Per questo le persone spirituali, di qualsiasi cultura o religione esse siano, lasciano sempre una traccia vitale che feconda la terra. Spesso essa è invisibile agli occhi frettolosi di molti, perché l'ambito spirituale, come tutte le realtà definitive, appartiene a quelle dimensioni del reale che possono essere percepite solo con i sensi interiori e passano quindi inosservate agli uomini che non hanno sviluppato un'interiorità profonda. Come ricordava S. Paolo: «L'uomo psichico (psyxikòs antrapos) non comprende le cose dello Spirito di Dio; esse sono follia per lui, e non è capace dì intenderle, perché se ne può giudicare solo per mezzo dello Spirito. L'uomo spirituale, invece, giudica ogni cosa» (1 Cor. 2, 14s.), L'uomo psichico (nella traduzione della Cei: l'uomo naturale) è colui che reagisce a tutti gli stimoli secondo le connessioni celebrali fissate dalle esperienze della prima parte dell'esistenza, quando egli non era ancora in grado di capire e di gestire le proprie reazioni. Esse sono state successivamente consolidate da tutte le decisioni omogenee compiute durante gli anni della crescita personale sotto lo stimolo degli istinti già stabilizzati. L'uomo spirituale, invece, è condotto dalla forza vitale o energia divina, che irrompe dal futuro e introduce novità. Essa, nella terminologia della tradizione cristiana, ha il nome di Spirito santo. L'uomo spirituale, perciò, è colui che, condotto dallo Spirito, accoglie ed esprime forme nuove di vita. Egli, percorrendo la storia umana, lascia tracce dì Dio, spesso invisibili ma reali. Tracce anticipatrici del futuro e anche per questo, quando solcano la storia, non sono riconoscibili e assimilabili. Possono però, a tempo opportuno, riaffiorare e diventare feconde, quando le circostanze storiche le rendono riconoscibili. La condizione perché riaffiorino è che siano custodite ed evocate dalla fedeltà degli amici. In questa attenta memoria di ricchezze spirituali risiede la risorsa principale delle comunità ecclesiali. Esse conservano non solo la memoria della fedeltà di Cristo e della rivelazione di Dio, da Lui realizzata, ma anche quella di coloro che, in nome suo, hanno continuato il cammino da Lui tracciato nella storia. Questa preziosa memoria può diventare risorsa per tutta la Chiesa e per l'intera umanità quando esprime forme nuove di fedeltà all'Amore e quindi inedite qualità umane.
Giovanni Vannucci
In questi giorni è sempre più frequente imbattersi in ricordi del Padre Giovanni Vannucci dei Servi di Maria (1913-1984). È una sorpresa, perché la sua vita si è svolta nel silenzio e ai margini della stessa struttura religiosa di appartenenza, il glorioso Ordine dei Servi di Maria. L'interesse per la persona e il pensiero di questo Padre Servita, schivo e spesso emarginato durante la sua vita, ha per questo del sorprendente. Vengono ristampati suoi libri, pubblicate omelie inedite, trascritti ritiri e conferenze conservati con diligenza da amici e discepoli.
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Il tratto più chiaro della spiritualità di P. Giovanni, come traspare da tutti i suoi scritti e dalle stesse sue scelte, è la tensione contemplativa: lo sguardo rivolto oltre la superficie delle cose; l'avvertenza a cogliere l'azione dì Dio presente nella creazione e negli eventi della storia umana, a percepire il senso del Tutto che avvolge l'uomo, la consapevolezza del fluire continuo della vita sotto l'impulso dello Spirito. La sensibilità contemplativa non è il frutto di ragionamenti o dì analisi intellettuali, né di decisioni imposte dalle leggi. Essa, invece, fiorisce nelle persone quando si realizza una sintonia con la realtà in processo, con il divenire della storia salvifica.
Lo sguardo contemplativo è rivolto oltre la superficie e coglie l'essenziale della vita e degli eventi. In termini cristiani il Tutto che avvolge l'uomo è l'amore di Dio che ci attraversa e ci costituisce. Quando si chiede: «Dio dov’è?», E Giovanni non può far altro che rispondere: «È in noi» e precisa: «Noi siamo immersi in Dio come siamo immersi nell'aria. Inspiriamo ed espiriamo, l'aria entra in noi ed esce da noi. E così siamo immersi in Dio e dobbiamo trovare il punto giusto di respirazione in Dio, perché Dio scenda in noi e ci trasformi e lentamente ci dia tutta quella pienezza di conoscenze che sono Lui e che non raggiungeremo se cominciamo a giocare con i concetti, con ì pensieri, con le idee razionali. Non ci interessa niente la definizione di Dio; quello che ci interessa è il nostro incontro personale con Dio» (Nel cuore dell'essere, p. 104). Puntualizzava ancora il suo pensiero: «Siamo in cammino verso Dio e non verso le definizioni di Dio. Siamo in cammino verso l'incontro con la realtà divina e non siamo in cammino per compiere determinate pratiche religiose» (ib., p. 107). Concludeva: «Il nostro incontro con Dio è personale e con l'avanzare dell'età ci avviciniamo sempre più alla sorgente dì vita che, scendendo in noi ci trasforma e ci rende nuovi» (ib., p. 109).
Ogni pagina scritta da P. Giovanni contiene echi di questo incontro con «la sorgente della vita». Costituisce infatti il cuore della esperienza religiosa e quindi il centro della sua esistenza feconda. Due giorni prima di morire egli terminava la solita lectio divina del sabato (16 giugno 1984) all'Eremo delle Stinche, che egli aveva fondato, con queste parole: «la realtà è che siamo immersi in un oceano d'amore. Gesù è venuto a ricordarcelo» (Fraternità 17 febbraio 1985 e giugno 1986). In una omelia osservava che l'insegnamento fondamentale del Vangelo non è l'amore per il prossimo bensì l'amore di Dio per noi: «prima che noi esistessimo, nel silenzioso mondo del nulla, un amore ci amava e un amore pronunciava il nostro nome, che poi è apparso all'esistenza». Chiedeva poi ai presenti: «Ve lo siete mai detto nella vita, ve lo siete mai detto che siete amali da Dio?... Quando cominciamo a sentire profondamente nel nostro intimo questa verità, allora il nostro modo di comportarsi con gli altri cambia» (Nel cuore dell'essere, p. 151). Per molti P. Giovanni è stato testimone di Dio perché ha colto nella sua vita e trasmesso agli altri la presenza del divino, ha svelato loro il mistero delle cose e il senso della vita. La tensione, infatti, delle riflessioni dì P. Vannucci è orientata sempre a Dio, come lo era la sua esistenza. Egli sapeva per esperienza che «lo slancio verso la vita, l'amore per la vita, la spinta verso una gioia che deve continuamente crescere nel nostro essere, ci permetteranno dì vivere in mezzo agli uomini come portatori del mistero dì Dio, che è un mistero di vita, un mistero di gioia» (ib. p. 125). Ma egli soprattutto sapeva che lo sguardo luminoso e le esperienze vissute in profondità conducono a Dio, perché le cose appaiono nella loro precarietà e insignificanza di fondo. Per questo, «una volta raggiunta la pienezza della maturazione, dobbiamo rinunciarvi per immergerci nella presenza di Dio che è in noi. Allora diventiamo infiniti come è infinito Dio. La nostra volontà diventa la volontà stessa di Dio, il nostro pensiero raggiunge la saggezza, che è la saggezza di Dio» (p. 128 s.).
L'immagine di Dio che P. Giovanni presenta non è sigillata, ma aperta, non è fissata in termini precisi, ma suggerita attraverso simboli, evocata con il richiamo ad esperienze spirituali, intravista come bagliore di luce nella foschia dei pensieri umani. Questo è un altro segno della sua ricchezza spirituale. L'uomo religioso, infatti (quando resta nel piano psichico) ha la tentazione di rendere assoluta la sua immagine dì Dio. L'uomo spirituale, invece, si distingue per la consapevolezza che ogni immagine di Dio è imperfetta e che tutte possono concorrere all'intuizione della Bellezza pura. Da questa attitudine deriva il frequente ricorso alla simbologia di altre culture e di altre religioni. La sua preziosa, ampia raccolta di preghiere di tutti ì popoli è una testimonianza inequivocabile dell'attenzione alle molte espressioni simboliche del divino nel mondo. Questo atteggiamento lo ha condotto a valorizzare tutte le autentiche espressioni religiose in qualsiasi forma siano state espresse e ovunque siano fiorite. Esse infatti sprigionano ricchezze spirituali, qualità umane definitive. Chi si avventura a seguire le tracce del cammino di P. Giovanni è in grado di avvertire il ritmo diverso dei suoi pensieri e gli accadrà dì apprendere una sapienza arcana, quella che egli aveva assimilato nella lunga stagione del silenzio e per l'abitudine assidua alla preghiera contemplativa.
Carlo Molari
(da Rocca, 15 dicembre 2004, pp. 46-47)