Vita nello Spirito

Lunedì, 02 Aprile 2007 00:28

Pasqua primavera del mondo

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Declinata su quattro verbi: svegliarsi, alzarsi, correre e respirare, questa solennità coniuga il risveglio della natura con l’azione dello Spirito che rinnova ogni cosa e dà origine a un’esistenza filiale. Il tempo pasquale è tempo propizio per respirare a pieni polmoni lo Spirito e per correre senza risparmio sulla via che è Cristo.

 «Alzati, amica mia, mia bella, e vieni! Perché, ecco, l'inverno è passato, è cessata la pioggia, se n' è andata; i fiori sono apparsi nei campi, il tempo del canto è tornato e la voce della tortora ancora si fa i sentire nella nostra campagna. Il fico ha messo fuori i primi frutti e le viti fiorite spandono fragranza. Alzati, amica mia, mia bella, e vieni! O mia colomba, che stai nelle fenditure della roccia, nei nascondigli dei dirupi, mostrami il tuo viso, fammi sentire la tua voce, perché la tua voce è soave, il tuo viso è leggiadro» (Ct 2,10-14).

Il ride starsi della primavera ha suggerito all'autore del Cantico un affiato poetico che non ha quasi riscontri, in tutto il resto del testo biblico: tanto questo momento dell'anno è significativo, soprattutto in un mondo ancora molto dipendente dai ritmi della natura. Per chi vive nell'emisfero nord del mondo è difficile sottrarsi alla suggestione che esercita la coincidenza fra il tempo pasquale e la stagione primaverile: coincidenza non casuale, evidentemente, considerate le origini storiche della pasqua ebraica e visto che la data della pasqua viene determinata dall'equinozio di primavera.

La tradizione cristiana antica ha colto e celebrato questo aspetto della più grande festa cristiana, così da presentare la pasqua come una vera "primavera del mondo". Tra i vari testi patristici che si potrebbero citare in merito, riprendiamo qualche riga da Cromazio, vescovo di Aquileia a cavallo tra IV e V secolo. Cromazio difende l'idea che il primo mese dell'anno sia appunto il tempo della pasqua «in cui tutto riprende vita. È che l'erba dei prati risorge come da morte, allora i fiori compaiono sugli alberi, allora le gemme sulle viti, allora anche la stessa atmosfera è come lieta per il tempo rinnovato... Primo mese e tempo nuovo è proprio questo tempo di pasqua, in cui gli stessi elementi del mondo si rinnovano. E non fa alcuna meraviglia che in questo tempo il mondo venga rimesso a nuovo, se lo stesso genere umano oggi viene innovato».

Lasciandoci ispirare da questa tradizione - che, purtroppo, venne lasciata cadere in seguito,per l'incapacità di comprenderne la portata religiosa e, forse, per il timore di cadere

in una indebita venerazione per la natura - vogliamo suggerire alcuni atteggiamenti per vivere il tempo pasquale: riprendendoli, peraltro, non dal linguaggio della natura, ma direttamente da quello dei racconti pasquali, che si rivelano però adatti anche a riannodare qualche legame tra il grande mistero cristiano della pasqua e la stagione che ci è dato di vivere. Li riassumiamo in quattro verbi: svegliarsi, alzarsi, correre, respirare.

Svegliarsi

Che la primavera sia vista come il risvegliarsi della natura dopo il "sonno" invernale, non è certo una novità; come non lo è il parallelo tra sonno e morte, così che l'addormentarsi sia visto come una sorta di "morte", e il risvegliarsi come un "rivivere": e viceversa. Era ovvio, quindi, per i primi cristiani, fare ricorso al linguaggio del sonno e della veglia, per esprimere la fede nella risurrezione. Un passo della lettera agli Efesini, probabilmente un frammento di un antichissimo canto della chiesa, lo attesta bene per il cristiano: «Svegliati, o tu che dormi, destati dai morti e Cristo ti illuminerà» (Ef 5,14).

I due verbi qui utilizzati, "svegliarsi" e "destarsi", sono quelli che il NT usa abitualmente per parlare della risurrezione di Cristo; con un significato che oscilla fra le idee del "destarsi" (dal sonno) e dell'”alzarsi": ciò che il linguaggio cristiano sintetizza con il nostro "risuscitare". Ma qui non vogliamo fare della filologia; ne entrare nel merito delle diverse angolazioni, pure importanti, con cui i testi biblici presentano l'azione del "ridestare/ridestarsi".

È certo da sottolineare che spesso è presentata come opera di Dio, che «ha risuscitato» il suo Figlio (cf. Rm 10,9; 1Cor 6,14 ecc.), mentre altri testi sottolineano piuttosto che Cristo «si ridestò» ( cf. Lc 24,34; 2Cor 5,15 ecc.). E si deve anche ricordare che l'azione qui indicata con un linguaggio che si richiama a gesti della vita quotidiana o anche ai ritmi della natura, non ha nulla di "quotidiano" o di "naturale": si tratta, invece, dell’azione potente e imprevedibile di Dio, che nel suo Figlio risorto vince la morte, e la vince per sempre (cf. Rm 6,9), irrevocabilmente. "Svegliarsi", per il cristiano inserito nella pasqua di Gesù Cristo, significa pertanto entrare in questa novità assoluta: significa vivere non più nelle tenebre del sonno, ma nella luce del giorno, che è il Cristo risorto.

Se vogliamo leggere il "risveglio" pasquale anche con l'aiuto del risvegliarsi della natura, possiamo forse suggerire questa pista: il risveglio primaverile non avviene di colpo; per qualche settimana, alberi ancora nudi e spogli fronteggiano cespugli in fiore, i frutteti fioriscono mentre la vigna non ha ancora quasi buttato le foglie. ..C'è un tempo per svegliarsi, e tale potrebbe essere il tempo pasquale. Un tempo nel quale lasciare risvegliare e affinare i nostri «sensi spirituali», per riprendere un'espressione che avrebbe bisogno di un più adeguato approfondimento. Un tempo in cui scoprire in noi e nel nostro mondo nuove fioriture della Parola; un tempo in cui riconoscere che non tutto, nel nostro mondo e nella nostra vita, è grigio e spoglio. Un tempo in cui renderci conto che il seme, che era stato sepolto nella terra, è germogliato: come, noi stessi non sapremmo dirlo (cf. Mc 4,27): ma potremo accorgercene, se veramente la pasqua ci ha liberato dal nostro torpore spirituale.

Alzarsi

Il NT è pieno di gente distesa, paralizzata, bloccata, alla quale viene detto di alzarsi, di "(ri)sorgere": dalla suocera di Pietro guarita dalla febbre (Mc 1,31) al paralitico calato attraverso il tetto (Mc 2,11s), dalla figlia di Giairo (Mc 5,41) al ragazzo epilettico (Mc 9,27), da Bartimeo (Mc 10,49) al giovane di Nain (Lc 7,14), dal paralitico della piscina probativa (Gv 5,8) allo zoppo della porta del tempio (At 3,6s), e altri ancora. In molti e diversi modi viene preannunciato o richiamato, nelle Scritture, il decisivo "sorgere" di Colui che era stato calato, impotente, dalla croce emesso a giacere nell'oscurità del sepolcro.

Se il "ridestarsi" manifesta il ritorno alla coscienza, alla consapevolezza di se, l'alzarsi in piedi esprime, nella sensibilità degli antichi, la piena dignità della persona. Per i cristiani, stare in piedi sarà per eccellenza il modo per indicare la propria qualità di "risorti in Cristo", partecipi della sua pienezza di vita incorruttibile: al punto che il concilio di Nicea, nel 325, così stabilisce: «Poiché vi sono alcuni che di domenica e nei giorni della pentecoste [e cioè durante la "cinquantina pasquale"] si inginocchiano, per una completa uniformità è sembrato bene a questo santo concilio che le preghiere a Dio si facciano in piedi» (can. 20). Ma l'uso di restare in piedi, durante la preghiera, di domenica e nei giorni del tempo pasquale, proprio in rapporto con la risurrezione di Cristo, è assai più antico, com'è attestato già da Tertulliano (cf. De orat. 23,2).

L'innalzamento pasquale, peraltro, va inteso pienamente nella sua forza teologica e cristologica: ricorda che la risurrezione non è solo un «ridestarsi» alla vita terrena, ma è «esaltazione» del Cristo (cf. At 2,33; 5,31), è il suo ingresso nella pienezza della vita di Dio; innalzamento inaudito, e tanto più paradossale in quanto ne è oggetto colui che si era oltremisura «abbassato» e umiliato (cf. Fil 2,5-11), sperimentando la morte per noi peccatori.

Innalzarsi per guardare a ciò che veramente conta e a ciò che davvero vale la pena. Alzarsi per dire e vivere la libertà che Cristo ci ha conquistato, facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Una libertà che appare troppe volte intimorita e legata, come se ancora le bende di Lazzaro le impigliassero i piedi (cf. Gv 11,44), impedendole di

muoversi nello spazio aperto dal Risorto. I luoghi per compiere questo esercizio di libertà non mancano nella vita del cristiano: dalla famiglia ai luoghi del lavoro, dagli spazi della politica a quelli della cultura e a mille altri che la nostra vita dischiude e che la libertà del cristiano può arricchire e fecondare in modo imprevedibile.

Correre

Si corre intorno alla tomba vuota del Signore: come se all'immobilità della croce e del sepolcro dovesse rispondere la danza festosa della risurrezione. Già Matteo aveva richiamato la corsa delle donne (M t 28,8), interrotta e poi rilanciata dal Risorto stesso; mentre Luca aveva preferito annotare la corsa di Pietro (Lc 24,12). Chissà se Giovanni, in quel testo mirabile che si legge il giorno di pasqua, dove si racconta la corsa di Maria di Magdala, seguita da quella di Pietro e del discepolo che Gesù amava (cf. Gv 20,1-8), ha voluto intrecciare le tradizioni precedenti. In ogni caso, la buona notizia della domenica di pasqua suscita un movimento nuovo e un dinamismo inarrestabile. Non corre il Cristo, il quale ha ormai compiuto il suo viaggio, ha terminato la corsa e ci ha aperto il cammino verso la meta, divenendo lui stesso la via alla verità e alla vita (cf. Gv 14,6); ed è vero, tuttavia, che il Risorto cammina ancora lungo la strada (cf. Lc 24,13-35), per riscaldare il cuore dei discepoli attraverso la sua parola e nutrirli col suo pane, perché essi possano riprendere il cammino e farsi testimoni di lui.

Portando l'annuncio del Vangelo in un mondo come quello greco, certamente più sensibile di quanto non fosse l'ambiente palestinese alle metafore sportive, gli apostoli hanno potuto riprendere in vari modi I'immagine della corsa. Paolo, in particolare, se n'è avvalso: consapevole di non correre invano (cf. 1Cor 9,26), avendo dato fiducia a Cristo, l'apostolo lascia cadere tutto ciò che è di intralcio, teso unicamente a essere partecipe del Cristo pasquale: «E questo perché io possa conoscere lui, la potenza della sua risurrezione; la partecipazione alle sue sofferenze, diventandogli conforme nella morte, con la speranza di giungere alla risurrezione dai morti. Non però che io abbia già conquistato il premio o sia ormai arrivato alla perfezione; solo mi sforzo di correre per conquistarlo, perché anch'io sono stato conquistato da Gesù Cristo...» (FiI 3,10-12).

A deporre tutto ciò che è di peso, in vista di una corsa spedita, invita anche la lettera agli Ebrei, chiedendo ai cristiani di «correre con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede» (Eb 12,1). Se veramente la quaresima ci ha aiutato a questo «alleggerimento», e se intorno al segno della tomba vuota del Signore avremo saputo riprendere la corsa nel giorno di pasqua, nel tempo pasquale potremo vivere giorni lieti e gioiosi, nei quali la nostra condizione di cristiani ci apparirà, più che mai, dono di grazia e promessa di vita nuova.

Respirare

«Primavera d'intorno brilla nell'aria»: il celebre verso leopardiano ha forse ancora qualcosa da dire, nonostante la cattiva qualità dell'aria che respiriamo, per lo meno, se viviamo in città. Accade, qualche volta almeno, di "respirare" la nuova stagione, di avvertirla proprio nell'aria, anche se magari la fioritura è ancora di là da venire.

Si sa che al fondamentale gesto della respirazione si collega il dono pasquale per eccellenza, lo Spirito Santo. Il tempo della pasqua è tempo dello Spirito, non solo perché conduce alla festa della pentecoste, ma perché tutto, in esso, è intriso dello Spirito: è il respiro nuovo che Dio dà al mol1do in Cristo crocifisso, risuscitato dai morti per la potenza dello Spirito (cf. Rm 1,4), mediatore e garante dell'effusione piena e definitiva dello stesso Spirito sull'umanità e sulla creazione (cf. At 2,33; Rm 5,5; Gv 20,22s).

Lasciando da parte altri aspetti del vasto orizzonte che la testimonianza biblica traccia a proposito dell'opera dello Spirito, richiamiamo solo un aspetto fondamentale: lo Spirito in quanto opera in noi l'esistenza filiale o - per riprendere la nostra immagine - in quanto pone in noi il "respiro" dei figli di Dio. Che è poi il "respiro" di Cristo stesso, dato che la pasqua ne manifesta in pienezza l'identità filiale, già parzialmente disvelata nei giorni della sua vita terrena: nel suo vivere davanti al Padre in totale disponibilità, in radicale fiducia, in obbedienza piena, nell'amore e nel compimento della sua volontà...

Realizzare in noi questa stessa esistenza filiale è opera dello Spirito (cf. Rm 8,15-17; GaI 4,4-7). Che il cristiano sia figlio di Dio, è una qualificazione che va vista alla luce di Cristo, perché che cosa voglia dire essere figli di Dio e vivere da figli di Dio, lo si impara guardando a Gesù Cristo. E perché la cosa non si risolva in un'imitazione semplicemente esteriore, bisogna che sia lo Spirito, dono di Cristo morto e risorto, a creare in noi l'esistenza filiale e a realizzare in noi la conformazione a Gesù Cristo.

Lo Spirito ha questa caratteristica, proprio perché è come il "respiro" del credente. Respirare è per noi una necessità indispensabile, e d'altra parte è attività che si nasconde, che non viene in primo piano, salvo quando ci manca il respiro. Senza lo Spirito non potremmo vivere da figli di Dio; dall'altra parte, lo Spirito fa sì che noi stessi siamo figli di Dio: lo Spirito non prende il nostro posto, ha invece questa capacità di "nascondersi" dietro

ciò che opera e si manifesta nella vita del cristiano. Non è una sorta di esaltazione mistica, ne una specie di "possessione", come se non fosse più l'uomo ad agire, ma una realtà esterna a lui.

L'esistenza cristiana non è niente di tutto questo: è lo Spirito che ci rende figli di Dio, ma lo Spirito fa sì che la nostra vita, con quanto siamo chiamati a metterci di intelligenza, volontà, libertà, disponibilità, amore, ecc., sia veramente un'esistenza filiale. Lo Spirito configura la nostra esistenza a quella di Cristo, ma secondo un principio di interiorità e un carattere di nascondimento: non è, per lo più, lo Spirito che si manifesta prepotentemente, ma lo Spirito che si dà a vedere attraverso l'esistenza del cristiano che vive come figlio di Dio; che vive, quindi, in Gesù Cristo.

Ogni tanto, sentiamo il bisogno di respirare un'aria un po’ più pura di quella che ci è data ogni giorno. Il tempo pasquale, primavera dello Spirito, è tempo propizio per respirare a pieni polmoni lo Spirito e per correre senza risparmio sulla via che è Cristo. 

Letto 1515 volte Ultima modifica il Lunedì, 17 Aprile 2017 09:01
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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