In ricordo di P. Franco

Visualizza articoli per tag: Spiritualità

Giovedì, 31 Agosto 2006 03:14

Delle vite sconvolte… (AA.VV.)

Il primo, André Rochette, è partito quando aveva quarantasette anni per un ricerca non sapeva di che, verso l'India, su istigazione del suo maestro Arnaud Desjardin. La seconda, Hermes Garanger, è rimasta in Francia, ma per fare un viaggio interiore, un ritiro buddista di tre anni, tre mesi, e tre giorni. Il terzo, fratel Didier Maury, aiuta gli altri a superare le tappe di un cammino iniziatici. Tre itinerari, tre incontri.

Il ritorno a Dio
nell'insegnamento monastico
di San Bernardo
di Sr Maria Pia Schindele o. cist.

La regola di San Benedetto ini­zia con l'invito, di « ritornare a Dio con la fatica dell'obbedienza, dal quale ci siamo allontanati per la pigrizia della disobbedienza» (RB Prol. 2).

Il pensiero di San Bernardo, nell'insegnamento della vita monastica, è improntato sul ritorno a Dio. Nei suoi scritti troviamo la consapevolezza che Dio ha creato l’uomo «a sua immagine e somiglianza» (Gen 1,26). Mediante la similitudo - ossia la somiglian­za con Lui - dovremmo essere comparte­cipi della sua vita divina. La disobbedienza a Dio però ci allontanò dalla regio similitudinis e ci portò verso la dissimilitudinis cioè verso «la regione della dissomiglianza», di modo che noi soltanto attraverso l'ob­bedienza al piano salvifico di Dio possia­mo ritornare a Lui.

Tra gli antichi testi dei Padri della Chie­sa, che hanno ispirato in lui questi pensie­ri, potrebbero essere state le Confessioni di Sant'Agostino che dice: «Mi scoprii lonta­no da Te in una regione dissimile». (1)

Bernardo sviluppa il tema del ritorno a Dio soprattutto nel trattato intitolato «La grazia e il libero arbitrio» e in alcuni degli ultimi sermoni sul Commento al Cantico dei Cantici. Questo tema è ricorrente an­che negli altri suoi scritti e sermoni.

1) Ritorno a Dio nel trattato "De Gratia et libero arbitrio"

Nell’analisi sul concetto della grazia e del libero arbitrio, Bernardo sviluppa il ritor­no dell'anima a Dio nella regione della similitudine. Espone la nozione che, per il libero arbitrio che Dio ci ha elargito, sia­mo sempre immagine di Dio, imago Dei, e lo resteremo malgrado le nostre errate de­cisioni che facciamo con la disobbedienza, perché l'immagine di Dio è indistruttibile; mentre alla somiglianza con Dio, similitudo, arriviamo solo se ci lasciamo trasformare dall'obbedienza ai suoi comanda­menti. Questo lasciarsi trasformare rinnova le forze dell'anima e, attraverso la rectitudo, la rettitudine dei nostri sentimenti e del nostro comportamento indirizza tutto il nostro essere verso Dio.

a) Il nostro ritorno nella regione della somiglianza

Bernardo nel suo trattato chiama Gesù Cristo «la Divina Sapienza» che vuole ricondurci a Dio. Descrive questo ritorno a Dio paragonando la Divina Sapienza alla donna del Vangelo che cerca la dracma per­duta (Lc 15,8). Così il Figlio dell'Uomo cerca in noi l'immagine di Dio sfigurata fino alla irriconoscibilità dal nostro pecca­to di disobbedienza. Bernardo spiega a proposito che questa immagine è il no­stro indistruttibile libero arbitrio, con il quale possiamo obbedire oppure disobbe­dire a Dio. Alla somiglianza con Dio l'uo­mo è riportato attraverso l'obbedienza al Verbo Incarnato.

Bernardo dice:

«Se quella donna del Vangelo non accen­desse la lampada, cioè se la Sapienza Incarnata, non mettesse sottosopra la casa, ovviamente quella dei vizi, e non cercasse la sua dracma (l'uomo) che aveva perduto, la sua immagine, questa che, privata della nativa bellezza e tutta brutta sotto la pelle sporca del peccato, era nascosta come nella polvere, egli trovatala la pulisce e l’innalza dal luogo della dissomiglianza, e la reinte­gra nel primitivo aspetto, la rende simile a Sé nella gloria dei santi, anzi un giorno la renderà in tutto conforme a Se stesso, come dice la Scrittura: «Sappiamo che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a Lui, perché lo vedremo così come Egli è» (1Gv 3,2)». (2)

b) Il nostro rinnovamento per mezzo di Gesù Cristo

Bernardo afferma che il nostro ritorno a Dio prevede, che veniamo «trasformati» secondo l'ideale di Gesù Cristo e lo indica quale «forma» (3)- modello - corrispondente al suo essere divino, al quale dobbiamo conformar­ci. Se viviamo secondo il suo ideale, saremo da Lui trasformati, gli assomiglieremo e sperimenteremo la Sua vita in noi.

Riguardo al rinnovamento della nostra volontà secondo l'ideale del Signore Bernardo scrive:

«Venne perciò la stessa, forma, cui si doveva conformare il libero arbitrio: infatti per recuperare la forma primitiva, l'uomo do­veva essere riformato da quella forma in base alla quale era stato anche formato». (4)

Questo concetto viene riproposto anche da un'altra angolatura, per ribadire il fon­damentale significato salvifico a tutta la comunità ecclesiale avente necessità di redenzione, Bernardo dice, «Colui che era deforme ha dovuto essere formato di nuovo per mezzo della forma, Cristo Gesù; le membra non possono essere condotte a compimen­to se non con il capo». (5)

c) Il rinnovamento delle nostre forze d'animo

pensiero, attraverso il quale cominciamo a riconoscere do che è buono e quindi ciò che corrisponde alla vo­lontà di Dio. Dal consensus voluntatis - dal consenso della nostra volontà - dipende l'ul­teriore aiuto di Dio, che elimina la nostra incapacità di fare il bene. Dandoci la gioia per il bene, ci dà la forza di fare il bene. Così Dio ci rende idonei alla «libertà dal pecca­to», e ci conduce alla «libertà dalla mise­ria»; quindi alla somiglianza con Lui e alla compartecipazione della sua gloria divina. (6)

Come altri scrittori ecclesiastici prima e contemporanei del suo tempo, Bernardo distingue le forze d'animo dell'uomo in memoria, ratio e voluntas. La memoria è la capacità data a noi di sperimentare Dio e di entrare in contatto con Lui. È in certo qual modo il nostro «ricordo» o «memo­ria» di Dio e quindi viene qualche volta anche chiamato recordatio.

La ragione con la quale possiamo «rico­noscere» o «ravvisare» il bene viene chia­mata ratio oppure sensus. Qualche volta questa parola è indicata con intentio, per­ché noi formiamo con la ragione la nostra «intenzione», che viene indicata anche come «modo di pensare» o «desiderio».

Siccome il nostro volere - voluntas - è accompagnato dai nostri sentimenti e dal nostro amore, troviamo per esso nei testi aventi per oggetto il nostro «rinnovamen­to» le parole voluntas, affectio oppure amor.

Quando Bernardo definisce il rinnova-mento interiore dell'uomo dice che consi­ste in tre disposizioni dell'anima: propo­sito retto - rettitudine intentionis -, sentimento puro -, puritate affectionis - e ri­cordo del bene operare - recordatione bonae operationis - grazie al quale la memoria ri­splende per la consapevolezza della sua buona coscienza. (7)

Nel trattato sulla grazia e il libero arbi­trio Bernardo menziona il «proposito incur­vato dalle preoccupazioni terrene», (8)che si può trovare nell'uomo e che deve essere sollevato con la rettitudo intentionis - «la rettitudine dell'intenzione». In questo con­testo è da considerare, quello che egli dice nel XXIV Sermone sul Cantico dei Cantici sul confronto tra l'homo rectus - l'«uomo retto» - e l’homo curvatus - l'«uomo gobbo», quando scrive: cose terrene, è una gobba dell'anima e, al contrario, meditare e desiderare le cose di lassù, è rettitudine». (9)

Riguardo a tutti gli sforzi, che noi intra­prendiamo in questo desiderio rivolto ver­so l'alto, Bernardo spiega nel trattato «La grazia e il libero arbitrio», che attraverso essi «il nostro uomo interiore si rinnova di gior­no in giorno» (2 Cor 4, 16). E continua:

«Poiché il proposito, incurvato dalle preoc­cupazioni terrene, a poco a poco dal basso risorge verso l'alto: e il sentimento, che langue per i desideri della carne, gradatamente s’irrobustisce all'amore dello spirito, e la memoria, ch’è macchiata dalla bruttura delle vecchie opere, resa candida dalle nuove e buone azioni di giorno in gior­no gioisce di più. Infatti il rinnovamento interiore consiste in queste tre disposi­zioni: proposito retto, sentimento puro, ricordo del bene operare grazie al quale la memoria rifulge ben consapevole di sé». (10)

d) Significato della rectitudo

Riguardo al nostro rinnovamento inte­riore è importante la rectitudo - la «retta intenzione» - del nostro modo di pensare e di agire, perché se la nostra volontà è in­teramente indirizzata a Dio, è ordinata.

Bernardo descrive la volontà ordinata, ad lineam rectitudinis, - la norma del retto agi­re-, con la risposta negativa di Gesù a quei discepoli che lo pregavano di avere posti d'onore nel suo regno, dice Bernardo: «Fu loro insegnato a ricondurre la volontà distorta sulla retta linea, quando udirono: "Potete bere il calice, che io berrò?» (Mt 20,22)». (11)

Secondo S. Bernardo sono pochi gli uo­mini spirituali che posseggono la piena li­bertà di ragionare, che li porti sempre al retto agire, per questo dice:

regno!” (Mt 6, 10). Questo regno non si realizzerà compiutamente neppure in loro, fino al momento in cui non solo il peccato non regnerà nel loro corpo morta­le, ma non ci sarà più assolutamente, ne potrà esserci, nel corpo ormai immortale». (12)

2) Il ritorno a Dio nei Sermones super Cantica Canticorum

Negli ultimi sermoni sul commento al Cantico dei Cantici, che S. Bernardo ci regalò poco prima della sua morte, egli non si riferisce più alla somiglianza con Dio «persa» a causa del peccato, ma a quella «sovrapposta» dal peccato. Bisogna scoprire questa somiglianza con Dio evitando il peccato e abbandonando tutto quello che ci impedisce di essere uniti completamen­te a Dio.

a) Alla nostra "grandezza" manca l'orientamento lineare verso il Signore

Nel suo 80° sermone sul Cantico dei Cantici, Bernardo insegna che la nostra somiglianza con Dio donataci al momen­to della creazione consiste nella semplicità, nell'immortalità e nella libertà. In que­sti tre doni di Dio egli riconosce la magnitudo, cioè la «grandezza» dataci, che non possiamo perdere. Ma neanche la pos­siamo sviluppare finché non abbiamo ot­tenuta la rectitudo, ossia il nostro «orienta­mento lineare» versoil Signore. (13)

b) Il ritorno a Dio è ritorno a noi stessi

Nel sermone 82 sul Cantico dei Cantici, Bernardo spiega la «somiglianza con Dio» come la forma nativa, cioè la «figura nativa dell'anima». Pero, in noi, rimane senza effetto, perché è coperta ed oscurata dalla nostra forma peregrina, la «forma estranea del peccato», Bernardo afferma:

«Quello che la Scrittura dice della dissomiglianza avvenuta, non lo dice per­ché la somiglianza sia stata distrutta, ma perché è sopravvenuta la dissomiglianza.

L'anima non si sveste della sua forma nativa, ma ne riveste una estranea, la quale viene aggiunta senza che la prima sia perduta; e quella che sopravviene ha potuto oscurare quella innata, ma non distruggerla». (14)

Secondo l'esperienza di Bernardo il no­stro ritorno a Dio è anche un ritorno a noi stessi e dimostra che non possiamo essere «simili a noi stessi», cioè essere veramente «noi stessi», prima che tutto il nostro essere non si sia rinnovato in Dio: «Quindi l’anima non è più simile a Dio, non è più simile a se stessa». (15) Il mistico tedesco Meister Eckhart, vissuto nel 13° secolo, cita spesso questo passo con la breve for­mula:«Allontanato Dio, ti sei anche allontanato da te stesso».

c) Riscoprire la somiglianza con Dio attraverso la purezza del cuore

Bernardo poi confronta la somiglianza con Dio all'oro, diventato scuro per una sovrapposizione di impurità, così l’anima per il peccato è diventata irriconoscibile. Secondo la sua consuetudine, fa riferimento sia a un passo del Nuovo che dell'Antico Testamento: «Si è ottenebrata la loro mente ottusa», dice l’apostolo (Rm 1, 21) e il Pro­feta: «Ah! come si è annerito l’oro, si è alterato l'oro migliore» (Lam 4,1). Bernardo dice che l'autoredi queste lamentazioni

distrutto il fondamento del colore. Resta nel fondamento la costante semplicità, ma non apparisce, coperta come è dalla doppiezza dell'umano inganno, dalla simulazione, dalla ipocrisia». (16)

Per Bernardo nostro tendere alla com­partecipazione della vita divina, vuol dire eliminare e abbandonare tutto quello che ci separa dalla nostra somiglianza con Dio. La nostra ascesi consiste nel «lasciare la sovrapposizione: doppiezza, simulazione, ipocrisia» ed ascoltare il nostro intimo per sapere quale è la volontà di Dio riguardo a nostro comportamento e alle nostre azio­ni. Se noi accogliamo questa volontà divi­na, Dio elimina ogni dissidio in noi e ci dona la - simplicitas cordis - la «semplicità o purezza di cuore». Essa è indicata nelVangelo di Matteo, dove Gesùdice: 'Se il tuo occhio è chiaro, tutto il tuo corpo sarà nella luce» (Mt 6, 22).

si purifica l'ani­ma dal peccato e da tutti i «depositi» che coprono e oscurano la nostra somiglianza con Dio. Ci accorgiamo allora che il «to­gliere questi depositi» non porta ad un im­poverimento di noi stessi. Si tratta piutto­sto di riportare alla luce la nostra somi­glianza con Dio, nella quale si fonda il nostro vero essere.

Se nelle intenzioni del nostro cuore vi è soltanto l'accettazione della divina volon­tà, otteniamo - la simplicitas cordis - la sem­plicità del cuore. Con l'accettazione del divino volere ci viene concessa la – rectitudo - ossia l'orientamento verso Dio, che porta alla somiglianza con Lui e all'uniformità alla sua divina Volontà.

d) L'uniformità nel volere è "sposalizio" spirituale

Nel suo 83° sermone, Bernardo indica la totale adesione dell'anima a Dio quale «sposalizio». In questo contesto egli chiama il Si­gnore, il VERBO, come l'Essere che corri­sponde alla Seconda Persona Divina:

«Tale conformità rende l'anima sposa del VERBO. Mentre è già simile a Lui per na­tura, si rende ulteriormente simile a Lui at­traverso la volontà, amandolo come a sua volta è amata. Dunque, se l’anima ama per­fettamente, è diventata sposa. Che cosa c'è di più dolce di questa uniformità? Che cosa c'è di più desiderabile di questo amore?». (17)

Questo passo trova il suo culmine nell'affermazione:

«Questo è veramente un contratto di spirituale e santo connubio».

Poi Bernardo continua:

«Ho detto poco, contratto: è un amplesso. Amplesso veramente dove il volere e non volere le medesime cose ha fatto uno solo di due spiriti». (18)

Nel sermone 85 sul commento al “Cantico dei Cantici" Bernardo afferma:

118, 106)». (19)

In riferimento a quei membri della chiesa, che hanno accolto la chiamata allo sposalizio con il Signore, Bernardo aggiunge:

«L'anima che vedrai abbandonare tutto e aderire con tutto l’ardore al VERBO, vive­re per il VERBO, secondo il VERBO com­portarsi, concepire dal VERBO per poi par­torire al VERBO, che possa dire: “Per me vivere è Cristo e morire un guadagno” con­siderala coniuge e sposata al VERBO». (20)

Note

1) Sant’Agostino, Le confessioni, a cura di M. Pellegrino e C. Carena, Città Nuova, Roma, 1965, lib. VII, 10,16, pag. 201.

2) Cfr. Le opere di San Bernardo, a cura di F. Gastaldelli, Scriptorium Claravallense, Fondazione di Studi Cistercensi, Milano 1984, vol. 1, La grazia e il libero arbitrio, X, 32, pp. 397-399. (d’ora innanzi San Bernardo, La grazia e il libero arbitrio).

3) Bernardo riprende un tema altamente tradizionale, presente nei teologi del suo tempo: Cristo, in quanto Logos divino, è il luogo delle idee, l’archetipo della creazione (= forma dell’universo).

4) San Bernardo, La grazia e il libero arbitrio, X, 33, p. 399.

5) Ibid., XIV, 49, p. 419.

6) Cfr. Ibid., II, 4- III,7, p. 363-369.

7) Cfr. Ibid., XIV, 49, p. 419.

8) Ibid.

9) Bernardo di Chiaravalle, Sermoni sul Cantico dei Cantici, a cura di D. Turco, Ed. Vivere In, Roma, 1986, col. I, serm. XXIV, 7, pag. 268.

10) San Bernardo, La grazia e il libero arbitrio, XIV, 49, p. 419.

11) Ibid., VI, 17, p. 381.

12) Ibid., IV, 12, p. 375.

13) Bernardo di Chiaravalle, Sermoni sul Cantico dei Cantici, LXXX, 2, pag. 381/2.

14) Ibid., LXXXII, 2, p. 382.

15) Ibid., LXXXII, 5, p. 385.

16) Ibid., LXXXII, 2, p. 382.

17) Ibid., LXXXIII, 3, p. 392.

18) Ibid.

19) Ibid., LXXXV, 12, p. 417.

20) Ibid., p. 418.


(da Vita Nostra)

Il sacramento dell'Eucaristia racchiude in sé la totalità del dono che il Padre ha fatto di sé agli uomini, nella persona del suo Figlio Gesù Cristo: tutto il piano delta salvezza si concentra come in una sintesi vitale nel Pane spezzato e nel Sangue sparso, in cui si ratifica la nuova ed eterna alleanza.

Pubblicato in Spiritualità
Etichettato sotto

Pensatore, mistico e papa dal carisma eccezionale, Karol Wojtyla lascia però al suo successore una eredità contrastata. Giovanni Paolo II ha abbattuto molti muri, ma ne ha eretto altri.

Pubblicato in Spiritualità
Etichettato sotto

La cura tenera della fragilità:
responsabili per l'altro
(I piccoli e l’Abbá di Gesù)
Intervento di Marcelo Barros


1. Una premessa: partire dal Vangelo

Amiche, amici, vorrei cominciare con una premessa. Una premessa che parta dal Vangelo. Per la capacità che esso ha di dire sempre una parola nuova, che ci interpella e ci provoca, corrodendo le nostre sicurezze, stanandoci dai nostri facili rifugi ideologici, dalle nostre ortodossie o ortoprassi, così spesso ostinate e disumanizzanti. Vorrei iniziare, citando, del Vangelo, un passo, tanto conosciuto, quanto incompreso e trascurato. Una parola difficile, ostica alle nostre orecchie. In qualche espressione, perfino minacciosa. Parlo di Matteo, cap. 18, versetti da 1 a 14. La “Magna Carta” dei discepoli di Gesù è proprio il capitolo 18 di Matteo. Ed essa ha la pretesa di valere per le nostre relazioni “dentro” la comunità, non meno che per i nostri rapporti “fuori” di essa. Perché l’identità cristiana – cercheremo di vedere in che cosa consiste questa identità paradossale negatrice dell’Io – non è qualcosa che possiamo vestire e dismettere a seconda dei luoghi in cui operiamo. Anche se proprio in ciò pare consistere il “guadagno”della modernità: le ragioni della fede e la competenza laicale che procedono su piani paralleli senza mai incontrarsi. Collocandoci in ascolto del Vangelo, dovremmo evitare di pensarlo come un manuale che ci fornisce ricette pronte per qualsiasi evenienza, o chiarimenti su ogni argomento. Il Vangelo ci porta, attraverso racconti e parole che esigono il nostro sforzo interpretativo, quella che Gesù ci presenta come Verità del Padre, come proposta del Regno, come senso della vita. Stando così le cose, lo sforzo dovrà consistere in coniugare, ogni giorno, la speranza del regno con gli avvenimenti concreti in cui ci troviamo ad agire. Immagino che il testo lo conoscano tutti. È quello che racconta di come i discepoli chiedono a Gesù: Chi è il più importante nella logica del regno di Dio? E Gesù, come risposta, chiama un bambino, lo pone in mezzo a loro e dice due cose. Primo, se voi non diventerete e non agirete come bambini, non potrete capire nulla del progetto del Padre. Secondo, chi riceve uno di questi piccoli, è me che riceve! Dunque, il piccolo come destinatario, fine, orizzonte della mia azione/attuazione, perché in lui s’identifica la stessa verità di Dio; e il “piccolo”come visione, stile, modalità del mio agire nel mondo. Come maniera d’essere dello stesso Dio. E, a questo punto, noi si potrebbe anche andare a casa. Perché la realtà, come ci è dato conoscerla, è l’esatto contrario di tutto ciò.Ma, voi siete persone coraggiose e ambiziose. Di un certo tipo d’ambizione (come i bambini, appunto che, gonfiando il petto, annunciano con orgoglio: Io da grande, sarò come mio padre] e persone ostinate, cui piace andare controcorrente.

1.1. Il bambino, oggetto della mia cura

Chi è, dunque, il piccolo, il bambino che deve essere oggetto della nostra cura, della nostra cura esclusiva, così com’è oggetto della cura del Padre? Il piccolo, il bambino del tempo di Gesù, non aveva nulla da spartire con l’immagine che conosciamo oggi, simbolo della tenerezza, oggetto vezzeggiato, centro della famiglia, idolatrato dal mercato. Il bambino non valeva nulla, nessun diritto “dei bambini”. Il padre era padrone della vita e della morte. [Questo accade, ancora oggi, ma almeno, sotto lo sguardo severo, e a volte ipocrita, della opinione pubblica]. Dunque, il primo messaggio di Gesù è che il bambino – sintesi e simbolo di ogni insignificanza, di ogni fragilità, di ogni diritto non tutelato, presente nella nostra storia – deve diventare il centro e la priorità della nostra azione. Parlo naturalmente anche dell’azione politica. Non possiamo aver nulla a che vedere con forze e programmi politici – se siamo cristiani, naturalmente, - che non abbiano come obiettivo questo genere di priorità. La tutela dei poteri forti, la propongono e la perseguono molto bene i partiti della destra, che oggi più che mai si presenta come forza del neo-paganesimo imperante. E, in questo, sono senza dubbio ben equipaggiati, ideologicamente e amministrativamente.

1.2. Il bambino, soggetto della cura

Ma, qual è la maniera di agire del bambino che assomiglia alla maniera di agire di Dio. Meglio, del Padre di Gesù. Altro paradosso evangelico: agisce come il Padre, chi agisce come il figlio, come un bambino! Cerchiamo di offrire alcune caratteristiche dell’”essere bambino”. Voi, poi, potrete aggiungere tutte quelle che vorrete. Il bambino sa di non essere auto-sufficiente, più ancora, sa di essere dipendente. L’idea su cui dovremmo lavorare penso che possa essere quella di “interdipendenza”: il bambino che è in me ha bisogno di te, il bambino che è in te ha bisogno di me. Tu, - il “tu” che è la natura, la storia, la comunità – sei la condizione del mio esistere, così come il “tu” di cui io sono parte è condizione del tuo esistere. Il bambino è curioso, desideroso di esplorare il mondo che lo circonda, si relaziona con fiducia. Non ha preconcetti, non conosce esclusioni. Si pone come limite solo la parola del padre, che, nel nostro caso, siamo fortunati, perché sappiamo essere il progetto del Padre che desidera, per tutti e tutte, una vita piena e felice. Il bambino, nei rapporti che instaura, non conosce gerarchie, né sete di potere, ma cerca tenerezza e la dona, l’unica economia che conosce è quella del dono. E penso che, per cominciare, già potrebbe bastare. Confrontandoci con questo brano del Vangelo, potremmo verificare se e quando la nostra attuazione assume seriamente la proposta del regno, nella nostra vita personale, nelle relazioni familiari, comunitarie, sociali, ecclesiali, politiche. La domanda a cui dovremmo rispondere ogni sera, chiudendo la nostra giornata, è: Chi è stato importante oggi per me? Chi è stato al centro delle mie attenzioni? Della mia attuazione familiare, ecclesiale, sociale, economica, politica? L’ “io” (individuale o collettivo poco importa, la mia famiglia, il mio gruppo, Chiesa, partito, i miei fans...) o il “tu”, che mi concerne sempre, il senza-potere, il senza-voce, il senza-opportunità. Sapendo che la regola del cristiano [regola che, per altro, si destina a pochi], consiste nel giungere, quando necessario, a negare se stessi, perché l’altro viva e che, finché esisterà conflitto, l’altro – il bambino, il debole, il povero, l’ultimo, l’extra-comunitario, il perseguitato, ha, per diritto divino, la precedenza. Per dirlo con le parole di una preghiera di Gandhi: “O Signore, se vuoi che io abbia latte, dallo prima a tutte le tue creature!”. Parlavamo all’inizio di parole perfino minacciose. È così.

Questo brano di Vangelo ci dice in che misura Dio si sente coinvolto nella storia dei senza-storia, che sono, come tutti, destinatari della sua promessa di vita. “Se qualcuno farà perdere la fede nella mia promessa di vita ad uno di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli legassero una grossa pietra al collo e che lo buttassero in fondo al mare”. Attenzione, amici, è questo il messaggio: con il Dio dei piccoli non si scherza!

Non perdiamo l’occasione di scrivere la storia, la nostra storia, come storia di Dio.

2. La realtà e le cifre dell’anti-regno

Alcuni mesi fa, salutando la costituzione del Centro Internazionale Helder Câmara, citavo dom Helder, suggerendo le tappe di un possibile percorso: “Il nostro Padre … ha dato all’uomo il potere e la responsabilità di non rassegnarsi alla sofferenza e al dolore innocente, ma di combatterli. E’ il nostro compito.” Non rassegnarsi alla sofferenza. Il dolore tortura il corpo; la sofferenza, in particolare quella provocata dall’uomo e da strutture di potere inique, per la sua durata e la sua asprezza, corrode le radici della vita. Non basta manifestare indignazione, né imprecare contro la malvagità dell’uomo, ma bisogna rispondere concretamente alle sfide che ci troviamo di fronte e denunciare le responsabilità, chiamandole per nome. Le sfide elencate nel programma del Centro sono molte e rilevanti, documentate da cifre impressionanti: la miseria causata da un’economia ingiusta, l’ignoranza, lo sfruttamento sessuale, i bambini abbandonati, il lavoro minorile, le malattie e l’aids, i bambini soldato, ecc... Per avere un quadro della situazione mondiale, necessario per ragionare con sufficiente realismo, lasciatemi ricordare qui ancora alcuni pochi dati di fonte Unicef.

Di 100 bambini che nascono in media ogni anno

19 non avranno accesso all’acqua potabile

40 vivranno senza adeguate strutture sanitarie

30 soffriranno malnutrizione nei primi 5 anni di vita

26 non saranno vaccinati

40 non saranno registrati alla nascita e quindi non avranno nazionalità e diritti civili

17 non andranno mai a scuola.

“Nel mondo ci sono 125 milioni di bambini che non hanno mai visto una maestra”. E resta comunque difficile studiare con la pancia vuota o con il corpo distrutto dalle malattie. È per questo che (è persino inutile sottolinearlo), lotta all'Aids e programmi per l’alimentazione dell'infanzia diventano obiettivi irrinunciabili. L'Ocse (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) ha rilevato che negli ultimi dieci anni la quota di aiuti ai paesi poveri s'è ridotta di un terzo e oggi vale lo 0,4 per cento del Pil (Prodotto interno lordo). Nel suo ultimo rapporto la Banca mondiale ha calcolato che 180 miliardi di dollari all’anno per 10 anni consentirebbero di garantire l’accesso all’acqua potabile, all’istruzione di base e a un alloggio decente a tutti coloro che ancora ne sono privi, in tutto il mondo. Per avere un’idea delle grandezze economiche in questione, basti pensare che gli Usa e l’Europa danno sussidi ai loro agricoltori per quasi il doppio di quella cifra (347 miliardi di dollari), danneggiando l’esportazione dei prodotti agricoli dei paesi poveri. Nel 2002 sono previste spese militari mondiali di 946miliardi di dollari (con un incremento addebitabile in gran parte agli Stati Uniti) rispetto agli 811 miliardi del 1998. Nonostante la rilevante crescita della ricchezza globale degli ultimi decenni il divario tra i primi e gli ultimi – tra il quinto più ricco e quello più povero – continua ad aumentare . Ora, questi dati stanno a testimoniare che il nostro mondo è la negazione più radicale di quel Regno che ci ostiniamo ad annunciare e celebrare. Più che le cifre, poi, sono i volti da noi conosciuti che ci interrogano quotidianamente. Per quanto riguarda il mio Paese, nel 2001 il Brasile si è trovato ad affrontare situazioni davvero gravi a livello sociale: un aumento generalizzato della disoccupazione, un inarrestabile e progressivo impoverimento della popolazione, la diffusione della violenza e l’azione di un insieme di meccanismi di emarginazione ed esclusione sociale, aggravati da una perversa distribuzione del reddito. Secondo statistiche ufficiali, circa 50 milioni di brasiliani (quasi un terzo della popolazione) vive con meno di 2 dollari al giorno, e sono perciò considerati in situazione di povertà. E tuttavia, dati più circostanziati indicano che 15 milioni di brasiliani sopravvivono con un reddito inferiore o pari a un dollaro per giorno, il che è considerato indice di povertà estrema o di miseria. Ora, è inevitabile che tale situazione si rifletta drammaticamente sulla vita dei 57 milioni di bambini e adolescenti del mio Paese, in termini di vulnerabilità alla mortalità infantile, di abbandono scolare, di sfruttamento del loro lavoro. Questo, solo per citare i fenomeni più appariscenti. Secondo dati del Ministero dell’Istruzione, relativi all’anno 2000, del totale di bambini da 0 a 3 anni, solo il 4,2% ha accesso agli asili nido e di quelli da 4 a 6 anni solo il 37,9% frequentano le scuole materne. Senza considerare la bassa qualità dell’offerta di questi servizi. E, ancora, benché i dati ufficiali ci offrano, per il 1999, una percentuale di iscrizione all’insegnamento primario del 95,6%, è importante rilevare che sono circa 1 milione e 800 mila bambini tra i 7 e 14 anni che stanno fuori dalla scuola. L’Unicef segnala inoltre che circa 8 milioni di adolescenti tra i 12 e i 18 anni, in condizioni di reddito bassissimo e di bassa scolarità sono condannati all’insuccesso scolastico e professionale, privi come sono di una scolarità sufficiente che li abiliti ad accedere ad attività lavorative più complesse e a salari migliori. A tutt’oggi le provvidenze governative in tema di infanzia e adolescenza non si sono dimostrate in grado di affrontare, né tanto meno di risolvere i problemi, a causa del mancato interesse a risalire, denunciare, rimuovere le cause della povertà e della miseria. Tutto questo rappresenta per noi dunque un appello ad agire. Ogni iniziativa per migliorare il mondo deve dare precedenza alle iniziative a favore dei bambini. Una società i cui i più piccoli e indifesi sono denutriti, vengono fatti oggetto di abusi, o non hanno diritto all'istruzione, non può dirsi una società civile. É questa la visione che ispira il nostro incontro: è il benessere dei piccoli la misura della nostra responsabilità verso l’Altro. Oggi è possibile creare un mondo a misura di bambino. Abbiamo le conoscenze, l'esperienza e le risorse necessarie. Quindi non è più una questione di possibilità, ma di volontà politica.

3. Il Regno, ovvero il “Principio della cura”

Il Regno, ne siamo profondamente convinti, non è altra cosa dal principio della cura, annunciato, celebrato, ma, soprattutto, testimoniato. Il discernimento di come viverlo nel quotidiano, nelle nostre relazioni familiari, comunitarie, sociali e di come incarnarlo nelle nostre scelte politiche non è sempre facile. Quello che è certo è che non può adottare mezzi e stili che lo contraddicano. È quanto ci ricorda Gandhi : “La convinzione che non vi sia rapporto tra mezzi e fine è un grande errore. Per via di questo errore, anche persone che sono state considerate religiose hanno commesso crudeli delitti (...). Il mezzo può essere paragonato a un seme, il fine a un albero; e tra il mezzo e il fine vi è appunto la stessa inviolabile relazione che vi è tra il seme e l’albero. (…) Raccogliamo esattamente quello che seminiamo.” Una cosa almeno ci è chiara fin dall’inizio: il diritto alla vita non può essere lasciato alla mano invisibile del mercato, né ad un’élite tecnologica che concentra su di sé tutto il potere . Può salvarci solo la scelta consapevole di una moltitudine di uomini e donne, che pratichino nel quotidiano, rapporti sociali all’insegna della solidarietà. Che è poi, ciò che chiamiamo la “prassi del regno”.Solidarietà significa chiederci che cosa facciamo noi affinché l’altro possa esistere. E, subito dopo, darsi da fare per creare le condizioni affinché tutti possano “vivere” con dignità : disponendo di cibo, di acqua, di salute, di lavoro, di istruzione. Riccardo Petrella, in un suo intervento, proponeva di fare una alleanza con i bambini di tutto il mondo, oltre i confini degli Stati e di chiamarla O.M.U: Organizzazione Mondiale dell’Umanità. Durante il recente vertice della Terra di Johannesburg, a Soweto, nel ghetto che ha vinto la battaglia contro l’apartheid, abbiamo assistito alla sfida simbolica del Children Earth Summit: cento bambini in delegazione da tutto il mondo hanno dato vita ad una festa della speranza per celebrare la bellezza della Terra. Parlavano della “cura” cui tutti siamo tenuti nei confronti della nostra madre comune e delle misure “semplici” con cui questa cura si manifesta: non sprecare l’acqua, riciclare le bottiglie usate, e così via. Il vertice ufficiale non ha dato spazio a questi bambini, ma saranno loro, in definitiva, a verificare la realizzazione delle promesse fatte a Johannesburg. Dom Helder , che aveva una grande fiducia nei giovani , lanciò proprio qui a Milano nell’ottobre del ’74 il motto “ Giovani di tutto il mondo unitevi !“. Oggi, le maggiori organizzazioni dell’infanzia, con il sostegno di Nelson Mandela, lanciano la parola d’ordine: “Creare un movimento globale per cambiare il mondo, con i bambini.” Questo movimento è già in atto ed è rappresentato dalla rete innumerevole di iniziative e di persone che scelgono di coinvolgersi sui temi della Pace e dell’Ecumenismo, della Lotta alla fame e alla miseria, dei Diritti umani, del Dialogo tra generi, dell’Ecologia, della Terra e dell’Acqua. Tutte sfide che dobbiamo assumere simultaneamente per dare un futuro all’infanzia del mondo intero, coinvolgendo “ogni cittadino, ogni nazione, entità pubbliche e private, nazionali e internazionali, per spingere al cambiamento e alla tutela dei diritti, assicurando il miglioramento duraturo della vita dei bambini” (Movimento globale per l’Infanzia). Invece degli obiettivi esclusivamente economici del neoliberismo vogliamo mettere al primo posto la qualità della vita e il futuro dei nostri figli, con tutto quello che ne consegue in termini di ecologia, equità, democrazia. Certo, per far questo abbiamo bisogno di un recupero di spiritualità che, lungi dal sottrarci alla materialità delle relazioni, della vita e delle responsabilità che ci competono, ci restituisca, con inedita libertà e nuova maturità, al rapporto con la terra Madre, le sue energie e i suoi figli e figlie.

4. Per una spiritualità politica

Helder Camara ha testimoniato che non c’è altra via per il cristiano che il farsi prossimo, non solo a livello personale, ma lavorando per cambiare le strutture che rendono gli uomini schiavi. Ci invitava ad essere artigiani di pace che è il modo migliore per riconoscere l’altro. Costruttori di quella pace che è molto di più che la semplice assenza di guerra: è vita piena, fraterna e solidale, per tutti. Per questo aveva scelto come programma di vita la preghiera di Francesco: "Signore, fa' di me uno strumento della tua pace: Dove è odio fa' che io porti l'amore / Dove è offesa che io porti il perdono / Dove è discordia che io porti l'unione / Dove è dubbio che io porti la fede…".

Spiritualità francescana e solidarietà, contemplazione e azione, dialogo e incontro fra culture e religioni. Questa è la via che ci ha indicato nelle miserie e conflitti che caratterizzano il nostro tempo. Certo, anche la politica ha tutti i limiti, di ogni altro ambito umano, aggravati dalle tentazioni del potere. L’esperienza ci dice che dove si denuncia l’ingiustizia per affermare il bene comune si rafforzano sia il divino che l’umano. Senza spiritualità la politica diventa cinica; senza impegno politico, la spiritualità diventa sentimentalismo. Questo, almeno per noi in Brasile, è sufficientemente chiaro: una spiritualità che si voglia cristiana non può essere apolitica, indifferente alle sofferenze prodotte da un sistema di potere ingiusto. I fatti ci costringono a prendere posizione . Non c'è separazione tra cielo e terra. La liturgia cristiana canta la relazione tra il cielo e la terra, tra Dio e l'uomo, che si realizza in Gesù. Si contempla Dio attraverso la Bibbia e la vita insieme. Carlos Mesters, il nostro amico biblista, ha saputo tradurre in splendidi libri questa esigenza di essere contemplativi nelle attività di liberazione. E’ una spiritualità che sa vivere ecumenicamente la presenza dello Spirito e la sua azione salvifica nel mondo. Quando celebriamo i nostri martiri, ricordiamo anche quelli non cristiani come "martiri del Regno", martiri di un processo più grande che la Chiesa è chiamata a servire. La Chiesa non può essere che un servizio al Regno di Dio. E noi sappiamo che questo crea inevitabilmente tensioni e conflitti. Questo pericolo costante per la vita e la missione della Chiesa sta scritto nella Rivelazione di cui ella stessa è depositaria. Come osserva il vescovo profeta, Pedro Casaldáliga: “Gesù ha vissuto anche la conflittualità con il tempio e con la sinagoga… La Chiesa, come qualunque istituzione umana, sebbene non sia solo un'istituzione umana, corre il rischio di istituzionalizzarsi eccessivamente, di ripiegarsi su se stessa, corre il rischio … di fare a volte affogare il carisma nel potere. Per questo anche il cristiano d'oggi, come a suo tempo Gesù, può sperimentare il conflitto, non solo di fronte ai poteri di questo mondo, ma anche di fronte a ciò che nella Chiesa può esserci di tempio e di sinagoga”. La politica non è tutto, perché Dio non si limita a rispondere ai bisogni dell’uomo, ma è una via inevitabile per la liberazione umana.

5. Agire responsabilmente

Se un giorno dovessi spiegare ad un bambino del mio bairro che cosa ha portato la nostra comunità monastica a insediarsi, ormai da venticinque anni, nella periferia povera di Goiás, vorrei potergli dire che è stata la scelta della compassione, nel suo senso più ampio. La scelta, cioè, della condivisione e solidarietà profonda della vita della nostra gente, con i suoi problemi, le sue sofferenze, ma anche le sue risorse, l’allegria, la capacità di resistenza e tutte le sue ricchezze interiori. Vorrei che a noi si potessero applicare sempre le poche parole che nella Bibbia descrivono l’atteggiamento del samaritano: “Passandogli accanto lo vide, e ne ebbe compassione, lo guardò nel volto e ascoltò il suo cuore”. L’orientamento culturale di gran lunga prevalente oggi è altro. È quello di “star bene con se stessi”: una sorta di fuga dal mondo per migliorare il proprio benessere psicofisico. L’economia, la politica , la sessualità sono senz’anima, non richiedono cioè alcun impegno spirituale. L’alienazione si alimenta di conformismo e di palestre. Il potere incoraggia la burocratizzazione della politica, finanzia il volontariato come strumento di conservatorismo compassionevole per coprire l’ingiustizia del sistema. L’attuale modello di sviluppo mette a repentaglio irresponsabilmente l’intero sistema ecologico della terra e trasferisce la questione sociale a livello planetario in termini assolutamente inediti di tensioni e di aggresività. Anche il Primo Mondo ha costruito un suo muro, non fatto di mattoni, ma invisibile e forse più insidioso. Perché nasconde i lager o gulag di popoli interi e molti desaparecidos. E crea le condizioni di emarginazione e disperazione che alimentano il terrorismo, l’intolleranza e la violenza. Ora che è venuto meno il muro che divideva il primo mondo dal secondo è ora di eliminare il muro che esclude i popoli del terzo mondo. Anche perché l'umanità è una sola e queste classificazioni dei popoli sono prive di senso. Ricordando, per altro, che quella economica non è l’unica forma di ingiustizia. Ce lo ricordava frei Betto, al Forum Sociale di Porto Allegre, menzionando la persecuzione degli immigrati , l’esclusione dei discendenti degli schiavi neri e degli indigeni nelle Americhe, l’oppressione di milioni di individui che appartengono alle caste "intoccabili" in India, e tante altre forme di razzismo o discriminazione per ragioni di colore, religione, cultura o genere, presenti dal Nord al Sud del pianeta. Di questo scandalo siamo tutti, in misura maggiore o minore, responsabili, vuoi per incompetenza, per incoscienza, per alienazione o per mancanza di pietà. Per reagire ad esso, dom Helder chiamava all’azione quelle che lui chiamava le minoranze abramitiche, i piccoli gruppi di persone che, per ogni dove, diventano consapevoli dei peccati sociali e scelgono di lavorare, non per i poveri, ma con i poveri. Anche Etty Hillesum si rivolgeva nel suo Diario non alle nazioni ma solo a quegli uomini “per i quali vale come verità certa che le realtà del nostro mondo civile non cadono dal cielo, ma sono in ultima analisi opera di noi uomini singoli. Se le grandi cose vanno male, è solo perché i singoli vanno male, perché io stesso vado male. Perciò, per essere ragionevole, dovrò cominciare col giudicare me stesso.”

6. L’ecumenismo dell’umanità sofferente

Dalla lontana periferia brasiliana, che è il mio piccolo osservatorio aperto sul mondo, attraverso una vasta rete di amicizie che lungo tutti questi anni si è venuta tessendo, vedo che la solidarietà, come nuovo nome della pace, ci riunisce nell’ ecumenismo dell’umanità sofferente . Il riconoscimento della centralità della solidarietà con gli impoveriti sta alla base del dialogo fra le religioni. Questa è anche la base di una convergenza delle religioni per la comune resistenza contro le cause del patire ingiusto. Dopo le tragiche avventure del colonialismo, con la distruzione delle popolazioni indigene e la riduzione in schiavitù di milioni di figli dell’Africa, dopo Auschwitz, i lager e Hiroshima, lo scempio dell’ambiente, la sofferenza e morte di milioni di bambini non possiamo pensare di cavarcela invocando i buoni sentimenti o i nobili ideali e neppure solo facendo dichiarazioni teologiche di richiesta di perdono. L’abbattimento delle torri di New York segna l’esigenza di un ritorno alla terra, al ground zero, come è stato chiamato il luogo della tragedia, alle fondamenta. Non per rispondere al terrorismo con la follia di una guerra allargata a tutto il mondo. Ma per prendersi cura della Terra, ritrovando l’umiltà (dall’etimologia di humus ). La sofferenza e il dolore innocente possono essere il punto di svolta per affermare la vita, liberando le energie positive, contro il processo autodistruttivo del male. Non sopravvalutiamo la forza apparente degli imperi, che anche quando sembrano egemoni, hanno i piedi di argilla e franano all’improvviso, accecati dal militarismo . L' “argilla” è la fame dei popoli e il loro amore per la Vita. I cristiani sanno che la Vita trionferà sulla Morte. Quello che in fondo propongo ai giovani, l’impegno fondamentale che è intendo sollecitare nel nome di Dom Helder Camara è che le azioni che svolgeranno, nei campi più diversi, ed in base a sensibilità ed esperienze diversissime dalle mie, siano comunque finalizzate ad una missione: testimoniare la solidarietà del Dio della Vita per ogni uomo. La stessa che Cristo ci ha manifestato. L’azione solidale per scongiurare i pericoli che incombono sull’umanità può darci una visione ad un tempo nuova e fedele al Vangelo. Il comportamento dei cristiani deve manifestare coerenza tra l’annuncio e la vita. Luca ripeterebbe: “perché mi chiamate: Signore, Signore, ma non fate ciò che vi dico? “(6,46).

7. Per un nuovo protagonismo del bambino

Ma torniamo a loro, ai bambini, ai piccoli. Per avviarci ad una prima conclusione. Abbiamo cercato di esporre come possiamo fare di loro, nello stesso tempo, l’oggetto e il soggetto del “principio della cura”. Facendo di questo l’anima di una nuova spiritualità (anche politica), di un agire responsabile, di un ecumenismo aperto e solidale con gli ultimi. Sedici anni fa, nel 1986, si celebrava a Brasilia il Primo Incontro Nazionale del Movimento dei Bambini e Bambine di Strada, durante il quale per la prima volta essi poterono denunciare di fronte al Paese la violenza di cui erano vittime. Un anno dopo, questo stesso movimento promosse il 1° Tribunale Nazionale del Minore, che giudicò simbolicamente i crimini praticati contro bambini e adolescenti. Da allora si sono moltiplicate, nel nostro Paese le iniziative che intendevano e intendono dare voce e opportunità a queste espressioni “ultime” della società, le più deboli e marginali. Questo si è tradotto via via in una coscienza e una cultura nuova, capace di restituire all’infanzia il tempo, lo spazio, il valore, il significato che le erano stati sottratti. Basterà ricordare le mobilitazioni sui temi della violenza, sul lavoro infantile, sullo sfruttamento sessuale, sul recupero e sulla protezione dei minori “infrattori”, davanti ad una società per la quale “riconoscere anche nell’aggressore un cittadino sembra essere un esercizio difficile e inappropriato”. Questa mobilitazione di ampi settori della società, nata dall’azione concreta dei “piccoli” riscopertisi soggetti politici, ha significato quanto meno, a livello di opinione pubblica, la scoperta e la messa a tema dei “diritti dei bambini” e, a livello dei poteri pubblici, lo studio, la progettazione e l’emanazione di una legislazione assolutamente esemplare. E tuttavia, resta da fare molto, quasi tutto. Si tratta, cioè, in primo luogo, di applicare le leggi, lo Statuto del Bambino e dell’Adolescente, in primis. Fino ad oggi, e speriamo che sia davvero solo fino ad oggi (grandi sono infatti le speranze che accompagnano questa seconda tornata elettorale che si svolgerà domani), è mancata la volontà politica di applicare il precetto costituzionale della “priorità assoluta”. Lo Stato nelle sue strutture centrali e periferiche ha preferito assumere o mantenere una dimensione di carattere assistenzialista, che tratta cioè l’assistenza sociale come un dovere morale e non come un diritto. Anche perché questa si è rivelata un’attitudine sufficientemente redditizia, almeno in termini elettoralistici.

È necessario che il nuovo governo che si insedierà al Palazzo del Planalto investa nel bambino, nella sua famiglia (aumentandone il reddito familiare, le condizioni abitazionali, la qualificazione dell’adulto per il lavoro) e in un’educazione di qualità. Un’educazione che ponga tra i suoi obiettivi anche quello di riscattare e valorizzare le culture, fino ad oggi sacrificate, osteggiate se non negate, delle popolazioni negre ed indigene. Sarà l’occasione per mostrare una “nuova” volontà politica di agire nella prospettiva dei piccoli e degli ultimi, l’unica in grado di non caratterizzarsi come “escludente”. Capace, invece, di esprimere relazioni che riconducano tutta la ricchezza dei diversi segmenti della società nella generale categoria della “cittadinanza”.

A mo’ di conclusione: un nuovo inizio

Come concludere un tema come questo: il prendersi cura che si riflette sull’infanzia e orienta il futuro?

La diagnosi è chiara: i paesi ricchi vivono materialmente oltre i limiti dello sviluppo sostenibile e pensano e agiscono al di sotto delle proprie esigenze spirituali. E’ possibile un nuovo inizio e come ?

E’ vitale continuare a considerare possibile una società migliore, che consenta a tutti gli esseri umani di immaginare e costruire altri mondi possibili, senza guerra e miseria .

Francesco d’Assisi così si rivolgeva ai politici nella sua Lettera ai reggitori dei popoli:

“… ricordate e pensate che il giorno della morte si avvicina. Vi supplico allora, con rispetto per quanto posso, di non dimenticare il Signore, presi come siete dalle cure e dalle preoccupazioni del mondo”. Non dimentichiamo che il Signore si è fatto uomo come povero (cf. 2 Corinti 8,9), che ai poveri ha affidato il giudizio finale (cf. Matteo 25). Non è solo una scelta etica sulle cose da fare . L’opzione per i poveri è un cammino che ci è stato rivelato e che dà senso al nostro legame con i figli . Infatti alla domanda “Dove incontriamo Dio?” la risposta ci è stata data chiara:

“ogni cosa che avrete fatto a uno di questi piccoli, l’avrete fatta a me”

In questo senso siamo orientati a contribuire al “Decennio internazionale per la cultura della pace e la non violenza per i bambini del mondo” proclamato dalle Nazioni Unite per il 2001-2010 col seguente manifesto: PER I BAMBINI DEL MONDO

“Oggi, in ogni paese del mondo, ci sono molti bambini che in silenzio soffrono gli effetti e le conseguenze della violenza. Essa assume forme differenti: tra i bambini nelle strade, a scuola in famiglia e nella comunità. Ci sono violenze fisiche, violenze psicologiche, violenze economico-sociali, violenze ambientali e violenze politiche. Molti bambini - troppi bambini - vivono in una “cultura della violenza”. Noi vogliamo contribuire a ridurre le loro sofferenze. Noi crediamo che ogni bambino possa scoprire da sé che la violenza non è inevitabile. Noi possiamo dare speranza, non solo ai bambini del mondo, ma a tutta l’umanità, cominciando a creare e costruire una nuova Cultura della Non violenza. Per questa ragione noi facciamo questo appello a tutti i capi di stato, a tutti i membri dei paesi dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, affinché l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite dichiari:

Che il primo decennio del nuovo millennio, gli anni 2001-2010 siano dichiarati il “Decennio per una cultura della non violenza”;

Che all’inizio del decennio l’anno 2000 sia dichiarato “l’anno dell’educazione alla non violenza”;

Che in questo decennio la non violenza sia insegnata ad ogni livello della nostra società, per rendere i bambini consapevoli del significato e dei benefici della non violenza nella loro vita quotidiana, al fine di ridurre la violenza e la conseguente sofferenza, perpetrata contro loro e l’umanità in generale.

Noi possiamo costruire insieme una nuova cultura della non violenza che darà speranza a tutta l’umanità e in particolare a tutti i bambini del mondo. “

Non rassegniamoci dunque, ma assumiamo le nostre responsabilità a testa alta e a mani tese, con questo impegno comune, perché è tempo di agire !


IMPEGNO COMUNE PER LA PACE

Riuniti nell’incontro promosso dal Centro Internazionale Helder Camara, da questa Università Cattolica facciamo appello a tutte le università del mondo per la diffusione fra i giovani di una cultura di pace. Riconosciamo che la Pace é il bene supremo ed un diritto di tutta l’umanità che ci è dato dall’amore divino. Riaffermiamo la pace come universale cammino spirituale che richiede una continua vigilanza.

Per questo, in nome dello Spirito Divino, energia di amore universale, nel quale crediamo con diversi nomi e in differenti forme, condanniamo ogni tipo di guerra, violenza e terrorismo, sia di gruppi, sia di Stati che si pongono al di sopra delle leggi internazionali , contro l’umanità ed il pianeta Terra .

Per approfondire in noi e nel mondo una cultura di pace assumiamo questi impegni:

1. Noi ci impegnamo a consacrare parte del nostro tempo, come studenti, insegnanti, uomini di buona volontà a elaborare un sapere universale condiviso che contribuisca a costruire una mondializzazione pacifica.

2. Noi ci impegnamo a dialogare tra noi e con gli altri con sincerità e pazienza, non considerando le differenze come un muro insormontabile, ma, riconoscendo che il confronto con l’altrui diversità può rappresentare l’opportunità per approfondire la nostra comprensione reciproca e favorire una educazione alla mondialità .

3. Noi ci impegniamo a difendere il diritto di ogni persona a vivere dignitosamente, secondo la sua propria identità culturale e religiosa, e il diritto di ognuno di associarsi ad altri per formare la propria famiglia culturale o religiosa.

4. Noi ci impegniamo a testimoniare che, qualunque sia la nostra religione e tradizione, riceviamo in noi lo Spirito Divino, se ci apriamo alla compassione-solidarietà coi nostri simili e alla salvaguardia del Creato .

5. Noi ci impegniamo a schierarci sempre dalla parte delle persone che soffrono, cercando di fare tutto il possibile per dare la precedenza alla cura dei bambini .

6. Noi ci impegniamo a promuovere incontri nello spirito di Assisi affinché cresca la comprensione e la fiducia reciproca tra le persone e i popoli, come base di una pace autentica.

7.Ci impegniamo a collaborare con tutte le iniziative a favore dell’infanzia che saranno promosse da questo convegno. Facciano nostro l’obiettivo Unicef di dare acqua pulita e servizi sanitari in ogni scuola del mondo.

We care : insieme dalla parte dei minori perché “un altro mondo è possibile”.

“GIOVANI DI TUTTO IL MONDO UNITEVI ”

Giovani di tutto il mondo: unitevi!

Unitevi contro l’egoismo!

Unitevi contro le manovre del potere economico, manifestazione suprema dell’egoismo contemporaneo!

Unitevi per una lotta pacifica! Se usassimo le armi dei fabbricanti di armi e dei fabbricanti di guerra, essi ci schiaccerebbero.

Dobbiamo usare armi che essi non possono usare:

pressioni morali liberatrici, basate sulla verità, sulla giustizia, sull’amore;

pressioni morali liberatrici, condotte contemporaneamente nei paesi ricchi e nei paesi poveri;

pressioni morali che, destinate a liberare gli oppressi, libereranno il Cristo che si fece uno con i poveri, con gli emarginati, gli esclusi, i senza voce!

Dom Helder Camara, Milano 19 ottobre 1974

Pubblicato in Maestri Contemporanei
Etichettato sotto
Martedì, 01 Agosto 2006 01:52

Piccolo grande Fratello (Mons. Claude Rault)

La beatificazione di Charles de Fou cauld ha avuto luogo a San Pietro domenica 13 novembre 2005.

Pubblicato in Spiritualità
Etichettato sotto

Spiritualità Marista
di Padre Franco Gioannetti


Trentasettesima parte

La povertà (2)

In una visione un po’ apocalittica – cara al P. Colin – la sorte della Società, del suo carisma e del spirito è legata, nell’ultimo numero delle Costituzioni, alle sorti della povertà. Con un minaccioso “Vae illi”, per chi causasse la decadenza su questo punto, il p. Fondatore fa intravedere quale potrebbe essere la più grande sciagura per la Società: senza un autentico spirito di povertà Gesù e Maria non potrebbero riconoscerla come loro propria.

Il concetto di povertà del P. Colin non sembra essere frutto di un pauperismo “di rottura”, né di un rigorismo riformista caratteristico di alcuni istituti religiosi nella seconda metà del sec. XIX. Il nesso stresso che il P. Colin stabilisce tra la povertà e lo spirito dell’Istituto fa pensare ad una intuizione originaria collegata con il carisma proprio della Società di Maria. Su questo il P. Fondatore non ha fatto altro che riproporre le beatitudini e lo spirito dei “poveri di Jahvè”, che hanno in Gesù e Maria i modelli più sublimi (Const., cap. XII, art. V, n. 443).

Martedì, 01 Agosto 2006 01:24

Le malattie dello spirito (Romano Guardini)

Chiunque sa qualcosa dell’amore, conosce questa legge: che solo nell’andar via da se stesso s’afferma quel senso di aperta vastità in cui l’io diventa reale e tutte le cose fioriscono.

Se mi capitasse un giorno - e potrebbe essere oggi di essere vittima del terrorismo che sembra voler coinvolgere ora...

Pubblicato in Spiritualità
Etichettato sotto
Martedì, 25 Luglio 2006 02:06

Il vero miracolo (Giovanni Vannucci)

Il vero miracolo
di Giovanni Vannucci



Leggendo il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci (Mt 14, 13-21), vengono alla mente due spontanee domande: perché questo prodigio è stato riportato dall’evangelista Matteo? Esiste in esso un significato recondito? Alla prima domanda le risposte sono varie, da quella dell’apologetica più trita che Gesù avrebbe compiuto il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci per far toccare con le mani agli uomini presenti e futuri la sua natura divina, a quelle più sottili che vi vedono indicata l’essenza della nuova èra iniziata con Cristo: l’èra dell’amore assoluto i cui simboli sono il pane e il pesce.

Se dovessimo credere al mistero di Gesù Cristo per i miracoli che ha compiuto, dovremmo credere a tutti quelli che prima e dopo Cristo hanno compiuto, in buona o cattiva fede, dei miracoli. Sarebbe la logica conseguenza dell’assioma apologetico: chi si mostra Signore delle leggi della natura (il miracolo è per lo meno una sospensione del normale corso delle leggi che regolano l’universo) possiede una divina natura. E di miracoli l’umanità ne ricorda miliardi; anche tenendo conto che un buon numero sono il prodotto di ciurmatori, ne rimane una notevole quantità di compiuti in buona fede, e vediamo illogica l’equivalenza tra miracolo e natura divina di chi lo compie.

Forse i prodigi di Cristo sono riportati dagli evangelisti per ben altre motivazioni, che dovranno essere scoperte caso per caso. L’impressione che si ricava dalla lettura attenta delle relazioni sui miracoli di Cristo è che non li compiva volentieri: è sufficiente notare la sua riluttanza al miracolo delle nozze di Cana, per esserne persuasi. Egli compì miracoli forzato e costretto dalle preghiere e gli affetti di chi lo circondava, e quando si arrese una grande tristezza lo invase, dovendo constatare come l’intelligenza dell’uomo preferisse essere abbagliata che non convinta. Dopo il miracolo della moltiplicazione dei pani, Gesù con tristezza dice ai dodici: «Voi non avete ancora capito» (Mc 8, 21).

Egli ardeva di comunicare agli uomini mortali la loro immortalità, ardeva di portare la loro mente negli spazi eterni, ove Iddio si rivela nella luce e nella vita e si manifesta come Padre e Padre amoroso. E Gesù era triste nel compimento dei miracoli, i suoi e gli altri si fermavano sull’aspetto clamoroso del prodigio e non volevano imparare ciò che con infinita pazienza stava insegnando. Ogni giorno, per colui che sa vedere, è denso di miracoli. Se ponessimo mente al perenne miracolo della vita, saremmo in continua adorazione dell’immensa e amorosa Mente che ci avvolge; in essa troveremmo di continuo la soluzione a ogni problema della nostra vita.

Se imparassimo a liberarci dall’interesse egoistico, a superare le difficoltà in un atto di confidente amore, se volessimo, scuotendo la nostra pigra ignoranza, protenderci nella nostra vera dimensione che è la divina realtà, sapremmo come chiedere a Dio ciò che Dio stesso brama di volerci dare: la compiuta sua somiglianza, la perfetta sua libertà, l’infinito suo operante amore! Ma abbiamo paura di ciò che veramente ci libera, vogliamo ciò che ci imprigiona, vogliamo la guarigione della carne che abbiamo resa inferma con i nostri disordini; vogliamo il trionfo delle nostre verità personalistiche che imprigionano lo spirito; vogliamo le ricchezze terrene che rendono quasi impossibile la salvezza eterna: questi miracoli domandiamo continuamente.

Nella narrazione del miracolo della moltiplicazione dei pani c’è un particolare sul quale dobbiamo fermare l’attenzione: Cristo dice ai discepoli, preoccupati dell’ora tarda e della fame della folla: «Datele voi da mangiare. Risposero: non abbiamo che cinque pani e due pesci. Ed egli disse: portateli a me». I discepoli, con assoluta fede e altruismo totale, donano ciò che hanno, e aprono la via all’evento miracoloso. I discepoli presentano cinque pani, cinque forme di pane che sono la maturazione del grano trasformato in farina e questa, attraverso la panificazione, in un nutrimento perfetto e completo. Li presentano a Cristo senza chiedersi cosa ne avrebbe fatto, senza domandarsi come avrebbero saziato la loro propria fame, offrono con un atto di dedizione incondizionata quanto hanno, tutto quello che in quel momento avevano, e il miracolo ricopre la vallata ove erano i cinquemila uomini.

Il miracolo vero è quello che in quell’istante si è compiuto nella trasformazione del cuore dei discepoli: hanno dimenticato la loro fame, il loro diritto a possedere il proprio pane, hanno abolito il prefisso «mio»; il loro pane non è più loro, ma lo ripongono nelle mani di Cristo; in quell’istante di perfetta maturità essi stessi non sono più di se stessi, ma di tutti.

Noi crediamo che Gesù abbia fatto dei miracoli, ma non per i miracoli noi crediamo a Lui. Il vero miracolo che ci avvicina e ci fa credere è il rinnovamento dei tempi, la grandezza della sua rivelazione, la potenza del suo insegnamento. L’autentico suo miracolo è il discorso della Montagna, la novità e vastità del suo amore, la sua capacità di redimerci dall’interno. Crediamo in Gesù Cristo Figlio di Dio e Figlio dell’Uomo, non a motivo dei suoi miracoli, ma a cagione di Lui stesso. Per questo respingiamo i falsi profeti insieme ai loro prodigi apparenti o reali, come respingiamo le seduzioni di chiunque creda di farci sognare un sogno e crede a una visione.

Cristo è la verità, la verità è oltre le apparenze, è la verità che solo lo spirito può contemplare in silenziosa solitudine, e il miracolo è che ogni uomo può vivere questa verità quando ha raggiunto la totale dimenticanza di se stesso divenendo offerta pura e totale.


(Giovanni Vannucci, «Il vero miracolo», 18a domenica del tempo ordinario, Anno A; in Risveglio della coscienza, 1a ed. Centro studi ecumenici Giovanni XXIII, Sotto il Monte (BG) ed. CENS, Milano 1984; Pag. 141-143).
Pubblicato in Maestri Contemporanei

Search