Esperienze Formative

Attenzione

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3. L'AZIONE DELLO SPIRITO SANTO
NELL'UOMO, GAL 5,22-25
don Marino Qualizza



 


L’azione dello spirito Santo nell’uomo ed in favore dell’uomo, ci viene descritta in termini concreti nella lettera di san Paolo ai Galati. Tutto il testo è, in fondo, dedicato all’azione dello Spirito, perché a Paolo interessa evidenziare che la fede non può essere conquista umana, ma è dono di Dio, mediante il suo Spirito. Questi poi agisce nell’uomo rinnovato creando le situazioni favorevoli per una vita che sia degna del Vangelo. Ecco come san Paolo ce la descrive:<<Il frutto dello Spirito è amore, gioia, pace, longanimità, bontà, benevolenza, fiducia, mitezza, padronanza di sé; la legge non ha a che fare con cose del genere. Coloro che appartengono a Cristo Gesù crocifissero la carne con le sua passioni e i suoi desideri. Se viviamo in forza dello Spirito, camminiamo seguendo lo Spirito>>.


Il contesto immediato e più ampio in cui si inserisce il testo paolino è quello della libertà, sulla quale Paolo ha scritto pagine fondamentali. La libertà ci è stata data dal Cristo e ha come punto di arrivo o come manifestazione la carità, cioè l’amore che riguarda Dio e il prossimo. Nel nostro caso il riferimento immediato è l’amore del prossimo. E non per caso il primo frutto dello Spirito nell’elenco esemplificativo di Paolo è proprio l’amore. Libertà e amore sono termini che si richiamano a vicenda, e questo richiamo è tanto più significativo, quanto più spesso nella cultura contemporanea vengono dissociati. Di più c’è un richiamo ad un tema che accompagna tutta l’antropologia paolina, è quello della legge.



3. a. La libertà del cristiano


Tema arduo questo, in ogni tempo, perché le considerazioni di Paolo, in linea con quelle del Vangelo, sono del tutto innovative. Ciò che conta nella fede non sono gli sforzi umani, che ci devono essere sempre, ma il dono di grazia nello Spirito. Questo dono fa entrare nella libertà piena il cristiano, liberandolo dalla legge. Ora questo discorso è perfino pericoloso, tanto che non c’è stata epoca nella Chiesa, in cui non sia stato mal interpretato. O nel segno di una sfrenatezza che non conosce limiti, o in quello di un rigore che si sostituisce alla grazia dello Spirito. San Paolo ci dice che il cristiano è innanzitutto libero, perché non dipende da una legge esterna, sia pure quella fondamentale del decalogo. Esso non viene abolito, ma non è il fondamento della libertà, ma solo strumento di essa. La libertà è dono di Dio e precede ogni legge, ogni comandamento, ogni ordinamento esteriore. Ma la libertà cristiana non è senza un ordine; esso è interiore, perché consiste nella grazia, nell’amore e nell’ispirazione dello Spirito, che interiormente guida il cristiano a fare le cose che sono esplicitate nelle leggi. Egli non dipende da queste, perché ne vive già interiormente lo spirito ed il senso, in quanto è partecipe dello Spirito di Dio che le ha suggerite agli uomini.


3. b. Legge e grazia nella vita del cristiano


Cose talmente ardite non si erano lette da nessuna parte, ma esse non sono un’invenzione di Paolo, quanto invece una esplicitazione della ricchezza del Vangelo. Però, si può anche dire che nella storia della Chiesa non hanno avuto tanta applicazione, in quanto l’interesse prevalente era riservato proprio agli ordinamenti giuridici, con il rischio che la vita cristiana fosse più un codice di comportamento che non una forza interiore. Il tutto è visibile nell’accentuazione del primato dell’ascetica nei confronti della mistica. E’ chiaro che ci deve essere l’ascetica, ma essa è preceduta, non seguita dalla mistica, perché con essa intendiamo la qualità della vita cristiana, suscitata e guidata dallo Spirito Santo di Dio.


L’elenco delle virtù cristiane, fatto da Paolo a mo’ d’esempio e quindi non per farne un trattato, vuole indicare il comportamento cristiano, segnato dalla libertà dello Spirito. Esso è preceduto da un elenco che contiene i vizi, espressione dell’uomo schiavo del proprio egoismo, che da Paolo è espresso con il termine ‘carne’, da intendersi secondo la cultura semitica. Contro queste manifestazioni egoistiche c’è la sanzione della legge. Che invece non entra per nulla nelle opere suscitate dallo Spirito. Amore, gioia, pace sono il segno e lo spazio infinito della libertà cristiana, che non può avere confini. E’ questo l’uomo nuovo, creato dall’amore di Dio e chiamato ad essere partecipe del suo modo di agire.



3. c. Nella dimensione della vita trinitaria


Qui in realtà entra in gioco quella dimensione trinitaria della vita cristiana, che la teologia ha più che trascurato nei secoli passati. Impostando la riflessione sul mistero inaccessibile di Dio, non si è presentato secondo l’unica logica a noi accessibile: quella della vita di fede. Ne è seguito anche la separazione tra il trattato sulla Trinità e quello sulla grazia, che invece sono indissolubilmente legati e collegati. Una opportuna correzione di rotta è avvenuta nella teologia recente, con la ripresa e la reimpostazione dei trattati teologici in prospettiva della vita di fede e sulla base dell’esperienza che si vive nella fede, senza nulla togliere del rigore metodologico che la teologia deve seguire. Il risultato felice lo si vede nella considerazione della vita del credente, come frutto dell’azione dello Spirito, che ci mette in comunione con il Padre ed il Figlio e la logica conseguenza che la vita del cristiano è vita centrata e determinata trinitariamente.


È Dio, nel suo mistero trinitario, che agisce nell’uomo e lo rende sempre più simile all’immagine che egli ha impresso in lui. È il Dio uno e trino che abita nell’uomo e lo assimila a sé, rendendolo poi capace di quei comportamenti che sono rivelazione dell’agire stesso di Dio. E tutto questo opera l’unico Spirito di Dio, come ci ricorda ancora san Paolo in 1Cor 12. E’ del tutto chiaro allora, che il cristiano ha esperienza di Dio, nello Spirito e quindi vive di Dio. La sua vita, come si diceva, diventa ‘rivelazione’ di Dio, perché è frutto della grazia di Dio.


3. d. Coerenza fra teoria e pratica


Il limite grosso che si riscontra nell’esistenza dei cristiani è dato dal fatto di una inadeguata conoscenza del dono della grazia e di una non minore inadeguatezza nel vivere questo dono. Il risultato negativo è la mancanza di una traduzione concreta del Vangelo nella vita vissuta. Cosicché, coloro che sono chiamati ad essere segno visibile della nuova umanità, si attardano in particolari insignificanti e litigano su questioni del tutto marginali. Perché la cosa interessante di queste annotazioni paoline, è che hanno carattere pratico ed esistenziale. Non sono cioè considerazioni astratte e teoriche sui possibili; ma la presentazione del progetto evangelico, perché sia attuato e vissuto. Il cristiano, in questa linea, è uno che ha ricevuto il compito ed il mandato di esprimere e manifestare che lo Spirito di Dio non è un’idea, ma una vita, che si vive e sperimenta.


E’ vero che nel corso dei secoli ci sono state sempre persone che hanno vissuto in modo esemplare i doni dello Spirito, ma troppo spesso sono stati dei solitari, anche quando erano all’origine di movimenti spirituali, come le comunità monastiche e religiose. Le une e le altre, troppo spesso sono diventate istituti per la conservazione di un passato che ha fatto il suo tempo e non comunità che vivevano e vogliono vivere la grazia che ci viene data nel tempo opportuno. Oggi, in virtù della giusta accentuazione che viene data all’azione dello Spirito, ciò che un tempo era legato ai singoli, deve diventare più ecclesiale, perché coinvolge tutta la comunità e la spinge verso impegni e mete che sono già stati indicati dal Vangelo.


In estrema sintesi, l’azione dello Spirito nell’uomo lo rende libero. Perciò il cristiano è colui che annuncia il Vangelo, vivendone la libertà e proponendola al mondo. Abbiamo detto che la libertà cristiana consiste nell’amore e questo nella capacità e nel gusto che le persone vivano assieme. Per cui si può dire che questa libertà è il germe che fa nascere la Chiesa e al contempo, la vita stessa della Chiesa. Nella forza dello Spirito la Chiesa è la culla, al sorgente della libertà. Se questo non è sempre stato così, abbiamo però il criterio per vederne la mancata realizzazione e la forza per correggere la direzione di marcia.

LO SPIRITO SANTO VIVIFICANTE
Gv 14,16; 16, 7-14
don Marino Qualizza

 

 

 

 

<<Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito, affinché sia sempre con voi, lo Spirito di verità>>. <<Ma io vi dico la verità: è meglio per voi che io parta; perché, se non parto, il Paràclito non verrà a voi. Se invece me ne vado, lo manderò a voi. E quando egli verrà, confuterà il mondo in fatto di peccato, di giustizia e di giudizio. In fatto di peccato: perché non credono in me; in fatto di giustizia: perché me ne vado al Padre e voi non mi vedrete più; in fatto di giudizio: perché il principe di questo mondo è già giudicato. Ancora molte cose ho da dirvi, ma non le potete portare per ora. Quando verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà in tutta la verità. Non parlerà infatti di se stesso, ma quanto sentirà dirà e vi annuncerà le cose venture. Egli mi glorificherà, perché prenderà da me e ve lo annuncerà. Tutto quanto ha il Padre è mio. Per questo vi ho detto che prenderà da me e lo annuncerà a voi>>.

 

Per giustificare appieno il titolo, bisogna aggiungere, dal cap. 14, i versetti successivi al 16, dove si parla dello Spirito che dimora presso i discepoli e da cui essi ricevono la vita, al pari di Gesù che dice:<<Voi mi vedrete perché io vivo e voi vivrete>> (v.19). Così abbiamo il quadro completo circa l’azione dello Spirito Santo che è Signore e dà la vita, come recita il simbolo di fede niceno-costantinopolitano del 381. Tuttavia nei testi del vangelo di Giovanni, si parla di uno Spirito di verità e non si dichiara esplicitamente che è Spirito vivificante, come invece è affermato nei testi di Paolo, tanto nella prima lettera ai Corinzi, come soprattutto nella lettera ai Romani, in specie nel capitolo 8°. Ma ciò che Paolo dice esplicitamente, Giovanni lo afferma implicitamente, quando parla dello Spirito di Verità.

 

 

 

2.a. Una verità che dà la vita

 

In effetti, noi occidentali, abbiamo una concezione diversa di verità rispetto agli orientali semiti, in questo caso gli ebrei. Per noi, nella prospettiva razionale, segnata dall’Illuminismo, la verità riguarda la conoscenza intellettuale; per gli ebrei invece, in specie per la testimonianza biblica, la verità è un dato esistenziale, che riguarda il vivere concreto. Per noi si tratta di una acquisizione razionale, per il Vangelo di un cambiamento di vita, di cui certamente si ha coscienza. Ne consegue che il nostro approccio al Vangelo è spesso falsato e senz’altro limitato dalle nostre precomprensioni, che sono anche pre-giudizi. Da qui anche la facile propensione di intendere il Vangelo come un prontuario di verità, soprattutto morali. Si tratta di una evidente riduzione, che priva il Vangelo della sua forza vitale. Lo Spirito di verità ci viene in aiuto perché evitiamo questa riduzione, che snerva il Vangelo.

 

Dunque, la verità del Vangelo dona la vita mediante lo Spirito vivificante. Se vogliamo tenerci al concreto, dobbiamo fare una precisazione ulteriore, che nei testi citati è presente in mondo chiaro. La verità evangelica è Gesù Cristo; per questo motivo in essa troviamo la vita. Si tratta cioè di una persona viva, non della sua immagine o del suo ritratto e della sua memoria, intesa in senso comune. Perché c’è anche una memoria di tipo biblico e liturgico che corrisponde alla realtà concreta. Ed è in questa linea allora che si comprende la parola di Gesù ancora nel vangelo di Giovanni: <<Io sono la via, la verità e la vita>> 14, 6. Come si vede, il rapporto tra verità e vita è strettissimo. Nel testo si fa riferimento anche alla via, in quanto Gesù Cristo è la strada che conduce alla verità che dà la vita. In lui poi queste tre dimensioni si richiamano a vicenda e si identificano.

 

 

 

2.b. Dallo Spirito Santo la professione della fede che salva

 

Ma in tutto questo quale parte ha lo Spirito Santo? Una parte assolutamente fondamentale. Se ci ricordiamo quanto afferma san Paolo in 1Cor 12,3: <<Nessuno può dire Cristo Signore, se non nello Spirito>>. Qui infatti è cruciale il passaggio da Gesù di Nazareth, uomo fra gli uomini, anche se dotato di qualità eccezionali, al Cristo Signore, cioè a colui che fa parte della vita di Dio e viene da Dio ed è l’unico Dio con il Padre. Questo passaggio, che non comporta l’annullamento dell’umanità di Gesù, è impossibile senza l’aiuto, la grazia, la forza dello Spirito Santo. Infatti si tratta di cogliere nella vita di Gesù, oltre la straordinarietà, la divinità, la comunione con il Padre. Questo è impossibile alle considerazioni umane, perché non è possibile colmare, con le nostre forze, l’abisso che c’è fra il divino e l’umano, soprattutto a livello storico. Infatti, a livello filosofico, non ci sono negate riflessioni ed aperture al divino; ma qui c’è un autentico ‘scandalo’; qui sono superati i criteri filosofici e si affacciano quelli storici, limitati quindi nel tempo e nello spazio e perciò stesso, limitanti anche lo spazio divino, secondo la normale considerazione filosofica.

 

2.c. Dallo Spirito la fede e l’approfondimenti di essa

 

Ecco allora che ci viene incontro lo Spirito, per fare o compiere una duplice operazione: aprire i nostri occhi alla contemplazione dell’identità di Cristo, il Signore e guidarci alla conoscenza della verità tutta intera, già compresa nella persona di Gesù, ma non ancora esplicitata. Tutto questo vale per la Chiesa apostolica e per quella dei tempi successivi, fino a nostri giorni ed oltre, ovviamente. Le due cose non sono così elementari, come parrebbe di vedere. Abituati come siamo, per i più, a conoscere il Cristo dal catechismo e a considerarlo sempre come ‘il Signore’, non ci rendiamo conto dell’enorme passaggio che c’è tra il conoscere storicamente Gesù ed il proclamarlo Signore della gloria. Solo chi da adulto opera il passaggio della fede, si rende conto del fatto straordinario e vive in modo diretto l’esperienza vivificante dello Spirito, che l’ha introdotto nella dimensione nuova della fede, come incontro con il Cristo vivente. In questa esperienza, ci si rende conto che la proclamazione dell’identità divina del Cristo non è una questione di conoscenza e di informazione, del tutto necessarie, ma è questione di trasformazione, di rinnovamento. La fede non consiste nel recitare delle formule, ma nell’incontrare il Dio vivo di Gesù Cristo. Tutto questo è reso possibile dallo Spirito di Dio. Dunque è veramente vivificante. Introduce nella vita che è il Cristo Signore.

 

La seconda operazione dello Spirito è egualmente decisiva, perché riguarda il cammino della comunità dei credenti, da quella apostolica fino alla nostra, nella conoscenza del mistero di Cristo. l’esistenza storica di Gesù si conclude con il dramma della croce. Ma questa non è tutta la vita di Cristo. Se non c’è la resurrezione e in base ad essa, la ulteriore comprensione dell’opera di Cristo, viene meno l’essenza del Vangelo. Gli apostoli, dallo Spirito, vengono guidati alla comprensione del mistero di Cristo e noi con loro. Si è iniziata così la lunga strada della vita della Chiesa, che di generazione in generazione si avvicina e vive il mistero di Cristo, approfondendone sempre la conoscenza e l’adesione. In questo senso, lo Spirito è la novità del Vangelo, in quanto non permette che diventi un libro su cose accadute nel passato e che sono vive solo perché noi le ricordiamo. Il Vangelo è vivo, perché Cristo è vivo e noi siamo in comunione con lui mediante lo Spirito.

 

 

 

2.d. Dallo Spirito la Chiesa carismatica

 

Verità e Vita, un binomio che caratterizza Gesù Cristo e che è reso attuale dall’azione dello Spirito Santo. In riferimento ad essa, si parla nella Chiesa di una dimensione carismatica. E’ del tutto normale. Anzi, se viene meno questo aspetto carismatico, non abbiamo più la Chiesa, ma un istituto che cura la memoria su un certo Gesù di Nazareth e nulla di più. Alle volte però, il carattere carismatico della Chiesa viene inteso in senso errato. Si pensa cioè a qualcosa di eccezionale, di fuori del comune, legato a fenomeni mistici, riservati a pochi eletti. Questo non aiuta a capire l’autentica dimensione carismatica della Chiesa. Essa consiste nel fatto che è guidata dallo Spirito Santo, per l’unico motivo fondamentale, che consiste nel dono della fede: è frutto dello Spirito Santo la fede della e nella Chiesa. Tutto il resto ne consegue. Ed in questa fede noi riceviamo la vita, perché la fede è comunione con il Dio della vita, il Dio cha ha risuscitato dai morti Gesù Cristo, il Signore che ci dona lo Spirito.

 

 

 

 

Sabato, 26 Giugno 2004 15:36

1) Gesù “Cristo”, l’uomo nuovo

LO SPIRITO SANTO E SANTIFICATORE
don Marino Qualizza




1.a. Gesù ‘Cristo’ l’uomo nuovo perché ‘unto di Spirito Santo’ Gv 1,29-34


Si dice spesso che la teologia latina, soprattutto nel secondo millennio, ha trascurato molto la riflessione sullo Spirito Santo e che quindi soffre di una carenza ‘spirituale’, cioè di una dimensione, dove lo Spirito Santo abbia il posto che gli compete, a partire dalla storia della salvezza con evidente riferimento alla teologia trinitaria. E dire che senza questa attenzione ed apertura allo Spirito Santo non è possibile riconoscere l’identità stessa di Gesù Cristo Signore! <<Nessuno può dire: "Gesù Signore" se non in virtù dello Spirito Santo>>, afferma san Paolo in 1Cor 12,3.


Per questo motivo il titolo di questo capitolo ci richiama l’originalità e l’identità di Gesù, il Signore, proprio a partire dall’unzione dello Spirito Santo, come leggiamo nel testo proposto nel titolo stesso:<<Il giorno dopo (Giovanni) vede Gesù venirgli incontro e dice: "Ecco l’agnello di Dio che toglie il peccato del mondo. Questi è colui di cui ho detto: ‘Colui che viene dopo di me ebbe la precedenza davanti a me perché era prima di me’. Io non lo conoscevo, ma proprio perché fosse rivelato ad Israele sono venuto a battezzare con acqua". Poi Giovanni testimoniò: "Ho visto lo Spirito scendere dal cielo come una colomba, e si fermò sopra di lui. Io non lo conoscevo, ma colui che mi mandò a battezzare con acqua mi disse: ‘Colui sul quale vedrai scendere lo Spirito e fermarsi su di lui, è lui che battezza con lo Spirito Santo’. E io l’ho visto e ho testimoniato che lui è il Figlio di Dio>>. Gv 1,29-34.


1.b. Il Cristo punto di partenza per la nuova umanità


Perché parliamo di Gesù Cristo l’uomo nuovo? Perché egli è il punto di partenza della nuova umanità, pensata e progettata da Dio nel superamento di quella che aveva smarrito il cammino della vita. A scanso di equivoci, già avvenuti nel passato, qui non contrapponiamo due umanità, una vecchia e l’altra nuova, quasi si trattasse di due realtà in contrasto, ma parliamo della stessa umanità, resa nuova proprio da Gesù il Signore e riportata allo splendore del primo ed unico progetto di Dio. Il termine nuovo viene adoperato dunque, per mettere in luce che l’unica e definitiva novità noi l’abbiamo in Cristo, visto come colui che è la realizzazione straordinaria e ‘normale’ dell’umanità. Questa non si può concepire a prescindere dallo Spirito Santo.


Su questo punto bisogna superare un altro limite che si è manifestato nella cultura occidentale in genere, alle volte con qualche spinta anche della teologia. In buona fede, senz’altro. Ebbene, era invalso nell’Occidente cristiano un modo di pensare l’uomo quasi a prescindere dall’azione di Dio e della sua presenza. Questo, forse, perché della grazia di Dio si parlava prevalentemente o come redenzione o come santificazione ‘soprannaturale’. E quindi la considerazione sulla umanità, intesa in prospettiva più filosofica che teologica, si limitava o concentrava a parlarne in termini del tutto ‘naturali’, del tipo: l’uomo essere ragionevole. Nulla da eccepire in sé, ma certamente questa presentazione non poteva esaurire la ricchezza della realtà umana.



1.c. La creazione base del rapporto con Dio


Questa consiste nel rapporto creaturale che l’uomo ha con Dio, ed è fondato sulla creazione. E questa non è limitata ad un inizio che si perde nella notte dei tempi e poi non ritorna più, perché l’uomo prosegue sicuro per la sua strada. L’uomo è creatura continuamente in rapporto al Creatore e stabilmente sotto l’influsso e l’azione dello Spirito Santo, proprio per realizzare la sua chiamata straordinaria: il rapporto con Dio, come realizzazione della propria vita. In questa azione allo Spirito Santo vengono attribuite le ‘competenze’ specifiche: egli è colui che porta a compimento l’azione di Dio e le dà anche la bellezza che le conviene.


Colui che ha rivelato in modo definitivo l’azione dello Spirito Santo è Gesù, il Signore. E l’ha fatto nella sua esistenza storica, perché nelle sue parole e nelle sua azioni si potevano cogliere e scorgere i segni della presenza attiva dello Spirito. A tal proposito nel linguaggio biblico si adopera l’espressione: unzione dello Spirito, per indicare che lo Spirito agisce come l’olio che è segno e causa di bellezza, di salute, di forza, di ricchezza. Dall’immagine offerta dall’olio, frutto ed alimento tra i più preziosi dell’antichità, è facile il passo alla metafora per indicare l’azione dello Spirito Santo: egli nutre, fortifica, irrobustisce, abbellisce, sana, benedice e santifica. Unzione infatti si può tradurre con benedizione, consacrazione, scelta, elezione, protezione: tutte azioni che vengono attribuite allo Spirito Santo di Dio.



1.d. Cristo uomo nuovo sintesi del Vangelo


Ora parlare di Gesù come uomo nuovo, perché consacrato dall’azione dello Spirito, significa presentare il senso stesso del Vangelo della grazia e della realizzazione dell’umanità. Qui abbiamo in tutta naturalezza l’autentico umanesimo cristiano. Vale a dire la comprensione di ciò che ogni uomo è chiamato ad essere sul modello di Cristo. Il quale non si presenta come un qualcosa di estraneo o aggiunto esteriormente all’umanità, ma l’umanità così com’è e deve essere. Perché il compimento ‘normale’dell’umanità è la comunione con Dio, resa possibile dallo Spirito Santo. Questa verità elementare è stata più volte dimenticata o presentata in modo difforme dal modello del Vangelo. Ripeto, è un limite tipico del pensiero occidentale, che, già dai tempi antichi, ha imboccato la strada dell’alternativa, del doppio aut. O Dio o l’uomo! Per cui, se si sceglieva Dio, si deprimeva l’uomo; e al contrario, se si esaltava l’uomo, si doveva negare Dio.


Dio e l’uomo come antagonisti. A ben rileggere la storia dell’Occidente, si potrà facilmente concordare con queste affermazioni. Soprattutto dopo la riforma protestante la divaricazione è diventata più ampia e le conseguenze si sono viste e patite in particolare nei secoli XIX-XX. Ma la visione cristiana, ispirata dal Vangelo, non conosce queste divaricazioni. Gesù Cristo è l’uomo ‘nuovo’ e il modello riuscito dell’umanità, proprio perché Figlio di Dio e quindi in rapporto strettissimo con lui, per virtù e grazia dello Spirito. Questa è l’umanità concreta e realizzata, quella che vive il rapporto di amore con Dio. Gesù Cristo è il prototipo di questa umanità nuova ed antica, perché è sempre stata pensata così da Dio. Ma in una storia, come la nostra, dove il rapporto con Dio è stato rifiutato e dove si è cercato di costruire la propria umanità nella sfida con Dio, che è finita nel dimenticare Dio, c’è voluta la presenza di Cristo per ridare agli uomini il modello perduto ed indicare la strada smarrita.


1.e. Superamento della logica dell’aut aut


In questo senso possiamo dire tranquillamente che Gesù è il Vangelo vivo e l’indicazione di come prendere e leggere il Vangelo stesso: non come una serie di verità astratte e di precetti ardui, ma come la persona viva in cui si può incontrare il Dio vivo, per riceverne vita e speranza e amore. Alla base di tutto ciò c’è proprio lo Spirito Santo, che donandoci l’amore di Dio e mettendoci in comunione con lui, ci fa attingere direttamente alle sorgenti della nostra vita e del desiderio di vita. Gesù Cristo è la verità vissuta e vivente di questa verità concreta.


Parlando di Cristo come uomo nuovo si deve logicamente parlare anche della creazione nuova, risultato dell’opera dello Spirito Santo. In lui tutto dunque ridiventa nuovo, perché in lui nulla invecchia. Egli è la ‘novità’ di Dio e perciò la novità del mondo. La liturgia, con intuizione felice, attribuisce allo Spirito Santo alcuni versetti dello splendido salmo 103, che narra le meraviglie del creato: <<Mandi il tuo spirito ed essi(i viventi) sono creati, e rinnovi la faccia della terra>> (v.30). A questo Spirito dunque viene attribuita la vita sulla terra e la novità di essa nel Cristo, che nella sua umanità, è il capolavoro del creato. Ogni progetto di umanità deve confrontarsi con il Cristo uomo, su cui si posa lo Spirito del Signore.

Giustificazione, Grazia e Sacramenti
don Marino Qualizza



 


 3.2. La dimensione simbolica dei sacramenti


Si diceva all’inizio che nel primo millennio cristiano, soprattutto,si sottolineava parecchio la dimensione simbolica, non solo dei sacramenti, ma di tutta la realtà. Il maestro riconosciuto in questa impostazione era Platone, le cui intuizioni filosofiche furono rielaborate in diverse scuole teologiche, prima fra tutte quelle di Alessandria, all’inizio del III secolo, soprattutto con Clemente e Origene. Ma il grande maestro che influì su tutto lo svolgimento ulteriore della teologia sacramentaria è sant’Agostino. La sua teologia sui sacramenti è veramente geniale e spazia in diversi settori, nei quali ha contribuito a sciogliere dubbi e risolvere situazioni difficili; il tutto con una maestria eccezionale. Certo, ci sono anche dei punti su cui si possono nutrire delle riserve, ma in genere la sua visione ed elaborazione sono da capolavoro.


In seguito l’attenzione al dato simbolico dei sacramenti fu lasciato in ombra, perché, questo a partire dal secondo millennio cristiano, l’attenzione si era concentrata maggiormente sull’efficacia dei sacramenti, sul fatto che davano la grazia che significavano. Solo negli anni ’50 del secolo appena trascorso, l’attenzione dei teologi fu nuovamente attirata dal fatto che i sacramenti sono segni, simboli, immagini, figure di un’altra realtà, a cui danno luogo per la forza dello Spirito di Dio. Non bisogna dimenticare che proprio la differenza di simbolismo rende ragione della diversità dei sacramenti. Se tutti, indistintamente, dessero solo la grazia, ne basterebbe uno solo.



3.2.a. Un cambio di mentalità


Ma agli inizi del secolo XX avvenne un significativo cambio di mentalità nella cultura filosofica europea, con la svolta operata dalla Fenomenologia. Essa si proponeva di restituire alla sua dignità ciò che appare, in quanto non è solo qualcosa di superficiale, ma è rivelazione di qualcosa di più profondo, a cui però arriviamo proprio perché qualcosa ce lo rivela. Era un trampolino di lancio prezioso per la elaborazione teologica, in molti settori, ma soprattutto in quello dei sacramenti. Ciò dunque, che aveva caratterizzato la teologia di Agostino, viene ripreso ed elaborato in un nuovo contesto culturale, quello del XX secolo. Ne derivò una comprensione senz’altro più ricca ed appropriata dei sacramenti e, nello stesso tempo, fu data opportunità ai teologi di adoperare un linguaggio che non era sconosciuto alla cultura del tempo.




3.2.b. Cambiamenti di vocabolario


Ne conseguì, necessariamente, un cambiamento di vocabolario. Si ricominciò a parlare dei sacramenti come di simboli – reali – della grazia di Dio, nel senso che la significano e la rendono presente; di immagini del mondo di Dio e della grazia che ci salva; di figure che danno forma all’opera di Dio in Cristo; di segni dai quali si riconosce l’azione di Dio ed il passaggio dello Spirito Santo. Una ricchezza notevole, che tuttavia non passò senza qualche perplessità, per il fatto che ci si scostava da un vocabolario ormai acquisito e stabilizzato. Ma il vantaggio fu grande. Come si diceva, il simbolo dell’acqua nel battesimo era di per sé eloquente per intendere questo sacramento nella linea dell’intera storia della salvezza, come rinascita nella purificazione. E così per gli altri sacramenti, fino ad arrivare alla realtà stessa del corpo umano, per quanto riguarda il matrimonio.


Da ciò anche la possibilità e l’urgenza di ripresentare la simbologia cristiana dei sacramenti con un linguaggio adatto e con l’attenzione al clima culturale di oggi. Prova ne sia che, almeno nelle intenzioni, e a livello teoretico, la liturgia, che si sostanzia nei sacramenti, ne ha tratto evidente vantaggio. Un modo più vivo, una presentazione più attenta alla vita, un inserimento più immediato nella realtà di oggi, sono i primi risultati di questa impostazione che ha bisogno di ulteriori sviluppi.



3.2.c. La dimensione escatologica


La parola non spaventi, perché non dice nulla se non l’orientamento di tutta la nostra vita verso Dio, che incontreremo definitivamente oltre questa vita. Non si tratta nulla di nuovo, ma presentato in forma nuova. Tutti conosciamo i quattro novissimi, nei quali si riassumeva tutta la nostra conoscenza dell’escatologia cristiana: morte, giudizio, inferno, paradiso. Tale presentazione aveva il limite di pensare queste realtà solo o quasi, come realtà che vengono dopo. Mentre la vita cristiana si svolge ora. A dire il vero il grande san Tomaso d’Aquino, aveva espresso in modo felicissimo la verità sui sacramenti, compresa la dimensione escatologica, nella nota antifona O sacrum convivium.


Parlando dell’eucaristia, ne riassumeva in sintesi la verità, dicendo che essa era incontro con Cristo, pienezza di grazia, memoria liturgica della sua passione e pegno della gloria futura. Qui c’era proprio l’accenno alla gloria futura come realtà che già si pregusta nell’eucaristia. Nelle epoche successive a Tommaso, questo riferimento fu sempre tenuto presente, ma letto e interpretato, necessariamente, secondo il prevalere del sentire teologico di allora. In pratica ci si limitava a ricordare i novissimi.



3.2.d. La riscoperta dell’escatologia


Gli studi biblici, proprio all’inizio del ‘900, rimisero in luce una verità per sé evidente nei Vangeli: in essi Gesù inizia la sua missione, parlando della imminente venuta, se non addirittura della presenza di Dio nella storia degli uomini. È il vangelo del regno di Dio, che si annuncia presente ed operante per la salvezza o riuscita della storia umana. Questa riscoperta o sottolineatura ha operato in modo molto positivo nella teologia, perché l’ha aiutata ad allargare gli orizzonti e a considerare l’escatologia, cioè le verità finali, come già operanti, anche se nel mistero, nella nostra storia. Il mondo futuro è già cominciato e ciò che avviene nella nostra vita di fede è già anticipo e partecipazione iniziale alla vita futura.



3.2.e. I sacramenti verità dell’escatologia cristiana


Ancora una volta, appare in tutta evidenza la singolarità della fede cristiana. Essa non è un sistema ben ordinato di dottrine, di filosofia o di teologia, anche se questo non lo escludiamo; la fede cristiana è veramente vita vissuta in adesione e comunione a Cristo. E i sacramenti ne sono la concretezza. Così noi viviamo l’attesa della venuta di Cristo, partecipando ora alla sua opera di salvezza, essendone beneficiari e nello stesso tempo anche offrendone il frutto al mondo intero. Così essi assolvono a due compiti: sono profezia sul passato, perché annunciano la pasqua di Cristo e sono profezia sul futuro, perché ci fanno partecipare al mondo della risurrezione.


3.2.f. Indicazione bibliografica essenziale


Schneider Th. , Segni della vicinanza di Dio. Compendio di teologia dei sacramenti, Queriniana, Brescia 19893


Ferraro G., I sacramenti nella liturgia, Dehoniane, Roma 1997


Mozzanti G., I sacramenti, simbolo e teologia. 1. Introduzione generale, EDB, Bologna 1997


Rocchetta C., Sacramentaria fondamentale. Dal <<mysterion>> al <<sacramentum>>, EDB, Bologna 19902.

Giustificazione, Grazia e Sacramenti
don Marino Qualizza



 


 


3.1. Come comprendere teologicamente i sacramenti



Nell’intervento precedente si diceva che la fonte dei sacramenti è Dio che realizza il progetto di salvezza del mondo mediante Cristo nello Spirito. Questo è tanto risaputo da non destare nessuna commozione, appunto perché le cose ovvie non colpiscono la fantasia. Ed anche la riflessione teologica ha bisogno di fantasia, se non vuole deperire per inedia. Fino a poco tempo fa, quando si parlava dei sacramenti si dava di essi una definizione generale che poi risultava generica: essi sono segni efficaci della grazia. Nessuno ovviamente contesta questa definizione, ma proprio perché si adatta a tutti i sacramenti, non ne specifica per nulla la diversità e originalità. Da ciò la necessità di pensarli in una prospettiva più ampia e comprensiva.


Quattro modi di intendere i sacramenti



Questa molteplicità nella presentazione dei sacramenti ha pure uno scopo pedagogico preventivo, nel senso che non è semplice entrare nel mondo dei sacramenti, soprattutto per la nostra mentalità attuale. Essi erano più facilmente accessibili nei secoli scorsi, soprattutto nel primo millennio cristiano, quando due fattori convergenti ne aiutavano la comprensione ed anche la celebrazione. Si trattava della mentalità simbolica ereditata dal patrimonio platonico e cristianamente adattata e poi della immediatezza che la struttura sacramentaria aveva con la quotidianità in cui si viveva. I simboli erano realtà che illuminavano ciò che si stava vivendo, facevano parte della vita concreta, per cui la loro comprensione era offerta a tutte le intelligenze, anche quelle meno versate nei ragionamenti teologici.



Superare due pregiudizi



Oggi ci troviamo ad affrontare grosse difficoltà nel modo di intendere i sacramenti; da una parte c’è la deriva dell’individualismo e del soggettivismo, che privilegiano i rapporti immediati con Dio ed escludono quindi le mediazioni ecclesiali. E’ evidente che in questo caso è messa in discussione la realtà stessa della Chiesa e la sua utilità. Se il rapporto con Dio lo si può vivere senza intermediari, tanto meno serviranno strumenti materiali per renderlo attuale. Si vive così una fede ‘spiritualizzata’ sul fondamento anche di una trasparenza eloquente: non è possibile avere un rapporto con Dio attraverso strumenti materiali. Questo ‘spiritualismo’ che in sé ha nobili motivazioni, tende a considerare la realtà umana in termini idealistici, senza riferimento alla materialità.


Gli si accosta una atteggiamento esatto e contrario: quello di un greve materialismo e di un pragmatismo simmetrico, che punta tutto sulla efficienza dell’agire umano, senza doverlo sottoporre ad interventi ‘gratuiti’ che vengono dall’alto e che mettono in discussione l’iniziativa umana. È il modo tipico di giudicare le cose proveniente dal nostro mondo, che basa quasi tutto sulla programmazione, sulla produzione, sulla iniziativa e sui risultati, frutti di fatica e di impegno e non già risultato di qualche affidamento a divinità che mortificano l’autonomia umana.



Mediante una adeguata visione della realtà umana



Prese in sé le due difficoltà appena ricordate, sono evidentemente due esagerazioni, che contengono, ognuna per sé un filone di verità. Questa potrà risultare molto più armonica, se si terrà conto della visione cristiana della nostra umanità. Se è vero che per secoli abbiamo privilegiato la parte spirituale dell’uomo, è pure vero che abbiamo sempre detto che l’uomo è un essere ragionevole, composto di anima e di corpo. Si tratta ora di considerare in modo equilibrato questo binomio, per non stravolgerne il senso. Oggi non è tanto difficile vedere come anima e corpo sono due dimensioni dell’essere umano, che vanno considerate in modo unitario, con la semplice osservazione, almeno per la nostra vita storica, che non c’è anima senza corpo e corpo senz’anima. Per la vita oltre questo tempo, ci sono dei problemi circa il rapporto corpo e anima, ma verranno affrontati in altro contesto. Poste così le cose, la riflessione sui sacramenti risulta facilitata, proprio perché i sacramenti rispondono a questa realtà composita della persona umana, in quanto spirito incarnato e corpo animato. Infatti pure i sacramenti riflettono questa duplicità: sono realtà materiali mediante le quali agisce lo Spirito di Dio.



Dimensione antropologica



I sacramenti sono azioni di Dio in Cristo nello Spirito, offerte alla Chiesa, mediante le quali noi entriamo in comunione con Dio e partecipiamo dei frutti della salvezza annunciata dal Vangelo. Essi si adattano perfettamente alla duplice dimensione, materiale e spirituale della persona umana. E quindi sono in perfetta sintonia con le reali esigenze della nostra umanità. Per l’aspetto materiale possiamo dire che essi ci mettono in comunicazione con la concretezza della storia di salvezza. Essa infatti è articolata con gli eventi che la Bibbia ci ricorda e che poi collega con la storia dell’umanità in quanto tale. Non ci sono due storie parallele, ma un’unica storia nella quale si sviluppa anche quella speciale della salvezza, che diventa come l’anima, la forza ed il senso della storia stessa.


La nostra salvezza è proprio impastata con la nostra umanità, con gli eventi della storia di cui facciamo parte, con le sue speranze, le sue delusioni, i suoi successi ed i suoi fallimenti. Non è una storia di idee, ma di eventi, illuminati certo dalla parola profetica che viene dallo Spirito del Signore. E’ questo il secondo aspetto di questo binomio; proprio lo Spirito del Signore, senza il quale la storia sarebbe solo una serie più o meno caotica e casuale di avvenimenti. Materia e Spirito, eventi e parola profetica, ecco l’ingrediente a nostra portata per vivere i sacramenti come verità della nostra vita, della nostra storia e della nostra realizzazione. Non un progresso o uno sviluppo idealistico, ma incarnato nella storia in cui si manifesta lo Spirito del Signore.


Dimensione cristologica e salvifica



Ci siamo domandati all’inizio della nostra riflessione sui sacramenti, quale fosse la loro origine. È chiaro che è Cristo, visto però e creduto come punto di arrivo di una lunghissima storia di preparazione. Egli non capita a caso, ma è inserito in una lunga storia come bene illustrano gli evangelisti Matteo e Luca; il primo fa cominciare la storia di Gesù da Abramo, il secondo addirittura da Adamo e quindi da Dio, ad indicare dunque, che la missione di Gesù abbraccia la storia del mondo intero, così come è pensata da Dio.


Collegare doverosamente i sacramenti a Cristo non è solo un atto di correttezza teologica, ma una verità che si attua in ogni celebrazione sacramentale. In essa ci viene data ben più di una generica grazia sacramentale, cosa da non sottovalutare ovviamente, ma con essa entriamo nella storia della salvezza di cui Cristo è protagonista. È Cristo il celebrante principale, anche se non esclusivo, dei sacramenti. Ebbene, in essi e con essi, egli rende attuale e concreta e in certo senso, immediata per noi la partecipazione alla salvezza, offerta al mondo intero. In questo modo, possiamo veramente considerare i sacramenti come non solo l’attualizzazione di quanto Cristo ha fatto, ma anche la sua attualità. Infatti egli è presente realmente quando si celebrano i sacramenti, come ha autorevolmente affermato il concilio nella costituzione sulla liturgia al numero 7.


La straordinarietà dei sacramenti cristiani, che rendono unica la nostra religione fra le religioni, consiste proprio nel fatto che il Cristo per noi non è un ricordo, ma una presenza, nella quale l’opera della nostra salvezza si attua e continua. Non bisogna dimenticare infatti che la salvezza che ci viene offerta oggi è quella operata da Cristo e resa presente da Lui per il mondo d’oggi. Ne risulta la grande verità: il Cristo, nella Chiesa e nei suoi sacramenti, continua l’opera di salvezza compiuta nella sua esistenza storica. I sacramenti ne sono la verità.


Giustificazione, Grazia e Sacramenti
don Marino Qualizza



 


3. I sacramenti: qual è la loro fonte e che cosa sono


Il discorso teologico sui sacramenti è ricco di prospettive, per almeno due motivi: si tratta della traduzione storica e quindi dell’attualità del Vangelo di salvezza, in altri termini di Cristo, e poi della testimonianza più persuasiva del fatto che la Chiesa, lungo i secoli, non si ferma, né si adagia, ma continua il suo cammino, pur tra difficoltà ed incertezze. Infatti se c’è un trattato di teologia che registra le maggiori novità, questo è proprio quello sui sacramenti. Essi sono allora contemporaneamente la novità della Chiesa e della teologia, la verifica concreta che il cammino di salvezza e la legge dell’incarnazione non possono avere remore o intoppi. Questi certamente ci sono e ci saranno, ma proprio il riferimento ai sacramenti ci dà la possibilità di andare oltre e di scorgere in essi i motivi stessi di un cammino e della correzione di rotta, qualora necessaria.


Uno sguardo complessivo


Per una adeguata considerazione sui sacramenti è necessario collocarli in un preciso quadro teologico. Esso inizia molto prima di Cristo e va collocato nella creazione stessa, e conseguentemente nella storia che da essa si sviluppa. Questa apertura ampia ed universale aiuta a leggere i sacramenti in una prospettiva tanto ampia, quanto è ampio il progetto di Dio dalla creazione in poi. Ed è anche l’ambito di una nostra possibile competenza, come ben si può vedere. Tutto questo è ben documentato e descritto nell’inno teologico e cristologico che troviamo all’inizio della lettera agli Efesini: 1,3-14. Lo sguardo dell’autore del testo spazia dal mistero di Dio nella creazione e nella storia della salvezza, che ha come protagonista, già nel mistero di Dio, il Cristo come pure la nostra scelta in lui. Si parla di progetto misterioso di Dio, dunque di mistero, termine che viene spiegato adeguatamente in Efesini 3. Ivi si legge che Paolo ha conoscenza di questo mistero, perché si tratta del progetto di Dio rivelato e compiuto in Cristo. Niente dunque, che abbia a vedere con dottrine nascoste e rivelazioni astratte: la storia compiuta in Cristo, e se compiuta, allora anche la storia che da altri tempi e luoghi porta a Cristo. Egli ne è il centro, come leggiamo in Ef. 1,10: in lui ha voluto ricapitolare tutte le cose.


Creazione e storia


Il luogo adeguato per comprendere i sacramenti, allora, è una lettura teologica della creazione come pure della storia. I sacramenti ne sono come i criteri rivelatori e ad un tempo anche determinatori, se la loro origine è posta nel Cristo figlio di Dio. Questo modo di intenderli crea uno spazio straordinariamente ampio e libero per la riflessione teologica, in vista di una apertura che esca dalle angustie che, talvolta, ne hanno caratterizzato la presentazione. Più di una volta infatti, la riflessione teologica ed ancora di più la sua traduzione pastorale hanno visto i sacramenti come strumenti per una religiosità vissuta all’individuale e quasi esclusivamente interessata alla salvezza dopo la morte. Qui non vogliamo escludere nulla, quanto piuttosto ampliare l’orizzonte della riflessione. I sacramenti sono la verità della creazione, perché ne perpetuano, in qualche modo, la realtà e ne celebrano il significato. Come avremo occasione di dire, i sacramenti non sono azioni nostre, in primo luogo, ma di Dio in Cristo e nello Spirito. Per questo si è detto che essi sono la verità attuale della creazione, vista come la prima rivelazione di Dio e quindi la prima azione salvifica, che non ha cessato di esistere, ma si rende presente nella storia come la sua possibilità stessa. I sacramenti sono la verità, resa attuale, di quanto Dio ha fatto e continua a fare per noi.


Quale storia?


Quella dell’umanità che è sotto l’azione di Dio. Una particolare attenzione dovremo porre nella lettura dei primi undici capitoli della Genesi. In essi, oltre alla creazione ed alla caduta, abbiamo le linee generali di una storia universale di salvezza. Ed è una storia che non ha perso la sua attualità, perché non è stata annullata da quella successiva che inizia con Abramo, Gen 12. Nell’unica storia universale della salvezza, si inserisce poi la storia speciale di Abramo che porta fino a Cristo e fino a noi, ma come convalida del progetto universale di Dio. Questo dunque si celebra nei sacramenti, che per questo motivo danno alla nostra fede ed alla sua celebrazione liturgica una dimensione semplicemente universale e nello stesso tempo straordinariamente concreta. E’ la storia della salvezza, fatta con i mattoni della storia quotidiana, grande o piccola che sia. In essa entra dunque, tutta la storia dell’umanità, come il concilio ecumenico ha ribadito con autorità nella Costituzione Lumen Genitum al n.16.


E’ evidente che questa storia può essere letta come avvenimento di salvezza perché c’è il Cristo. Egli non è solo criterio di lettura e di interpretazione, ma lo è perché è colui che ha portato a compimento la storia speciale di salvezza, iniziata con Abramo, per riaprirla nuovamente alle prospettive che leggiamo in Genesi 10, nella pagina clamorosa della enumerazione dei popoli della terra.


I sacramenti rendono presenti le grandi azioni di Dio


Queste non sono solo quelle compiute da Cristo, ma secondo la lettura sapienziale degli evangelisti Matteo e Luca, vanno da Cristo ad Abramo e ad Adamo. Perciò, per una corretta e normale presentazione e celebrazione dei sacramenti, soprattutto del Battesimo, della Confermazione e dell’Eucaristia, bisognerà passare in rassegna e comprendere questa storia da Adamo, da Abramo, da Davide, dall’esilio fino a Cristo, per continuarla poi con la Chiesa apostolica, perché ne siamo parte ed eredità. Se questo sarà tenuto in considerazione allora non si avranno quelle difficoltà ed anche quell’istintivo rigetto che molti contemporanei hanno per i sacramenti, perché qui noi abbiamo non solo un aggancio teologico, ma anche culturale, di estrema rilevanza. Coloro che celebrano i sacramenti, cioè i cristiani in quanto Chiesa, non inseguono fantasmi, ma sono chiamati a dare una svolta alla storia, perché ne ricevono l’incarico e la forza dal Cristo stesso. In chiesa si celebrano, efficacemente, i destini del mondo. La consapevolezza di tutto ciò, dovrebbe essere elemento importante per una rivalutazione dell’essere cristiani e della nostra presenza propositiva nel mondo.



La fonte dei sacramenti


E’ Dio stesso nella sua opera di creatore e salvatore del mondo. E’ dunque il Dio Padre e Figlio e Spirito Santo, il Dio uno e trino. L’azione di Dio si sviluppa, manifesta, esprime e rivela nella nostra storia, e quindi in essa è leggibile e comprensibile. Come, già detto, bisognerà riferirsi a tuta la storia della salvezza per comprendere la portata dei sacramenti, ma è chiaro che sarà la storia di Cristo a determinarne il significato più preciso e immediato. E nella storia di Cristo, sarà in particolare l’evento della Pasqua a dare le risposte necessarie ai nostri interrogativi. Su questi punti torneremo nei prossimi contributi, perché il discorso richiede uno svolgimento più dettagliato.


Che cosa sono


L’azione di Dio, compiuta in Cristo e accompagnata dal soffio dello Spirito in vista della riuscita di questa nostra avventura umana. I sacramenti, sinteticamente, sono dunque la verità di quanto è detto nella Sacra Scrittura e di quanto ci dicono i Vangeli. Possiamo dire che sono l’attualità stessa dei Vangeli, non in quanto informazione, ma in quanto trasformazione: del mondo e degli uomini che lo abitano. All’azione del Dio uno e trino si congiunge l’azione della Chiesa, in quanto realtà storica che rende, nei secoli, attuale il dono di Dio: non un ricordo, ma la sua attualità, in quanto attuazione.


(Nel prossimo intervento sarà data anche una informazione bibliografica).

Sabato, 26 Giugno 2004 13:55

2) Grazia e giustificazione

Giustificazione, Grazia e Sacramenti
don Marino Qualizza



 


2. Grazia e Giustificazione


Il tema che stiamo per affrontare ha segnato la storia della Chiesa, dopo che aveva già segnato la storia della teologia. In realtà si inserisce negli argomenti che maggiormente hanno coinvolto tanto la prassi come la riflessione cristiane, determinando già nei primi anni della Chiesa apostolica una profonda contrapposizione, se non addirittura una spaccatura. Il pensiero corre immediatamente a san Paolo, ma egli non è l’unico ad aver affrontato la questione. Anche nel Vangelo di Giovanni troviamo accenti simili, come pure una velata polemica contro un modo di concepire la vita religiosa ed il rapporto fede ed impegno umano. Nel titolo vengono adoperati due vocaboli: grazia e giustificazione, entrambi elaborati e sviluppati da san Paolo in modo sublime, anche se non privo di difficoltà, incluse alcune ambiguità.



2. a. Nel prologo di Giovanni


«Della sua pienezza infatti noi tutti ricevemmo e grazia su grazia; poiché la legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità divennero realtà per mezzo di Gesù Cristo» (Gv 1,16-17). Troviamo qui una prima contrapposizione. A Mosè viene riconosciuta la mediazione nel dono della legge. Ma questa viene considerata come qualcosa di inferiore alla grazia, con l’aggiunta della verità, dono ottenuto per mezzo di Cristo. C’è dunque un passaggio, un superamento da Mosè a Cristo ed è determinato dal binomio grazia-verità. E’ sintetizzato qui l’ampio dibattito che accompagnerà tutta l’esistenza apostolica di san Paolo proprio in ordine alla giustificazione, cioè al rinnovamento interiore soprattutto, dell’uomo peccatore.



2. b. Opposizione legge-grazia


Che cosa leggiamo nel termine ‘legge’, almeno così come lo si percepiva al tempo di Paolo e delle dispute successive, almeno fino a sant’Agostino, nel secolo V? La convinzione che l’osservanza fedele della legge di Dio costituisse titolo di merito, di giustificazione dinanzi a Dio. In altri termini, la convinzione che la giustizia umana avesse titolo per conquistare la giustizia di Dio. Posta così, la questione è risolta immediatamente. Ma non sempre le cose sono state presentate in questa semplicità, per cui le polemiche si sono sprecate. Con Gesù Cristo invece, l’umanità ha raggiunto, per dono di Dio, la possibilità di ottenere ciò a cui da sempre aspira: la riabilitazione presso Dio. Così si può tradurre il termine ‘giustificazione’. Solo Dio ne può essere l’artefice, perché la giustificazione è il rapporto di amicizia con Dio.


Come si ricordava, colui cha maggiormente ha segnato la svolta teologica in questa prospettiva è stato san Paolo. Egli ha affrontato la questione in due scritti fondamentali: la lettera ai Galati e successivamente quella ai Romani. Queste due lettere costituiscono la ‘magna charta’ dell’identità cristiana e della comprensione teologica dell’opera di Gesù Cristo, soprattutto in riferimento alla sua pasqua. In primo luogo ribadisce l’opposizione teologica fra legge e grazia in vista della giustificazione. «La vita che ora io vivo nella carne , la vivo nella fede, quella nel Figlio di Dio, che mi amò e diede se stesso per me. Non rendo vana la grazia di Dio; se infatti la giustizia proviene dalla legge, allora Cristo è morto per nulla» (Gal 2,20-21).



2. c. Il ruolo della fede


Qui viene introdotto un terzo termine, la fede, del tutto omogeneo ai due che già conosciamo: tra fede, grazia e giustificazione l’accordo è perfetto perché costituiscono l’edificio compiuto della salvezza offerta agli uomini. La fede è l’accoglienza del dono di Dio, grazia, che ci riabilita dinanzi a lui. Ora la fede è il segno che la giustizia viene da Dio, gratuitamente, perché è un dono che si riceve ed accetta e non un merito che si guadagna. Tutto questo mette chiaramente in luce qual è il giusto rapporto tra Dio e l’uomo: egli è l’infinito e questi è il limitato a cui Dio si rivolge perché abbia la vita. Tutto ciò è avvenuto nella dono della vita fatta dal Figlio di Dio, nella sua morte e resto stabile e definitivo nella resurrezione. Nel testo citato non c’è questo riferimento, ma dalle lettere di san Paolo risulta chiaro che egli non parla mai della morte di Cristo a prescindere dalla sua resurrezione. Si legga tutto il capitolo di 1Cor 15. Da notare, di passaggio, che la morte di Gesù, viene presentata come dono della vita, come una esistenza donata da colui che è il Figlio di Dio, da colui cioè che è il vivente per definizione.



2. d. Il contributo della lettera ai Romani


Nella lettera ai Romani san Paolo rielabora ulteriormente il tema, arricchendolo con una lunga serie di affermazioni ed argomentazioni, che possono essere richiamate da questo passaggio: «Avendo dunque ricevuto la giustificazione per mezzo della fede, abbiamo pace con Dio in virtù del Signore nostro Gesù Cristo; in virtù di lui abbiamo anche l’accesso, mediante la fede, a questa grazia nella quale siamo stati stabiliti e ci gloriamo nella speranza della gloria di Dio…E non solo questo, ma ci gloriamo pure in Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo, in virtù del quale adesso abbiamo ricevuto la riconciliazione» (5,1-2.11).


E’ importante questo passaggio, perché mette in luce un’altra dimensione della grazia, su cui la teologia successiva ha sviluppato grandi riflessioni. Siamo stati stabiliti in questa grazia. In altri termini, l’azione di Dio non è una meteora che non lascia segno; è piuttosto un’azione che trasforma la persona, rinnovandola totalmente. Ritorneremo in seguito sull’argomento, ma è necessario fin d’ora metterlo in luce. L’uomo giustificato è un uomo rinnovato, doppiamente. Da una parte perché è liberato dai peccati, dall’altra perché è chiamato ad una comunione con Dio, quale non gli spetta per essere creatura di Dio. E’ chiamato ad essere figlio adottivo di Dio, ma non per una norma giuridica, ma perché interiormente rinnovato dalla grazia di Dio in Cristo.



2. e. Le dispute da Agostino al concilio di Trento


Su questo punto, nel corso dei secoli si sono accese diverse polemiche, una al tempo di Agostino contro Pelagio, ed una seconda al tempo di Lutero, con esiti molto infausti per la Chiesa.


La posta in gioco nella disputa antipelagiana – inizio del V secolo - era della massima importanza e riprendeva, in altro contesto culturale, quella già avviata da san Paolo contro i giudeocristiani, che insistevano sul valore dell’osservanza della legge per ottenere meriti dinanzi a Dio. Con sant’Agostino si riproponeva lo scontro in questi termini: l’uomo con le sue forze è in grado di essere giusto dinanzi a Dio ed in particolare di conquistare la libertà. Agostino si oppose con tutte le sue energie, la sua intelligenza, ma soprattutto con l’esperienza della sua conversione: frutto della grazia, non della sua buona volontà. Il discorso verteva sulla concezione dell’uomo in termini non solo cristiani, ma universali. La risposta che offrì sant’Agostino, straordinaria, ma non sempre ben evidenziata fu questa: l’uomo raggiunge la sua libertà solo nel rapporto con Dio, mediante la fede. Questo non è una particolarità cristiana, ma è la verità sull’uomo, in quanto tale e vivente in questa storia.


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2. f. Grazia e libertà


La libertà dell’uomo è Dio, questo è il grande tema della teologia della grazia. La libertà è dunque relazione, rapporto, incontro e dialogo con Dio e di riflesso con gli altri uomini. La riflessione successiva ad Agostino ed anche il grande scontro e le drammatiche conseguenze che si ebbero con la protesta di Lutero, non misero in luce con la dovuta energia questa posta in gioco, pur avendo affrontato gli stessi argomenti della disputa pelagiana. Lutero aveva visto bene che la giustificazione è dono della grazia, ma aveva considerato male la realtà umana anche dopo la grazia di Dio, non riuscendo a superare quel pessimismo radicale sulla corruzione umana causata dal peccato. In realtà resta troppo occupato dal peccato, per poter gioire pienamente della grazia di Dio.


Il concilio di Trento (1545-1563) nel dare la risposta ai quesiti di Lutero, individuò in modo perfetto il cuore del problema ed offrì alla teologia cattolica uno strumento di straordinario valore, quando disse che la grazia di Dio non solo non toglie la libertà, ma la realizza in modo pieno.


E’ in questa linea che va cercata ed affermata la difesa pressoché costante della teologia cattolica sul primato della fede come dialogo con Dio ed ancora sul primato della grazia come alleanza ed amicizia con Dio. Dunque un dialogo, un rapporto non a senso unico, non deprimente per l’uomo, ma totalmente liberante. Con ciò abbiamo ribadito ancora una volta il principio ed il criterio di verità nell’esistenza umana: il primato indubbio di Dio è a sostegno del primato relativo dell’uomo. In ciò inizia la sua felicità che si apre all’infinito ed in esso trova realizzazione piena.

Giustificazione, Grazia e Sacramenti
don Marino Qualizza

 

 

 

1. La ‘buona notizia’ della grazia di Dio

 

"Anche noi, infatti, siamo stati un tempo insensati, ribelli, fuorviati, asserviti a concupiscenze e voluttà d’ogni genere, vivendo immersi nella malizia e nell’invidia, abominevoli, odiandoci a vicenda. Quando però apparve la benignità del Salvatore nostro Dio e il suo amore per gli uomini, egli ci salvò non in virtù di opere che avessimo fatto nella giustizia, ma secondo la sua misericordia, mediante un lavacro di rigenerazione e di rinnovamento nello Spirito Santo, che egli effuse sopra di noi in abbondanza per mezzo di Gesù Cristo, nostro Salvatore, affinché, giustificati per mezzo della sua grazia, diventassimo eredi della vita eterna secondo la speranza" (Tito, 3,3-7).

 

 

 

1.a. Una buona notizia per la condizione umana

 

Il testo della lettera a Tito riassume in modo felice il contenuto della ‘buona notizia’ cioè del Vangelo. Come si può vedere benissimo dal testo, abbiamo di fronte un dittico, un quadro a due ante contrapposte, che presentano la situazione del mondo, come luce e tenebra, vita e morte, perdizione e salvezza, grazia e malvagità. Questo quadro non è il risultato di una ideologia, di una contrapposizione filosofica, che divide la realtà fra bene e male, perché è sempre stato così. Qui abbiamo la descrizione di ciò che è avvenuto: eravamo fuorviati, siamo stati ricondotti sulla retta strada . Qui si descrive la storia del mondo; essa è storia di perdizione a causa della malizia umana ed è storia di liberazione a causa della bontà di Dio, che non ha mai abbandonato il mondo da lui creato e perché tale, fondamentalmente buono e quindi ricuperabile.

 

 

 

1.b. Diversi annunci

 

In una storia umana priva di libertà, c’è bisogno che qualcuno alzi il grido per annunciare il cambiamento, per annunciare la liberazione. Il primo annuncio, il primo Vangelo l’abbiamo letto in Genesi 3, quando in quel testo misterioso abbiamo sentito la proclamazione di una vittoria futura, già iniziata nella speranza: <<Io porrò una ostilità fra te e la donna e tra il lignaggio tuo ed il lignaggio di lei: esso ti schiaccerà la testa e tu lo assalirai al tallone>> (3,15). Questa buona notizia continua poi con la chiamata di Abramo (Gen 12), perché egli mediante la fede diventa una benedizione per tutta l’umanità. E prosegue poi con l’epopea dell’Esodo, soprattutto con la celebrazione dell’alleanza fra Dio e il suo popolo, nel segno della libertà (Es 19-24). Promessa, benedizione, liberazione sono altrettanti sinonimi di quello che nel Nuovo Testamento verrà chiamato ‘grazia’ e salvezza.

 

A tenere desta la notizia della grazia sono chiamati i profeti ed è ad essi che i Vangeli si richiamano per una ideale continuazione del progetto di Dio. In particolare nella conclusione del grande libro di Isaia l’annuncio della salvezza, la notizia della grazia assume toni particolarmente solenni. <<Lo spirito del Signore Dio è su di me, perché il Signore mi unse , mi inviò ad evangelizzare gli umili, a fasciare quelli dal cuore spezzato e proclamare la libertà ai deportati, la liberazione ai prigionieri, a proclamare un anno di grazia da parte del Signore>> (61,1-2). L’evangelista Luca ha collegato con questo annuncio l’inizio della missione di Gesù, nella sinagoga di Nazareth, con una precisazione della massima importanza:<<Oggi si è adempiuta questa scrittura per voi che mi ascoltate>> (Lc 4, 21).

 

 

 

1.c. Il compimento con il Vangelo

 

La precisazione del Vangelo è quanto mai importante, perché inserisce, per gli smemorati di ogni epoca, l’annotazione del tempo, la dimensione della storia: la grazia di Dio non è un’idea, una legge fisica, né un evento dell’evoluzione naturale. E’ invece un intervento di Dio, che si inserisce nella storia umana, nelle sue ferite, nella sua libertà malata, per porre rimedio ai mali dell’umanità. E’ dunque una storia, e c’è storia solo dove è in gioco la libertà. L’uomo è stato creato nella libertà, è sostanzialmente libertà, anche se limitata e quindi fallibile, come di fatti è successo. E l’intervento di Dio è ancor di più intervento di libertà, gratuità, per rimettere in gioco la drammatica ed insieme affascinante avventura della libertà umana che si sforza di accogliere la libertà di Dio.

 

 

 

1.d. Un annuncio affidato ai credenti



Poiché si tratta di una storia di cui si ha notizia, essa va annunciata non dagli eventi sismici e dal cambio delle stagioni, ma da uomini e donne che si mettono in ascolto di Dio, che accolgono il suo progetto e si impegnano per la sua realizzazione. Per cui questa non sarà tanto storia di teorie e di leggi, di ipotesi e di dimostrazioni, di equazioni e sillogismi, quanto invece storia di persone che si fidano di Dio. Quasi a correggere la storia iniziale che è contrassegnata dalla sfiducia, dalla diffidenza verso Dio, come ci racconta Genesi 3. E’ la storia racchiusa in quella lunga serie di nomi che Matteo e Luca ci presentano nella ideale genealogia di Gesù. Ideale, nel senso che è il risultato di una elaborazione teologica che sceglie, fra i nomi a disposizione, solo alcuni, anche per l’impossibilità pratica di elencarli tutti. Questi nomi costituiscono la grande catena virtuosa che accompagna la storia dell’umanità, la notizia della grazia, a ritroso per Luca che da Gesù arriva fino ad Adamo e poi a Dio stesso, come origine di ogni esistenza; nello sviluppo cronologico per Matteo che da Abramo arriva fino a Giuseppe e Maria, dalla quale è nato il Cristo.

 

1.e. Che vivono una storia di impegno fedele

 

Questi nomi che richiamano le persone sono la storia dell’annuncio della grazia di Dio in Cristo. ad essi si aggiungono i nuovi, quelli scelti da Cristo stesso per la continuazione dell’annuncio, perché la storia non è conclusa. Si dilata ed estende nella storia e nella vita della Chiesa, risultato della grazia di Dio. Un posto particolare spetta agli ultimi due protagonisti nell’elenco di Matteo e dei primi due in quello di Luca, cioè Giuseppe e Maria. E’ noto infatti che nell’edizione del vangelo di Matteo la buona notizia è data a Giuseppe; in quella di Luca invece a Maria, nel famoso racconto dell’annunciazione. Tenendo conto della diversità dei ruoli di questi due protagonisti, dobbiamo dire che l’intenzione del racconto evangelico è identica: Gesù è la buona notizia che Dio dà agli uomini. I primi ad ascoltarla e quindi a farla propria sono proprio Giuseppe e Maria, che a titolo diverso, come dice la fede della Chiesa, sono i ‘genitori’ di Gesù.

 

1.f. Nella ricca quotidianità

 

La cosa è quanto mai significativa, perché fa comprendere ancora di più che la salvezza annunciata dal Vangelo passa attraverso la realtà più immediata e quotidiana dell’esistenza: la famiglia; ed è legata a quanto la famiglia normalmente esprime, se è tale: la gratuità nell’amore. Perciò la buona notizia della grazia è in primo luogo la sua incarnazione nella trama degli avvenimenti umani, guidati sapientemente da Dio, ma non soppiantati. La fede di Giuseppe e di Maria, secondo i Vangeli è anche contemporaneamente amore per un ‘figlio’. Esso diventa segno evidente della gratuità, perché un figlio è sempre gratuità, come un padre ed una madre. I casi contrai nella storia quotidiana confermano la regola, anche se in modo drammatico.

 

La buona notizia consiste allora, come abbiamo letto nel testo a Tito, nel cambiamento della condizione dell’umanità. La storia umana è segnata, fino ad oggi, dalla malizia e dalla perdizione. Non bisogna dimenticare che questo dura appunto fino ad oggi. Anche se il testo biblico insiste giustamente sul cambiamento, esso non è un dato automatico e statico: prima il male, poi il bene. Questo certamente nella storia delle persone, ma non nella storia intesa astrattamente e quindi in modo irreale. In essa continua la lotta quotidiana perché la malizia e l’inclinazione ad essa siano vinte dalla grazia e dalla sua forza, nella libera e responsabile accoglienza umana. Ogni giorno e per ogni persona si pone la necessità di una scelta e la sua rinnovazione, in modo tale che la vita non sia un automatismo, ma una decisione resa possibile dalla forza dell’amore di Dio per noi, cioè dalla sua grazia.

 

 

 

1.g. Oggi nella fede della Chiesa

 

In tal modo continua anche nei nostri giorni l’annuncio della grazia, la buona notizia della salvezza, affidata a coloro che hanno ricevuto il dono della fede e lo vivono nella consapevolezza. La notizia non è stata data una volta per sempre, perché deve essere resa attuale in ogni tempo. Il contenuto è stabile, perché è dato dal Cristo morto e risorto; la comunicazione è attuale e continua e costituisce il primo compito della Chiesa. Il problema che si impone è come garantire la ‘novità’ della notizia, perché non sia buttata tra le cose che non dicono più niente. Il pericolo è costante e la sfida non cessa mai.

II. DIO VUOLE SALVARE TUTTI GLI UOMINI E TUTTO L’UOMO


don Marino Qualizza



 


3. Gesù Salvatore e la salvezza (i miracoli) Lc 7, 18-23


La fede cristiana non è caratterizzata da alcune verità astratte per quanto sublimi. Ci sono queste verità, ma legate a doppia mandata con la persona di Gesù, il Salvatore. E’ dunque, la sua persona a costituire il cuore, il centro della fede per orientarla poi in modo forte verso Dio Padre, che è l’origine, il principio, la sorgente come pure il punto di arrivo della fede. Attorno alla persona di Gesù deve concentrarsi la nostra attenzione di credenti e di cercatori della verità che salva. Per cui si impone come sommamente necessaria una buona conoscenza di lui, a cominciare da ciò che dicono i Vangeli, per arrivare anche ad una esperienza personale, che non può escludere la dimensione mistica, cioè quella profondità anche affettiva che cambia la vita.



Il nome Gesù indica salvezza divina


Che Gesù sia Salvatore lo dice il suo nome stesso, che in ebraico vuol dire: Dio salva. Nell’annuncio fatto a Giuseppe, nel racconto di Matteo, questo collegamento del nome con la salvezza è posto chiaramente in luce:<<Tu lo chiamerai Gesù; egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati>> (Mt 1, 21). In questo caso si verifica quanto era tipico della mentalità ebraica e semitica in genere: il nome indica il compito della persona, in modo tale che persona e nome formino un tutt’uno. Matteo ci ha richiamato il senso della missione di Gesù: salvare il popolo dai suoi peccati. Ora noi, almeno coloro che sono stati educati fin da piccoli nella religione cristiana ed hanno frequentato il catechismo, in particolare le persone dai cinquant’anni in su, hanno avuto una istruzione precisa su questa salvezza dai peccati. Ma per certi versi questa è stata anche riduttiva, in un duplice significato: concentrava l’attenzione sul peccato, e di esso aveva spesso una visione più moralistica che teologica, più attenta alla trasgressione di un comando che non alla perdita di un rapporto di amoredelle . Naturalmente queste sono solo sottolineature parziali, unilaterali anch’esse, ma fatte con l’intenzione di mettere in luce che la riflessione deve spostarsi anche in altre direzioni.



Riscoprire la piena umanità di Gesù


E’ sintomatico il fatto che solo da pochi decenni ci sia in teologia l’attenzione anche alla psicologia di Gesù, alla sua quotidianità, alla sua origine ebraica con quanto tutto ciò comporta. Non sono rivoluzioni, ma ne esce una immagine più concreta di Gesù ed una comprensione più ricca della salvezza.


Vediamo intanto che l’attività di Gesù non è fatta solo di parole, ma di incontri con le persone, con le quali sicuramente si parla, ma non sempre per fare ‘lezione’. Gesù è l’uomo che stabilisce rapporti; è l’uomo-Dio che entra in comunione viva con gli uomini, anche se li contesta nei loro atteggiamenti. Ed è fondamentale notare che quasi sempre gli incontri di Gesù, almeno quelli ricordati dai Vangeli, hanno come fine e risultato la salute, la guarigione delle persone. Qui per salute intendiamo non solo quella fisica, ma l’armonia della persona o addirittura la sua restituzione alla vita, nel duplice senso della parola: vita fisica e vita spirituale.



I miracoli segni ambivalenti che lasciano libero l’uomo


La citazione di Luca all’inizio del capitolo ci presenta un episodio cruciale nella vita di Gesù e di Giovanni il Battista. Questi si trova in carcere a motivo del rimprovero profetico fatto ad Erode Antipa, per il matrimonio con Erodiade, già moglie di suo fratello Filippo. Il carcere è il luogo del dubbio e del tormento. Non sono risparmiati neanche a questo coraggioso profeta. Per di più sente dire che Gesù non sta attuando il programma che lui, Giovanni, aveva annunciato: l’imminente giudizio di Dio con la condanna degli increduli. Su queste premesse, Giovanni manda i suoi discepoli ad informarsi direttamente da Gesù:<<"Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?". In quello stesso momento Gesù guarì molta gente da malattie , da infermità, da spiriti cattivi; e a molti ciechi ridonò la vista. Poi diede loro questa risposta: "Andate e riferite a Giovanni quello che avete visto e ascoltato: i ciechi vedono, gli zoppi camminano, i lebbrosi vengono mondati, i sordi odono, i morti risorgono, ai poveri viene annunziata la buona novella. E beato colui che non si scandalizza di me">> (7, 20-23)



Resta sempre un margine per il dubbio, lo 'scandalo'


Abbiamo detto che l’episodio è cruciale, tanto per Gesù come per Giovanni, anche se in posizione molto diversa. Ma Gesù dà il senso e l’indicazione della coscienza della sua missione e la descrive chiaramente, come del resto aveva già fatto nel discorso inaugurale nella sinagoga di Nazareth (Lc 4, 14-21). Giovanni riceve la risposta che desiderava con l’indicazione dei segni messianici, anche se le sue aspettative personali erano diverse, a cominciare dalla liberazione dal carcere. Con questa risposta Gesù si colloca nelle attese messianiche, le porta a compimento, ma traccia delle linee di demarcazione tra le attese collegate ad un messianismo troppo localistico.


Ne viene dunque inevitabilmente la domanda sul significato dei miracoli compiuti da Gesù e sui quali egli stesso dà, in questo passaggio grande risalto. Essi sono visti nella linea della predicazione profetica, che già aveva anticipato qualcosa in questo senso: l’attesa del messia futuro che avrebbe riportato le cose alla armonia degli inizi. Ma nella risposta di Gesù c’è anche un avvertimento importante: i miracoli non sono il toccasana per evitare o superare lo ‘scandalo’ delle scelte operate da Gesù. In questo senso la risposta di Gesù è volutamente enigmatica, e l’enigma sarà sciolto solo con la resurrezione. Viene dunque scartata una linea di interpretazione dei miracoli, che comunemente viene definita ‘miracolistica’: il miracolo toglie ogni dubbio, scioglie ogni difficoltà, elimina ogni equivoco. Non è così e n on è andata così.



I miracoli segni della presenza di Dio


Fatta questa doverosa precisazione, ci sono però alcuni aspetti che vanno evidenziati, perché i miracoli dei vangeli non siano considerati archeologia religiosa.


In primo luogo essi sono il segno di un avverarsi delle promesse profetiche, come verità della fedeltà di Dio alla sua parola. I miracoli dunque sono il segno visibile della presenza invisibile di Dio. E la percezione che l’uomo non è solo, abbandonato al suo destino di morte e fallimento. C’è una prospettiva, che richiede ancora pazienza e speranza, perché il Dio della speranza è ancora un Dio invisibile. Ma per colui che nel segno miracoloso scorge la presenza del mistero, questa speranza veramente non delude. E’ segno efficace di un Dio che rimane vicino all’uomo ed a questi dimostra il suo amore.



E di un mondo diverso


Essi sono ancora segno di come dovrebbe essere il nostro mondo, fondato sulla fede in Dio e sull’amore del prossimo. Il mondo non è secondo il progetto di Dio, perché noi uomini poniamo continuamente i bastoni fra le ruote. Siamo ‘satana’ nel senso etimologico del termine: impediamo l’azione di Dio. Dove invece, come nel Cristo, l’uomo è aperto a Dio, il mondo, almeno per un attimo, acquista il suo volto ideale e gli uomini sono restituiti alla loro dignità. I miracoli allora diventano segno di un impegno fra gli uomini in vista della eliminazione degli ostacoli più grandi che impediscono a tutti di essere veramente se stessi. Non dobbiamo essere ingenuamente ottimisti, ma è certo che un mondo diverso è possibile già da adesso. Non sarà perfetto, come le riserve di Gesù ci dicono, ma potrebbe essere migliore. Proviamo solo a pensare che cosa significhi annunziare il vangelo ai poveri, anche nel senso più elementare del termine e vedremo delle prospettive inedite. Ma ci rendiamo conto quanto, oggi, sia difficile questo annunzio; pur con tutta la grazia di Dio!



E del mondo futuro


Infine c’è un ulteriore aspetto, non soggetto a verifica, ma oggetto di fede viva ed impegnata. I miracoli sono segno del mondo che verrà. Risposta semplice o semplicistica, non importa, ma è indubitabilmente vero che nelle azioni di Gesù è reso presente, in anticipo, il mondo definitivo. Allora veramente , come dice l’Apocalisse, non ci saranno più lutto né morte, né lacrime, perché queste appartengono al mondo presente (Apoc 21). Ma il mondo futuro non è un’utopia, non è un’illusione, è veramente anticipato nelle azioni di Gesù. Ed è un mondo concreto, non rarefatto, dove gli uomini saranno e sono veramente se stessi, dopo aver raggiunto finalmente la meta dei loro desideri. Il desiderio di Dio non è una indebita proiezione, ma l’orientamento sicuro di una fede che trova in Gesù e nei suoi miracoli sostegno e ispirazione e dalla sua grazia la forza di non cedere alla delusione ed allo scandalo.

II. DIO VUOLE SALVARE TUTTI GLI UOMINI E TUTTO L’UOMO


don Marino Qualizza



 


2. Incarnazione, redenzione e salvezza integrale


La fede cristiana si caratterizza per una verità di estrema ed insostituibile importanza: afferma l’incarnazione del Figlio di Dio, nel vangelo di Giovanni chiamato anche Verbo di Dio. E’ questo il dato veramente originale e costitutivo della fede cristiana. L’incarnazione afferma che il Figlio di Dio, unico Dio con il Padre e lo Spirito Santo, è diventato uomo. Per coloro che sono stati abituati a sentire da sempre questa affermazione e a non riflettere mai sul suo significato, la cosa non impressiona più di tanto. Dire che lascia indifferenti forse è troppo, ma poco ci manca. Ma coloro che cominciano veramente a domandarsi che cosa tutto ciò significhi, la cosa si presenta subito complicata e, al limite, incredibile.



2.a. L’incarnazione del Figlio di Dio non è un dato ovvio


Cerchiamo di capire le cose. Che il Dio infinito ed onnipotente si faccia finito e debole, limitato e soggetto alle debolezze umane, anche se escludiamo il peccato, non è la cosa più ovvia e semplice. Diciamo che è addirittura abbastanza incredibile. Ed è il caso di insistere su questo aspetto, se non vogliamo che tutto finisca nella banalità. Qui è importante quell’atteggiamento che troviamo all’origine o perlomeno come accompagnamento del sentimento religioso: la meraviglia. E’ meraviglioso che il Dio di Gesù Cristo si sia rivelato a noi e si sia donato a noi nel Figlio suo fatto uomo. Qui sta il punto: se noi consideriamo l’incarnazione ancora una volta come una verità astratta, allora la cosa ci lascia del tutto indifferenti. Ma se la vediamo nella luce del dono di Dio a noi, le cose assumono un altro significato e noi siamo direttamente interpellati. Non si tratta di un gioco intellettuale o mitico, ma della nostra stessa vita, della riuscita della nostra esistenza. Entriamo in gioco in prima persona. Dio entra nella nostra vita mirando a noi, alla nostra salvezza.



2.a. L’incarnazione del Figlio di Dio non è un dato ovvio


Cerchiamo di capire le cose. Che il Dio infinito ed onnipotente si faccia finito e debole, limitato e soggetto alle debolezze umane, anche se escludiamo il peccato, non è la cosa più ovvia e semplice. Diciamo che è addirittura abbastanza incredibile. Ed è il caso di insistere su questo aspetto, se non vogliamo che tutto finisca nella banalità. Qui è importante quell’atteggiamento che troviamo all’origine o perlomeno come accompagnamento del sentimento religioso: la meraviglia. E’ meraviglioso che il Dio di Gesù Cristo si sia rivelato a noi e si sia donato a noi nel Figlio suo fatto uomo. Qui sta il punto: se noi consideriamo l’incarnazione ancora una volta come una verità astratta, allora la cosa ci lascia del tutto indifferenti. Ma se la vediamo nella luce del dono di Dio a noi, le cose assumono un altro significato e noi siamo direttamente interpellati. Non si tratta di un gioco intellettuale o mitico, ma della nostra stessa vita, della riuscita della nostra esistenza. Entriamo in gioco in prima persona. Dio entra nella nostra vita mirando a noi, alla nostra salvezza.



2. c. Il peccato è perdizione


Tuttavia la redenzione ci richiama al fatto che la storia del mondo,per quanto dipende dagli uomini, non è storia di salvezza, ma di perdizione. E Dio, che da sempre è salvezza dell’uomo, entra nella storia degli uomini anche come redentore, del tutto immeritato e quindi del tutto gratuito; questa volta a titolo anche speciale. Redenzione infatti, in senso stretto significa che gli uomini hanno bisogno che qualcuno li tiri fuori da una situazione di perdizione. E questa non riguarda aspetti secondari o qualche episodio veniale; riguarda la possibilità stessa di una realizzazione umana, che in quanto tale non può essere confinata a questo tempo e a questo spazio. Se la redenzione fosse limitata a questa nostra esistenza e alla soluzione dei problemi che la caratterizzano normalmente: il mangiare, il bere, il vestirsi, il riprodursi, non ci sarebbe bisogno di scomodare Dio, anche se la soluzione di questi problemi quotidiani è tutto fuorché pacifica, proprio in questo nostro mondo. La FAO insegna.



2. d. La salvezza riguarda l’uomo nelle questioni fondamentali


Il problema diventa drammatico quando noi ci interroghiamo sulle questioni fondamentali dell’esistenza, non tanto in senso orizzontale quando nella dimensione verticale: da dove veniamo e dove andiamo? Sono domande che prima o poi a tutti si presentano ed alle quali non siamo in grado di rispondere, non in senso teorico, ma in quello pratico, che qui conta sommamente. E perché questo? Per una duplice ragione, che qui ricordiamo nuovamente, dopo averne già accennato nel primo capitolo. L’uomo è creatura che realizza la sua vita nel rapporto con Dio. L’uomo è peccatore e in quanto tale si trova nella condizione di non potersi realizzare, di non raggiungere lo scopo della sua vita, che è Dio, appunto perché con il peccato si è precluso a Dio. E per definizione non è in grado di raggiungere Dio senza di lui. Qui c’è il dramma della nostra umanità, ma anche l’intervento misericordioso di Dio, il Dio che salva e redime.



2. e. Dio è prima del peccato


Ma questo Dio è da sempre la salvezza dell’umanità. Questa non ha ‘bisogno’ di Dio perché è peccatrice, ma perché è creatura. La sua verità, la sua felicità è data dal rapporto con Dio. Il peccato è un ostacolo a questo rapporto creaturale con Dio, dunque un ostacolo alla realizzazione ‘normale’ dell’uomo. Qui dunque, avviene il fatto straordinario e doppiamente gratuito: Dio interviene a salvare l’umanità da questa condizione di peccato e di alienazione, perché possa ritrovare se stessa in Dio. Egli dunque non è un di più, doppiamente: in quanto creatore e in quanto redentore.


Tutto questo ha trovato la sua piena e concreta attuazione nella vita di Gesù di Nazareth, il Figlio di Dio fatto uomo. Ora la sua esistenza contiene in sé e opera qualcosa di straordinario e di semplice allo stesso tempo. Egli in sé, è pienezza di vita e di verità, come i testi del NT ci documentano, in particolare il prologo e il capitolo 14 del vangelo di Giovanni. E questa pienezza la dona a noi, perché diventiamo partecipi della sua vita, ricevendo da lui grazia su grazia. Gesù è l’uomo veramente realizzato e perfetto, l’uomo riuscito per la semplice ragione che è il Figlio di Dio, unito al Padre con un amore indissolubile ed eterno. E’ l’unione con il Padre, che egli vive in quanto Dio e in quanto uomo, la radice della sua perfezione. Che è quanto dire: in Dio si trova la piena realizzazione della nostra vita. Non che non essere ostacolo alla nostra piena umanità, ne è la radice stessa ed il compimento infinito, aldilà di ogni desiderio umano.



2. f. Gesù salvatore di tutto l’uomo


Da Gesù ci viene dunque la salvezza totale ed integrale. Essa si riferisce tanto all’anima che al corpo e non è limitata a qualche aspetto o episodio della vita, ma riguarda la vita in quanto tale e per sempre. C’è stato un tempo in cui si insisteva unilateralmente sulla salvezza dell’anima, magari con qualche citazione biblica adatta allo scopo:<<Che cosa giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la propria anima? >> (Mc 8, 36). Questa non è l’unica traduzione possibile, ma è una traduzione che ha trovato stabile dimora fra i predicatori, con l’accentuazione di una salvezza che riguardava l’anima e non, come suggerisce il testo, letto in prospettiva più fedele, la vita. E’ della vita che si tratta, dell’uomo intero, della persona concreta, anima e corpo. Del resto questo è in linea con l’incarnazione. Non affermiamo che Gesù è un uomo a metà, e soprattutto, dopo con la risurrezione diciamo che è stato glorificato nella sua piena e integra umanità: corpo e anima.



2. g. Anima e corpo


La salvezza è dunque integrale, perché riguarda la verità dell’essere umano, ma è integrale anche per un altro aspetto, anch’esso degno della più grande attenzione. La salvezza che Dio ci dona in Cristo, nella grazia dello Spirito, riguarda il destino finale dell’uomo e quindi non un episodio della vita, e neanche l’ultimo istante della vita stessa. Ma si riferisce al valore della vita nel suo rapporto con Dio.ora questo non viene in questione solo quando si è giunti al traguardo fisico della vita. Questo riguarda tutta la vita ed in ogni tempo. San Tommaso d’Aquino ha espresso in una formula efficace la verità di questa vita che si vive nella fede, intesa come rapporto con Dio: la fede è l’inizio della vita eterna a cominciare da questa vita.



2. h. Nella vita e oltre la morte


In altri termini, la fede illumina tutti gli aspetti della vita, orientandoli al loro fine e dando agli uomini la possibilità di valutare, giudicare, scegliere, rinnovare, impegnarsi, avendo di mira non questioni secondarie, ma il bene assoluto. Da qui anche quella certa serenità che caratterizza la vita del credente, che lo aiuta a relativizzare ciò che va relativizzato e a dare importanza a ciò che veramente conta. Non bisogna tacere il fatto che la vita del credente può essere una vita felice, non necessariamente allegra, anche in mezzo alle difficoltà, che non sono proprietà privata dei credenti.

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