Vita nello Spirito

Sabato, 31 Luglio 2010 08:44

Ma fate vedere! (Michel Gourgues o.p.)

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Il sale, la luce, la città: tre figure una dopo l’altra. Tre immagini utilizzate da Gesù per enunciare una stessa realtà: la fede che irraggia, una qualità di vita che attira, un certo modo di vedere e di vivere la vita che si fa contagioso.

Ma fate vedere!

di Michel Gourgues o.p.

Il sale, la luce, la città: tre figure una dopo l’altra. Il sale che dà sapore, la luce che illumina e rischiara, la città appollaiata sulla cima di una montagna, punto di riferimento per chilometri intorno. Tre immagini utilizzate da Gesù per enunciare una stessa realtà: la fede che irraggia, una qualità di vita che attira, un certo modo di vedere e di vivere la vita che si fa contagioso.

Le tre immagini che Matteo ha raggruppato all’inizio del Sermone della Montagna (Mt 5,13-15), ci raggiungono nel seno di società che tendono a considerare la fede come una faccenda personale e le convinzione religiose come riguardanti  la vita privata. Senza dubbio bisogna rispettare tali convinzione come tutti gli altri diritti fondamentali. Ma non devono mettersi in mostra nello spazio pubblico, che ormai è pluralista e risolutamente aperto alla coesistenza delle differenze.

Che ne sarà allora dell’irraggiamento della fede? “Voi siete il sale della terra. La vostra luce  brilli agli occhi del mondo. Una città non può essere nascosta”: come potrà avvenire questo se l’esistenza collettiva diventa allergica alle interferenze delle opinioni di fede individuali?

Immersi come sono in una cultura individualistica, molti credenti vivono effettivamente la loro fede come una faccenda privata. Chiese diventate troppo spaziose o troppo numerose, una pratica religiosa in declino costante sembrano ben attestare che c’è una regressione dell’espressione e del rinnovamento comunitario della fede. Gli stessi credenti però sentono molto bene che, se hanno detto sì al Vangelo, questo non può limitarsi alla vita privata.

Il sale, la luce, la città: Matteo ha collocato le tre immagini proprio dopo le Beatitudini: “Beati gli assetati di giustizia, beati i miti, i non-violenti, beati quelli che sanno perdonare, beati i cuori puri” (Mt 5, 3-12). Una simile dinamica di esistenza, e i credenti lo sanno bene, esige tutta la vita. Un ideale di questa misura non è fatto per essere coltivato a domicilio, al riparo dagli sguardi, nelle ore di riposo o di tempo libero, come ci si rilassa a potare le rose o a suonare il violino. Se le Beatitudini hanno un senso non potrebbero essere vissute a part-time, separate da ciò che costituisce il nerbo della vita, la serietà degli impegni e delle responsabilità, sul lavoro, in ufficio, nei comitati, negli organismi, nelle attività professionali. Il Vangelo è fatto per impregnare tutta l’esistenza e non soltanto alcuni frammenti inoffensivi raggruppati nelle ore di tregua, di intimità o di riposo.

Ciò che temono le nostre società sono gli slittamenti o gli assalti di una fede che cerca di imporsi. In realtà anche il rispetto degli altri e delle sue convinzioni fa parte del Vangelo. Nello stesso Sermone della Montagna, ancora di seguito alle beatitudini, Matteo ha collocato la parola di sapienza: “Quel che tu vuoi che si faccia a te, fallo agli altri” (Mt 7,12).

Inoltre le immagini del sale, della lampada, della città non rimandano a una fede che si dice, ma all’attrazione di una fede che si vive: “Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone – e non perché ascoltino quel che voi dite di buono - e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli” (Mt 5, 16). Chi dunque può impedire la vita? E quale società ci guadagnerebbe nell’attingere a una fonte che non sia sgorgata da quel che può conferirle senso, unificazione e motivazioni?

 

(da La Vie Spirituelle, n. 763, marzo 2006)

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Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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