In ricordo di P. Franco

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Fasi della cultura europea d'oltralpe

Mattia Flacio (1520-1575):
agli albori del luteranesimo *
di Renzo Bertalot


Venezia

Al di la delle Alpi si riteneva che la capitale della Serenissima potesse sponta­neamente aderire alla Riforma protestante e diventare così la “Ginevra Italiana”. (2) e Giordano Bruno rife­rendosi ad Enrico IV di Francia. Nel 1542 Bernardino Ochino scrisse al Senato della Repubblica (3) e nel 1545 Pier Paolo Vergerio già vescovo di Capodistria, passato al pro­testantesimo, invitò ufficialmente, a nome dei principi tedeschi, il doge Francesco Donà a prendere posizione a favore della Riforma. (4) Dal 1553 al 1562 Giovanni Andrea Ugoni continuò a sperare che Venezia accettasse l'invito rivoltole più volte. (5) Mattia Flacio, nel 1570, scrisse al Doge, (6) ma fu un'illusione.

I libri della Riforma ebbero un'ampia circolazione a Venezia che fu anche un centro di esportazione. Si calcola che circa quarantamila copie del Il Beneficio di Cristo, ritenuto il cate­chismo della Riforma, circolassero a Venezia. Si ritiene che sei­mila studenti, cosiddetti "luterani", frequentassero l'università a Padova. E seicentottanta danesi vi studiarono durante il XVI secolo. (7) Inoltre vi furono almeno due sinodi anabattisti.

Molti teologi italiani passarono alla Riforma e diven­nero titolari di prestigiose cattedre in Inghilterra, Germania e Svizzera.

Tuttavia per motivi di sangue blu e di famiglia, (8) vi furo­no anche molte esitazioni e ben presto i riformatori al di là delle Alpi dovettero rendersi conto che i principi italiani non avevano autorità sufficiente per introdurre la Riforma nei loro paesi. (9)

Bisogna tenere presente che le turbolenze dal punto di vista religioso si aggravarono e si complicarono con il 1547, anno della morte di Enrico VIII, di Francesco I e della sconfitta a Mühlberg della Lega di Smalcalda organizzata dai principi protestanti in funzione antiasburgica. (10)

Filippo Melantone (1497-1560)

Non è possibile richiamare il nostro tema senza che il nostro pensiero vada immediatamente a Melantone (gre­cizzato da Schwartzerdt), personaggio chiave del periodo accanto a Lutero.

Filippo Melantone nacque a Bretten il 16 febbraio 1497. A diciassette anni era già professore a Tubinga e in seguito insegnò ebraico e greco a Wittenberg collaborando con Lutero alla traduzione della Sacra Scrittura. Nel 1521 furono pubblicati i Loci communes rerum theologicarum (la prima opera dogmatica della Riforma) (11) che circolarono rapidamente in tutta Europa e costituirono la base di partenza dei circoli riformati italiani. Melantone si occupò anche di storia, di matematica, di astronomia e di scienze naturali.

Essendo Lutero bandito dall'Impero, toccò a Melantone presentare alla Dieta la Confessione di Augusta del 1530. Lutero l'aveva preventivamente appro­vata. In vista di salvare il salvabile la confessione si limitò a sottolineare gli "abusi" da rivedere. Melantone perciò fu considerato un uomo di compromesso.

Per quanto riguarda l'Italia sia i Loci che la Confessione Augustana trovarono l'epicentro della loro diffusione a Venezia, a Padova, a Modena, a Roma, a Napoli, a Siena e a Firenze. Abbiamo già ricordato che Melantone visitò Udine e Trieste e che nel 1539, da Norimberga, scrisse al senato della Repubblica Veneta.

I testi circolavano anche sotto il nome italianizzato di Ippofilo da Terra Nera. (12)

Melantone morì a Wittenberg il 19 aprile 1560 e fu sepolto accanto a Lutero nella chiesa del Castello.

Fu considerato, per la vastità del suo insegnamento e la riorganizzazione dell'educazione scolastica Praeceptor Germaniae, Praeceptor Scandinaviae, Praeceptor Europae e lo fu certamente anche dell’Italia nell'ambito della Riforma protestante. (13)

Mattia Flacio (1520-1575)

Mattia Flacio nacque il 3 marzo 1520 ad Albona qualche decina di chilometri a Nord-Est di Pola, città a maggioran­za luterana ai tempi del vescovo Pier Paolo Vergerio. Studiò a Venezia; fu particolarmente attento al Rinascimento. Andò a Basilea. Incontrò Gasparo Contarini a Ratisbona nel 1541 e poi si recò a Wittenberg dove aderì decisamente alla Riforma convintosi sulla giustificazione per fede. Ebbe la stima di Lutero ed ottenne la cattedra di ebraico e più tardi quella di Nuovo Testamento a Jena. (14)

Il 24 aprile del 1547 la Lega antiasburgica dei principi protestanti fu sbaragliata a Mühlberg. Con l'Interim di Augusta 1548 e poi di Lipsia, con la perdita dell'Elettore Maurizio passato nelle File di Carlo V, le imposizioni dei vin­citori passarono senza protesta. Non si menzionò la giustifi­cazione per fede. (15) La messa fu ristabilita ovunque (anche a Wittenberg, dove Lutero era morto nel 1546). Carlo V con­cesse effettivamente il matrimonio dei preti e il calice ai laici. L'esperimento fu tentato a Strasburgo, ma fallì. (16)

Non si parlò più di giustificazione in senso luterano, ma di giustizia infusa: la fede divenne una virtù e l'autori­tà tornava sub Petro.

Allora insorse energica­mente Flacio che divenne il capo dell'opposizione a Melantone e ai suoi sostenitori detti filippisti. La Riforma intanto si riafferma. (18)

Contro Melantone presero posizione molti teologi riformati. Lo stesso Calvino ritenne vergognoso l'atteg­giamento di Melantone. (19) Flacio era burbero di carattere e comunque intransigente sostenitore del dogmatismo luterano ortodosso. Lascia Wittenberg in rottura con Melantone. Nel 1562 gli muore la moglie; più tardi si risposerà. (20) Nel 1570 scrive al doge di Venezia invitando­lo ad abbracciare la Riforma: un'illusione. Visita Anversa. Il 12 marzo 1575 muore a Francoforte sul Meno.

Tra gli scritti di Mattia Flacio rimarranno significativi attraverso i secoli: la Clavis Scripturae Sacrae, un'opera siste­matica della riforma luterana del 1567 e le Centurie di Magdeburgo (1559-74), in tredici volumi (ne erano previsti sedici: uno per ogni secolo), frutto di molti viaggi e della consultazione di molti manoscritti. (21) Flacio cercò di stabili­re attraverso i secoli una catena di testimoni dell'Evangelo come autentica successione apostolica. In questa linea lodò anche i valdesi. L’opera segna la rinascita della storiografia. (22)

Mattia Flacio rimane una delle figure più significative della seconda generazione della Riforma protestante. (23)

La Formula della Concordia: dispute e conclusioni

Non è compito nostro soffermarci sulla Formula di Concordia. Essa è diventata uno dei libri simbolici della chiesa luterana e continua ad interpellare le chiese. (24) Raccoglieremo qua e là qualche spunto sulla contrapposi­zione che era venutasi a creare. La Concordia ha voluto esprimere un giusto equilibrio tra le parti. Intanto non va dimenticato che nel 1542 viene introdotta l'inquisizione di tipo spagnolo che porrà fine ad ogni tentativo di ade­sione alla Riforma in Italia. Inoltre sempre nel 1542 v'è la confluenza di calvinisti e di zwingliani nella Chiesa Riformata. Seguono il Concilio di Trento (1545), la scon­fitta antiasburgica dei principi protestanti (1547), gli Interim di Augusta e di Lipsia (1548-49), avallati senza protesta. (25) V'è notevole scompiglio dovuto alla restaura­zione della messa cattolica e il passaggio dell'elettore Maurizio alle file di Carlo V.

Melantone è visto come l'uomo del compromesso e della tolleranza, ma anche di velato sinergismo. È stanco della rabies theologorum. (26)Sull'eucaristia è accusato di criptocalvinismo per essersi avvicinato alle idee di Bucero e di Calvino. Sulla questione degli adiafora, degli elemen­ti dogmaticamente insignificanti, dimostra una certa apertura, ma Flacio, diventato il capo degli oppositori a Melantone interviene avvertendo che non bisogna mai cedere agli avversari. Occorre sempre riaffermate la Riforma.

La Formula della Concordia trovò una via di mezzo tra i contendenti.

Sulla giustificazione Melantone e Flacio erano d'accor­do, in quanto la fede è madre e fonte di buone opere, ma non lo erano sulla necessità di buone opere per la salvez­za e sulla predestinazione. In materia di cooperazione la volontà non resiste, ma si adatta, ha quindi la capacità di una giusta decisione nonostante il peccato originale. Ma per Flacio Dio solo converte perché il peccato ha trasfor­mato sostanzialmente l'uomo in una immagine di Satana. La Formula della Concordia respinge sia i flaciani sia i sinergisti: lo Spirito Santo può illuminare l'uomo verso l'obbedienza e la cooperazione; si tratta di un inizio nuovo della vita anche se permangono imperfezioni. Chi cade non va ribattezzato, ma riconvertito.

I teologi luterani si trovavano divisi in sostanzialisti o accidentalisti. Ma il peccato come sostanza non trovò cre­dito e Mattia perse la cattedra a Wittenherg, da dove già erano stati cacciati i filippisti.

Il seguito nei nostri tempi

Per descrivere l'incapacità dell'uomo a salvarsi, la Formula delta Concordia afferma, secondo Flacio e giu­stamente secondo Barth, che l'uomo è truncus et lapis perché l'alleanza è irrimediabilmente rotta. Tuttavia per Barth l'alleanza non è abolita perché opera onnipotente di Dio. Dio continua a pronunciare il SI’ sull'uomo, ne assume la morte per vincerla. L’uomo pecca nel dominio di Dio che solo decide quel che l'uomo è. È sotto l'auto­rità della Parola anche come fallito. L'uomo muore davanti a Dio.

Non è possibile quindi considerare l’"ateismo ontolo­gico" di Flacio che fa dell'uomo l'immagine sostanziale del diavolo. Lo status corruptionis è una degenerazione della relazione. La colpa è una questione di orgoglio: un debito, una negligenza una mancanza e una confusione del rapporto. L’uomo è responsabile del dono ricevuto, ma non ha la libertà alla quale è chiamato; scatena così il caos. La sola riparazione sta nel perdono perché l'uomo non è senza Dio. Di fronte a questo mistero dell'onnipo­tenza divina bisogna fermarsi senza tirare in ballo l'onni­presente tentazione della religione. (27)

La discussione sulla "cooperazione", sulla "sostanza" e sulla «relazione" continuerà a travagliare, con accenti diversi a seconda delle epoche, la teologia dei secoli suc­cessivi. Allo scadere del XX secolo si possono intravede­re le luci antesignane di tempi nuovi. Si tratta della Concordia di Leuenberg, della Dichiarazione Congiunta sulla giustificazione per fede (28) e della Carta Ecumenica per l'Europa. Sono documenti collettivi che trovano un sempre più ampio consenso tra le chiese e le singole comunità che rivelano l'inutilità dei dialoghi captativi (proselitismo) o oblativi (perdita d'identità). La disponi­bilità al dialogo (al cambiamento) sembra aprire nuovi orizzonti lasciando sedimentare nelle biblioteche e negli archivi, a beneficio degli studiosi, la storia dell'incomuni­cabilità degli uomini e della divisione delle chiese.

Note

* Il presente testo è apparso in Studi Ecumenici, cf. R. Bertalot, Mattia Flaco: agli albori del luteranesimo, in Studi Ecumenici, 20 (2002), pp. 453-459.

1) S. Caponetto, Melantone e l’Italia, Claudiana Torino, 2000 p 19.

2) R. Bertalot, Dalla Teocrazia al laicismo. Propedeutica alla filosofa del diritto, Università di Sassari, Sassari, 1993.

3) S. Caponetto, La Riforma protestante nell'Italia del Cinquecento, Claudiana, Torino, 1992, pp. 60 ss.

4) Id.

5) G. Gullino (a cura), La Chiesa di Venezia tra Riforma Protestante e Riforma Cattolica, Ed. Studium, Venezia, 1990; cf. S. Tramontin, Tra Riforma cattolica e Riforma protestante, in S. Tramontin (a cura), Storia religiosa del Veneto. Patriarcato di Venezia, Giunta Regionale del Veneto – Gregoriana Libreria Editrice, Padova, 1991, p. 100.

6) E. Comba, I nostri protestanti Il, Claudiana, Firenze, 1895, p. 383.

7) F. Melantone, Lettere per l'Europa, Claudiana, Torino, 2000, p. 46; cf. S. Caponetto, Benedetto da Mantova. Marcantonio Flaminio: Il Beneficio di Cristo, Claudiana, Torino 1975.

F. Ambrosini, Storie di patrizi e di eresia nella Venezia del '500, Franco Angeli, Milano, 1999. D. Cantimori; Umanesimo e religione nel Rinascimento, Einaudi, Torino 1975, pp. 183-188.

10) Caponetto, La Riforma protestante, p. 229.

11) Melantone, Lettere, p. 24.

12) Caponetto, Melantone; pp. 7, 27, 55-59.

13) Melantone, Lettere, IVs,, 27, 46-55.

14) Comba, I nostri protestanti Il, pp. 361ss.

15) J. L. Neve, A History of Christian Thought I, The Muhlenberg Press, Filadelfia 1946, p. 295.

16) Caponetto, La Riforma protestante, p. 179.

Comba, I nostri protestanti II, p. 370; K. Heussi, G. Miegge, Sommario di storia del cristianesimo, Claudiana, Torino, 1960, pp. 215 ss.

18) Comba, I nostri protestanti II, p. 370.

19) Neve, A History, pp. 295s.

20) Comba, I nostri protestanti II, p. 381.

21) L. A. Loescher, Twentieth Century Enciclopedia of Religious Knowledge, Baker Book House, Grand Rapids 1955, voce Flacius,

22) Comba, I nostri protestanti Il, p. 376.

23) Loetscher, Twentieth, voce Flacius.

Tillich, Storia del pensiero cristiano, Ubaldini, Roma 1969, p. 265.

25) Neve, A History, pp. 295-304.

26) Cornba, I nostri protestanti II, pp . 368ss. pp. 375-390.

27) K. Barth, Dogmatique, vol. XVIII, Ed. Labor et Fides, Ginevra 1966, pp. 134ss.

28) R. Bertalot, Fasi della cultura europea d'oltralpe, Istituto di Studi Ecumenici, Venezia 2002, pp. 52-58.

Pubblicato in Chiese Cristiane
Sabato, 06 Maggio 2006 19:45

Stabat Mater (Renzo Bertalot)

Il fìat di Maria non è solo l'espressione della sua fede nell'incontro con la Parola, ma anche spiega la profondità del dolore di una madre che dovrà confrontarsi con il crollo apparente delle promesse divine annunziate.

Pubblicato in Chiese Cristiane
Venerdì, 07 Aprile 2006 01:19

Salve Venezia (Renzo Bertalot)

Salve Venezia

di Renzo Bertalot

1. Premessa

Non si può ricordare l'ecumenismo che si è sviluppato a Venezia negli anni sessanta senza richiamare i precedenti che lo hanno determinato. Si tratta di richiamare rapidamente l'esperienza fatta all'estero e più precisamente in Canada negli anni 1954-61.

Appena consacrato pastore dal sinodo valdese del 1954 trascorsi i primi sette anni del mio lavoro con la comunità italiana della Chiesa Presbiteriana del Canada, che si trovava a Montreal, nella provincia del Quebec. Era necessario conoscere le due lingue del luogo e mantenere i rapporti ecclesiastici in inglese. Ero uno dei tanti pastori stranieri al servizio degli emigranti europei. I particolarismi e i provincialismi di ognuno cedevano lentamente il passo all'interesse comune per il pane quotidiano e alla spontanea e reciproca solidarietà.

Le comunità di lingua straniera erano luoghi di forte aggregazione. Nonni, figli e nipoti si trovavano insieme in tutte le attività. Con il tramonto dei nonni bisognava inserire le nuove generazioni nel mondo inglese e vederle cavalcare i fusi orari senza apparente difficoltà. La consistenza delle comunità era evidentemente destinata ad assottigliarsi sempre più. A quarant'anni di distanza la mia antica comunità italiana si è trasformata in comunità presbiteriana coreana.

Le comunità di lingua inglese o francese subivano un fenomeno analogo nel senso che ogni anno il settantacinque per cento si trasferiva altrove e veniva sostituito da elementi delle stessa lingua. Così diversa dall’Europa la cura pastorale si trasformava nell’esercizio di un ministero a favore di una continua processione di gente sempre in movimento.

Anche gli studi assumevano aspetti diversi almeno per le minoranze degli immigrati. Con un titolo universitario italiano era possibile iscriversi agli studi per il Master soltanto dopo alcuni esami integrativi. Si poteva allora, dopo aver frequentato i corsi, presentare una tesi per ottenere il Master che, se valutata positivamente, permetteva la continuazione degli studi verso il dottorato di ricerca (Ph.D.). superati gli esami in lingua straniera e quelli generali delle sei cattedre di teologia si era ammessi a presentare una tesi definitiva per il dottorato di ricerca (Ph.D.). ricordo una curiosità oggi ancora lontana dall’orizzonte europeo. Mi fu, tra l’altro, richiesta una dissertazione scritta sulla preghiera nell’Islam. L’esame orale avrebbe avuto luogo all’Istituto Islamico dove non c’era neanche un cristiano. Ora il dottorato di ricerca ammette direttamente alla carriera universitaria o a quella diplomatica. Anche nel mio caso tutto era possibile. E la cattedra c’era! Bastava un sì, ma avevo promesso alla mia chiesa di tornare in Italia dopo i sette anni di missione. E così fu.

Come si sa ogni ritorno comporta gioie e dolori, ma il nostro fu funestato dal più grande dolore che genitori possano conoscere: la perdita di un figlio di soli cinque anni.

2. Ecumenismo veneziano anni sessanta

Negli anni sessanta eravamo in pieno Concilio Vaticano II e le notizie ecumeniche, messe in circolazione, facevano presentire l’aprirsi di un’epoca nuova. Era entrato in gioco un nuovo modo di pensare che aveva rari precedenti storici. Si parlava dell’incontro dei fratelli cristiani sulla base del par cum pari, delle gerarchie delle verità in rapporto al nesso centrale e di una perennis reformatio.

Il Consiglio Ecumenico delle Chiese seguiva con vari osservatori le fasi evolutive della nuova apertura. Allo stesso modo l’Alleanza Mondiale delle Chiese Riformate e una serie notevole di teologi tracciavano le vie per orientare l’incontro delle chiese e incoraggiare confronti ed eventuali divergenze. Le Chiese in Italia si trovarono a fare i conti con un passato difficile, più incline al monologo che al dialogo.

Nonostante queste difficoltà vi furono incontri ecumenici fruttuosi tra le comunità locali: “fra i primi quello di Venezia per opera del pastore Renzo Bertalot e del teologo don Germano Pattaro” (1). Era giunto il momento di lasciar cadere le iniziative sporadiche ed occasionali per lo più a carattere sociale.

Il Sinodo Valdese del 1962 invitò tutte le comunità a dedicare un anno di studio al problema dei matrimoni misti. Come pastore, appena approdato a Venezia, cerca di mettere in moto un aspetto della metodologia ecumenica, lungamente attestato all’estero, che faceva parte della mia settennale esperienza canadese. È infatti importante che il “diverso da noi” presenti se stesso per evitare fraintendimenti e mistificazioni. Fu quella l’occasione per chiedere udienza al patriarca cardinale Urbani ed ottenere che la posizione cattolica venisse presentata alla comunità valdese da un teologo cattolico. Era la richiesta di un servizio che escludeva polemiche e si limitava a domande di precisazione e di approfondimento. Con molta cortesia l’invito fu accettato e don Germano Pattaro arrivò alla chiesa valdese di Venezia insieme a Mons. D’Este. Si trattava di studio e non certo di programmare un matrimonio misto.

L’incontro ebbe un risultato molto positivo e facilmente si prolungò nel tempo. Nonostante la forte minoranza valdese l’incipiente interesse interconfessionale si allargò sempre più a livello di base favorendo la conoscenza di diverse comunità cattoliche cittadine.

Stava maturando una nuova metodologia ecumenica -Dall'incontro con il "diverso" si passò all'informazione reciproca diretta man mano che da Roma e da Ginevra uscivano documenti orientati verso il confronto e la convergenza. Non c'è formazione senza informazione perché, come già si diceva alla conferenza di Losanna nel 1927, è necessario andare a scuola gli uni dagli altri.

In seguito a questi primi passi le presenze evangeliche agli incontri andavano lentamente allargandosi nella misura in cui si cominciava a transitare dal monologo al dialogo.

Don Pattaro ed io fummo invitati in molte altre località (Brescia, Chiari, Bassano, Treviso, Mestre e Pinerolo) Anche istituti, seminari (S. Massimo, S. Zeno, S. Bernardino di Verona) e università ci ospitarono per incontri con gli studenti o per colloqui internazionali (Roma).

L’editrice cattolica Morcelliana pubblicò una serie di mie conferenze, tenute durante il 1963 e l'AVE di Roma ristampò il Corpus Domini di Ugo Janni che, in Italia prima della seconda guerra mondiale, fu un precursore valdese dell'ecumenismo. In entrambi i casi le prefazioni erano di don Germano. Anche il piccolo Centro Evangelico di Cultura della comunità valdese di Venezia fece una larga diffusione di un opuscolo sulle "componenti del dialogo ecumenico". Era un'occasione per richiamare alla memoria i teologi protestanti più significativi che si erano impegnati nel dialogo e nel confronto con i sacerdoti cattolici. Più tardi, negli anni settanta, fu sollecitata una collaborazione tra la Claudiana (casa editrice protestante) e la LDC (casa editrice cattolica).

Al di là dei documenti ecumenici che uscivano da Roma e da Ginevra, i punti di riferimento di don Germano Pattaro e miei avevano una forte componente estera, ricca di una meditazione ecumenica approfondita e capace di tracciare nuove prospettive per il futuro. (Per don Pattaro: Y.Congar, J.B.Metz, H.U. Balthasar, K. Rahner. La mia scelta andava a favore di K. Barth, P. Tillich, R. Niebuhr, P. Lehmann, J. Dewey).

Bisognava tradurre o travasare la teologia contemporanea al livello delle comunità in base alla metodologia ecumenica emergente. L’accento cadeva sulla conversione a Cristo e non degli uni verso gli altri.

Nonostante l'opposizione a qualsiasi forma di curiosità, di superficialità, di "embrassons nous", di irenismo e di neutralità lo zoccolo duro dell'integrismo opponeva le sue resistenze temendo che l'ecumenismo, come conversione al Signore di quanti lo invocano, portasse ad una perdita della propria identità anziché ad un approfondimento della fede comune (2).

3. L'orizzonte ecumenico

È chiaro che l'interesse ecumenico ha un suo lungo e complesso retroterra. Per chi appartiene ad una forte minoranza, come gli evangelici italiani, il problema si pone fin dai primi anni di scuola, in cui il confronto con gli altri è inevitabile: Le polemiche sono spesso infantili, ma non esauriscono il discorso. Si formano anche amicizie che durano tutta una vita e che diventano molto apprezzabili quando gli antichi compagni di banco si ritrovano ad insegnare nelle università. Infatti agli incontri di studenti seguono anche riunioni di gruppo che discutono temi religiosi. I membri delle comunità evangeliche ne hanno fatto spesso l'esperienza anche se soltanto dopo aver familiarizzato con gli studi teologici ci si rende conto della complessità degli argomenti.

Nel 1943, a Trento,era stata significativa la formazione dei Focolarini. Venne organizzato un movimento in prospettiva ecumenica. Il successo enorme, ottenuto oggi su scala mondiale, rende merito all'impegno dei singoli membri. Se una critica è stata sollevata (così ancora all’assemblea di Graz, Austria, nel 1997) questa consiste nel fatto che, prima del Concilio Vaticano II, non era facilmente pensabile un'organizzazione interconfessionale indipendente dalla supervisione della chiesa.

Anche Venezia, sulla terra ferma, ha avuto (almeno fin dal 1958) i suoi momenti di confronto, soprattutto in riferimento al piano politico (3).

Nel 1963 la prof. Maria Vingiani incontrò don Germano Pattaro a Verona in occasione di esercizi spirituali e lo invitò ad offrirsi come esperto e consulente per la formazione dei gruppi ecumenici che stava progettando. Ancora una volta la via passò, ricalcando l'esperienza precedente, attraverso l'autorizzazione del cardinale Urbani. All'inizio non fu facile, ma il desiderio venne esaudito e il compito fu ancora affidato a don Germano Pattaro. A mia volta venni coinvolto dal teologo veneziano nel suo nuovo incarico. Avevamo così l'occasione di verificare insieme le metodologie ecumeniche che nel frattempo erano maturate a Venezia.

4. Segretariato Attività Ecumeniche

Intanto il 15 dicembre 1966 veniva costituito ufficialmente il Segretariato Attività Ecumeniche (SAE) che assumeva un carattere interconfessionale sia pure in assenza di firme evangeliche. Fu un momento decisivo per l'incontro delle chiese in Italia. La presenza evangelica alle riunioni di studio andava aumentando di anno in anno. Un’opera di promozione della prof. Maria Vingiani raggiunse risultati in continua crescita che andavano consolidandosi al di là delle stesse aspettative (4). Il contributo specifico della nostra esperienza veneziana fu espresso con la stesura dei "Principi metodologici" ( ancora attuali) che lo stesso don Pattaro trasmise allo stato di bozza cioè prima che assumesse la veste giuridica definitiva. Le sessioni ecumeniche registrarono un'espansione notevole passando dalla Mendola a Camaldoli, a Napoli e poi nuovamente alla Mendola. La presenza degli ebrei si fece sentire in maniera molto positiva e lentamente andava proponendosi anche l'avvicinamento alle altre "fedi viventi".

L'esperienza dei giovani, che partecipavano agli incontri, aveva richiamato la nostra attenzione sulla necessità di prestare maggiore ascolto al variare dei tempi. Nel parlare alle nuove leve non era saggio dare risposte a domande mai poste (così Paul Tillich). Era urgente promuovere innanzi tutto la formulazione delle domande dei partecipanti e soltanto in un secondo tempo organizzare le relazioni agli incontri.

La caduta del muro di Berlino segnò un momento molto significativo nel lavoro comune di ricerca che, affiancato all'interesse per le altre religioni, aprì prospettive nuove alla meditazione ecumenica.

Intanto Don Pattaro ed io eravamo stati impegnati in vie diverse. Pur essendo sempre accomunati dalla stessa prospettiva ( l'uno spesso a Roma, all'ombra di papa Luciani e l'altro alla prima Società Biblica interconfessionale nata in Italia), fummo costretti dalla cattiva salute del teologo veneziano a rallentare le attività sia come consulenti nazionali del SAE sia come esperti delle varie attività che erano emerse dal lavoro comune.

Il 27 settembre 1986 don Germano si spegneva.

Secondo le parole commemorative del patriarca di Venezia, don Germano aveva ricevuto il dono di una grande intelligenza e ne aveva fatto un servizio.

5. I rapporti con le chiese

L’esperienza internazionale, ampiamente verificata a Venezia, portava con sé la necessità di un continuo aggiornamento degli eventi ecumenici e richiedeva un'attenzione particolare riguardo alle filosofie e alle loro metodologie. Anche la scienza delle traduzioni andava evolvendosi. Per oltre trent'anni fui invitato a tenere corsi negli istituti veneti (S. Massimo, S. Zeno, S. Bernardino di Verona prima e di Venezia poi) di Parma, Bologna e Sorrento. La mia collaborazione ai Marianum di Roma è andata oltre i trent'anni.

L’ecumenismo veneziano ha rappresentato una svolta decisiva per tutto l'evangelismo italiano. L'interesse dei valdesi faceva eco a quello metodista con il past. Mario Sbaffi, a quello del past. Fausto Salvoni della Chiesa di Cristo a quello del past. Mario Affuso della Chiesa Apostolica Italiana e a quello del past. Enrico Paschetto della Chiesa Battista.

Le università di Sassari e di Milano avviarono un corso di formazione ecumenica sulla storia della Riforma protestante. Fui invitato nelle due città a tenere le lezioni che vennero in seguito pubblicate dall'Università di Sassari: "Dalla teocrazia al laicismo. Propedeutica alla filosofia del diritto».

6. La Società Biblica interconfessionale

L'esperienza precedente si riverberava sugli impegni futuri, relativi al lavoro biblico: altri quindici anni in missione in un contesto internazionale e volutamente ecumenico. Dopo vari sondaggi e consultazioni si arrivò al progetto di traduzione della Bibbia in lingua corrente (TILC), sulla scia delle altre nazioni e in conformità ai principi direttivi varati dal Vaticano e dall'Alleanza Biblica Universale il 2 giugno 1968. Trovati i candidati per la traduzione, i revisori e i consulenti il progetto fu approvato separatamente sia dalla Chiesa Valdese sia dalla Commissione Episcopale italiana.

Nel 1976 il Nuovo Testamento in lingua corrente fu consegnato alle rispettive chiese (era allora papa Paolo VI).

I tempi di Dio non sono segnati dal nostro orologio. Fu cosi che, dopo ottocento anni, un altro gruppo di valdesi, accompagnato dai collaboratori cattolici, tornò in Vaticano con traduzioni della Sacra scrittura m volgare, come si diceva allora o in lingua corrente come si dice oggi. Nel 1985 fu consegnata l’intera Bibbia (era allora papa Giovanni Paolo II). Da quel giorno le traduzioni comuni riguardano circa un migliaio di lingue parlate oggi nel mondo. La Società Biblica che rimane la più grande casa editrice del protestantesimo in Italia, stampa le Sacre Scritture approvate dall'Alleanza Biblica Universale e generalmente confermate secondo i principi direttivi, dalle Conferenze episcopali nazionali. Due milioni di copie vennero offerte ai giovani durante il giubileo dell'anno 2000.

Va detto che il lavoro svolto in quegli anni fino all'età della pensione non era un cammino in discesa. Bisognava "mendicare", come disse Lutero in punto di morte, ogni singola collaborazione ed ogni singolo sostegno. Erano gli anni di piombo non particolarmente aperti al dialogo.

Mi fu d'indispensabile aiuto mia moglie incaricata di mantenere i contatti con tutte le denominazioni e tutte le chiese. L'agenda dei lavori e la corrispondenza erano interamente nelle sue mani. Si trattava inoltre di partecipare alle assemblee più importanti organizzate dalla Società Biblica con le varie comunità.

Interessante fu la collaborazione con i pentecostali che, per principio, non possono allontanarsi da una traduzione biblica letterale. La TILC fu perciò adottata come primo commentario per capire le espressioni più ermetiche che potevano prestarsi ad un facile o spontaneo fraintendimento.

Per quanto riguarda la nuova traduzione essa rappresenta l’unico monumento ecumenico italiano del XX secolo, che toccava direttamente la carta costituzionale di tutte le chiese, la Sacra Scrittura. Più tardi si arrivò anche ad un documento comune sui matrimoni misti, firmati dalla C.E.I. e dalla Chiesa Valdese, che , secondo la tradizione protestante, sono temi da decidere innanzi tutto sul piano civile delle singole nazioni.

7. Uno sguardo al futuro

L'attuale comunione reale, ma imperfetta reciprocamente, tende a rafforzarsi non perdendo mai di vista la conciliarità. Si potranno prendere insieme e non più separatamente decisioni sempre più conformi alla visibilità della chiesa, una, santa, cattolica e apostolica evitando tentazioni captative o oblative delle singole identità confessionali. Non si può chiedere alla regina Elisabetta d'Inghilterra di iscriversi al partito repubblicano, né si può chiedere al presidente Ciampi di proclamarsi re d'Italia. Rimane quindi aperto il discorso sub Petro anche se la discussione sul primato torna su tutte le agende e impegna particolarmente gli ortodossi.

Nell'evoluzione delle metodologie occorrerà non perdere di vista il concreto e coerente nesso cristologico perché su questa base si potranno identificare gli elementi separanti da quelli compatibili con l'unità nella diversità.

Bisognerà evidenziare il sempre nuovo e invariabile fondamento della fede liberandolo dalle forme non più attuali e dovute alla variabilità del tempo e dello spazio, alle incrostazioni storiche e alla variegata sensibilità teologica dei continenti. Così già si è espressa la Dichiarazione Comune sulla giustificazione per fede firmata tra cattolici e luterani nel 1999.

Una moratoria sui valori ultimi che impediscono il dialogo interreligioso non dovrà cedere al secolarismo vuoto e colmo di idolatrie nascoste, ma potrà impegnarsi a coltivare con oculatezza quella secolarizzazione che cela in se stessa un segreto messianico: il Signore che provvede alla salvezza degli uomini "secondo vie a lui solo note". All'assemblea del Consiglio Ecumenico delle Chiese, tenutasi a Canberra nel 1991, siamo stati resi attenti ai doni dello Spirito che possono essere presenti anche nelle altre religioni, perciò dobbiamo anche saper imparare da loro.

Insieme dovremo saper affrontare i temi della giustizia, della pace, e della salvaguardia del creato, già proposti alla nostra attenzione dall'assemblea del Consiglio Ecumenico delle Chiese, tenutasi a Vancouver nel 1983.

Il profeta Isaia ci ricorda che il Signore "sarà il giudice delle genti e l'arbitro dei popoli. Trasformeranno le loro spade in aratri e le loro lance in falci. Le nazioni non saranno più in lotta tra di loro e cesseranno di prepararsi alla guerra" (Isaia 2,4).

Note

1. Valdo Vinay, Storia dei Valdesi III, Claudiana, Torino 1980, p. 465.

2. Cfr. Roberto Giraldo: Inaugurazione anno accademico 2002-2003.

3. Cfr. Maria Vingiani: Un’esperienza di ecumenismo locale. Memoria storica. In Atti del Sae, Edizioni Dehoniane, Bologna 1988: “A Venezia si era tutto spento per la mia partenza e l’avvicendamento dei pastori locali...”.

4. Cfr. Renzo Bertalot: Per dialogare con la Riforma, L.I.E.F., Vicenza 1989. dalla dedica: “All’infaticabile Maria Vingiani, con l’augurio che il servizio del SAE continui per lungo tempo”.

(da Aa.vv., Fede e cultura, Quaderni di Studi Ecumenici n. 8, I.S.E. Venezia, 2004, pp. 155-165)

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Teologie a confronto:
Paul Tillich e Karl Barth
di Renzo Bertalot

Con la salita di Hitler al potere nel 1933 Karl Barth e Paul Tillich perdono le loro cattedre in Germania. Il primo trova rifugio in Svizzera e il secondo negli Stati Uniti d'America. Gia si è scritto molto su questi due teologi che hanno segnato profondamente la teologia del XX secolo. Non si tratta quindi di insistere sui contenuti delle loro opere, ma soltanto di rilevarne alcuni punti che hanno caratterizzato la loro testimonianza.

Insieme hanno partecipato alla crisi della società borghese che si era affermata con il liberalismo precedente. Le chiese avevano fatto il loro nido, con una certa soddisfazione, accanto ai poteri costituiti ed erano entrate in crisi per il crescente allontanamento del proletariato e dei giovani sempre più attratti dalle promesse di una secolarizzazione crescente.

Per Karl Barth e Paul Tillich era giunto il momento di far riemergere tutta la forza dell'Evangelo che contesta sempre le nostre sicurezze e riorienta il divenire della comunità cristiana.

Vi fu innanzi tutto una rinnovata attenzione di carattere politico. Il socialismo religioso di Paul Tillich e il socialismo democratico di Karl Barth erano entrambi tesi all'ascolto delle nuove esigenze della società e al carattere profetico delle attese che andavano manifestandosi. Si incarnava così un nuovo modo di vivere in riferimento alla riscoperta dell’Evangelo.

Intanto tra i due teologi si erano inseriti altri elementi. La distanza tra l'Europa e l'America e i venti di guerra che stavano preannunciando nuove catastrofi, non facilitavano i contatti delle rispettive esperienze.

Paul Tillich lasciò l'Europa con grande amarezza non certo per risentimenti personali, ma per la convinzione della maledizione della storia europea e della demonia della cultura tedesca che si era affermata. "La Germania sopra tutti" non aveva convinto solo i politici ma anche gli spiriti più avvertiti dell'epoca. La malattia radicale era dovuta al "provincialismo", cioè al metro con il quale andiamo costantemente misurando gli altri e li troviamo sempre mancanti. Gli Stati Uniti offrivano un crocevia di culture che, offrendo ognuna il meglio di se stessa, dà un carattere veramente universale alla ricerca e allo studio. Paul Tillich conobbe anche la contestazione pratica che ebbe modo di apprezzare. Al termine delle sue dotte lezioni gli veniva posta la domanda: "A che serve?" L'esistenzialismo europeo, al quale Tillich faceva spesso riferimento, si presentava come una corazza ingombrante per i popoli dell'America e dell'Asia: non era conforme al loro modo di intendere la vita.

La nozione di angoscia va curata dal medico in casi nevrotici, ma la scienza è impotente quando si tratta di mancanza di significati e di senso di colpa. Tuttavia, a sua grande meraviglia, Paul Tillich incontrò un russo che non conosceva affatto l'angoscia.

Per Tillich dalla nostra angoscia nascono gli interrogativi sulla nostra esistenza. Bisogna indagare attentamente per individuare i valori definitivi perché non possiamo dare risposte a domande mai poste! L'uomo non può che formulare interrogativi che per lo più puntano verso l'idolatria. La risposta viene solo (extra nos) dalla Parola di Dio.

Per Karl Barth la situazione è diversa. Si trovò impegnato nell'opposizione al nazismo cominciando con la stesura delle tesi di Barmen (1934) e il sostegno alla chiesa confessante che respingeva l'atteggiamento dei cristiano-tedeschi, perché non contestavano apertamente le avventure hitleriane. Barth era molto vicino a Bonhoffer che, per la sua opposizione manifesta al nazismo, venne impiccato.

Paul Tillich e Karl Barth condividono con termini molto forti il rifiuto di ogni teologia naturale: una teologia dalla situazione anziché rivolta alla situazione. La teologia e la filosofia non vanno confuse. Per Barth il teologo che dal basso (è in cammino inverso dell'incarnazione) tenta di risalire a Dio è un "criptoteologo" e il filosofo che parte dall'alto per fare della filosofia di questo mondo è un "criptofilosofo".

Per Tillich la teologia e la filosofia non vanno confuse. Tra di loro non v’è sintesi, non v'è terreno comune, perciò una filosofia cristiana è una "disonestà filosofica". Bisogna saper vivere sulla linea di confine. La religione (la religiosità) non produce fede anche se costituisce la sostanza della cultura e la cultura le dà una forma.

Tuttavia per entrambi una filosofia della religione, pur non essendo necessaria, può essere utile per indagare le forme della nostra religiosità. Da un lato ci aiuta a superare le nostre superstizioni e i nostri pregiudizi e dall'altro ci ricorda la nostra umanità (Cristo vero uomo). Non abbiamo strumenti sterili e non condizionati per parlare della rivelazione!

Sia Barth sia Tillich sono riconoscenti a Kant per averci liberati dalla metafisica dei "visionari" e ridotto le nostre dissertazioni entro i rigorosi limiti della ragione e del fenomeno. Per Tillich, Kant si conferma come "filosofo del protestantesimo". Per molti contemporanei Kant riesce sempre a riaffermarsi dopo il crollo o il tramonto delle varie filosofie.

Per Tillich il mondo creato da Dio non è stato abbandonato come una nave senza timone nella tempesta. Dio gestisce la storia e ne prende le redini nei momenti da lui ritenuti opportuni. È quindi in atto una vittoria di Dio sia pure frammentariamente e saltuariamente, sulle nostre distorsioni e i nostri fallimenti. Questa vittoria, per chi ha occhi per vedere e orecchi per udire rende la nostra storia trasparente. E la storia del Christus Victor!

Anche per Barth meno propenso ad indagare quello che passa nella mente del filosofo (o di qualunque uomo) siamo tuttavia strutturati in vista del nostro destino del Regno di Dio La creazione non gli è estranea: v’è un’analogia creationis.

Con entrambi assistiamo ad una concentrazione cristologia riguardo alla teologia sistematica. Per Barth la cristologia è tutto o siamo di fronte al vuoto. Già nel 1957, riprendendo con Hans Kùng il tema della giustificazione per fede, prevedeva che tra cattolici e protestanti si andasse evidenziando una stessa fede, non più alternativa anche se formulata in maniera diversa. Per Tillich il pensiero teologico gravita intorno al Nuovo Essere che si esprime in Gesù il Cristo.

Intanto si affacciano all'attenzione delle nuove generazioni altri problemi di grande attualità. Qual è il rapporto con le altre religioni? Per Tillich bisognerà interrogarsi sullo Spirito Concreto nella prospettiva del pan-en- tei-smo: tutti raccolti in Dio.

Per Barth nelle varie religioni ci sono delle parole vere, buone, autentiche e notevoli: sono combinazioni o luci non concorrenziali con Dio.

Un'ultima parola sull'uomo: Barth rovescia la tesi di Cartesio "cogito ergo sum". È importante affermare invece "cogitor ergo sum". Quello che io penso di Dio può essere significativo e importante per le nostre biblioteche, ma è decisivo sapere quello che Dio pensa di noi. Io sono quel che sono all'interno del suo pensiero. Chi cerca se stesso non troverà nulla; chi è trovato da Dio troverà se stesso.

(da: Quaderni di Studi ecumenici, Fede e cultura, 8, I.S.E. Venezia)

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Fasi della cultura europea d'oltralpe

Galeazzo Caracciolo (1517 - 1586)

di Renzo Bertalot


Premessa

Paolo III aveva sollevato gli spiriti europei ai più alti livelli di attesa per una riforma della chiesa. Imperatori, principi e teologi si erano rimboccate le maniche per correggere quelli che allora erano detti alcuni abusi.

A Ratisbona nel 1541 vi fu in proposito una gran festa Se l'incontro non raggiunse i risultati sperati si trattò soltanto di un rinvio imperiale al prossimo concilio.

Nel 1542 tutto cambiò. Le motivazioni sono, come sempre, nelle mani di storici scrupolosi, in grado di investigare innumerevoli archivi e biblioteche. Da loro (1) si rimane in continua attesa, quando si è lontani dalle cattedre specialistiche, di una buona soggettività visto che l'oggettività non mai al nostro orizzonte. Tuttavia diventa difficile trattenere nella penna dell'osservatore, che non è storico di professione, qualche supposizione.

Intanto con l'inquisizione di tipo spagnolo instaurata molti fuggono dall'Italia. Teologi italiani, esuli famosi, sono accolti presso le cattedre più prestigiose d'Europa. Non è senza significato che ad Oxford la lingua ufficiale dell'università sia appunto l'italiano (2).

A Ginevra si costituisce una chiesa italiana che raccoglie i rifugiati sfuggiti all'inquisizione. La comunità raggiungerà dalle quattromila alle cinquemila unità. V'erano valdesi, veneti, lucchesi, napoletani e anche valdesi fuggiti dalla strage di Calabria. L’istituzione resse per due secoli e la sua borsa per il soccorso agli esuli durò fino al 1870 (3).

Erano tempi molto difficili. Ogni ombra di riforma venne eliminata dalla penisola. I divulgatissimi libri di origine protestante vennero un po' ovunque ammucchiati nella piazze e dati alle fiamme. Si considerava una grazia la decapitazione al posto del rogo!

Per la Riforma in Italia fu un'eclissi totale. Bisognerà arrivare fino alla seconda metà del secolo scorso per veder tornare il sole alle sue prime luci di un'era nuova. Si è iniziato un cammino in cui nessuno può fermarsi pretenden­do che soltanto l'altro si muova. Per gli uni una perennis reformatio, per gli altri una ecclesia semper reformanda.

Dei tanti nomi ne ricorderemo uno solo: Galeazzo Caracciolo, quasi un simbolo dell'epoca.

La vita

Galeazzo Caracciolo nasce a Napoli da Colantonio Caracciolo (fatto marchese di Vico da Carlo V) e da madre della famiglia Carafa. Sposa Donna Vittoria figlia del duca di Nocera dalla quale ebbe quattro figli maschi e due femmine (4).

Galeazzo Caracciolo non è un dotto né un teologo; è un nobile addetto ai vari incarichi di corte sia all'interno che all'estero. Era giunto a conoscenza delle idee di Juan Valdes che da otto anni teneva una scuola in città (5) e predicava la giustificazione per fede contro la propria giustizia, i meriti delle opere e le superstizioni.

Un suo congiunto, Gian Francesco Alois, lo porta ad assistere ad una lezione di Pietro Martire Vermigli, allora canonico regolare. Fu il " colpo di fulmine" (6). Il predicatore nel commentare la Sacra Scrittura si soffermò a lungo sull'immagine del ballo. Quando si osserva da lontano la gente che balla, ma non si sente il suono della musica si è convinti che si tratta di pazzi, ma avvicinandosi al gruppo e lasciandosi coinvolgere dalle note si comincia volentieri a ballare. Così è dello Spirito di Dio. Era il 1541. Marcantonio Flaminio gli scrisse una lunga lettera, conservataci integralmente, esortandolo a perseverare (7).

Galeazzo Caracciolo cambiò radicalmente vita. Vi fu gran festa tra i valdesiani e anche per Vittoria Colonna che allora abitava a Viterbo e gli mandò i saluti di Reginald Pole (8). Fu determinante l'influenza di Pietro Martire Vermigli (9).

Per il padre Colantonio e la moglie Vittoria la conversione di Galeazzo non fu soltanto un pericolo da scongiurare, ma soprattutto un disonore e un'infamia per tutto il casato e per tutti.

L’8 giugno 1551 il Caracciolo arrivò a Ginevra sconosciuto e forse anche sospettato. Fu accolto come uno qualsiasi. Prestò giuramento ed elesse come suo maestro Calvino che lo accettò come amico e consulente. Il riformatore gli dedicò il commentario alla Prima Lettera ai Corinti e più tardi l'intera traduzione italiana Istituzione della religione cristiana (10). In suo onore fu coniata una grossa medaglia che rimane l'unica effigie di Galeazzo Caracciolo.

La famiglia

Galeazzo Caracciolo era pronipote di Gianpietro Carafa futuro Paolo IV. A Napoli venne stabilita la confisca dei beni e dei titoli nobiliari. Il padre supplicò l'imperatore di risparmiare l'infamia per la famiglia. Ottenne la grazia, ma non convinse Galeazzo. Chi aveva tentato la fuga, ma esitò a passare la frontiera, venne catturato, decapitato o condannato al rogo (11).

Galeazzo non era insensibile ai legami familiari ma non era disposto a cedere in materia di fede. Accettò di incontrare il padre prima a Verona, poi a Mantova e ancora nell'isola dì Lesina, dove avrebbe dovuto rivedere anche la moglie (sempre innamorata del marito) che invece mancò all'appuntamento. Galeazzo fu contento di rivedere i suoi, ma fu irremovibile. L'ultima volta decise di andare direttamente a Vice rischiando anche di essere imprigionato (12). Le suppliche di ritornare sui suoi passi non lo fecero retrocedere, neppure quelle della sua figlia dodicenne. Partì con il cuore spezzato, ma la moglie, sotto la minaccia di scomunica del confessore, rifiutò di seguirlo. Il padre giunse quasi a maledirlo.

Sulla via del ritorno visitò i riformati della Valtellina e dei Grigioni. Nel 1558 ritornò a Ginevra e diede inizio alle pratiche del divorzio.

Il divorzio

Sulla questione del divorzio ci fu una lunga consultazione. Calvino chiese il parere di molti, tra cui Pietro Martire Vermigli, Bullinger e Ochino. Tutti si mostrarono favorevoli. Calvino, a nome del sindaco e del concistoro, scrisse direttamente a Vittoria che non accettò di seguire il marito. Il Piccolo Consiglio diede allora il parere favorevole al divorzio e al permesso di risposarsi (13).

Sposerà Anna Framèry vedova e anch'essa rifugiata (14).

La comunità

Intanto nel 1552 a Ginevra si era costituita la chiesa italiana. Massimo Martinengo da Brescia, già collaboratore di Pietro Martire Vermigli, viene eletto pastore e approvato dalla Compagnia dei pastori. La reggenza della chiesa è sostenuta da quattro anziani e da quattro diaconi.

Galeazzo Caracciolo frequentava la predicazione e leggeva la Sacra Scrittura, aveva l'incarico di sorvegliare gli italiani per evitare scandali, spionaggio (15) con i dissidenti anabattisti e antitrinitari.

La comunità italiana fornì anche pastori all'Italia tra cui Giovanni Luigi Pascale che morì martire.

Giordano Bruno soggiornò due mesi a Ginevra esercitando l'arte del correttore in una stamperia. Non aderì alla Riforma e partì per Venezia dove l'inquisizione lo braccò e nel 1600 finì sul rogo a Roma.

L'epilogo

Un religioso cattolico fu ancora inviato a Ginevra per convincere Galeazzo a tornare sui suoi passi per non impedire il proseguimento della carriera ecclesiastica del figlio Carlo, ma la sua insistenza aveva un carattere provocatorio e fu allontanato (16). Il padre Colantonio era morto nel 1562 a settantasette anni. Il figlio di Galeazzo, anche lui di nome Colantonio, fu sospettato di eresia e morì a Venezia nel 1577. Vittoria muore il 18 settembre del 1584 e Anna Frambèrv l'anno successivo (17).

Galeazzo Caracciolo muore il 7 maggio del 1586 a settantanove anni. Così si arriva alla fine dei marchesi di Vico.

NOTE

1. Il testo segue in particolare: E. Comba (a cura), Nicolao Balbani, Historia della vita di Galeazzo Caracciolo, Claudiana, Firenze, 1875 e B. Croce, Un calvinista italiano. Il marchese di Vico, Laterza, Bari, 1973.

2. R. Bertalot, Dalla Teocrazia al laicismo. Propedeutica alla filosofia del diritto, Università di Sassari, Sassari, 1993, p. 78.

3. Croce, Un calvinista, p, 48.

4. Comba, Nicolao Balbani, Historia, pp. 11-13.

5. Croce, Un calvinista, p. 12.

6. Croce, Un calvinista, p. 13.

7. Comba, Nicolao Balbani, Historia, pp 17-24.

8. Comba, Nicolao Balbani, Historia, p. 14.

9. Ricordiamo il De fuga in persecutione. Cf Croce, Un calvinista, p. 17.

10. S. Caponetto, La Riforma protestante nell'Italia del Cinquecento, Claudiana, Torino, 1997, p. 265.

11. Pietro Carnesecchi è uno dei tanti. Cf. Croce, Un calvinista, p. 30.

12. Comba, Nicolao Balbani, Historia, p. 39.

13. Croce, Un calvinista, pp. 41-44.

14. Croce, Un calvinista, p. 50.

15. Comba, Nicolao Balbani, Historia, p. 68; Croce, Un calvinista, p. 51.

16. Croce, Un calvinista, p. 71.

17. Croce, Un calvinista, pp. 67-73.

(Tratto da: Renzo Bertalot, Fasi della cultura europea d’oltralpe, Venezia, 2003, I.S.E., Quaderni di Studi ecumenici 7, p. 23).
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Mercoledì, 31 Agosto 2005 21:03

Conclusione (Renzo Bertalot)

L’ecumenismo è ormai “irreversibile”; oggi si trova rafforzato da una metodologia robusta che favorisce sia il confronto sia le convergenze. Dio ci ha fatto dono del dialogo, nella sua qualità di strumento, affinché chiunque crede intenda.

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Il dogma dell'Immacolata Concezione non trova molto spazio nella circolazione delle idee ecumeniche del nostro paese. Occorrerà perciò tenere presente le interpretazioni maturate prima del Concilio Vaticano II...

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Entrano in conflitto la testimonianza interiore dello Spirito e l'incidenza di un magistero ecclesiastico e delle confessioni di fede. La discussione ecumenica su Maria non può svincolarsi da questa problematica che dev'essere risolta in altra sede.

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Non è ormai un mistero che l'ostacolo maggiore individuato da tutte le chiese è costituito dal primato papale. L'argomento è sulle agende confessionali e interconfessionali e torna negli interventi di moltissimi dialoghi bilaterali e multilaterali.

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Sabato, 05 Febbraio 2005 15:01

L’assunzione di Maria (Renzo Bertalot)

Dobbiamo essere grati ai teologi di Dombes per aver pazientemente e accuratamente lavorato sulla figura di Maria prendendo in esame il contenzioso secolare che esaltava le contrapposizioni confessionali senza intravederne le convergenze.

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