Vita nello Spirito

Giovedì, 31 Gennaio 2008 23:19

Quando uno ci ripensa. Riflessioni psicologiche per i momenti di crisi (Aldo Basso)

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Riflessioni psicologiche per i momenti di crisi (1)


Quando uno ci ripensa

di Aldo Basso



La crisi in se stessa non è né negativa né positiva. Una personalità sufficientemente matura non evade di fronte alla crisi; essa è segno di una personalità che si evolve. È il modo con cui il soggetto l’affronta che può rappresentare un approccio costruttivo e positivo oppure negativo.



Momenti difficili nella vita capitano a tutti e per i motivi più vari. In questa breve riflessione vorrei soffermarmi su quella particolare situazione, caratterizzata normalmente da forte tensione e sofferenza, che si crea quando la persona consacrata ha la sensazione di aver fatto una scelta di vita sbagliata e si interroga seriamente su quale strada prendere per il futuro.


È naturale immaginare che tale situazione possa presentarsi ogni volta con sfumature e caratteristiche diverse: ogni persona ha la sua storia e il suo percorso di vita è unico. Da questo punto di vista sembrerebbe non realistico proporre considerazioni e suggerimenti generali che possano valere per tutti. D’altra parte può essere utile tentare una riflessione che possa fornire qualche orientamento generale sia alle persone direttamente interessate sia a coloro che, per motivi diversi, hanno una qualche responsabilità nei loro confronti.


CHE COSA S’INTENDE CON CRISI?


Il termine “crisi” è usato con accezioni diverse e in contesti assai vari. In questa riflessione uso il termine “crisi” in riferimento alla situazione di una persona che si trova a ripensare seriamente la scelta di vita fatta negli anni passati – e ciò in seguito alla percezione che il non soddisfacimento di uno o qualche bisogno fondamentale le provochi un persistente e forte senso di frustrazione sempre più duro da sopportare. È lecito parlare di vera e propria crisi se e nella misura in cui lo stato di tensione e sofferenza dura a lungo; è persistente, diffuso e non limitato ad alcuni momenti o periodi; non vi è una qualche circostanza particolare che possa, almeno in buona parte, spiegare la difficoltà che la persona sta vivendo; lo stato attuale di vita è sentito dal soggetto sempre più insoddisfacente e come un ostacolo alla piena realizzazione della propria vita.


La crisi rappresenta un momento particolare nel processo evolutivo della persona e si verifica quando più tendenze sono tra loro in conflitto. Psicologicamente si presenta come momento di profonda incertezza e confusione. Di per sé, la crisi non è né negativa né positiva: è semmai il modo con cui il soggetto l’affronta che può rappresentare un approccio costruttivo e positivo o, al contrario, negativo. Una personalità sufficientemente matura non evade di fronte alla crisi, ma l’affronta e cerca nuovi e migliori adattamenti. La crisi è espressione e segno di una personalità che si evolve, di un organismo che si sviluppa; da questo punto di vista, non è corretto pensare che una persona che si trova in crisi sia senz’altro una persona poco virtuosa o trascurata o che si impegna poco, anche se in certi casi questi dati potrebbero essere presenti (un approccio di tipo moralistico, valutativo, sarebbe sempre fuori luogo, perché ciò che importa di fronte a situazioni difficili è anzitutto cercare di capire).


Due domande almeno conviene porsi: perché una persona entra in crisi (fattori)? A quali condizioni è possibile affrontare realisticamente e positivamente i momenti di crisi?


PERCHÉ UNO ENTRA IN CRISI


I fattori che possono aiutare a capire – almeno in parte – perché una persona a un certo momento della sua vita entra in crisi sono molteplici e normalmente non agiscono in modo isolato, ma si condizionano a vicenda. Un elenco, certamente incompleto, potrebbe comprendere i seguenti:


– scelta vocazionale basata su motivazioni non autentiche. Ad esempio: una scelta dettata da un (inconscio) bisogno di compiacere qualcuno, dal timore di certe responsabilità, da una visione non corretta e realistica della vita consacrata. In altri casi non vi è stata una scelta chiara e sicura di un piano di vita particolare (la vita consacrata), accompagnata dalla consapevolezza di poter sviluppare e soddisfare le tendenze e i bisogni collegati con questo piano di vita e contemporaneamente di dover accettare la rinuncia cosciente alla soddisfazione di quei bisogni che non sono compatibili con il piano di vita scelto (soddisfazione mascherata di certi bisogni, ad esempio affettivi);


– mutamenti profondi subentrati nella persona con il trascorrere degli anni. Ad esempio: progressivo affievolimento della propria fede; consapevolezza sempre più acuta di particolari bisogni che in passato erano meno avvertiti dal soggetto, come il bisogno della maternità o il bisogno di intimità con una persona dell’altro sesso; atteggiamenti profondamente diversi nei confronti della vita; nuove e improvvise responsabilità nei confronti di qualche famigliare; sviluppo di qualche competenza “professionale” particolare, che porta la persona consacrata a una percezione diversa della propria identità (ad esempio, si sente anzitutto medico, insegnante, psicologo, assistente sociale...);


– scarsa attenzione nel seguire una “regola di vita” funzionale al benessere personale. Essa può riguardare, ad esempio, l’equilibrio tra lavoro e riposo; una certa “gerarchia” e ordine di importanza tra le varie responsabilità e compiti da svolgere; l’equilibrio tra preghiera e ministero; il corretto rapporto tra attività e momenti di riflessione (il risultato può essere un senso di svuotamento e inutilità);


– trascuratezza e scarsa attenzione alle condizioni che sostengono e rendono normalmente possibile l’impegno di consacrazione. Ad esempio: la coltivazione di un’amicizia autentica con Gesù, sostenuta dalla meditazione della parola di Dio, dall’assiduità alla preghiera e ai sacramenti; l’affidamento a una guida spirituale; la custodia dei sensi; il saggio uso dei mass media (compreso l’uso di internet); la cura nel coltivare relazioni interpersonali autentiche, soprattutto con le persone dell’altro sesso (evitando forme di pseudoamicizia o rapporti a carattere transferenziale); l’impegno nel coltivare l’amicizia con i confratelli/consorelle. Sempre è necessaria una certa disciplina, interiore ed esteriore, se si ha a cuore la propria “igiene mentale”;


– esperienze particolarmente difficili e frustranti durante la vita religiosa. Ad esempio: la percezione di un eccessivo immobilismo da parte del proprio istituto, la sensazione di aver subito torti o profonde ingiustizie, la delusione per non aver avuto la possibilità di coltivare particolari aspirazioni (di tipo professionale) o attitudini, una prolungata e (quasi) insanabile situazione di aperto conflitto con un superiore.


CONDIZIONI PER AFFRONTARLA


Affrontare positivamente il momento di crisi significa, da un punto di vista psicologico, disporre di risorse personali e ambientali tali da riuscire a fare una scelta di vita che permetta al soggetto di sentirsi persona soddisfatta nonostante bisogni insoddisfatti. Da un punto di vista di fede, affrontare positivamente la crisi significa per una persona consacrata creare le condizioni affinché possa sentire con sufficiente tranquillità di star facendo la volontà di Dio – una sensazione che è fonte di pace profonda.1 In definitiva, si dice la stessa cosa anche se si parte da una prospettiva diversa. Questa riflessione è condotta a partire da una chiara visione di fede circa la vita e le opzioni fondamentali che una persona è chiamata a compiere.


Prima di proporre qualche spunto operativo, è opportuno richiamare un’osservazione di carattere generale. La crisi è sempre un fatto soggettivo; d’altra parte, sia nella sua insorgenza che nella sua evoluzione essa può essere notevolmente condizionata anche da fattori culturali. A questo riguardo, almeno due aspetti della cultura contemporanea meritano di essere richiamati per l’influenza che possono esercitare sulle esperienze di crisi delle persone consacrate, e non solo di queste persone. Anzitutto, il disorientamento valoriale della nostra società, a proposito del quale il card. Ratzinger ebbe a dire qualche anno fa: «Credo che ci troveremo ancora di fronte a un lungo periodo di confusione». (2) In secondo luogo, una marcata cultura della soggettività, che porta a una “soggettività gonfiata”, con un conseguente straripamento della norma. Il card. Martini, parlando a giovani preti durante un corso di esercizi spirituali e riflettendo sui possibili motivi delle incoerenze che stanno alla radice di piccoli e talora grandi cedimenti esistenziali, apparentemente inspiegabili, afferma: «C’è tuttavia una fragilità che forse è ancora più tipica della coscienza contemporanea e della civiltà occidentale moderna e postmoderna. È talmente sottile e ricca di valori che facciamo fatica ad analizzarla a fondo. Voglio parlare del gonfiarsi canceroso della soggettività... Credo che si possa parlare di gonfiamento canceroso della soggettività quando la coscienza (personale o di gruppo, perché questo è un difetto anche dei gruppi) tende, per esempio, a divenire solipsista, assumendo se stessa come misura unica delle proprie azioni. Così, l’unica coerenza che si cerca è, in fondo, quella con i propri sentimenti, con le proprie emozioni. Gli esiti che ne derivano, sconcertanti nella loro apparente innocenza, si esprimono, di fronte a impegni presi e a parole date, nei seguenti termini: Non me la sento più! La fede, la Chiesa, la celebrazione della messa non mi dicono più niente! Con quella persona ho chiuso perché non mi dice più nulla!... Al fondo c’è la “norma suprema” dei propri sentimenti». (3) Tutto ciò spiega un difetto fondamentale della coscienza umana oggi presente nella nostra cultura, quello di ritenersi costituiti dalle proprie relazioni di scelta e non dalle relazioni di chiamata: “Ciò che manca è l’umiltà di riconoscere la verità, che mi interpella e che non sono io a scegliere”. (4)


1 «E “n la sua volontade è nostra pace”» (Dante, Paradiso, III, 85).


2 J. Ratzinger, Il sale della terra, Torino, Paoline, 1997, p. 267.


3 C.M. Martini, Qualche anno dopo: riflessioni sul ministero presbiterale, Casale Monferrato, Piemme, 1987, pp. 20-22.


4 J. Ratzinger, ibidem, p. 266.

Letto 4811 volte Ultima modifica il Lunedì, 14 Settembre 2009 10:50
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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