Questo mi porta a ribadire che la celebrazione non è staccata dalla vita, anzi ne è il sacramento, cioè "segno" che la manifesta, e "strumento" perché si realizzi sempre più. Lo scopo della vita cristiana, che si esprime e realizza a livello sacramentale nella comunione eucaristica, è la nostra unione con Cristo, fino a che noi "diventiamo in Lui un solo corpo e un solo spirito".
A questo tende tutta l'azione della Chiesa, come recita un testo della Costituzione Liturgica del Vaticano, di cui ci apprestiamo a celebrare il 40° anniversario: "Il lavoro apostolico... è ordinato a che tutti, diventati figli di Dio mediante la fede e il battesimo, si riuniscano in assemblea, lodino Dio nella Chiesa, prendano parte al sacrificio e alla mensa del Signore" (SC 10).
Il gesto di mangiare il corpo di Cristo e di bere il suo sangue, significa la nostra partecipazione alla sua morte e risurrezione. Si tratta del suo corpo "offerto in sacrificio" e del suo "sangue versato". La Pasqua di Cristo non è soltanto un evento della storia passata, ma si rende presente perché noi ne siamo "toccati" e da esso salvati.
I Padri della Chiesa insistono sulla nostra trasformazione in ciò che riceviamo. Nell'ultima Enciclica, il Papa Giovanni Paolo II ricorda un testo di sant'Agostino: "Se voi siete il suo corpo e le sue membra [cfr I Cor 12,27], sulla mensa del Signore è deposto quel che è il vostro mistero; sì, voi ricevete quel che è il vostro mistero" (Sermone 272), cioè "ricevete quello che siete, e diventate ciò che ricevete".
Il momento della comunione quindi porta a compimento tutto ciò che l'intero rito della Messa ha finora significato:
1. I riti di ingresso avevano lo scopo di "formare una comunità". Ora si giunge al culmine: noi diventiamo una sola persona, quella di Gesù Cristo, perchè in Lui "non c'è più giudeo nè greco; non c'è più schiavo nè libero; non c’è più nè uomo nè donna, poiché tutti voi siete UNO in Cristo" (Gal 3, 28). Porta a compimento anche i riti dì offertorio, nei quali avevamo espresso la carità verso i fratelli più poveri, perché anche con essi diventiamo uno, e si compie quell'altra parola de! Signore: ciò "che avete fatto ad uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me" (Mt 25,40).
2. Nella liturgia della Parola, abbiamo visto come la storia della salvezza, che ha il suo compimento nella Pasqua di Cristo, si rende presente. Ma abbiamo anche notato che tale presenza raggiunge il massimo della sua efficacia nell'eucaristia. Se allora "ci ardeva il cuore nel petto... quando ci spiegava le Scritture" (Lc 24, 32), ora lo riconosciamo "nello spezzare il pane" (Lc 24, 35). Nella comunione si adempie per noi questa Scrittura che abbiamo udito con i nostri orecchi (cfr Lc 4, 21). Ne sono conferma le antifone alla comunione, tratte dal Vangelo del giorno, previste dal Messale italiano per le domeniche nei tre cicli. La comunione sotto le due specie significherebbe meglio la nostra partecipazione alla Pasqua salvifica, perché il pane "significa" la liberazione dall'afflizione, mentre il sangue significa la stessa Pasqua come alleanza.
3. Nella preghiera eucaristica, dopo aver offerto al Padre il sacrificio pasquale del Signore Gesù, abbiamo chiesto per noi lo Spirito Santo, perché diventassimo un solo corpo e un solo spirito". Ciò si compie nel momento della comunione.
La partecipazione al banchetto eucaristico dà luce alla giornata. Questa diventa il "giorno del Signore" Risorto, perché lo incontriamo, lo riconosciamo, ci uniamo a lui.
Sentiamo ogni tanto parlare di "mistica". E pensiamo che si tratti di doni o fenomeni straordinari (estasi, visioni, levitazioni...), che hanno sperimentato alcuni santi, detti appunto "mistici". Dimentichiamo che il termine "mistica" è un aggettivo femminile, che si accompagna alla parola (sottintesa) "unione". Che cosa è l'unione mistica, se non la comunione sacramentale, quando si realizza con il massimo della nostra personale partecipazione. Ne consegue che una comunione eucaristica "ben fatta" è il principio della santificazione, o (per dirla con i Padri orientali) della nostra "divinizzazione".
La dimensione escatologica del banchetto eucaristico è stata già illustrata. Basti pensare alla formula con cui siamo "invitati alla cena delle nozze dell'agnello" (cfr Apoc. 19,9), già illustrato nel n. 5 del 2001 di questa rivista.
L'identificazione che Gesù fa di se stesso con i fratelli più piccoli, ci impedisce tuttavia dì dimenticare la dimensione ecclesiale-incarnata della nostra comunione. Il Papa, ancora nell'ultima enciclica, ricorda un testo di san. Giovanni Crisostomo, con la quale concludo: "vuoi onorare il corpo di Cristo? Non trascurarlo quando si trova nudo. Non rendergli onore qui nel tempio con stoffe di seta, per poi trascurarlo fuori, dove patisce freddo e nudità.
Colui che ha detto: "Questo è il mio corpo", è il medesimo che ha detto: "voi mi avete visto affamato e non mi avete nutrito"... A che serve che la tavola eucaristica sia sovraccarica di calici d'oro, quando lui muore di fame? Comincia a saziare lui affamato, poi con quello che resterà potrai ornare anche l'altare".
Ildebrando Scicolone