Vita nello Spirito

Mercoledì, 29 Settembre 2004 01:22

La libertà e il potere della croce

Vota questo articolo
(3 Voti)

di Silvano Fausti
gesuita, teologo e biblista

Come dire Dio al mondo d'oggi? È una questione che m'appassiona da quarant'anni. Già quando studiavo filosofia e poi teologia e filosofia del linguaggio mi rendevo conto che Dio andava scomparendo da un certo tipo di linguaggio e di cultura.

 Erano i tempi della "morte di Dio", della secolarizzazione e di tanti altri fenomeni determinati da una grande trasformazione culturale. Sia durante gli studi, sia nel lavoro successivo mi sono chiesto come trasmettere al mondo d'oggi, così diverso dal precedente, quello che è il senso della nostra vita offertoci dal Vangelo.

Dopo un periodo di insegnamento, ho avuto modo di praticare l'evangelizzazione. Da 35 anni propongo la lettura del Vangelo. Ho imparato cosa dice il Vangelo, con quale linguaggio lo dice e in che modo risulta eloquente per il mondo d'oggi. La mia grande scoperta è che l'evangelizzazione si fa col Vangelo. Paradossalmente quasi nessuno lo sa.

L’evangelizzazione suppone l'evangelizzatore, il destinatario e il nocciolo dell'annuncio.

Nel libro degli Atti, gli apostoli pongono a Gesù un'ultima domanda: "è questo il momento in cui instauri il regno di Israele?" (At 1, 6-8). Per loro voleva dire: è questo il momento in cui il mondo viene salvato, in cui si risolvono tutti i problemi, in cui quel che tu hai detto finalmente si realizza?

L’ultima risposta di Gesù è: "Non sta a voi conoscere il tempo e i momenti". C'è un'altra cosa da fare. Volete realizzare il Regno di Dio? Bene. Siate testimoni fino agli estremi confini della Terra. In genere si dice: mi sarete testimoni. In realtà c'è un errore di traduzione. Dire "mi sarete testimoni" implica l'uso di un dativo di vantaggio: per me sarete testimoni, per me farete chissà che, anche le crociate, anche prendere il potere.

No. Non sta scritto così. Sta scritto: "Sarete testimoni di me", che è un'altra cosa. Essere testimone di uno, vuol dire essere come lui, con la forza dello Spirito. E su questo concetto di testimonianza si delinea poi tutta l’evangelizzazione. Tante volte, la causa dell’incredibilità di Dio è che noi lo rendiamo davvero incredibile con quel che diciamo e facciamo. La sua credibilità è affidata alla nostra testimonianza, al nostro vivere le beatitudini, all’essere sale della terra, luce del mondo, buon profumo di Cristo - come dice la Seconda lettera ai Corinzi. L’evangelizzazione avviene così. In un secondo tempo può intervenire anche l’annuncio, con molta cautela, come dice Pietro nella sua prima lettera (1Pt 3,15): "Santificate Cristo nei vostri cuori - i nostri cuori siano santi, siano suoi, siano di Dio e trasparenti della sua esistenza – sempre pronti a fare apologia – apologia vuol dire rendere conto, rispondere – a quelli che vi domandano della bella speranza che vedono in voi". Vi chiedono: come mai vivete in questo modo? È così bello! Allora se ne spiega il motivo.

Qui sta la questione fondamentale dell’annuncio del Vangelo. In ogni comunicazione, se è vera comunicazione, tu non comunichi quel che dici, ma, in qualche modo, quello che sei. Altrimenti fai propaganda e la propaganda serve ad imbrogliare il cliente. L'evangelizzazione corre sempre un tale rischio. Sono le tentazioni che ha avuto Gesù, volete che non le abbiamo noi? Non aggiungo altro in proposito, ma ho ritenuto giusto puntualizzare, perché il caso serio è questo. È la forza dello Spirito che ci rende testimoni. È poi importante conoscere il mondo a cui ci rivolgiamo. Fino a poco tempo fa, la fede è stata trasmessa attraverso la cultura e la cristianità. Se uno nasceva in Italia era cattolico, se nasceva in Arabia era musulmano, se in India di un'altra religione, se in Giappone di un'altra ancora. A me è capitato di nascere qui e sono cattolico. Più o meno l’orizzonte era quello. Tutto il mondo era paese nel senso che ovunque c’era questo tipo di trasmissione. Oggi è avvenuta una trasformazione che fa sì che ogni paese sia mondo.

Il mutamento concerne l’orizzonte culturale. L’orizzonte è il limite; ogni cultura ha i suoi limiti e le sue definizioni entro cui uno si trova a proprio agio perché trova dei punti di riferimento precisi.

Il cambiamento avvenuto negli ultimi trent’anni ha radici antiche, che affondano nel fatto che l'uomo non ha una natura. Qual è la natura dell'uomo? La sua natura è cultura. Possiamo parlare di natura degli animali, programmati dall'istinto per conservare la specie e l'individuo. L'uomo, invece, è aperto all'infinito dal desiderio, perché è figlio di Dio e Dio è infinito. Quindi non ha una natura. La Bibbia ci dice di ogni animale che è fatto secondo la sua specie. L'uomo non appartiene ad alcuna specie. Determina lui la sua natura, come diceva già Pico della Mirandola. Dipende da cosa si propone. Se tu ti proponi il denaro diventi della natura di zio Paperone che è una natura ben precisa e abbastanza nota. Se invece ti proponi l'amore del prossimo, puoi diventare come Madre Teresa. Sono due realtà diametralmente opposte.

Per molti fattori che non sto ad elencare – non ultimo, anzi forse primo, quello della tecnica e della tecnologia – oggi abbiamo raggiunto l’affrancamento dai condizionamenti della natura. Non perché non ci sia più la natura, ma perché conoscendone meglio le leggi possiamo intervenirvi. Da quando l’uomo esiste, per la prima volta ha la possibilità di cambiare come vuole tutto, dal codice genetico in poi.

Siamo liberi da tutto, dalla natura, dalla società, dalle culture che si confondono ormai a caffelatte. Non abbiamo più una cultura determinata. Il mercato ce ne offre di infinite e ognuno fa la sua sintesi. Così nella religione, così nella professione, così anche nei rapporti interpersonali. È stato ciò che in fondo era un patto sociale e il nostro orizzonte è il non avere più orizzonte. È il no limit il nostro orizzonte. Siamo totalmente liberi.

Il problema è cosa fare della nostra libertà. Ci sono due posizioni: una è quella religiosa delle persone buone e devote. È in fondo il tentativo di ancorarsi alla religione, alle certezze, alle sicurezze – non alla verità, che va sempre oltre noi – per sapere dove andare a finire, se no siamo spaesati e persi. Così si spiega anche un fondamentalismo religioso, una rinascita del religioso, molto acritico, che sacrifica la libertà alla legge e l’uomo a Dio. Oppure c’è l’altra soluzione, quella che la maggior parte adotta: lascio perdere la legge, almeno faccio quel che mi pare e piace. Purché mi riesca. Lasciamo perdere Dio. Dio non c’è più, Dio sono io. Per questa via sacrifichi Dio all’uomo. Sono due alternative uguali e speculari, una contro l’altra: ciascuna nega ciò che l’altra afferma.

Penso che bisognerebbe prendere molto sul serio la libertà come destino dell'uomo sin dal principio e capire che la situazione in cui viviamo oggi è davvero un kairos, un momento opportuno per l'annuncio del Vangelo. Questo presente è il migliore che ci sia. Prima di tutto perché è l'unico che c'è, poi perché questo è il mondo che Dio ama. E se Dio è davvero colui che ha fatto il mondo e lo governa, forse dovremmo anche capire che in questa situazione del mondo c'è davvero per noi un significato profondo proprio sulla libertà.

Già all’inizio del Nuovo Testamento la predicazione fondamentale di Paolo era sulla libertà – Gal 5,1: "Siete stati liberati per la libertà" - e già allora, come ai nostri giorni la libertà voleva dire due cose. Una che conosciamo tutti: libertà di fare i miei interessi; quella libertà che ha solo il potente e che fa dio in terra, contro la legge e contro tutti. È una libertà che l’uomo ha

sempre cercato; è una libertà stupida e però oggi anche possibile. È il concetto corrente di libertà e non solo in Italia.

Paolo propone un'altra libertà, che è la libertà di Cristo, la libertà di amare e servire (Gal 5, 12-13).

Per noi si tratta di testimoniare oggi il valore e il fine della libertà, che è l'amore. L'amore che da la vita, non quello che la toglie. Vorrei portare un esempio sostanziale di evangelizzazione attraverso il Vangelo di Luca che è il Vangelo della libertà e della salvezza. Diciamo sempre che Cristo ci ha liberati con la sua croce. Ma guardiamoci in faccia: non è tutto come prima? I potenti continuano a dominare, gli umili sono schiavi, il mondo è ingiusto, l'innocente soffre, a chi fa il male va sempre bene, e alla fine crepiamo tutti... Che salvezza ha portato Gesù?

Luca ci risponde con la crocifissione. Lì vediamo che Gesù ci ha liberati innanzitutto da Dio. Un Dio crocifisso è la morte di ogni dio che ci inventiamo noi ed è l'unico vero Dio. Gesù ci libera da quel Dio padrone che tiene in mano tutti e tutto. Non è una piccola libertà. Siamo finalmente liberi nella religione, liberi da quella falsa immagine di Dio che satana messo nell'uomo. Finalmente respiriamo. Questa è la prima buona notizia. Tutte le religioni, in fondo, esigono il sacrificio dell'uomo a Dio. Il cristianesimo è il contrario: è Dio che si sacrifica all'uomo.

In genere. noi presentiamo un Dio che non è questo.. Ne presentiamo uno che è comune a tutte le religioni. Diciamo che Gesù è Dio, applicando a lui le nostre idee su Dio. Invece dobbiamo dire il contrario: Dio, che nessuno ha mai visto, è Gesù. Nella sua carne, che i primi testimoni hanno visto e ci hanno raccontato, si vede chi è Dio. È la carne, quindi, che rende visibile Dio. Dio è Gesù.

Quando Pietro dice a Gesù: "Tu sei il Cristo", egli risponde: "Dietro di me, satana!" perché lui non è quel Cristo con l'articolo determinativo che ha in mente Pietro. Gesù non è il Cristo che penso io, ma un Cristo che io neanche mi sogno.

Quando dicono a Gesù morente: "Se tu sei il figli di Dio, l'eletto, scendi dalla croce perché vediamo e crediamo", lui resta in croce. E proprio perché resta in croce è Dio. Se scendesse, sarebbe come noi, che mettiamo in croce gli altri. Questa immagine di un Dio morto, che mi rivela chi è Dio, è inaccettabile e ripugnante per tutte le religioni. In fatti i capi del popolo, i capi religiosi, storcono il naso. Eppure è proprio un Dio morto che fa vivere l’uomo; ed è il vero Dio perché dà la vita per amore.

La seconda obiezione la fanno i militari, che rappresentano il potere, perché il potere si ottiene con le armi e si mantiene con il denaro e quando non basta più il denaro si torna alle armi. Gli dicono: "Se tu sei il re d'Israele salva te stesso". Il re è l'uomo libero e potente che si salva comunque.. Sono gli altri a pagarne i costi, perché il re è Dio in terra. Se hai una certa immagine di Dio, hai anche una certa immagine di uomo. Se Dio è l'onnipotente, anche tu vuoi essere onnipotente e cadi nei deliri di onnipotenza.

Gesù invece è l'uomo libero, la vera immagine di Dio, perché resta in croce e manifesta un potere che nessun potente conosce: quello di dare la vita, di amare fino a quel punto. Per questo è come Dio. Il vero uomo realizzato non è il potente che veneriamo e chiamiamo re. Uno col quale tutti ci identifichiamo e adoriamo attraverso i mass media. Questo è un tipo d’uomo mal riuscito. Uomini così fanno male a sé e agli altri. Sono schiavi dell’egoismo e rendono schiavi gli altri. Dal punto di vista politico il crocifisso è la liberazione dal potere dell'uomo sull'uomo. Cosa che i cristiani non capiscono mai, da quando sono al potere e rimpiangono i tempi in cui ne avevano di più. Non è una piccola liberazione guarire dalla falsa immagine di uomo che ci guasta tutti, fa sì che si amo attratti dagli aborti di uomo e ci induce a voler essere come loro. Per questa ragione la croce è veramente il dono di una grande salvezza.

(Questo testo, non rivisto dall’autore, è tratto da una conferenza del 6 novembre 2003 a Milano, presso l’auditorium del Museo dei beni culturali cappuccini).

(da Mondo e Missione, gennaio 2004)

Letto 2630 volte Ultima modifica il Martedì, 20 Settembre 2011 14:21
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

Search