


Forma specifica della "crisi" che investe l'uomo nella sua esistenza è quella connessa all'età di mezzo e chiamata midlife-crisis, più comunemente "crisi dei quarant'anni". Si tratta di una crisi di tipo depressivo di cui si può trovare una poetica evocazione nelle battute iniziali della Divina Commedia che Dante scrisse a trentasette anni: «Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura, ché la diritta via era smarrita. Ahi quanto a dir qual era è cosa dura, esta selva selvaggia ed aspra e forte, che nel pensier rinnova la paura! Tanto è amara, che poco più è morte».

Quale che sia l'interpretazione di" questo incipit del capolavoro dantesco, certo qui vediamo una ri­uscita descrizione della crisi emo­zionale della mezz'età, caratteriz­zata dall'incontro con la morte.

Osservando la vita di molti arti­sti (poeti, musicisti, scrittori...) si può notare come l'età fra i 35 e i 40 anni sia critica: a volte interviene la morte (Mozart, Raffaello, Chopin, Rimbaud...), oppure si no­ta un inaridimento dalla vena creativa (Rossini, attivissimo fino ai 40 anni, da allora fino alla mor­te, avvenuta a 74 anni, si chiude in un sostanziale silenzio) o un suo emergere potente (Gauguin lascia il lavoro in banca a 33 anni e a 39 è già felicemente inserito nella sua carriera pittorica) o un cam­biamento del modo di lavorare o dello stile (Donatello, Goethe...). Ma questa crisi riguarda ogni uomo.

Senza poter fissare l'anno in cui cade la crisi, che ha ovviamente un innesto biografico particolare per ogni persona e che è connessa an­che a condizioni sociali e culturali (lavoro, famiglia...), tuttavia la fase tra i 35 e i 45 anni rappresenta un passaggio dalla giovinezza alla ma­turità che comporta un sovverti­mento dei valori precedenti, è il la­sciarsi alle spalle lo zenit della vita, il mezzogiorno dell' esistenza, per iniziare la seconda curva, discen­dente, della parabola della vita.

Subentrano, in questa fase, cambiamenti fisico-biologici e nasce un diverso senso del tempo (si comincia a "contare" non tanto il tempo passato, ma quanto resta da vivere). Per la. donna l'approssimarsi alla menopausa e il fatto che i figli possano ormai essere adulti o comunque usciti da casa, provoca un mutamento radicale.

Questa fase dell' esistenza che, in parallelo con l'adolescenza, alcuni chiamano "maturescenza", è momento di bilanci, spesso in ros­so, circa la propria vita lavorativa e affettiva, relazionale e sociale famigliare e spirituale. È fase in cui più facilmente avvengono abbandoni dal Ministero presbitera­le o dalla vita religiosa e monastica, in cui più di frequente si fran­tumano matrimoni...

«Cala la vista, si aumenta di peso, la sessualità crea qualche pro­blema. È il tempo del cambiamento o della perdita del posto di lavoro, della rottura con il proprio entou­rage, dei traslochi, della ricerca di ambienti nuovi, dei progetti per buttarsi negli affari o per creare un'impresa in proprio, dei viaggi, della malattia, delle depressioni nervose, dei divorzi. Le pratiche ed i principi religiosi, dell'infanzia vengono abbandonati a favore di altri percorsi: New Age, sette, cir­coli di crescita personale più o meno liberanti…» (Jacques Gauthier).

L'uomo valuta le speranze rea­lizzate e le aspettative andate de­luse, Si rende conto che di fronte ha un futuro limitato, che molte porte sono ormai irrimediabilmente chiuse, e allora è chiamato ad accettare di non poter realizza­re progetti e ideali, ad accettare la parzialità e la limitatezza. del proprio essere. In questo periodo dell'esistenza, in cui ormai la prima fase della vita adulta è stata supe­rata, si ha un lavoro, una famiglia, si è preti o religiosi: compito psi­cologico di questa fase dell' età è il conseguimento dello stato piena­mente maturo, ma, mentre si en­tra nella pienezza, si entra anche nella crisi. La morte entra nella nostra vita, e non solo più attra­verso la morte degli altri, ma come prospettiva personale, nostra.

Un paziente di 36 anni, depres­so, in analisi dallo psicanalista El­liot Jaques dice: «Finora la vita mi è parsa un' ascesa senza fine, con nulla, se non il lontano orizzonte in vista. Ora, improvvisamente, mi sembra di aver raggiunto la ci­ma della collina, e là davanti a me si snoda la discesa con la fine in vista, ancora lontana, è vero, ma dove la morte è chiaramente di­stinguibile presente alla meta». Scrive Jung: «Nella seconda metà dell' esistenza rimane vivo solo chi, con la vita, vuole morire. Per­ché ciò che accade nell' ora segreta del mezzogiorno della vita è l'inversione della parabola, è la nasci­ta della morte».

Carlo Carretto (nelle sue Lette­re dal deserto) ha saputo esprime­re con efficacia la valenza spiri­tuale di questa crisi: «A metà del nostro cammino non sappiamo se andare avanti o indietro; meglio...sentiamo di andare indietro. Solo, a1lora incomincia la vera battaglia e le cose si fanno serie. Si fanno serie perché si fanno vere. Inco­minciamo a scoprire ciò che valia­mo: nulla o poco più. Credevamo di essere generosi e ci scopriamo egoisti. Pensavamo di saper prega­re e ci accorgiamo che non sappiamo più dire "Padre". Ci eravamo convinti di essere umili, servizievoli, ubbidienti e constatiamo che l'orgoglio ha invaso tutto il nostro essere. È l’ora della resa dei conti; e questi sono molto magri... Nor­malmente ciò capita sui 40 anni: grande data Iiturgica della vita, data biblica, data del demonio me­ridiano, data della seconda giovi­nezza, data seria dell'uomo: "Per quarant' anni fui disgustato con questa generazione e dissi: Sempre costoro sono traviati di cuore"

(Sal 95, 10). È,la data in cui Dio ha deciso di mettere con le spalle al muro l’uomo che gli è sfuggito fi­no ad ora dietro la cortina fumo­gena del "mezzo sì e mezzo no”. Coi rovesci, la noia, il buio, e più sovente ancora, e più profonda­mente ancora, la visione o l’espe­rienza del peccato. L'uomo scopre ciò che è: una povera cosa, un es­sere fragile, debole, un insieme d'orgoglio e di meschinità, un in­costante, un pigro, un illogico».

Molte illusioni e idealizzazioni di sé devono ormai cadere: molti progetti non sono più realistici: occorre uscire radicalmente dalle fantasie di onnipotenza. Di fronte a queste difficoltà l'uomo rischia di difendersi con diverse reazioni: la svalutazione (la perdita di pote­re, forza, bellezza, seduzione, im­portanza di fronte ai più giovani che incalzano e crescono, conduce a svalutare sé e il proprio lavoro), l’arroccamento al potere (vittime dell'invidia per i più giovani, ci si attacca al potere, si diviene autoritari, intolleranti) la depressione (i bilanci, i paragoni con gli altri, le nostalgie per ciò che poteva essere o non essere e non sarà mai più, conducono a reazioni depressive), l’intontimento (“a quarant’anni la stupidità ci attende al varco”: Jacques Gauthier; si danno i casi delle per­sone inebetite e frustrate dall'in­successo), l'alcolismo (si fa più forte in certuni il desiderio di autoannullamento perseguito con alcol o droghe)...

Spesso ci si aliena nell’ esteriorità, mentre ci viene richiesto di abitare l'interiorità, «Ciò che, il giovane ha trovato e doveva trova­re al di fuori, l'uomo maturo lo deve trovare dentro di sé» (C.G.Jung). Il religioso che vive questa crisi può reagirvi rifugiandosi nel ritualismo, nelle forme esteriori, nel rubricismo, in una visione religiosa legalistica e giuridica, pur di evitare il doloroso confronto con l’enigma che lo abita, con l’ombra che è in lui e che, secondo Jung, è “ciò che uno non vorrebbe essere”.

L'instabilità, il sognare un’altra forma di vita (in un altro monastero, in un nuovo matrimonio), tutto andrebbe meglio, è un'altra: forma di fuga dal lavoro che la crisi, se accolta, potrebbe fare sul cuore dell'uomo. Fuga, di­fesa, rimozione: sono i principali motori di reazioni che impedisco­no a questa crisi di avere un esito positivo. Ma appunto, che fare di fronte a questa crisi che è, in ra­dice, crisi di senso?

Si tratta essenzialmente di accet­tare realisticamente il trascorrere del tempo, i propri limiti, la respon­sabilità della propria vita, passata.

Per il credente tutto questo avviene al cospetto di Dio e nella fede del suo amore manifestato in Gesù Cristo. In particolare, siamo di fronte a una crisi del desiderio (quello che ha a che fare con il senso stesso della vita e con la verità intima dell’uomo) profondo della persona che domanda un itinerario in cui innanzitutto riconoscere la propria insoddisfazione, quindi ascoltare le domande che salgono dal proprio cuore, ascolto che dischiude la possibilità di dare un senso rinnovato alla propria vita.

Questo richiede che si passi dalla superficie alla profondità, dall’esteriorità all’interiorità: se si perde in estensione, si può guadagnare in profondità.

Dare il nome alle proprie paure e integrare la parte non amata di sé, entrare in contatto con la propria sofferenza profonda, unificare parte femminile e maschile presenti in sé, consente di sviluppare una più profonda e unitaria capacità di amore e compassione. E di uscire da questa crisi con un rinnovamento fecondo dell’esistenza e della fede.

In profondità, infatti, nella crisi è la Spirito stesso di Dio che opera sul cuore dell’uomo per condurlo a sempre maggiore verità e autenticità, per condurlo a scoprire la presenza di Dio nel più profondo dell’essere. Una presenza più radicata di ogni paura e angoscia.

(da L'ancora)

­

Letto 2935 volte Ultima modifica il Giovedì, 23 Settembre 2010 22:59
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

Search